I fatti non specificamente contestati dalla parte costituita

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 gennaio 2021| n. 387.

Il principio, sancito dall’art. 115, comma 1, cod. proc. civ., secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessità di prova, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta “ad substantiam”, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta “ad probationem”, l’osservanza dell’onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti né la prova testimoniale o per presunzioni, né la stessa confessione della controparte. Tale principio, in particolare, si applica al decreto di espropriazione che, come qualunque provvedimento tipico e nominato, esige una statuizione della Pubblica amministrazione espressa ed esteriorizzata nell’atto, preordinata alla realizzazione degli specifici effetti per esso previsti dall’ordinamento (Nel caso di specie, la Suprema Corte, in applicazione agli enunciati principi, ha dichiarato d’ufficio l’improcedibilità della domanda relativa alla opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione oggetto di giudizio, avendo la corte d’appello nella decisione impugnata affermato, senza trarne tuttavia le doverose conseguenze, che non risultava l’emanazione proprio del decreto di esproprio).

Ordinanza|13 gennaio 2021| n. 387

Data udienza 12 novembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Giudice – Prove – Principio ex art. 115, comma 1, c.p.c. – Fatti non specificamente contestati dalla parte costituita – Fondamento della decisione senza necessità di prova – Fatto costitutivo del diritto azionato Atto per il quale la legge impone la forma scritta “ad substantiam” – Inapplicabilità del principio richiamato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 14578/2015 proposto da:
(OMISSIS) S.c.a.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo Studio Placidi, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1949/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 01/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/11/2020 dal Cons. Dott. MELONI MARINA.

FATTI DI CAUSA

Gli attori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari di distinti beni interessati dalla realizzazione del progetto esecutivo di potenziamento infrastrutturale e tecnologico della linea ferroviaria (OMISSIS), rifiutarono la somma offerta dalla societa’ (OMISSIS) scarl nel ruolo assunto di Contraente Generale, attivando la procedura di nomina della terna dei tecnici per la stima, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 21.
La predetta societa’, in persona del legale rappresentante, ritenuta eccessiva la stima effettuata dai periti, convenne (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) davanti alla Corte di Appello di Palermo per ivi sentir determinare il giusto valore degli immobili, che risultavano acquistati a prezzi di gran lunga inferiori.
Si costituirono i convenuti, i quali eccepirono, sotto vari profili, l’inammissibilita’ dell’opposizione, proponendo altresi’ domanda riconvenzionale per ottenere, oltre all’indennita’ come determinata in sede peritale, la maggiorazione del 10 per cento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 37, comma 2, nonche’ la determinazione delle indennita’ di occupazione rispettivamente spettanti.
Nel corso del giudizio venne espletata consulenza tecnica d’ufficio, all’esito della quale le indennita’ di espropriazione vennero determinate, a favore degli attori (OMISSIS) e (OMISSIS) in complessivi Euro 192.500,00, e, quanto a (OMISSIS), in Euro 165.000,00 oltre interessi legali.
Quanto alle indennita’ di occupazione, si rilevava preliminarmente che doveva farsi riferimento, quanto alla durata, “al periodo intercorrente fra la data di immissione in possesso.. e quella dell’odierna decisione, non risultando che il decreto di espropriazione sia stato ancora emesso”. Dette indennita’ venivano quindi determinate, rispettivamente, in Euro 86.892,3 e in Euro 74.479,16, quanto a (OMISSIS).
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo la societa’ (OMISSIS) scarl ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si sono costituiti con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 111 Cost. e articolo 132 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 38 Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 dell’8/6/2001, nonche’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la Corte di Appello di Palermo ha recepito le risultanze della CTU aderendo acriticamente alla CTU espletata in corso di giudizio, senza fornire adeguata e coerente motivazione in ordine agli elementi decisivi della stima ed ha liquidato per l’area espropriata un’indennita’ di occupazione ed espropriazione superiore al valore di mercato degli immobili, individuata mediante un’errata applicazione del metodo sintetico-comparativo.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, articolo 38, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello di Palermo ha applicato una maggiorazione del 10% sulle indennita’ di espropriazione, non riferibile ai fabbricati.
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, articoli 22 bis e 50, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello di Palermo ha erroneamente quantificato l’indennita’ di occupazione fino alla data della sentenza, mentre al contrario l’indennita’ di occupazione doveva essere quantificata fino alla data del decreto di esproprio.
Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello di Palermo ha condannato alle spese la ricorrente, parte vittoriosa.
Rileva il Collegio che l’esame dei motiv,i riguardanti l’indennita’ di espropriazione deve essere preceduto da una riflessione in ordine al rilievo che assume nel presente procedimento l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, della mancata emanazione del decreto di espropriazione.
Com’e’ noto, il decreto di esproprio costituisce una condizione dell’azione di determinazione dell’indennita’ di espropriazione ed e’ sufficiente, quindi, che venga ad esistenza prima della decisione della causa; la sua carenza, rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, determina l’improcedibilita’ della domanda (Cass., Sez. U., n. 4241/2004; Cass., n. 4703/2006, 5337/2007 e 20997/2008).
Questa Corte, invero, ha affermato: “Il decreto di esproprio segna la conclusione del procedimento di espropriazione, determinando il trasferimento della proprieta’ dell’immobile in favore dell’espro-priante e facendo sorgere il diritto dell’espropriato all’indennita’; pertanto, nel giudizio di opposizione alla stima, la sua emanazione si configura non gia’ come presupposto processuale, alla cui esistenza e’ subordinata la possibilita’ di pervenire ad una decisione di merito, ma come condizione dell’azione, la cui mancanza impedisce l’accoglimento della domanda, escludendo la configurabilita’ del diritto che ne costituisce il fondamento” (Cass. 6 luglio 2012, m. 11406).
Ancora piu’ recentemente, l’orientamento sopra richiamato e’ stato ribadito anche con riferimento alla disciplina introdotta con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, osservandosi che, se e’ vero che una delle parti interessate, decorsi trenta giorni dalla comunicazione del deposito della relazione di stima dei tecnici (o della Commissione provinciale) prevista dall’articolo 27, comma 2, “puo’ impugnare innanzi all’autorita’ giudiziaria gli atti dei procedimenti di nomina dei periti e di determinazione dell’indennita’, la stima fatta dai tecnici, la liquidazione delle spese di stima e comunque puo’ chiedere la determinazione giudiziale dell’indennita’”, tanto non comporta che, in assenza di provvedimento ablativo, il relativo procedimento possa concludersi con una sorta di statuizione meramente estimatoria di un’indennita’ non ancora dovuta, e suscettibile, in tesi, di restar lettera morta nell’ipotesi in cui l’autorita’ espropriante dovesse reputare, per motivi di pubblico interesse, di non procedere all’espropriazione del bene; alla quale percio’ resta in ogni caso subordinata (Cass., 31 maggio 2016, n. 11261).
Quanto agli aspetti di natura probatoria, deve ribadirsi che, in via generale, il principio, sancito dall’articolo 115 c.p.c., comma 1, secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessita’ di prova, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta “ad substantiam”, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta “ad probationem”, l’osservanza dell’onere formale non e’ prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, puo’ essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti ne’ la prova testimoniale o per presunzioni, ne’ la stessa confessione della controparte (Cass., 17 ottobre 2018, n. 25999). Con riferimento al decreto di espropriazione tale orientamento e’ stato costantemente affermato, osservandosi che il principio per cui il giudice deve porre a base della sua decisione unicamente i fatti allegati dalle parti e l’altro per cui i fatti pacifici tra le parti non hanno bisogno di essere provati incontrano un limite allorquando la legge richiede per la prova di tali fatti un atto scritto “ad substantiam”; cio’ si verifica per il decreto di esproprio, che, come qualunque provvedimento tipico e nominato, esige una statuizione della P.A. espressa ed esteriorizzata nell’atto, preordinata alla realizzazione degli specifici effetti per esso previsti dall’ordinamento (Cass., 10 agosto 2001, n. 11054; Cass., 22 novembre 2002, n. 16494; Cass., 3 marzo 2006, n. 4703; Cass., 8 marzo 2007, N. 5337).
Nel caso di specie, come sopra rilevato, la Corte di appello ha affermato, senza tuttavia trarne le doverose conseguenze, che non risultava che il decreto di esproprio fosse stato emesso; il Comune si e’ limitato ad affermarne l’avvenuta emanazione, mentre nel controricorso si ribadisce (pag. 12) che il documento in questione “mai e’ stato prodotto agli atti del giudizio”, attribuendo tale circostanza a una scelta difensiva della controparte.
Conformemente al suddetto orientamento di questa Corte, deve essere dichiarata d’ufficio l’improcedibilita’ della domanda relativa alla opposizione alla stima dell’indennita’ di espropriazione, oggetto del presente giudizio.
Quanto all’indennita’ di occupazione, deve rilevarsi la fondatezza del terzo motivo: la rituale conclusione del procedimento espropriativo, mediante la tempestiva emissione di decreto di esproprio, e’ condizione di efficacia solo riguardo all’indennita’ di espropriazione, ma non anche per l’indennita’ di occupazione legittima, in quanto la mancata conclusione del procedimento ablatorio, per la carente tempestiva emissione del decreto di esproprio, non esclude la legittimita’ dell’occupazione fino alla sua scadenza, per la quale e’ dunque dovuta l’indennita’ (Cass. 8.4.2008, n. 9038).
La determinazione di tale indennita’, da parte della corte panormita, fino alla data della sentenza, appare del tutto erronea, in quanto avrebbe dovuto tener conto della periodo intercorrente fra l’immissione in possesso e il termine di efficacia del decreto di occupazione d’urgenza.
In considerazione di quanto sopra il ricorso proposto deve essere accolto in ordine al terzo motivo concernente l’indennita’ di occupazione, che va rideterminata nei termini sopra indicati; anche in considerazione della rilevata improcedibilita’ della domanda relativa all’indennita’ di espropriazione, le altre censure sono assorbiti. La sentenza deve essere cassata con rinvio davanti alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione che, attenendosi ai principi ora enunciati, dovra’ determinare l’indennita’ di occupazione, tenendo conto dei principi sin qui affermati.

P.Q.M.

Dichiara l’improcedibilita’ della domanda relativa alla indennita’ di espropriazione. Accoglie il terzo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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