Il bullismo configura il reato di violenza privata

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|5 gennaio 2021| n. 163.

Il bullismo configura il reato di violenza privata quando il bullo con diverse azioni pone la vittima, cioè un proprio coetaneo, in una condizione di soggezione psichica in conseguenza dell’atto violento che non si esaurisca in sé. Non è, infatti, la violenza o la minaccia il fatto costitutivo del reato, bensì la coercizione.

Sentenza|5 gennaio 2021| n. 163

Data udienza 30 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Violenza privata – Bullismo – Atti di bullismo del minorenne nei confronti del compagno di scuola – Furto di oggetti scolastici – Simulazione sul suo corpo di un rapporto sessuale – Parolacce scritte sui libri – Integrazione del reato – Riduzione della pena

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. BELMONTE Maria T. – rel. Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/10/2019 della CORTE APP.SEZ.MINORENNI di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARIA TERESA BELMONTE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. BIRRITTERI LUIGI, che ha concluso chiedendo.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Bologna -sezione per i minorenni – ha confermato la decisione del Tribunale di quella stessa citta’, che aveva riconosciuto il minore (OMISSIS) colpevole di violenza privata e lesioni personali ai danni di un coetaneo.
2. Propone ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, il quale svolge tre motivi.
2.1. Con il primo, denuncia violazione dell’articolo 610 c.p., e correlato vizio della motivazione, manifestamente illogica. Secondo il ricorrente, nel caso di specie, vi e’ perfetta coincidenza tra la condotta minacciosa e violenta dell’imputato – concretizzatasi in sputi in faccia, nel prendere a calci la persona offesa, nel simulare, appoggiandosi sul suo corpo, un atto sessuale e nell’appropriarsi di materiale scolastico – e l’evento del reato, sicche’ la condotta non era finalizzata ad alcun evento ulteriore, integrando gli atti di violenza e di minaccia il “pati” a cui la persona offesa e’ stata costretta.
2.2. Con il secondo motivo deduce la nullita’ della sentenza per omessa motivazione, in ordine all’eccessiva afflittivita’ del trattamento sanzionatorio, poiche’ la Corte di appello non ha affatto replicato al motivo specifico con il quale si era segnalata, al fine di un maggiore contenimento della pena base, l’occasionalita’ della condotta, il modesto disvalore del fatto e l’incensuratezza del ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione degli articoli 1 e 81 c.p. e articolo 25 Cost. e del principio di legalita’ della pena.
Nell’effettuare il calcolo dell’aumento per la continuazione tra reati con pene eterogenee (detentiva quella per il reato piu’ grave e solo pecuniaria quella del reato satellite), non e’ stato rispettato il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione; pertanto, l’aumento a titolo di continuazione per il reato sub b), di giorni sei di reclusione, va ragguagliato alla pena pecuniaria di Euro 1500,00.
3.Con requisitoria scritta del 10/11/2020 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Sono fondati il secondo e il terzo motivo di ricorso che, nel resto, e’ infondato.
1. Lo e’, manifestamente, il primo motivo, con il quale e’ dedotto il vizio di motivazione della sentenza gravata in punto di affermazione della responsabilita’ dell’imputato. Il motivo, infatti, oltre a reiterare l’atto di appello sul punto, non si confronta con la corretta motivazione offerta dai giudici di merito nella conforme decisione di condanna, che, valutando gli atti di bullismo dell’imputato, ai danni della giovane vittima, suo coetaneo, hanno ritenuto che essi, lungi dall’esaurirsi nella violenza perpetrata ai suo danni, si siano manifestati in comportamenti oggettivamente coercitivi della volonta’ della vittima. E tanto e’ sufficiente a integrare il reato contestato, che, nella consolidata lezione ermeneutica di questa Corte, ritiene che nel delitto di violenza privata e’ tutelata la liberta’ psichica dell’individuo, e che la fattispecie criminosa ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone e’ elemento costitutivo del reato, sicche’, esso reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre norme di legge. Altrettanto consolidato e’ l’orientamento secondo cui il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la liberta’ di autodeterminazione e di azione della persona offesa (tra le tante, Sez. 2 n. 11522 del 3.3.2009 rv. 244199 che ha definito la liberta’ morale come liberta’ di determinarsi spontaneamente secondo motivi propri, sicche’ alla liberta’ morale va ricondotta sia la facolta’ di formare liberamente la propria volonta’ sia quella di orientare i propri comportamenti in conformita’ delle deliberazioni liberamente prese – Sez. 5, n. 40291 del 06/06/2017 Rv. 271212). Nelle pronunce di questa Corte la nozione di violenza e’ riferibile a qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente che si risolva comunque nella coartazione della liberta’ fisica o psichica del soggetto passivo che viene cosi’ indotto, contro la sua volonta’, a fare, tollerare o omettere qualche cosa, indipendentemente dall’esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico (Sez. 2, n. 39941 del 25/09/2002 Rv. 222847; Sez. 2, n. 1176 del 11/10/2012 (dep. 2013) Rv. 254126).
1.2. Non v’e’ dubbio, che, nel caso di specie, il giovane compagno di scuola, bersagliato dal ricorrente, sia stato costretto a tollerare “la volgare simulazione dell’atto sessuale da dietro”, come osservato dalla Corte di appello, che non puo’ non essersi concretizzata, come del resto e’ contestato, nell’appoggiarsi sul corpo del ragazzo, in tal modo, costretto a sopportare, per una certa frazione temporale, una prevaricazione sia fisica che psicologica. Lo stesso e’ a dirsi per la restituzione dell’evidenziatore dopo lo strofinamento sui genitali dell’imputato, che l’ha poi riposto in mano alla vittima; cosi’, per le parolacce scritti sui libri di scuola e per i calci e i pugni che, in quanto ripetuti, hanno, all’evidenza, come le altre richiamate condotte, ingenerato un “pati” che costituisce l’ulteriore evento, integrante la fattispecie di cui all’articolo 610 c.p.., rispetto alle violenze di cui gli diversi fatti contestati.
1.3. E’ vero, infatti, come hanno puntualizzato le Sezioni Unite di questa Corte, che la condotta violenta o minacciosa “deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve, dunque, trattarsi di “qualcosa” di diverso dal “fatto” in cui si esprime la violenza”, sicche’ “la coincidenza tra violenza” – e, puo’ aggiungersi, minaccia – “ed evento di “costrizione a tollerare” rende tecnicamente impossibile la configurabilita’ del delitto di cui all’articolo 610 c.p.” (Sez. U, n. 2437 del 18/12/2008 – dep. 21/01/2009, Giulini, in motivazione). Non e’ configurabile, cioe’, il delitto di violenza privata allorquando gli atti di violenza non siano diretti a costringere la vittima ad un “pati”, ma siano essi stessi produttivi dell’effetto lesivo, senza alcuna fase intermedia di coartazione della liberta’ di determinazione della persona offesa (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Rv. 268405). Ma tale situazione, per quanto osservato, non e’ riscontrabile nella fattispecie in esame, risolvendosi il rilievo difensivo nella infondata reiterazione dei motivi di appello, gia’ esaurientemente risolti dai giudici di merito.
2. Come premesso, sono invece, fondati gli altri due motivi di ricorso, perche’ l’appellante aveva invocato un trattamento sanzionatorio piu’ mite,, enucleando alcuni indicatori sia fattuali che soggettivi rilevanti a tali fini, che, tuttavia, sono stati del tutto obliterati dalla Corte di appello, limitatasi a esplicitare il calcolo materialmente operato, senza replicare in alcun modo alle critiche difensive. Il Giudice, nell’esercitare il suo potere discrezionale di individuazione delle pene da irrogare deve tenere conto dei criteri indicati nell’articolo 133 c.p., tra i quali sono compresi la personalita’ dell’autore, la vita anteatta, e lo stato di incensuratezza, nonche’ le connotazioni dell’azione, tutti elementi dedotti specificamente dall’appellante, in termini critici rispetto alla valutazione del primo giudice che, nell’individuare in mesi sei di reclusione (rispetto al minimo legale di 15 giorni), la pena base per il reato di violenza privata, aveva omesso ogni valutazione, limitandosi a richiamare i criteri legali di cui all’articolo 133 c.p. La Corte di appello e’ venuta meno al proprio dovere valutativo, avendo trascurato di replicare allo specifico motivo devoluto con l’appello, finalizzato alla esplicitazione dei motivi della determinazione della pena, quale tipica espressione del potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere al relativo obbligo di motivazione, pur non essendo tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, deve, tuttavia, esplicitare quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale e’ insindacabile in sede di legittimita’ qualora sia immune da vizi logici di ragionamento.
3. E’ fondato anche l’ultimo motivo.
Premesso che, come e’ noto, in tema di lesioni personali volontarie lievi (articolo 582 c.p., comma 2, il Decreto Legislativo n. 274 del 2000 ha attribuito tale reato alla cognizione del Giudice di pace, il quale, per espresso dettato legislativo, puo’ infliggere soltanto una pena diversa da quella detentiva, occorre ricordare il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite “Giglia” in tema di concorso di reati puniti con sanzioni eterogenee sia nel genere che nella specie per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione. In tali casi, ” l’aumento di pena per il reato “satellite” va effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per “moltiplicazione”, rispettando tuttavia, per il principio di legalita’ della pena e del favor rei, il genere della pena prevista per il reato “satellite”, nel senso che l’aumento, in continuazione, della pena detentiva prevista per il reato piu’ grave, dovra’ essere ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’articolo 135 c.p.” (Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, Rv. 273751). Questo vuol dire che laddove, come nel caso di specie, l’aumento per la continuazione rispetto a un reato punito con pena detentiva, debba essere operato rispetto a un reato punito, invece, solo con la pena pecuniaria, il giudice, una volta operato l’aumento sulla pena detentiva – base, deve procedere al ragguaglio, della porzione di pena cosi’ individuata in aumento, con quella pecuniaria, ai sensi dell’articolo 135 c.p.. Pertanto, nel caso di specie, erroneamente, la Corte di appello ha fissato in giorni sei di reclusione l’aumento di pena per il delitto di lesioni di cui al capo B), senza procedere al ragguaglio con la pena pecuniaria.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Bologna sezione minorenni.
Rigetta nel resto il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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