Il giudizio di ottemperanza non può avere ad oggetto la sentenza di accoglimento del ricorso introduttivo

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 12 aprile 2019, n. 10299.

La massima estrapolata:

Il giudizio di ottemperanza non può avere ad oggetto la sentenza di accoglimento del ricorso introduttivo che porta all’annullamento dell’atto impugnato in quanto non si pone alcun problema di esecuzione comportando la sentenza stessa l’eliminazione dell’atto dal mondo giuridico. Ma se l’oggetto del giudizio è l’an o il quantum debeatur e la sentenza di accoglimento non si limita ad annullare l’atto ma lo sostituisce, l’Amministrazione può procedere all’emissione di un nuovo atto impositivo sempreché non sia intervenuta decadenza.

Ordinanza 12 aprile 2019, n. 10299

Data udienza 28 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere

Dott. RUSSO Rita – Consigliere

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 16538-2013 proposto da:
(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 187/2013 della COMM. TRIB. PROV. di ROMA, depositata il 12/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/02/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

 

RITENUTO

CHE:
(OMISSIS) S.p.A. ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 187/33/13, resa nel giudizio di ottemperanza alla sentenza n. 194/33/11 del medesimo giudice tributario, svolgendo due motivi.
Con quest’ultima pronuncia, l’adita commissione aveva accolto il ricorso proposta da (OMISSIS) avverso la cartella di pagamento emessa per IRPEF, anno di imposta 2005, per difetto di notifica dell’atto impositivo. (OMISSIS) S.p.A. argomenta che, in data 9.12.2009, la predetta cartella era stata notificata al contribuente presso la sua residenza, risultando ricevuta da soggetto qualificatosi come “addetto alla casa”. Il contribuente proponeva istanza di rateazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, ex articolo 19, allegando alla domanda di rateazione la cartella di pagamento notificata, successivamente provvedendo a versare i ratei dovuti, per un importo di circa 81.000,00 Euro, a fronte di un debito complessivo di circa 350.000, 00.
In data 19 gennaio 2012, il ricorrente inoltrava all’Agente della riscossione una diffida chiedendo la restituzione delle somme pagate in ragione della rateazione, invocando a tal fine il Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 68, proponendo un autonomo giudizio per la condanna di (OMISSIS) al pagamento del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, ex articolo 68, di quanto versato e chiedendo l’ottemperanza alla sentenza n. 194/33/11. Con la sentenza n. 187/33/13 l’adita Commissione accoglieva il ricorso, disponendo che (OMISSIS) S.p.A. prelevasse a favore del ricorrente l’importo pari ad Euro 81.725,26, oltre interessi legali calcolati dalle date dei singoli prelievi. (OMISSIS) si e’ costituito in giudizio con controricorso illustrato con memorie.

CONSIDERATO

CHE:
1. Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata denunciando “error in procedendo”, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’articolo 112 c.p.c., atteso che i giudici della Commissione Tributaria Provinciale avrebbero omesso di pronunciarsi sulle eccezioni espressamente sollevate dalla resistente (OMISSIS). S.p.a., la quale aveva posto in essere un problema di giurisdizione rilevando che l’esecuzione nei confronti dell’Agente della Riscossione non e’ disciplinata dall’articolo 70 azionato dal contribuente, ma dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 69, denunciando che in merito all’esecuzione delle sentenze nei confronti dello stesso la giurisdizione fosse del giudice ordinario. Si lamenta, altresi’, che la sentenza di cui si chiedeva l’ottemperanza, non aveva disposto la restituzione delle somme nelle more pagate dal contribuente in forza della rateazione e, quindi, la pretesa di quest’ultimo fatta valere esorbitava i limiti del giudicato.
2. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per error in procedendo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione al Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articoli 69 e 70, per difetto di legittimazione passiva dell’Agente della riscossione e per difetto di giurisdizione del giudice tributario in favore del giudice civile, atteso che, come gia’ prospettato da (OMISSIS) al giudice a quo, il giudizio di ottemperanza sarebbe un giudizio a parti necessarie ed esclusive e potendo svolgersi solo nei confronti dell’ente impositore, titolare del credito iscritto al ruolo, e mai contro l’Agente della riscossione che e’ un mero adiectus solutionis causa privo di poteri provvedimentali e di capacita’ di disporre a qualunque titolo del credito e delle somme riscosse, di cui non e’ beneficiario. Il contribuente, inoltre, non avrebbe potuto agire per l’ottemperanza di una sentenza che non conteneva alcuna condanna al rimborso, invocando il Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 68, comma 2.
3. I motivi di ricorso vanno essere esaminati congiuntamente, per ragioni di connessione logica. Le censure sono fondate nei limiti delle considerazioni che seguono.
3.1. Va preliminarmente rilevata l’infondatezza dell’eccepito difetto di giurisdizione del giudice tributario, trattandosi di un giudizio di ottemperanza pronunciato con riferimento ad una sentenza emessa dalla commissione tributaria provinciale, ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 70, e quindi appartenente alla giurisdizione del giudice tributario del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, ex articolo 2. Parimenti infondate le doglianze relative al difetto di legittimazione passiva dell’Agente della riscossione, atteso che tale giudizio e’ proponibile oltre che nei confronti dell’ente impositore, anche nei confronti dell’Agente della riscossione (o del soggetto iscritto nell’albo di cui al Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articolo 53), nella fattispecie parte processuale nel procedimento riguardante la sentenza n. 194/33/11.
3.2. Venendo alle dedotte censure, si rileva dalla piana lettura della sentenza impugnata che oggetto del giudizio di ottemperanza e’ l’esecuzione della sentenza n. 194/33/11 del 19.4.2011, passata in giudicato, della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che aveva disposto l’annullamento della cartella di pagamento n. (OMISSIS) per vizi del procedimento notificatorio. Non e’ contestato che (OMISSIS) aveva presentato impugnazione avverso tale cartella, per far valere un vizio di notifica (v. pag. 2 controricorso).
Va premesso che nell’ambito del giudizio di ottemperanza, il potere del giudice sul comando definitivo inevaso deve essere esercitato entro i confini invalicabili dell’oggetto della controversia definita con il giudicato, atteso che non possono essere attribuiti alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire, ma solo enucleati e precisati gli obblighi scaturenti da essa.
Il ricorso alla procedura di ottemperanza alla sentenza emessa dal giudice tributario e’ consentito, unicamente, in presenza di una sentenza esecutiva che, decidendo nel merito una controversia tra contribuente ed erario, abbia impartito specifiche prescrizioni da eseguire.
Questa Corte, con indirizzo condiviso, infatti, ha affermato che:
“Nel processo tributario il giudizio di ottemperanza non e’ esperibile per dare attuazione alle sentenza di annullamento di un atto che, avendo effetti caducatori, sono “autoesecutive” (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la pronuncia impugnata che in sede di ottemperanza alla sentenza di annullamento di una cartella esattoriale aveva ordinato alla concessionaria della riscossione di pagare l’ammontare indicato nella cartella all’Amministrazione finanziaria ed a questa di emettere un provvedimento di sgravio in favore del contribuente, nominando altresi’ un “commissario ad acta”) (Cass. n. 31601 del 2018; v. anche Cass. n. 26433 del 2018; Cass. n. 28286 del 2013).
Si e’ ritenuto, pertanto, inammissibile il ricorso al giudizio di ottemperanza per ottenere il rimborso di una imposta, ove il giudice tributario non abbia deciso in ordine ad una istanza di rimborso, ma si sia limitato ad accertare l’illegittimita’ di un avviso di rettifica in virtu’ del quale si sia richiesta al contribuente la restituzione del rimborso effettuato in via accellerata (Cass. n. 1947 del 2008; Cass. n. 28286 del 2013).
3.3. Il giudizio di ottemperanza ha una duplice natura: di merito, in quanto inteso ad individuare gli obblighi contenuti nella sentenza, e di esecuzione, in quanto inteso ad adottare i provvedimenti in sostituzione dell’Amministrazione Finanziaria inadempiente (Cass. n. 4126 del 2014). Tale giudizio segue regole sue proprie in ragione del duplice obiettivo che si prefigge: verificare se vi sia stata o meno l’inottemperanza e, in caso affermativo, rendere effettivo il comando espresso dalla sentenza mediante l’adozione dei necessari provvedimenti. L’ottemperanza non puo’ avere ad oggetto la sentenza di accoglimento del ricorso che porta semplicemente all’annullamento dell’atto impugnato, atteso che non si pone alcun problema di esecuzione, poiche’ essa si esegue da se’ comportando l’eliminazione di un atto dal mondo giuridico. Se, invece, oggetto del giudizio e’ l’an o il quantum dell’imposta, la sentenza di accoglimento del ricorso non si limita ad annullare l’atto impugnato, ma lo sostituisce. In questi casi, la definizione del giudizio tributario come “impugnazione merito” deriva dalla circostanza che sotto il profilo formale e’ un giudizio di impugnazione; ma ove investa la pretesa avanzata con l’atto oggetto di ricorso (e la correlativa obbligazione) si configura come giudizio di accertamento negativo della pretesa stessa.
Va, inoltre, ricordato che il giudicato che si forma sull’annullamento dell’atto affetto da un vizio solamente formale non impedira’ all’amministrazione finanziaria, sempreche’ non sia nel frattempo maturata una decadenza, di emettere un nuovo atto impositivo immune dal vizio formale che inficiava l’atto precedente ma con il quale venga avanzata la stessa pretesa fatta valere mediante quest’ultimo. Cio’ comporta che la statuizione della sentenza sull’atto, solo formalmente viziato, non intacca il potere impositivo dell’amministrazione, che potrebbe, se ancora in termini, far valere nuovamente la pretesa impositiva con un nuovo atto.
4. Da siffatti rilievi consegue l’accoglimento dei motivi nei termini di cui in motivazione, non avendo il giudice del merito fatto buon governo dei principi espressi, tenuto conto che per la natura della sentenza non era esperibile alcuna azione di ottemperanza, con la conseguenza che il ricorso era ab origine inammissibile.
Dall’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va dichiarata l’inammissibilita’ dell’originario ricorso per ottemperanza proposto da (OMISSIS). Tenuto conto del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimita’ sulle questioni trattate, rispetto all’epoca della introduzione della lite, le spese del giudizio di ogni fase e grado vanno interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara l’inammissibilita’ del ricorso per ottemperanza proposto da (OMISSIS).
Compensa interamente tra le parti le spese di lite di ogni fase e grado.

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