Furto in abitazione

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 9 maggio 2019, n. 19982.

La massima estrapolata:

Ai fini della configurabilità del reato di furto in abitazione è necessario che sussista un nesso finalistico – e non un mero collegamento occasionale – fra l’ingresso nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile, in quanto il testo dell’art. 624-bis cod. pen., come novellato dall’art. 2, comma secondo, della legge 26 marzo 2001, n. 128, ha ampliato l’area della punibilità in riferimento ai luoghi di commissione del reato, ma non ha innovato il profilo della strumentalità dell’introduzione nell’edificio, quale mezzo al fine di commettere il reato, già preteso dal previgente art. 625, comma primo, n. 1, cod. pen. (Fattispecie relativa al furto di due telefoni cellulari, in cui la Corte ha confermato la condanna riqualificando il fatto ai sensi degli artt. 624 e 61 n. 11 cod. pen. sul presupposto che l’imputato, in quanto fratellastro della persona offesa, aveva libero accesso all’abitazione di questa e dei suoi genitori).

Sentenza 9 maggio 2019, n. 19982

Data udienza 1 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/05/2018 della Corte di appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ROMANO Michele;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa FILIPPI Paola, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del 9 novembre 2015 del Tribunale di Cosenza che ha condannato (OMISSIS) alla pena di giustizia per il delitto di furto in abitazione di cui all’articolo 624-bis c.p., cosi’ diversamente qualificato il fatto inizialmente contestato quale delitto di ricettazione.
2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata ed affidandosi a due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze processuali.
La Corte di appello aveva ritenuto attendibili le dichiarazioni della persona offesa (OMISSIS), sorellastra dell’imputato, in ordine alla proprieta’ dei due telefoni cellulari oggetto del furto, e aveva ritenuto inattendibile la versione del (OMISSIS) che invece coincideva con quella della sorellastra, avendo egli sostenuto che i telefoni erano a lei intestati, avendo la (OMISSIS) sottoscritto il contratto di finanziamento, ma erano stati acquistati con il denaro dell’odierno ricorrente che aveva fornito alla sorellastra i soldi occorrenti per l’acconto; inoltre il (OMISSIS) aveva ammesso di essersi impossessato dei telefoni, perche’ sapeva ove essi erano stati riposti all’interno dell’abitazione della (OMISSIS), e di averli utilizzati e quindi non si comprendevano dalla motivazione della sentenza le ragioni per le quali la Corte di appello non aveva ritenuto credibili le sue dichiarazioni.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 624-bis c.p..
Il delitto di cui alla citata disposizione presuppone l’introduzione in un luogo di privata dimora. Il (OMISSIS) era entrato nell’abitazione della sorellastra con il consenso di questa, in quanto egli era un suo familiare, mentre per la sussistenza del delitto ritenuto in sentenza era necessario che l’introduzione fosse avvenuta in modo illegittimo, senza il consenso della persona offesa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato nei limiti di seguito esposti.
2. Il primo motivo e’ inammissibile oltre che manifestamente infondato.
Nella motivazione della sentenza impugnata vengono chiarite le ragioni per le quali le dichiarazioni del ricorrente sulla proprieta’ dei due telefoni, che il (OMISSIS) ha sostenuto essere suoi, non sono state ritenute credibili.
Mentre la (OMISSIS) ha sostenuto di essere la proprietaria di entrambi i telefoni, il (OMISSIS) ha affermato di avere acquistato due telefoni e di averne regalato uno alla sorellastra, ma poi non ha saputo spiegare perche’ egli fosse stato trovato in possesso di uno dei due telefoni e avesse dato in prestito il secondo telefono ad un suo amico.
Egli quindi si e’ impossessato anche del telefono che, secondo la sua versione, egli aveva regalato alla sorella e non ha saputo spiegarne le ragioni.
Del tutto logicamente la Corte di appello ha ritenuto maggiormente credibile la versione dei fatti riferita dalla (OMISSIS).
Il ricorrente non si confronta affatto con le argomentazioni poste dalla Corte di appello a base della sua decisione.
E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificita’ del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’ conducente, a mente dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all’inammissibilita’ (Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997 – dep. 1998, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
3. E’ invece fondato il secondo motivo.
Nella sentenza della Corte di appello, pur dandosi atto che il (OMISSIS) non convive con la (OMISSIS) al fine di escludere la causa di non punibilita’ di cui all’articolo 649 c.p., si afferma che egli, in quanto fratellastro della persona offesa, aveva libero accesso all’abitazione di questa e dei suoi genitori.
Ne consegue che la sua introduzione nella abitazione della persona offesa non e’ avvenuta in modo illegittimo o senza il consenso della (OMISSIS) e dei suoi familiari.
Ai fini della sussistenza del delitto di furto in abitazione di cui all’articolo 624-bis c.p. e’, invece, necessario che l’introduzione nell’abitazione avvenga senza o contro il consenso dell’avente diritto o quanto meno che il consenso sia stato carpito con l’inganno (vedi Sez. 5, n. 41149 del 10/06/2014, Crescimone, Rv. 26103001; Sez. 5, n. 13582 del 02/03/2010, Torre, Rv. 24690201).
Inoltre, ai fini della configurabilita’ del reato di furto in abitazione e’ necessario che sussista il nesso finalistico – e non un mero collegamento occasionale – fra l’ingresso nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile, in quanto il nuovo testo dell’articolo 624-bis c.p., novellato dalla L. n. 128 del 2001, articolo 2, comma 2, pur ampliando l’area della punibilita’ in riferimento ai luoghi di commissione del reato, non ha, invece, innovato in ordine alla strumentalita’ dell’introduzione nell’edificio, quale mezzo al fine di commettere il reato, gia’ preteso dalla previgente normativa (articolo 625 c.p., comma 1, n. 1) (Sez. 5, n. 21293 del 01/04/2014, Licordari, Rv. 26022501).
Ed invero, la dizione “mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora”, propria del testo attuale, chiaramente esprime una strumentalita’ dell’introduzione nell’edificio, quale mezzo al fine di commettere il reato, non diversa da quella precedentemente espressa con le parole “per commettere il fatto, si introduce o si intrattiene in un edificio.”.
Nelle due sentenze di merito non si afferma che l’imputato si sia introdotto nell’abitazione della (OMISSIS) allo scopo di impossessarsi dei telefoni e deve quindi ritenersi che egli, avendo libero accesso alla sua dimora, abbia deciso di sottrarli mentre gia’ si trovava al suo interno e si sia limitato ad approfittare dell’occasione.
Ne consegue che il reato deve essere riqualificato come furto di cui all’articolo 624 c.p.aggravato dall’abuso di ospitalita’ ai sensi dell’articolo 61 c.p., n. 11.
Il reato e’ procedibile avendo la persona offesa sporto querela.
Non appare necessario annullare con rinvio la sentenza impugnata, potendo la pena, ai sensi dell’articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l), essere rideterminata nella medesima misura fissata dal Tribunale, pari ad anno uno di reclusione, sulla base delle statuizioni dei giudici di merito. Deve, infatti osservarsi che non appaiono necessari ulteriori accertamenti in fatto, non essendo state applicate al (OMISSIS) le circostanze attenuanti generiche (che altrimenti avrebbero imposto di procedere al giudizio di comparazione, con la aggravante di cui all’articolo 61 c.p., comma 1, n. 11) ed i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Tenuto conto dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. ed in particolare delle modalita’ della condotta e della gravita’ del fatto, desunta dalla sua descrizione in seno alla sentenza di primo grado, e della personalita’ del colpevole, quale emerge dal certificato del casellario giudiziale, la pena base puo’ essere fissata in mesi dieci di reclusione e deve essere aumentata ad anno uno di reclusione per la suddetta aggravante, considerati gli stretti rapporti di parentela tra il (OMISSIS) e la persona offesa che fanno apparire particolarmente rilevante il disvalore sociale del fatto.
Non puo’ infliggersi la pena della multa, sebbene essa sia prevista dall’articolo 624 c.p., non essendo stata irrogata dal Tribunale e non potendo procedersi in questa sede ad una reformatio in peius.

P.Q.M.

Riqualificato il fatto ai sensi dell’articolo 624 c.p. e articolo 61 c.p., n. 11, rigetta nel resto il ricorso.

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