I condomini nell’ambito di una servitù

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23741.

I condomini, seppur titolari di un fondo configurato come dominante nell’ambito di una servitù costituita per la fruizione di un servizio condominiale, possono decidere di modificare il servizio (nella specie, spostando l’ubicazione dell’autoclave, dell’elettropompa e della cisterna della riserva dell’impianto idrico) con le maggioranze richieste dall’art. 1136 c.c., non costituendo oggetto della delibera la rinunzia della servitù, la cui estinzione consegue eventualmente ad essa, piuttosto, quale effetto legale tipico della nuova situazione di fatto venutasi a creare tra i fondi per il venir meno dei requisiti oggettivi che caratterizzano la servitù, salvo che la trasformazione del servizio non richieda l’unanimità per altre ragioni, derivanti dalle regole che disciplinano l’estrinsecazione della volontà condominiale in materia di innovazioni vietate, determinando, in base ad apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, una sensibile menomazione dell’utilità ritraibile dalla parte comune (art. 1120, comma 2, c.c., nella formulazione “ratione temporis” applicabile, antecedente alle modifiche apportate dalla l. n. 220 del 2012).

Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23741

Data udienza 15 settembre 2020

Tag/parola chiave: Condominio negli edifici – Assemblea – Attribuzioni – Condomini titolari del fondo dominante di una servitù costituita per la fruizione di un servizio condominiale – Modificazione del servizio – Approvazione delibera assembleare a maggioranza – Sufficienza – Limiti – Fattispecie concernente lo spostamento dell’ubicazione dell’autoclave, dell’elettropompa e della cisterna della riserva dell’impianto idrico

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 22622-2016 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 123/2016 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 14/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

I. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 123/2016 della Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, depositata il 14 marzo 2016.
Resistono con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Il ricorso non e’ stato notificato a (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha accolto l’appello proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) contro la pronuncia di primo grado emessa dal Tribunale di Taranto in data 9 febbraio 2012, ed ha percio’ respinto le impugnazioni delle deliberazioni assembleari del condominio via (OMISSIS), approvate il 27 febbraio 1999, 15 giugno 1999 e 29 gennaio 2000.
A proposito della Delib. 27 febbraio 1999, che aveva approvato lo spostamento della centrale idrica condominiale dal sottoscala di proprieta’ esclusiva (OMISSIS) (dove era stato allocato dal costruttore) al piano di copertura delle scale, la Corte d’appello ha negato che si trattasse di innovazione vietata, e che percio’ necessitasse di consenso unanime, non essendo i beni condominiali sottratti all’uso ed al godimento di ciascun partecipante. L’impugnazione della Delib. 15 giugno 1999 e’ stata poi ritenuta tardiva rispetto al termine ex articolo 1137 c.c., giacche’ proposta soltanto con la riconvenzionale del 26 aprile 2000 (mentre la delibera era stata prodotta in giudizio dai convenuti gia’ all’udienza del 2 luglio 1999). La Corte d’appello ha pure affermato che questa seconda delibera avrebbe determinato la cessazione della materia del contendere in ordine alla impugnazione della precedente.
I giudici di secondo grado hanno altresi’ negato la violazione dell’articolo 1108 c.c., comma 3, non potendosi ravvisare nel deliberato assembleare una implicita rinuncia alla servitu’ che il condominio esercitava con l’allocazione della cisterna nel sottoscala di proprieta’ esclusiva, come invece prospettato dagli appellati, mancando comunque un atto scritto in tal senso.
La trattazione del ricorso e’ stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’articolo 375 c.p.c., comma 2 e articolo 380 bis.1 c.p.c.
I ricorrenti ed i controricorrenti hanno depositato memorie.
Il primo motivo di ricorso deduce la nullita’ della sentenza impugnata per omessa pronuncia (articolo 112 c.p.c.), non avendo la Corte d’appello preso in considerazione il primo capo della domanda attrice, con cui si affermava la nullita’ della delibera per aver l’assemblea rinunciato ad una parte comune, quale la servitu’ sul sottoscala occupata con l’elettropompa, l’autoclave e la cisterna.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la nullita’ della sentenza impugnata per omesso esame di fatto decisivo e per omessa motivazione (articolo 111 Cost. e articolo 132 c.p.c.); in subordine, violazione falsa applicazione degli articoli 1362 c.c. e ss.. Si critica la decisione d’appello nella parte in cui essa ha negato la ravvisabilita’ di una rinuncia scritta, quanto meno implicita, alla servitu’.
Il terzo motivo di ricorso allega la violazione degli articoli 1058, 1120, 1136 e 1350 c.c., sempre in ordine alla parte della sentenza d’appello che ha ritenuto indispensabile l’atto scritto per la rinuncia alla servitu’.
Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione a falsa applicazione degli articoli 1108, 1117, 1120, 1121 e 1136 c.c., nonche’ la nullita’ della sentenza per motivazione omessa o apparente, non essendo indicata la ragione per cui si afferma che la delibera impugnata non ha sottratto i beni condominiali all’uso comune.
Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 152 c.p.c., articoli 2968 e 1137 c.c., articolo 14 preleggi, nonche’ la nullita’ della sentenza per omessa motivazione.
II. Va premesso che il ricorso per cassazione e’ stato proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti soltanto di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Erano stati tuttavia parti del giudizio di appello, benche’ rimasti contumaci, anche (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
III. I cinque motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, si rivelano accomunati da profili di inammissibilita’ e sono comunque del tutto infondati. Innanzitutto, non sussiste la nullita’, per violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, in quanto la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.
Tutti i primi motivi di ricorso si basano sulla deduzione, assolutamente priva di consistenza, che le deliberazioni assembleari del condominio via (OMISSIS), approvate il 27 febbraio 1999 ed il 15 giugno 1999, configurassero una rinuncia alla servitu’ vantata dal condominio sulla proprieta’ esclusiva di (OMISSIS).
Il contenuto di tali delibere, per quanto succintamente indicato a pagina 7 del ricorso, agli effetti dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, viene descritto come volto a “spostare l’autoclave, l’elettropompa e la cisterna della riserva idrica dal vano sottoscala dello stesso edificio (…) al piano di copertura della scala”. Peraltro, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto, secondo i canoni ermeneutici stabiliti dall’articolo 1362 c.c., o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una deliberazione dell’assemblea condominiale, che si assume espressiva di una volonta’ negoziale, non puo’ limitarsi a richiamare genericamente le regole codicistiche in tema di interpretazione, ovvero a contrapporre una propria interpretazione del testo a quella accolta nella sentenza impugnata, dovendo in ogni caso i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, dalla trascrizione dei passaggi letterali individuativi dell’effettiva volonta’ dei condomini.
E’ ancora essenziale evidenziare come, essendo qui in esame una domanda di impugnazione di deliberazioni dell’assemblea di condominio, ai sensi dell’articolo 1137 c.c., l’allegazione, ad opera dei ricorrenti, dell’esistenza di una servitu’ in favore delle parti condominiali dell’edificio, costituita per destinazione del padre di famiglia e gravante su una unita’ immobiliare di proprieta’ esclusiva (ove il costruttore del fabbricato aveva collocato l’autoclave, l’elettropompa e la cisterna della riserva idrica), puo’ formare oggetto di un accertamento meramente incidentale, funzionale alla decisione della sola causa sulla validita’ dell’atto collegiale ma privo di efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei diritti reali dei singoli.
Ora, venendo al merito della questione, e’ evidente che una deliberazione dell’assemblea dei condomini che decida di “spostare l’autoclave, l’elettropompa e la cisterna della riserva idrica dal vano sottoscala dello stesso edificio (…) al piano di copertura della scala” non puo’ mai qualificarsi come “rinunzia alla servitu'” esistente a vantaggio delle parti comuni, di per se’ postulante il consenso unanime di tutti i condomini per il disposto dell’articolo 1108 c.c., comma 3, (applicabile anche al condominio di edifici per il rinvio contenuto nell’articolo 1139 c.c. alle norme sulla comunione). In presenza di una siffatta delibera dell’assemblea, l’eventuale estinzione della ipotizzata servitu’ sulla porzione di proprieta’ deriverebbe non da un atto di volonta’ diretto a tale scopo, ma andrebbe al piu’ ricondotta al venir meno della utilitas, e cioe’ della situazione oggettiva essenziale che caratterizza il contenuto della servitu’, in forza dell’articolo 1074 c.c.: il titolare del fondo dominante (condominio), cioe’, ha cosi’ semplicemente deciso – esercitando i poteri e le facolta’ connesse al diritto dominicale – di modificare la situazione di fatto, da cui potrebbe derivare la mancanza di utilita’ della servitu’ (cfr. in tal senso, su fattispecie assolutamente analoga, Cass. Sez. 2, 22/03/2007, n. 6915).
Sono quindi comunque prive di rilievo idoneo a giustificare la cassazione della sentenza impugnata le censure di omessa pronuncia sulla domanda di declaratoria di nullita’ della delibera perche’ contenente una rinuncia a una parte comune, come anche quelle di omesso esame di fatto, di omessa motivazione e di violazione di legge quanto alla configurabilita’ di una rinuncia implicita alla servitu’. Ne’ merita accoglimento la doglianza – di cui al quinto motivo di ricorso – sull’errata individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine di impugnazione della deliberazione del 15 giugno 1999 (che la Corte d’appello ha in modo non corretto riferito alla produzione in giudizio del relativo verbale: cfr. Cass. Sez. 2, 02/08/2016, n. 16081; Cass. Sez. 2, 28/12/2011, n. 29386), trattandosi di argomento che comunque non inficia la essenziale “ratio decidendi” della sentenza impugnata, la quale e’, in realta’, rappresentata dal rigetto nel merito della impugnativa ex articolo 1137 c.c.
Quanto, in particolare, al quarto motivo di ricorso, la sentenza impugnata ha spiegato che i beni condominiali non venivano sottratti con le impugnate delibere alla funzione di comune interesse da essi svolta. In effetti, la deliberazione dell’assemblea dei condomini volta a spostare, come nella specie, l’autoclave, l’elettropompa e la cisterna della riserva idrica dal vano sottoscala di proprieta’ esclusiva al piano di copertura del torrino del vano scala appare espressione delle attribuzioni spettanti all’organo collegiale in materia di amministrazione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, attenendo alle modalita’ di svolgimento del servizio di approvvigionamento idrico, stabilite sulla base di valutazioni di opportunita’ e di convenienza. Rientra, invero, nelle competenze dell’assemblea di condominio il potere di disciplinare la gestione dei beni e dei servizi comuni, ai fini della migliore e piu’ razionale utilizzazione di essi da parte dei condomini, anche quando il servizio si svolge con l’uso di determinati beni comuni (mobili o immobili), ovvero quando la sistemazione piu’ funzionale del servizio, deliberata dall’assemblea, comporti, come conseguenza, la dismissione dell’uso di detti beni ovvero il trasferimento di essi in altro luogo. Nell’ambito della gestione dinamica dei beni condominiali, non v’e’ ragione di prescrivere una sorta di intangibilita’ delle condizioni esistenti e di negare l’operativita’ del principio maggioritario al fin di decidere le modifiche o gli ammodernamenti ritenuti dell’assemblea idonei a rendere piu’ confortevole la fruizione delle unita’ immobiliari, oppure dettati della sopravvenuta insufficienza delle modalita’ di attuazione dei servizi per carenze di qualsivoglia natura: l’opposizione della minoranza dei condomini o di uno soltanto, se ammessa, ripristinerebbe quello ius prohibendi che il metodo collegiale ed il principio di maggioranza mirano a superare.
Il giudizio sulla liceita’ di una delibera dipende dal suo contenuto precettivo e si giustifica alla stregua degli effetti, in considerazione della sua incidenza sui poteri e sulle facolta’ inerenti ai diritti dei condomini. Deve percio’ concludersi che, nel caso di specie, il contenuto della delibera in questione non consisteva nella approvazione di innovazioni vietate, ne’ comportava l’impedimento al diritto dei condomini di beneficiare del servizio di approvvigionamento dell’acqua, ma si esauriva nella modifica delle modalita’ di svolgimento di esso, rientrando nella competenza dell’assemblea il potere di deliberare a maggioranza la modifica delle modalita’ di attuazione, prescindendo dalla sorte della servitu’, che, rispetto all’oggetto proprio della delibera adottata con i poteri dell’assemblea, doveva considerarsi un mero effetto pratico, privo di rilevanza giuridica, del deliberato (ancora Cass. Sez. 2, 22/03/2007, n. 6915).
Va in definitiva affermato il seguente principio:
i condomini, seppur titolari di un fondo configurato come dominante nell’ambito di una servitu’ costituita per la fruizione di un servizio condominiale, possono decidere di modificare il servizio (nella specie, spostando l’ubicazione dell’autoclave, dell’elettropompa e della cisterna della riserva dell’impianto idrico) con le maggioranze richieste dall’articolo 1136 c.c., non costituendo oggetto della delibera la rinunzia della servitu’, la cui estinzione consegue eventualmente ad essa, piuttosto, quale effetto legale tipico della nuova situazione di fatto venutasi a creare tra i fondi per il venir meno dei requisiti oggettivi che caratterizzano la servitu’, salvo che la trasformazione del servizio non richieda l’unanimita’ per altre ragioni, derivanti dalle regole che disciplinano l’estrinsecazione della volonta’ condominiale in materia di innovazioni vietate, determinando, in base ad apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, una sensibile menomazione dell’utilita’ ritraibile dalla parte comune (1120 c.c., comma 2, nella formulazione ratione temporis applicabile, antecedente alle modifiche apportate dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220).
IV. Il ricorso va percio’ rigettato e i ricorrenti vanno condannati in solido a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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