Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 28 aprile 2016, n. 17656

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza resa in data 14/6/2012, il Tribunale di Messina ha condannato B.G. alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita (in solido con il responsabile civile), in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, ai danni di G.A. , in (…), dal (…) al (omissis) .
All’imputato era stata originariamente contestata la condotta colposa consistita nella violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, poiché, installando alla paziente numerosi protesi dentarie a base di nichel, consapevole dell’allergia a tale metallo della G. , le causava una dermatite allergica dalla quale derivavano, a carico della stessa, lesioni personali gravi.
2. Su appello dell’imputato, con sentenza in data 14/11/2014, la Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto il B. dal reato ascrittogli, perché il fatto non costituisce reato.
3. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione l’imputato e la parte civile G.A. .
4. L’imputato propone ricorso sulla base di un unico motivo di impugnazione, dolendosi della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale per aver omesso di assolvere il B. con la formula più corretta, riferita alla non commissione del fatto, anziché di quella orientata al riconoscimento che il fatto non costituisce reato.
Tale ultima formula, infatti, era stata adottata dalla corte territoriale sul presupposto (peraltro corretto) secondo cui, all’epoca dell’intervento dell’imputato sulla parte civile, non era ancora nota, neppure alla stessa paziente, la relativa allergia al nichel.
Senonché – secondo l’argomentazione del B. – nessuna prova certa era stata acquisita, nel corso del processo, circa l’effettiva installazione sulla paziente, da parte dell’imputato, dell’unica protesi dentaria contenente nichel, con la conseguente impossibilità di ricondurre, al fatto dell’imputato, l’evento lesivo concretamente subito dalla parte civile.
Sotto altro profilo, secondo la prospettazione del ricorrente, la corte territoriale sarebbe incorsa in un’evidente contraddizione, per aver pronunziato la formula assolutoria secondo cui il fatto non costituisce reato pur avendo espressamente dato atto dell’insussistenza di alcuna prova certa circa il nesso di derivazione causale tra la condotta dell’imputato e l’evento lesivo sofferto dalla paziente.
5. La parte civile, G.A. , propone ricorso sulla base di cinque motivi d’impugnazione.
5.1. Con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, avendo la corte territoriale travisato il contenuto degli elementi probatori acquisiti al processo, sulla base dei quali era emersa la piena prova della conoscenza, da parte dell’imputato, dell’allergia della G. al nichel in epoca anteriore agli interventi dallo stesso eseguiti.
Al riguardo, la ricorrente richiama le deposizioni rese dai testi M. , S. e R. , che avevano reso manifesta l’acquisita consapevolezza, da parte dell’imputato, della sofferenza allergica della G. prima ancora che si provvedesse all’installazione sulla paziente di materiale protesico contenente nichel.
5.2. Con il secondo motivo, la ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel non ritenere raggiunta la prova dell’avvenuta utilizzazione, da parte dell’imputato, di materiali non concordati con la paziente, in palese contrasto con quanto emerso dalla congiunta valutazione delle deposizioni rese dai testi Ro. , So. , Gr. , R. , D.T. e A. .
5.3. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la corte territoriale erroneamente interpretato la disciplina giuridica sul consenso informato ai trattamenti sanitari, omettendo di riconoscere, in contrasto con le evidenze probatorie acquisite, come l’imputato avesse proceduto all’esecuzione di trattamenti sanitari sulla persona della G. in totale difformità dagli accordi raggiunti con la paziente e, pertanto, in violazione del consenso dalla stessa prestato per gli interventi prospettati dall’imputato.
5.4. Con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte d’appello trascurato il riconoscimento delle gravi forme di negligenza, imperizia e di imprudenza dell’imputato nella scelta dei materiali da utilizzare per i trattamenti sanitari offerti alla paziente e per aver omesso di rilevare i gravi profili di colpa del B. nel trascurare di intervenire nuovamente per il beneficio della paziente una volta acquisita la piena consapevolezza della dannosità dei materiali utilizzati in ragione delle allergie sofferte dalla G. .
5.5. Con il quinto e ultimo motivo d’impugnazione, la ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel disconoscere la sussistenza di un preciso nesso di causalità tra le lesioni sofferte dalla paziente e la condotta dell’imputato, in contrasto con quanto emerso per effetto delle controdeduzioni tecniche (analiticamente richiamate in ricorso) opposte dalla parte civile alle errate e semplicistiche considerazioni contenute nella consulenza tecnica dell’imputato.
6. Con memoria pervenuta in data 7/3/2016, la parte civile ricorrente, sinteticamente richiamando le argomentazioni esposte nell’atto d’impugnazione, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
7. Con memoria in data 8/3/2016, la Zurich Insurance Public Limited Company, quale responsabile civile, dopo aver riproposto l’eccezione concernente la propria carenza di legittimazione passiva (in assenza di alcuna azione diretta del danneggiato nei confronti della compagnia assicuratrice dell’imputato), ha insistito per il riconoscimento dell’inammissibilità, ovvero in via gradata, per il rigetto del ricorso della parte civile.
8. Con memoria pervenuta in data 23/4/2016, il difensore dell’imputato ha insistito per l’accoglimento del proprio ricorso.

Considerato in diritto

9. Il ricorso proposto dalla parte civile è infondato.
Osserva il collegio come, con l’impugnazione proposta in questa sede, la parte civile ricorrente si sia limitata alla sterile enumerazione di una serie di ipotetici vizi di motivazione della decisione contestata, sotto il profilo del preteso travisamento della prova concernente: 1) la conoscenza, da parte dell’imputato, dell’allergia della G. al nichel in epoca anteriore agli interventi dallo stesso eseguiti; 2) l’avvenuta utilizzazione, da parte dell’imputato, di materiali non concordati con la paziente; 3) l’esecuzione di trattamenti sanitari sulla persona della G. in totale difformità dagli accordi raggiunti con la paziente; 4) le gravi forme di negligenza, imperizia e di imprudenza dell’imputato nella scelta dei materiali da utilizzare per i trattamenti sanitari offerti alla paziente (nonché nel trascurare di intervenire nuovamente per il beneficio della paziente, una volta acquisita la piena consapevolezza della dannosità dei materiali utilizzati in ragione delle allergie sofferte dalla G. ); 5) la sussistenza di un preciso nesso di causalità tra le lesioni sofferte dalla paziente e la condotta dell’imputato.
Il travisamento delle prove acquisite al processo – e, in ogni caso, l’illogicità e la contraddittorietà dell’argomentazione giustificativa dettata dalla corte territoriale – riguarderebbero, secondo la ricorrente, l’interpretazione attribuita dal giudice d’appello alle testimonianze partitamente richiamate in ricorso, nonché la scelta delle valutazioni contenute nelle consulenze tecniche di segno contrario a quelle offerte al processo dalla difesa della parte civile.
Su ciascuno di tali punti, tuttavia, ritiene il collegio che le censure avanzate dalla G. appaiono risolversi in una proposta di rilettura (inammissibile in questa sede) delle fonti di prova acquisite al processo; prove che, viceversa, la corte territoriale risulta aver elaborato in maniera esauriente, completa e del tutto coerente sotto il profilo logico-argomentativo.
Al riguardo, occorre evidenziare come la corte d’appello abbia correttamente proceduto, nel corso dello svolgimento argomentativo della motivazione, ad analizzare la sostanziale inidoneità di ciascuno degli elementi di prova acquisiti (e del compendio probatorio nel suo complesso) a fornire una compiuta e univoca rappresentazione – non solo di un possibile legame di natura causale tra le lesioni accusate dalla parte civile (partitamente descritte nel capo d’imputazione sollevato nei confronti del B. ) e le prestazioni professionali dallo stesso eseguite sulla G. , bensì – della stessa esistenza dell’allergia al nichel denunciata da quest’ultima.
Nel ripercorrere la valutazione degli elementi di prova testimoniale acquisiti, infatti, la corte territoriale ha dapprima raggiunto la conclusione dell’insussistenza di alcuna prova in ordine alla circostanza che le protesi posizionate dall’imputato, a partire dal secondo semestre del 2003, fossero di nichel, per poi sottolineare l’irriducibile lacunosità della stessa pretesa prova del nesso di causalità tra le gravi lesioni denunciate dalla querelante e il posizionamento delle corone contenenti nichel da parte dell’imputato, essendo piuttosto emerso come le patologie accusate dalla G. potessero piuttosto qualificarsi alla stregua di conseguenza di altra patologia, come la MCS (Sensibilità Chimica Multipla) diagnosticata dal prof. Ge. , o come la Pemfigoide diagnosticata dal prof. Ai. , a testimonianza delle persistenti possibilità (non smentite dalle conclusioni tecniche sostenute dalla difesa) di spiegazioni causali alternative, e dunque di alternativi decorsi causali, quantomeno equiprobabili a quelli denunciati dall’odierna ricorrente.
Sul punto, la corte d’appello ha evidenziato come, nel maggio 2006, la parte offesa, pur in assenza di elementi in nichel (rimossi dal dottor So. nel febbraio del 2005), pur presentando elementi solo in titanio e in lega di titanio, continuava ad essere afflitta dalle patologie lamentate; un dato che, se consente di affermare l’ipotesi di un’allergia conclamata ai metalli nel 2006, comunque non consente di retrodatare tale consapevolezza all’epoca nella quale il B. ebbe a posizionare gli impianti oggetto dell’odierno esame; né, in assenza di tale consapevolezza, può addebitarsi all’imputato la scelta di esser venuto incontro alla richiesta della paziente di apporre impianti fissi luogo di protesi mobili, poiché a quella data le proporzione di tali patologie allergiche e immunologiche non erano note neppure alla stessa Gattrella, tanto che costei indicò nel solo nichel l’elemento da escludere negli impianti richiesti al B. , richiedendo in epoca successiva, al dott. So. , la collocazione di nuovi impianti in titanio.
La valutazione integrata e complessiva degli elementi probatori richiamati dalla corte d’appello appare dunque condotta secondo un percorso logico dotato di lineare coerenza e di congruenza argomentativa, tale da giustificare la conclusione della ragionevole impossibilità, su dette basi, di fornire una plausibile e verosimile ricostruzione dei fatti di causa caratterizzata da un elevato grado di probabilità logica, o da un livello di certezza idonea a superare il limite del ragionevole dubbio.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la modificazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p., introdotta dalla legge n. 46/2006 consente la deduzione del vizio di motivazione sotto la forma del travisamento della prova là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini delta pronuncia. Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa valutazione delle risultanze processuali (v., ex multis, Cass., Sez. 2, n. 23419/2007, Rv. 236893).
Da ciò consegue che gli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” menzionati dal testo vigente dell’art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p., non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4, n. 35683/2007, Rv. 237652).
Quanto alla pretesa mancata (o trascurata) valutazione delle divergenti considerazioni tecniche della parte civile, mette conto di evidenziare come le stesse non possano in alcun modo ritenersi tali da dimostrare in modo inconfutabile la fallacia delle conclusioni raggiunte attraverso le consulenze tecnica avverse, essendosi limitate a prospettare un’alternativa ricostruzione del fatto sulla base di ipotesi che i giudici d’appello hanno ritenuto recessive, sotto il profilo dell’attendibilità e della ragionevolezza logico-scientifica, rispetto a quelle raggiunte dagli ausiliari privilegiati.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità in forza del quale, in terna di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni dell’ausiliario di una parte, in difformità da quelle della parte avversa, non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni dell’ausiliario privilegiato, senza ignorare le argomentazioni contrarie, conseguendone la possibilità di ravvisare un vizio di motivazione solo nel caso in cui queste ultime siano tali da dimostrare in modo inconfutabile (occorrenza non verificatasi nel caso di specie) la fallacia delle conclusioni del primo (Cass., Sez. 1, n. 25183/2009, Rv. 243791; Cass., Sez. 4, n. 34379/2004, Rv. 229279; Cass., Sez. 1, n. 6528/1998, Rv. 210712).
10. Ciò posto, esclusa la sussistenza di una prova certa circa il nesso di causalità tra la condotta contestata all’imputato e gli eventi lesivi denunciati dalla parte civile, accanto al rigetto del ricorso della parte civile dev’essere viceversa accolto il ricorso dell’imputato, dovendo ritenersi fondata la censura relativa alla denunciata erroneità della formula assolutoria utilizzata dal giudice d’appello (“il fatto non costituisce reato”).
Da tanto segue la correzione di detta formula assolutoria con quella per cui “il fatto non sussiste”.
11. Quanto infine alle considerazioni avanzate, con la memoria in data 8/3/2016, dalla Zurich Insurance Public Limited Company, quale responsabile civile (circa il proprio difetto di legittimazione passiva, in assenza di alcuna azione diretta del danneggiato nei propri confronti), osserva il collegio come, pur non potendo disconoscersi la fondatezza dell’argomentazione su tale punto indicata (v., ex plurimis, Sez. 4, Sentenza n. 38704 del 27/05/2011, Rv. 251098, secondo cui la legittimazione passiva del responsabile civile presuppone che questi debba rispondere in base alla legge civile e non anche in base a un titolo contrattuale), la stessa non può trovare alcuna traduzione sul piano dispositivo, avendo lo stesso responsabile civile del tutto trascurato di proporre impugnazione avverso la sentenza l’appello.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alla formula di proscioglimento adottata nei confronti di B.G. : formula di proscioglimento che sostituisce con quella perché il “fatto non sussiste”.
Rigetta il ricorso della parte civile G.A. , che condanna al pagamento delle spese processuali

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