Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza 21 aprile 2016, n. 8059

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f.
Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez.
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Presidente di Sez.
Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente di Sez.
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sez.
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere
Dott. MATERA Lina – Consigliere
Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25252-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona tempore, elettivamente domiciliata del Direttore pro in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 170/3/2010 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della Campania, depositata il 24/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/02/2016 dal Presidente Dott. AURELIO CAPPABIANCA;
udito l’Avvocato (OMISSIS) dell’Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 24 luglio 2010, intervenuta in controversia scaturita dall’impugnazione, promossa da contribuente gia’ esercente la professione di architetto, di avviso di accertamento irpef, irap ed iva relative all’anno 2002.
2. Rigettando l’appello dell’Agenzia e confermando la decisione impugnata, la commissione regionale aveva, per quanto ancora rileva, affermato l’illegittimita’ del recupero iva operato dall’Agenzia su compenso da attivita’ professionale conseguito dal contribuente dopo la cessazione del relativo esercizio e la dismissione della partita iva.
I giudici del gravame avevano, in particolare ritenuto che avendo il contribuente cessato l’esercizio della sua attivita’ professionale nel 1997 e, dunque, anteriormente al conseguimento, avvenuto nel 2002, del relativo compenso – la somma al riguardo percepita non era assoggettabile ad iva, difettando, al momento della riscossione, il presupposto soggettivo dell’imposta previsto dal combinato disposto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 1 e articolo 5, comma 1, (nella specie: la qualifica di professionista). Con cio’, conseguentemente, postulando che i compensi percepiti dal professionista, dopo la cessazione dell’attivita’, sono assoggettabili solo ad irpef, quali redditi diversi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 67, lettera l.
3. – Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia – deducendo violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 5, comma 1, e articolo 21 nonche’ falsa applicazione dell’articolo 6 del medesimo testo normativo – ha censurato la decisione impugnata per non aver considerato che una prestazione di servizi, se imponibile a fini iva al momento della sua esecuzione, resta necessariamente tale, anche se il pertinente corrispettivo venga conseguito successivamente alla cessazione dell’attivita’ professionale nel cui ambito la prestazione e’ stata posta in essere ed alla conseguente perdita della soggettivita’ iva da parte del percipiente, giacche’ tale evenienza non e’ idonea a sottrarre il compenso di pregressa attivita’ professionale al regime impositivo proprio di questa.
Il contribuente non ha svolto difese.
4. – Fissata per la decisione in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., comma 3, e, quindi, rinviata alla udienza pubblica, a seguito di ordinanza interlocutoria della sottosezione tributaria della sesta sezione civile (ord. 24432/14), la causa e’ stata rimessa a queste Sezioni unite, per l’esame – quale questione di massima di particolare importanza – del punto focale della controversia: se il compenso di prestazione professionale percepito dopo la cessazione dell’attivita’, nel cui ambito la prestazione e’ stata effettuata, e la relativa formalizzazione e’ o non imponibile a fini iva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) La notifica del ricorso per cassazione
introduttivo del presente giudizio di legittimita’ e’ stata eseguita, ai sensi della L. n. 53 del 1994, articolo 4 e articolo 55 69/2009, a mezzo del servizio postale.
Pur essendo allegata al ricorso la ricevuta di spedizione della raccomandata con la quale il ricorso per cassazione e’ stato spedito ai fini della notifica, non risulta acquisito agli atti il corrispondente avviso di ricevimento.
Sulla base di tale rilievo e non essendosi costituito l’intimato, s’impone la declaratoria d’inammissibilita’ del ricorso.
Costituisce, infatti, ius receptum il principio – affermato da queste Sezione Unite, con la sentenza n. 627/08, e, di seguito, costantemente osservato (v., tra le altre, Cass. 26108/15, 14780/14, 13923/11, 9453/11, 8497/10, 1694/09) – secondo cui, nelle notificazioni eseguite a mezzo del servizio postale, in difetto di costituzione dell’intimato, l’omessa allegazione al ricorso dell’avviso di ricevimento del plico postale (unico documento atto a dimostrare il perfezionamento della notificazione) ed il suo mancato deposito nelle forme di cui all’articolo 372 c.p.c. o all’udienza di cui all’articolo 379 c.p.c., comporta l’inammissibilita’ del ricorso, non ricorrendo i presupposti ne’ per la concessione di un termine per il deposito ne’ per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’articolo 291 c.p.c..
2) Nonostante la riscontrata inammissibilita’ del ricorso, la rilevanza della questione immanente al merito della controversia e rimessa all’esame di queste Sezioni unite e la sua problematicita’, evidenziata dall’ordinanza interlocutoria ed attestata dallo stesso tormentato iter processuale della lite nella presente fase di legittimita’, inducono a pronunziare in proposito, ai sensi dell’articolo 363 c.p.c., commi 3 e 4, per l’esigenza nomofilattica di rimuovere incertezze e prevenire contrasti interpretativi.
3) 1. – Nell’indicata prospettiva, va, in primo luogo, osservato che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 1 e ss., l’obbligazione tributaria in campo iva e, quindi, l’imponibilita’ a detti fini sono ricollegate (a parte il caso delle “importazioni”) al concorso di due presupposti: uno, di natura oggettiva, costituito dalla realizzazione, nel territorio dello Stato, di operazioni di “cessione di beni” a titolo oneroso ovvero di “prestazione di servizi” verso corrispettivo; l’altro, di natura soggettiva, consistente nel possesso, da parte di chi pone in essere alcuna delle operazioni sopra menzionate, della qualita’ di imprenditore o di quella di esercente arte o professione.
2.1 – Muovendo dalla “premessa indiscussa” che, per le prestazioni di servizi, il verificarsi del presupposto oggettivo dell’imposizione iva coincide di regola, non con il momento della relativa materiale esecuzione, ma con quello del pagamento totale o parziale del corrispettivo per esse convenuto (anche se successivo a detta esecuzione), l’ordinanza interlocutoria individua il punctum dolens della proposta questione esegetica nell’identificazione del dato di temporale rilevanza della cessazione dell’attivita’ economica (nella specie: professionale) che giustifica l’imposizione iva, quale presupposto soggettivo del tributo ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 1, 4 e 5.
2.2.1 L’impostazione dell’ordinanza interlocutoria e la sua premessa scontano il rilievo che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (dopo aver, all’articolo 1, collegato, sul piano oggettivo, l’imponibilita’ a fini iva, in particolare, alle operazioni di cessioni di beni ed a quelle di prestazioni di servizi) dispone all’articolo 6, che – mentre le operazioni di cessione di beni, in assenza di fattura o di pagamento, vanno, in linea di principio e salve le deroghe di cui al comma 2, temporalmente ricollegate al momento della loro esecuzione (cfr. commi 1, 2 e 4) – le prestazioni di servizi, in assenza di anteriore fattura, “si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo” (cfr. commi 3 e 4). Cio’, peraltro, solo di regola e ad eccezione che per le prestazioni di servizi compiute per l’uso personale o familiare dell’imprenditore ovvero a titolo gratuito per finalita’ estranee all’impresa ovvero ancora (in esito all’introduzione del sesto comma della disposizione ad opera della L. n. 217 del 2011) per le prestazioni di servizi resi in ambito transazionale; prestazioni tutte, in merito alle quali rileva, invece, il momento della relativa esecuzione.
2.2.2 – A conforto di quanto sostenuto, vengono evocati precedenti di questa Corte (specificamente: Cass. 13209/09, 3976/09), in cui, sul presupposto che “il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, comma 3, pone una presunzione assoluta di corrispondenza tra la data della percezione del corrispettivo e quella di esecuzione della prestazione di servizi”, si afferma che, a fini iva, rileva di regola (e salvo il caso di precedente emissione di fattura), non la data in cui la prestazione e’ stata storicamente eseguita, bensi’ quella della percezione del correlativo corrispettivo.
2.2.3 – A tale ultimo proposito, merita, peraltro, subito osservare che, per quanto si dira’ in seguito a proposito della concettuale distinzione tra la nozione di imponibilita’ a fini iva e quella di esigibilita’ dell’imposta medesima (v. infra sub n. 3), piu’ che nelle decisioni richiamate – che, ponendo la riportata affermazione quale presupposto della negazione dell’attualita’ dell’obbligo di fatturazione e di quello di versamento del tributo in assenza di riscossione del corrispettivo della prestazione eseguita, ne rapportano, in concreto, la valenza alla nozione di esigibilita’ dell’imposta piuttosto che a quella d’imponibilita’ – l’assunto di partenza dell’ordinanza interlocutoria sembra trovare conforto in piu’ remota decisione (Cass. 11150/95), che, identificando in funzione dell’affermazione in rassegna la normativa applicabile in ipotesi di successione di leggi in tema di criteri di definizione della base imponibile, ha discriminato, in funzione del momento del pagamento della prestazione (anziche’ di quello della sua esecuzione), proprio l’applicazione del nuovo regime d’imponibilita’.
3.1 – L’impostazione che l’ordinanza interlocutoria da’ alla questione rimessa e la sua premessa non sono condivisibili.
3.2 – La lettura del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, comma 3, nel senso che, per le prestazioni di servizio, il presupposto oggettivo dell’imponibilita’ a fini iva si verifica di regola, non con l’esecuzione della prestazione, ma con il successivo pagamento totale o parziale del corrispettivo correlativamente pattuito, si rivela, invero, in evidente, inammissibile, contrasto con la disciplina comunitaria dell’iva, di cui il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 costituisce trasposizione.
3.3.1 – Infatti, sia la sesta direttiva iva 77/388/Cee (all’articolo 10, comma 1 e articolo 2) sia l’attuale direttiva iva 2006/112/Ce (agli articoli 62, 63 e 66) distinguono in relazione all’imposta tre diversi momenti: a) quello del “fatto generatore” dell’imposta e, cioe’, dell’evento che costituisce la scaturigine dell’obbligazione tributaria e dell’imponibilita’ a fini iva, cui si ricollegano l’operativita’ dalla disciplina del tributo ed i relativi effetti; b) quello dell'”esigibilita’” dell’imposta, e, cioe’, dell’attitudine attuale dell’imposta ad essere pretesa in riscossione dall’Erario; c) quello, infine, del “pagamento”.
Le citate direttive puntualizzano inoltre, esplicitamente, che il fatto generatore dell’imposta s’identifica con l’effettuazione della cessione di beni ovvero con quella della prestazione di servizi, il cui verificarsi determina, di regola, anche l’esigibilita’ dell’imposta (cfr. il testo dei rispettivi articolo 1, comma 2, e articolo 63: “Il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui e’ effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi”; non dissimilmente si esprime, in tema d’insorgenza dell’imponibilita’ a fini iva con riguardo alle prestazioni di servizi, l’articolo 6, n. 4 della seconda direttiva iva 67/228/Cee).
Come rilevato anche da Corte giust., 19 dicembre 2012, in causa C-549/11 (proprio con riguardo a prestazione di servizi), l’ordinamento comunitario contempla, dunque, il fatto generatore dell’imposta, quale nozione autonoma e distinta, sul piano concettuale, rispetto a quella di esigibilita’ dell’imposta medesima ed inequivocabilmente lo ancora al dato del materiale espletamento dell’operazione (cessione del bene o prestazione del servizio); non a quello del pagamento del corrispettivo. E, in sistematica coerenza, l’articolo 90 dir. 2006/112/Ce, prevede che la mancata riscossione del corrispettivo in conseguenza dell’inadempimento o della risoluzione del contratto, verificatisi successivamente all’effettuazione dell’operazione, non elimina l’obbligazione tributaria (ma incide esclusivamente sulla determinazione della base imponibile).
3.3.2 – Per altro verso, l’ordinamento comunitario conferisce agli Stati membri la facolta’ di derogare alla disciplina comunitaria con riguardo alle condizioni di esigibilita’ dell’iva, ma non anche in merito all’identificazione del fatto generatore dell’imposta.
Gli articoli 10, 2, dir. 77/388/Cee e 65 dir. 2006/112/Ce, pur riconoscendo agli Stati margini di discrezionalita’ nella definizione delle condizioni di esigibilita’ dell’iva, non contemplano infatti, al riguardo, alcun riferimento al fatto generatore dell’imposta. Cio’, mentre, in merito alla previsione di cui l’articolo 6 della seconda direttiva 67/228Cee, Corte giust. 20 maggio 1975, in causa C-11/75, ha, tra l’altro, espressamente statuito che, in ogni caso, la disposizione non puo’ in alcuno modo essere interpretata nel senso di ravvisarvi la possibilita’ per gli Stati membri d’identificare il momento dell’effettuazione delle prestazioni di servizi con quello del rilascio della fattura o dell’incasso del corrispettivo, qualora tali eventi siano successivi al compimento del servizio; cosi’ riconoscendo, dunque, agli Stati membri solo la facolta’ di anticipare (non anche quella di posticipare) la rilevanza fiscale di dette operazioni rispetto alla regola generale della coincidenza di tale rilevanza con l’espletamento del servizio.
3.4 – Le indicazioni emergenti dalla disciplina comunitaria, proiettandosi ineludibilmente sulle norme nazionali che ne realizzano la trasposizione, ostano a che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, comma 3, sia letto, nel senso che, per le prestazioni di servizio, il presupposto impositivo e, con esso, l’insorgenza dell’imponibilita’ a fini iva, si verificano, non con l’esecuzione della prestazione, bensi’, successivamente, con il pagamento del corrispettivo correlativamente pattuito.
In tal senso, del resto, Corte giust. 26 ottobre 1995, in causa C-144/94 – affermando che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, comma 3, (nell’attribuire rilevanza a fini impositivi, quanto alle prestazioni di servizi, al dato del pagamento del relativo corrispettivo) non contrasta con l’articolo 10 dir. 77/388Cee, “in quanto questa disposizione, pur identificando il fatto generatore dell’imposta con l’esecuzione della prestazione, consente tuttavia agli Stati membri di stabilire che l’imposta diventi esigibile, per tutte le prestazioni, solo con l’incasso del corrispettivo” – rileva con chiarezza che la norma nazionale deve essere necessariamente intesa nel senso che la ficta identificazione con il pagamento del corrispettivo (“le prestazioni di servizio si considerano effettuate…”) investe il compimento della prestazione con esclusivo riferimento alla sua rilevanza ai fini della mera esigibilita’ dell’imposta; giacche’, ove ne risultasse coinvolta anche la sua rilevanza ai fini dell’imponibilita’ e dell’insorgenza dell’obbligazione tributaria, la disposizione risulterebbe (per quanto detto in precedenza) incompatibile con il diritto comunitario.
3.5.1 – Ove si tenga conto della concettuale scissione della nozione di imponibilita’ a fini iva, riferita alla genesi dell’obbligazione tributaria, rispetto a quella di esigibilita’ dell’imposta, intesa quale attualita’ della pretesa dell’Erario alla relativa riscossione, la stessa lettera del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, comma 3, e il complessivo dato normativo nazionale non risultano insuscettibili di lettura coerente con i canoni (comunque destinati a prevalere in ragione della primazia del diritto comunitario in materia di tributi armonizzati) sanciti della disciplina sovranazionale.
3.5.2 – Posto che il pagamento del corrispettivo non e’ essenziale al riscontro del carattere oneroso che l’operazione deve assumere per costituire presupposto dell’imposta (dipendendo detto carattere dagli accordi delle parti e non dall’esecuzione del rapporto), occorre, invero, considerare che – dal momento che il testo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, comma 3, non offre alcun elemento contrario ad una lettura nel senso della sua rilevanza ai soli fini dell’esigibilita’ e che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 non contempla alcuna specifica indicazione circa il momento d’insorgenza dell’obbligazione tributaria ed il dato di temporale rilevanza del presupposto del tributo (cosi’ lasciando, sul punto, intendere il rimando alla normativa sovranazionale) – tutt’altro che implausibile si rivela ritenere che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, comma 3, nella contemplata assimilazione al pagamento, si riferisca alla sola esigibilita’ dell’imposta, dando per scontata la sua concettuale distinzione ed autonomia dal relativo fatto generatore.
3.5.3 – Preciso indice normativo del fatto che anche l’ordinamento nazionale non disconosce, ma presuppone, la distinzione concettuale tra fatto generatore ed esigibilita’ dell’imposta (mantenendo il primo rigorosamente ancorato al dato temporale della concreta esecuzione dell’operazione imponibile e riservando al pagamento il solo ruolo di condizione di esigibilita’ dell’imposta) si rinviene, peraltro, nella circostanza che, in assonanza con l’articolo 90 dir. 2006/112/CE (in precedenza richiamato), il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 26 prevede che la mancata riscossione del corrispettivo, qualora il momento impositivo si sia gia’ verificato, non comporta il venir meno dell’obbligazione tributaria, ma incide sulla determinazione dell’imposta o della base imponibile.
3.5.4 – Nel senso indicato depone, inoltre, il rilievo che – diversamente dalle condizioni di esigibilita’ dell’imposta, che possono anche variare in considerazione di specifiche esigenze funzionali – l’imponibilita’, quale espressione del fatto generatore dell’imposta ed indice di capacita’ contributiva (cui si ricollegano gli effetti previsti dalla disciplina del tributo ed in rapporto alla quale s’individuano ambito territoriale di relativo riferimento nonche’ disciplina ed aliquota in concreto applicabile), appare dover essere necessariamente riferito, nella prospettiva di cui agli articoli 3 e 53 Cost. e per l’esigenza di non trattare differentemente situazioni uguali, a dato oggettivo omogeneo ed insuscettibile di variazioni determinate da scelte casuali e soggettive. Situazione che non si verificherebbe, ove si ritenesse che, nel considerare l’effettuazione della prestazione coincidente con il pagamento, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, comma 3, intendesse riferirsi a tale evento anche con riguardo al fatto generatore dell’imposta, giacche’, in tal caso, l’imponibilita’ a fini iva sarebbe, irrazionalmente, destinata a mutare (cfr. la disciplina complessiva della citata disposizione), non solo in rapporto alla tipologia dell’operazione imponibile, ma anche all’interno di ciascuna di esse nonche’ in funzione dell’opzione dell’operatore (che eventualmente anticipi il momento impositivo con l’emissione della fattura).
4.1 – Alla luce di quanto si e’ andato sin qui discorrendo, il fatto generatore del tributo iva e, dunque, l’insorgenza della correlativa imponibilita’ vanno identificati – non solo sul piano dei rapporti privatistici (in tal senso, gia’ Cass. 8222/11, 15690/08), ma anche sul piano eminentemente tributario – con la materiale esecuzione della prestazione, giacche’, in doverosa aderenza alla disciplina Europea, la previsione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, comma 3, va intesa nel senso che, con il conseguimento del compenso, coincide, non l’evento generatore del tributo, bensi’, per esigenze di semplificazione funzionali alla riscossione, solo la sua condizione di esigibilita’ ed estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione.
Cio’ comporta, quale indefettibile corollario, che i compensi di prestazioni da attivita’ imprenditoriale o professionale, conseguiti dopo la cessazione dell’attivita’ medesima, devono ritenersi assoggettati ad iva, risultandone lo “statuto” impositivo definito dalla contestuale ricorrenza, all’atto del manifestarsi del fatto generatore dell’imposta (e suo presupposto oggettivo) anche del relativo presupposto soggettivo.
4.2.1 – La soluzione di ritenere assoggettato ad iva il compenso di prestazione professionale percepito dopo la cessazione dell’esercizio dell’attivita’, nel cui ambito la prestazione e’ stata eseguita, e’, per altro verso, imposta (ancor prima che dall’opportunita’ di prevenire rischi di strumentalizzazioni elusive, peraltro in danno di risorsa dell’Unione) dalla necessita’ di assicurare il compiuto rispetto del principio della neutralita’ fiscale dell’iva, in forza del quale il tributo e’ esclusivamente destinato a gravare sul consumatore finale e non puo’ risolversi ne’ in svantaggio ne’ in vantaggio per gli operatori economici che intervengano nei passaggi intermedi del ciclo produttivo/distributivo.
Solo ritenendo il compenso in rassegna assoggettato ad iva si risponde, infatti, all’esigenza, coessenziale alla natura del tributo, di impedire la sottrazione al prelievo sul consumo del valore aggiunto relativo ad operazione di prestazione di servizi, che, inquadrata in regime fiscale iva, ha partecipato delle detrazioni d’imposta sugli acquisti “a monte”.
Sul fronte della spese, risulta, del resto, gia’ affermato, che il principio in rassegna esige la rilevanza fiscale a fini di detrazione, sia, da un lato, delle spese comprovatamente propedeutiche ad attivita’ imprenditoriale, che, poi, non decolla (cfr. Corte giust. 29 febbraio 1996, in C-110/94, Cass. 17514/02), sia, dall’altro, di quelle funzionali a siffatta attivita’, ma successive alla sua cessazione (cfr. Corte giust. 3 marzo 2005, in C-32/03).
4.2.2 – Nell’indicata prospettiva – e alla luce della previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 35 bis, comma 1, (che, con riguardo all’iva, riconosce ruolo agli eredi del contribuente) nonche’ dell’elaborazione giurisprudenziale, in tema di imposte dirette, sulla natura dei compensi del professionista conseguiti dagli eredi dopo la sua morte (cfr. Cass. 4785/09) – non emergono, peraltro, ragioni logico-giuridiche ostative all’applicazione della soluzione indicata relativamente ai corrispettivi di prestazioni eseguite, nell’esercizio dell’attivita’ economica di soggetto deceduto o di societa’ estinta, incassati dagli eredi o dai soci.
4.2.3 – Attesi alcuni spunti dell’ordinanza di rimessione, non e’, d’altro canto, superfluo osservare che, nell’ottica considerata, la soluzione prescelta si pone in contraddizione solo del tutto apparente con la giurisprudenza di questa Corte (sent. 6198/96 e 8145/96), secondo cui la cessione di un bene, posta in essere da un imprenditore successivamente alla cessazione dell’attivita’ d’impresa, esula dall’imposizione iva ed e’ soggetta all’ordinaria tassazione proporzionale di registro di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 634 del 1972, articolo 38, anche se si tratti di bene prodotto nell’ambito della pregressa attivita’ o comunque da essa derivato.
Deve, invero, considerarsi che – differentemente da quanto avviene per le prestazioni di servizi – in relazione alle cessioni di beni di cui alle decisioni in rassegna, la cessazione dell’attivita’ determina il contestuale compiuto esaurimento del ciclo dell’imposizione iva, in forza dell’obbligatoria applicazione della regola del cd. “autoconsumo”, estesa dalla previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 2, comma 2, n. 5, (in combinato con quella di cui al successivo l’articolo 35, comma 4) all’ipotesi di cessazione dell’attivita’; sicche’, in merito alle cessioni successive, resta spazio solo per l’applicazione di altre forme di fiscalita’.
5. – Su diverso piano, la conclusione di reputare assoggettato ad iva il corrispettivo di attivita’ professionale conseguito dopo la cessazione dell’attivita’ medesima, ancorche’ debitamente formalizzata, trova pieno riscontro nel principio generale di effettivita’, in forza del quale l’applicazione della disciplina iva, dipendendo unicamente dalla sussistenza dei presupposti di fatto del tributo (cfr. Corte giust. 6.9.2012, in C-324/2011, 21.10.2010, in C-385/2909; Cass. 4234/04), non puo’ essere condizionata (a svantaggio come a vantaggio del contribuente) da fattori puramente formali; cosicche’, in assenza di compiuto sostanziale esaurimento di tutte le operazioni fiscalmente rilevanti, non possono assumere valore determinante, ai fini dell’esclusione dall’imposizione, dato dell’intervenuta dichiarazione di cessazione dell’attivita’ Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ex articolo 35 e quello della dismissione della partita iva, attesa il carattere meramente formale (anzi: “anagrafico”) della prima evenienza (cfr. Corte giust. 22.12.2010, in C-438/09; Cass. 5851/12, 22774/06, 4234/04) e puramente strumentale della seconda.
4) Alla stregua delle considerazioni che precedono – mentre va dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso – ai sensi dell’articolo 363 c.p.c., comma 3, va affermato il seguente principio di diritto: “il compenso di prestazione professionale e’ imponibile a fini Iva, anche se percepito successivamente alla cessazione dell’attivita’, nel cui ambito la prestazione e’ stata effettuata, ed alla relativa formalizzazione”.
Stante l’assenza d’attivita’ difensiva dell’intimato, non vi e’ luogo a provvedere sulle spese.

P.Q.M.

la Corte di cassazione, a sezione unite, dichiara inammissibile il ricorso.

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