Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 18483.
Esulano dal tema dei vizi della cosa tutti i casi in cui il bene concesso in godimento sia privo dei titoli amministrativi necessari o indispensabili ai fini della utilizzazione della stessa cosa
Esulano dal tema dei vizi della cosa (oltre che da quello sulla validità contrattuale) tutti i casi in cui il bene concesso in godimento sia privo dei titoli amministrativi necessari o indispensabili ai fini della utilizzazione della stessa cosa, in sé considerata (ossia, secondo la propria destinazione economica), o in conformità all’uso convenuto tra le parti, dovendo tale questione integralmente risolversi sul terreno dell’adempimento delle obbligazioni reciprocamente assunte dai contraenti.
Ordinanza|| n. 18483. Esulano dal tema dei vizi della cosa tutti i casi in cui il bene concesso in godimento sia privo dei titoli amministrativi necessari o indispensabili ai fini della utilizzazione della stessa cosa
Data udienza 8 giugno 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Locazione ad uso abitativo – Presupposizione – Assenza di titoli autorizzativi amministrativi – Natura di vizio della cosa locata – Esclusione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. TASSONE Stefania – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32528/2020 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS) (p.e.c. indicata: (OMISSIS));
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS) (p.e.c. (OMISSIS));
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, n. 1288/2019, depositata il 28 aprile 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 giugno 2023 dal Consigliere Emilio Iannello.
Esulano dal tema dei vizi della cosa tutti i casi in cui il bene concesso in godimento sia privo dei titoli amministrativi necessari o indispensabili ai fini della utilizzazione della stessa cosa
FATTI DI CAUSA
1. Nel luglio del 2014 (OMISSIS) adi’ il Tribunale di Lecce chiedendo che, in contraddittorio con (OMISSIS), fosse dichiarato risolto, per grave inadempimento di quest’ultima, il contratto di locazione concluso il (OMISSIS) in relazione ad immobile da destinare ad uso abitativo, con la condanna della locatrice al risarcimento dei danni patiti, quantificati nella somma di Euro 10.000,00 o in quella diversa ritenuta di giustizia.
Espose a fondamento che, durante le trattative, egli aveva rappresentato l’esigenza che l’immobile fosse munito del certificato di agibilita’, necessario per poter presentare l’istanza di ricongiungimento con i figli minori residenti in Marocco, e la (OMISSIS) gli aveva garantito di aver presentato domanda in tal senso al Comune di (OMISSIS); successivamente, pero’, recatosi personalmente all’U.T.C., aveva appreso che l’istanza non era mai stata presentata.
2. Rigettate entrambe le domande, lo (OMISSIS) propose appello, che – nella contumacia dell’appellata – e’ stato rigettato dalla Corte d’appello salentina con sentenza n. 1288/2019, depositata il 28 aprile 2020.
Hanno infatti ritenuto i giudici del gravame che:
– dalla lettura delle difese svolte dalla (OMISSIS) sulle ragioni per cui non si era attivata al fine di ottenere il rilascio del certificato di abitabilita’, si evince che le stesse erano dirette semplicemente a chiarire le motivazioni della mancata presentazione dell’istanza al Comune, senza che da esse possa in alcun modo desumersi, come vorrebbe l’appellante, che le parti avessero stipulato il contratto sul presupposto dell’imminente conseguimento della certificazione in questione;
– appare inverosimile che il sig. (OMISSIS), avendo assoluta necessita’ e urgenza di locare un appartamento munito di agibilita’, abbia concluso un contratto avente ad oggetto un’immobile che non ne era provvisto, anche in considerazione dell’impossibilita’ di preventivare con certezza i tempi di evasione della pratica da parte dell’Ufficio competente; e cio’ senza peraltro che nel contratto venisse in alcun modo esplicitata la assoluta e impellente necessita’ del certificato; ne’ il ricorrente ha dedotto, prima ancora che provato, che vi fossero delle ragioni specifiche che lo inducevano a prendere in locazione proprio l’immobile della (OMISSIS);
– anche in assenza del certificato di agibilita’ il contratto di locazione e’ valido, sempre che non sia precluso il godimento pattuito.
3. Avverso tale sentenza (OMISSIS) propone ricorso per cassazione articolando cinque motivi, cui resiste (OMISSIS), depositando controricorso.
4. La trattazione e’ stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360, comma 1, num. 3, c.p.c., violazione dell’articolo 115, comma 1, c.p.c..
Premette che:
– a fondamento della domanda di risoluzione era l’assunto, esplicitamente dedotto nell’atto introduttivo, che il contratto era stato concluso sul presupposto, non espresso, del successivo rilascio del certificato di agibilita’ dell’immobile oggetto della locazione;
– a dimostrazione di tale assunto egli aveva chiesto l’ammissione di interrogatorio formale e prova per testi;
– tuttavia, nella comparsa di costituzione, la locatrice non aveva contestato la circostanza, che pertanto doveva ritenersi implicitamente ammessa, ma aveva piuttosto cosi’ testualmente dedotto: “preme evidenziare che la sig.ra (OMISSIS), dopo la stipula del contratto, non richiese il rilascio della agibilita’ al Comune semplicemente in quanto il Sig. (OMISSIS) non dette mai alcuna esecuzione al contratto, non versando mai alcun canone di locazione e non facendo alcun uso dell’immobile. Preso atto dell’inadempimento contrattuale, e dell’assenza di fatto del locatario, l’esponente non si curo’ dunque piu’ di richiedere l’agibilita’ al comune, essendo il contratto rimasto privo di esecuzione”;
– avendo il Tribunale ignorato tale circostanza, egli se ne era doluto in sede di gravame, sia sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo, sia sotto quello della violazione della norma di cui all’articolo 115, comma 1, c.p.c..
Cio’ premesso, lamenta che, con la motivazione sul punto addotta in sentenza (v. supra, “Fatti di causa”, par. 2, primo alinea) la Corte d’appello non ha fatto buon governo del principio di non contestazione, non avendo considerato che parte convenuta, intenta a indicare la ragioni per cui avrebbe omesso di presentare l’istanza di rilascio del certificato di agibilita’, aveva omesso di contestare il fatto costitutivo della domanda, specificamente riportato nell’atto di citazione.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360, comma 1, num. 4, c.p.c., “omesso esame della prova testimoniale”.
Rileva che con l’atto d’appello egli aveva evidenziato che dalla deposizione del teste (OMISSIS) era emerso che era stata rappresentata alla locatrice l’importanza di ottenere il certificato di agibilita’ ai fini dell’accoglimento della domanda di ricongiungimento familiare e che, tuttavia, anche tale circostanza non era stata considerata dalla Corte d’appello.
3. Con il terzo motivo deduce poi, ex articolo 360, comma 1, num. 4, c.p.c., l’esistenza di un vizio di omessa pronuncia in relazione alla svolta doglianza di erronea applicazione delle regole di riparto degli oneri probatori.
Rileva che con l’appello egli aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva posto a fondamento del rigetto della domanda il rilievo della mancata dimostrazione che la mancanza di titoli autorizzativi dipendeva da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato, invocando di contro le normali regole di riparto in tema di responsabilita’ da inadempimento, sulla iterata premessa relativa agli obblighi assunti dalla locatrice.
Soggiunge che, del resto, come affermato da Cass. n. 16918 del 2019, la parte tenuta a richiedere il certificato di agibilita’ e’ di regola il locatore.
4. Il quarto motivo – con il quale si denuncia, ex articolo 360, comma 1, num. 3, c.p.c., violazione di legge – investe poi l’affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui, anche in assenza del certificato di agibilita’, il contratto di locazione e’ comunque valido, sempre che non sia precluso il godimento pattuito.
Sostiene che:
a) essa e’ frutto di una erronea lettura dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’, i quali subordinano la validita’ del contratto, nel caso indicato, alla condizione che vi sia stata una concreta utilizzazione del bene locato;
b) tale condizione nella specie doveva considerarsi legata alla rappresentata esigenza del ricongiungimento familiare e non poteva dunque considerarsi sussistente.
5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, infine, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, num. 4, c.p.c., omessa pronuncia sul motivo di gravame con il quale egli aveva dedotto la mancata considerazione (da parte del giudice di primo grado) della violazione (da parte della locatrice) degli “obblighi contrattuali riconducibili, in via integrativa, all’articolo 1375 c.c.”.
6. Il primo motivo e’ inammissibile, sotto due profili.
6.1. Anzitutto perche’ impinge in una valutazione di merito (circa l’impossibilita’ di ricavare dalle difese della resistente la non contestazione del rilievo asseritamente attribuito dalle parti al conseguimento della certificazione di agibilita’) non sindacabile in sede di legittimita’.
Va sul punto ribadito che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, quale contenuto della posizione processuale della parte, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, e’ funzione del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimita’ se non per vizio di motivazione (Cass. 03/05/2007, n. 10182; 16/12/2005, n. 27833); spetta, infatti, solo al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. 20/09/2022, n. 27473; 17/01/2022, n. 1154; 28/10/2019, n. 27490; 07/02/2019 n. 3680).
6.2. In secondo luogo, perche’, quand’anche fosse configurabile il dedotto error in procedendo, esso si rivelerebbe privo di decisivita’, non potendosi comunque pervenire agli esiti decisori che, sulla base dell’asserita non contestazione, sono auspicati dal ricorrente.
Come espressamente evidenziato in ricorso, la tesi la cui fondatezza, in punto di fatto, si ritiene avrebbe dovuto positivamente apprezzarsi e’ quella secondo cui, pacifico che l’impegno all’ottenimento della certificazione di agibilita’ non era contenuto tra quelli espressamente assunti in contratto, il conseguimento di tale titolo costituiva tuttavia “presupposto non espresso” del contratto stesso.
Viene cosi’ evocata la figura della “presupposizione” la quale, pero’, nel caso di specie: a) anzitutto non era fondatamente configurabile nei termini esposti; b) in ogni caso non avrebbe comunque potuto condurre, in conseguenza del mancato avveramento della condizione inespressa, alle chieste statuizioni (di risoluzione per inadempimento e condanna della locatrice al risarcimento del danno).
Come noto, infatti, si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto – comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere obiettivo (essendo il suo verificarsi indipendente dalla loro volonta’ e attivita’) e certo – sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo da assurgere a fondamento, pur in mancanza di un espresso riferimento, dell’esistenza ed efficacia del contratto (v. Cass. n. 40279 del 15/12/2021; n. 17615 del 24/08/2020; 04/05/2015, n. 8867; 23/09/2004, n. 19144).
La presupposizione dunque:
– deve essere comune a tutti i contraenti (“la presupposizione non attenendo ne’ all’oggetto ne’ alla causa ne’ ai motivi del contratto, consiste in una circostanza ad esso esterna, che pur se non specificamente dedotta come condizione ne costituisce specifico ed oggettivo presupposto di efficacia in base al significato proprio del medesimo, assumendo per entrambe le parti, o anche per una sola di esse, ma con riconoscimento da parte dell’altra, valore determinante ai fini del mantenimento del vicolo contrattuale”: Cass. 25/05/2007, n. 12235);
– l’evento supposto deve essere assunto come certo nella rappresentazione delle parti (in questo la presupposizione differisce dalla condizione che costituisce un evento futuro ed incerto);
– deve trattarsi di un presupposto obiettivo, consistente cioe’ in una situazione di fatto il cui venir meno o il cui verificarsi sia del tutto indipendente dall’attivita’ e volonta’ dei contraenti e non corrisponda, integrandolo, all’oggetto di una specifica obbligazione (Cass. 31/10/1989, n. 4554; Cass. 21/11/2001, n. 14629).
Ne discende, nella specie, anzitutto l’impossibilita’, come detto, di ricondurre a tale nozione l’impegno cui si fa riferimento in ricorso, non potendo la presupposizione identificarsi in una situazione il cui verificarsi sia necessariamente mediato dalla volonta’ e dall’attivita’ di una delle parti.
In ogni caso, a tutto concedere, il suo mancato avveramento non potrebbe dar luogo a inadempimento, quasi che si trattasse di un obbligo aggiunto a quelli nascenti dal contratto, ma eventualmente rilevare ai fini di altri rimedi funzionali alla tutela del sinallagma secondo il criterio della buona fede (quali ad es. la risoluzione per eccessiva onerosita’ o per impossibilita’ sopravvenuta).
7. Il secondo motivo e’ parimenti inammissibile prima ancora che infondato.
7.1. L’inammissibilita’ va predicata, in via preliminare, perche’ cio’ che si riproduce del contenuto dell’atto di appello non evidenzia in alcun modo che la valutazione della testimonianza di cui si dice fosse stata oggetto di una censura della quale il giudice di appello doveva occuparsi.
Infatti, nella riproduzione non si dice alcunche’ sul come il primo giudice aveva valutato la prova testimoniale e non c’e’ alcun accenno di critica o sollecitatorio di decisione da parte del giudice di appello.
7.2. Non corrisponde al vero, comunque, che le addotte ragioni per le quali era ritenuta irrinunciabile, dal conduttore, il conseguimento del certificato di agibilita’ non siano state considerate dai giudici di merito. La circostanza emerge chiaramente dalla descrizione della fattispecie concreta e la ratio decidendi non consiste certamente nel rilievo di una supposta mancata allegazione o prova delle ragioni che, soggettivamente, giustificavano una tale richiesta. Il rigetto della domanda e’ ben diversamente motivato dal rilievo che non vi era tuttavia prova che tale esigenza fosse assurta a presupposto condizionante ne’ ad oggetto di un impegno espresso da parte della locatrice.
7.3. In ogni caso la doglianza di omesso esame di tale circostanza (rettamente riconducibile alla previsione di cui al num. 5 dell’articolo 360) non potrebbe comunque trovare ingresso nel presente giudizio, sia per la preclusione che deriva, ex articolo 348-ter ult. comma c.p.c., dall’essere la decisione d’appello confermativa di quella di primo grado e fondata su conforme ricostruzione della fattispecie concreta, sia per le ragioni sopra esposte con riferimento al primo motivo (v. supra, par. 6.2) che priverebbero comunque di decisivita’ il fatto asseritamente non considerato.
8. Il terzo motivo e’ infondato.
E’ appena il caso di rammentare al riguardo che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimita’, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancanza di espressa statuizione sul punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto e che, inoltre, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, e dovendo pertanto escludersi il suddetto vizio quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilita’ pur in assenza di una specifica argomentazione (v. Cass. 08/05/2023, n. 12131; 29/01/2021, n. 2151; 09/05/2007, n. 10636; 01/04/2003, n. 4972; 06/04/2000, n. 4317; 29/09/1999, n. 10813).
Tanto e’ certamente quel che accade nella fattispecie, nella quale l’esclusa esistenza di un impegno da parte della locatrice a conseguire il certificato di agibilita’ implica il rigetto di tutte le argomentazioni, compresa quella cui e’ riferito il motivo in esame, che quell’asserito obbligo presupponevano.
9. Il quarto motivo e’ inammissibile.
Va ricordato che, secondo il piu’ recente orientamento della giurisprudenza di legittimita’ (v. da ultimo Cass. 21/08/2020, n. 17557; 28/12/2021, n. 41744), al quale va data continuita’ in questa sede, proprio sul rilievo della diretta inerenza della nozione di “vizio della cosa locata” (ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1578 c.c.) alla struttura materiale del bene, esulano dal tema dei vizi della cosa (oltre che da quello sulla validita’ contrattuale) tutti i casi in cui il bene concesso in godimento sia privo dei titoli amministrativi necessari o indispensabili ai fini della utilizzazione della stessa cosa, in se’ considerata (ossia, secondo la propria destinazione economica), o in conformita’ all’uso convenuto tra le parti, dovendo tale questione integralmente risolversi sul terreno dell’adempimento delle obbligazioni reciprocamente assunte dai contraenti (v., Cass. 20/08/2018, n. 20796 e Cass. 26/07/2016, n. 15377) e non gia’ sul piano dei vizi della cosa locata.
Nel caso di specie l’errore di diritto e’ in tale prospettiva dedotto sul presupposto dell’esistenza di un obbligo da parte della locatrice al conseguimento del certificato di agibilita’, presupposto pero’ come s’e’ ripetuto espressamente negato in sentenza, alla stregua di valutazione insindacabile secondo quanto evidenziato nell’esame dei precedenti motivi.
10. Il quinto motivo e’ inammissibile.
Non risulta nemmeno dedotto, tanto meno nel rispetto degli oneri imposti dall’articolo 366 n. 6 c.p.c., che la questione, implicante necessariamente allegazioni fattuali, della violazione degli obblighi di comportamento secondo buona fede fosse stata ritualmente introdotta nel giudizio di primo grado.
In assenza di una tale allegazione non e’ certamente nemmeno prospettabile un obbligo per il giudice di appello di pronunciarsi su motivo di gravame che, col prospettare per la prima volta una simile questione, si risolveva nella introduzione di una domanda nuova, inammissibile ex articolo 345 c.p.c..
11. Il ricorso deve essere in conclusione rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
12. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate, in Euro 2.300 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dall’articolo 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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