Estinzione della società per effetto dell’obbligatoria cancellazione dal registro delle imprese

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 22 maggio 2019, n. 13921.

La massima estrapolata:

L’estinzione della società per effetto dell’obbligatoria cancellazione dal registro delle imprese, ai sensi dell’art. 118, comma 1, n. 4, l.fall., a seguito di chiusura del fallimento per insufficienza dell’attivo, determina il trasferimento degli eventuali crediti residui, che non siano stati realizzati dal curatore fallimentare, ai soci in regime di contitolarità o comunione indivisa, salvo che il mancato espletamento dell’attività di recupero consenta di ritenere che la società vi abbia già rinunciato prima dell’apertura della procedura concorsuale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva dei soci della società estinta, poiché l’esistenza del credito litigioso non era stata portata a conoscenza della curatela, dovendo ritenersi che esso fosse stato già tacitamente rinunciato dalla creditrice).

Ordinanza 22 maggio 2019, n. 13921

Data udienza 21 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 7948/2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di ex amministratori ed ex soci della societa’ (OMISSIS) Srl (gia’ (OMISSIS) Srl), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1444/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 12/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2019 da IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 1444/2014, pronunciata in un giudizio promosso, nel 1999, dalla (OMISSIS) srl, nei confronti della (OMISSIS) spa, al fine di sentire condannare la convenuta, dichiarata la legittimita’ della disdetta intimata dalla (OMISSIS) dal contratto di licenza inter partes, per inadempimento della (OMISSIS), con condanna di quest’ultima al risarcimento del danno, – ha dichiarato inammissibile il gravame, proposto con atto di riassunzione, a seguito di interruzione, nel 2012, del giudizio di appello (su istanza della societa’ appellata, sul presupposto dell’intervenuta estinzione della (OMISSIS) srl, gia’ (OMISSIS) srl, per effetto della cancellazione della stessa dal Registro delle Imprese, L. Fall., ex articoli 118 e 119, in data 19/01/2009) da (OMISSIS), quale ex amministratore della societa’, e dagli ex soci della stessa, avverso la decisione di primo grado, che, con sentenza del 2005, aveva respinto la domanda attrice.
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile l’appello proposto dall’ex amministratore e dagli ex soci della societa’ cancellata per difetto di legittimazione sostanziale e processuale degli stessi, essendo intervenuta la cancellazione della societa’ dal Registro delle Imprese, disposta a seguito di decreto di chiusura del fallimento L. Fall., ex articolo 119, per insufficienza dell’attivo, e dovendo ritenersi che la pretesa risarcitoria azionata dalla societa’ estinta, stante la natura incerta ed illiquida del credito, non si fosse trasferita ai successori ex soci della medesima.
Avverso la suddetta sentenza, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), in proprio ed in qualita’ di ex amministratore ed ex soci della (OMISSIS) srl, societa’ cancellata, propongono ricorso per cassazione, affidato ad unico e plurimo motivo, nei confronti della (OMISSIS) spa (che resiste con controricorso).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I ricorrenti lamentano, con unico motivo, la violazione o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 75 e 110 c.p.c., in relazione all’articolo 2945 c.c., in relazione alla legittimazione dell’ex socio della societa’ cancellata.
2. Il ricorso va respinto, sia con riguardo alla posizione di (OMISSIS), ex amministratore della societa’ cancellata, sia relativamente alle posizioni degli ex soci (OMISSIS) e (OMISSIS).
2.1. Le Sezioni Unite, nelle sentenze nn. 6070/13, 6071/13 e 6072/13, hanno precisato che, a seguito dell’estinzione della societa’, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese (e la disposizione non puo’, secondo questa Corte, non essere estesa anche alle societa’ di persone, determinandosi, dall’entrata in vigore della Novella del 2003, l’estinzione della societa’ di capitali e la presunzione di estinzione della societa’ di persone, salva prova contraria), viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono – il che sacrificherebbe ingiustamente i diritto dei creditori sociali – ma si trasferiscono ai soci, i quali, quanto ai debiti sociali, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate, mentre, quanto alle sopravvenienze attive, si determina un acquisto in comunione tra i soci dei diritti e beni non compresi nel bilancio finale di liquidazione, escluse le mere pretese e le ragioni creditorie incerte, la cui mancata liquidazione manifesta rinuncia (“a) l’obbligazione della societa’ – il medesimo debito che faceva capo alla societa’ – non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della societa’ estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarita’ o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorche’ azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attivita’ ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la societa’ vi abbia rinunciato, a favore di una piu’ rapida conclusione del procedimento estintivo”).
In sostanza, laddove l’evento estintivo si verifichi nel corso del giudizio di merito, i soci, successori della societa’, subentrano (Cass. S.U. n. 6070/2013) nella legittimazione processuale facente capo all’ente la cui estinzione e’ equiparabile alla morte della persona fisica, ai sensi dell’articolo 110 c.p.c. – in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovverosia a prescindere dalla scindibilita’ o meno del rapporto sostanziale, in quanto la morte di una parte, nel corso del giudizio di primo grado, determina la trasmissione della sua posizione, attiva e passiva, agli eredi, litisconsorti necessari per ragioni processuali, sicche’ in fase di appello deve essere ordinata d’ufficio l’integrazione del contraddittorio nei confronti di ciascuno di essi.
In particolare, nella pronuncia n. 6071/2013, le Sezioni Unite hanno accolto i motivi di ricorso per cassazione volti a rivendicare la legittimita’ sia dell’intervento in causa degli ex soci, quali successori della societa’ estinta, sia dell’appello incidentale da loro proposto, erroneamente dichiarato inammissibile, nell’ambito di un giudizio originariamente intrapreso da una societa’, cancellata dal registro delle imprese sin da epoca precedente alla proposizione della domanda introduttiva del giudizio di primo grado (ma con effetto estintivo verificatosi solo dal 1 gennaio 2004, per effetto della Riforma di cui al Decreto Legislativo n. 6 del 2003), al fine di ottenere la condanna della banca convenuta alla restituzione di somme di denaro indebitamente addebitate su conto corrente bancario. Questa Corte ha precisato che non rappresentava un ostacolo la natura incerta, nell’an e nel quantum, del credito azionato, atteso che dalla condotta della societa’ attrice, cancellatasi dal registro delle imprese a pochi mesi di distanza dall’esercizio dell’azione, non si poteva desumere una chiara volonta’ di rinuncia a detto credito, “perche’ l’estinzione della societa’ non e’ dipesa dalla cancellazione (intervenuta nell’anno 2002), e dunque non poteva essere prevista da chi la cancellazione ha deciso, ma e’ stata invece effetto della successiva riforma del diritto societario (entrata in vigore nel 2004)”.
2.2. Tornando al caso che ci occupa e alla posizione di (OMISSIS), quale ex amministratore della societa’ cancellata, la cancellazione della societa’ dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della societa’ cancellata, ha privato della legittimazione ad causam, ai fini della proposizione o della prosecuzione del giudizio, la societa’ stessa (Cass., Sez. U, n. 6070 del 2013)-, ma anche l’ex rappresentante della societa’ di capitali ed il liquidatore (che non e’ successore e neppure coobbligato della societa’ – cfr., ex multis, Cass. n. 11968 del 2012, n. 2444 del 2017).
Quindi, correttamente, la Corte d’appello ha dichiarato inammissibile il gravame proposto, con ricorso in riassunzione (essendo stato il giudizio di appello interrotto, a seguito della cancellazione della societa’), dal medesimo (OMISSIS), in proprio ed in qualita’ di ex amministratore della (OMISSIS) srl, gia’ (OMISSIS) srl. Ne’ in questa sede, anche ai fini dell’autosufficienza del ricorso, il suddetto ricorrente ha speso una (eventuale ed ulteriore) qualita’ di mero socio.
2.3. Quanto alla posizione degli ex soci, con riguardo all’ipotesi di cancellazione volontaria di una societa’ dal registro delle imprese, effettuata in pendenza di un giudizio risarcitorio introdotto dalla societa’ medesima, questa Corte, a seguito delle richiamate pronunce delle Sezioni Unite del 2013, ha, piu’ volte, avuto modo di affermare che deve presumersi che la societa’ “abbia tacitamente rinunciato alla pretesa relativa al credito, ancorche’ incerto ed illiquido, per la cui determinazione il liquidatore non si sia attivato, preferendo concludere il procedimento estintivo della societa’; tale presunzione comporta che non si determini alcun fenomeno successorio nella pretesa sub iudice, sicche’ i soci della societa’ estinta non sono legittimati ad impugnare la sentenza d’appello che abbia rigettato questa pretesa” (Cass. nn. 23269/2016, 15782/2016, 25974/2015, 21517/2015).
Va considerato che, nel caso qui in esame, non si verte in ipotesi di cancellazione volontaria della societa’, ma di cancellazione d’ufficio, eseguita su richiesta del Curatore del fallimento della societa’ (la (OMISSIS) srl, gia’ denominata (OMISSIS) srl), nell’ottobre 2009, ai sensi della L. Fall., articolo 118, a seguito della dichiarazione di fallimento della societa’ (secondo quanto emerge dal ricorso per cassazione, datato, inizialmente, nel marzo 2005 – a cui poi era seguita una procedura di concordato fallimentare, risoltasi – e, successivamente, nel maggio 2007) e di successiva sua chiusura per insufficienza dell’attivo.
Il riferimento dunque, presente nella sentenza impugnata e nel motivo di ricorso per cassazione, all’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte del 2013 non e’ del tutto pertinente, in quanto, in relazione alle sopravvenienze attive di societa’ cancellata ed alla successione nei crediti degli ex soci, le Sezioni Unite non hanno fatto riferimento all’ipotesi qui in esame, essendosi fermate alla questione della sorte dei residui attivi non liquidati e delle sopravvenienze attive della liquidazione di una societa’ cancellatasi dal registro delle imprese, affermando che, all’estinzione della societa’, conseguente alla sua cancellazione volontaria dal registro delle imprese, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtu’ del quale, per quanto qui interessa, “si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarita’ o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della societa’ estinta, ma non anche le mere pretese, ancorche’ azionate o azionabili in giudizio, ne’ i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attivita’ ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la societa’ vi abbia rinunciato”).
All’evidenza, le Sezioni Unite, nel richiamato arresto del 2013, hanno fatto riferimento, in ipotesi di cancellazione volontaria della societa’, ad una volonta’ abdicativa della societa’, laddove la stessa abbia posto in essere un comportamento inequivocabilmente inteso a rinunciare a quella azione, stante la sua mancata inclusione nel bilancio finale di liquidazione, facendo cosi’ venir meno l’oggetto stesso di una sua trasmissione successoria ai soci (cfr. Cass. S.U. 6070 e 6072/2013;
Cass. 16758/2010 e Cass. 23269/2016; Cass. 21517/2016, ove si e’ affermato che “la estinzione di una societa’ determinata dall’avvenuta sua cancellazione dal registro delle imprese per omesso deposito del bilancio per oltre tre anni consecutivi, non determina il venir meno dell’interesse alla decisione di un giudizio risarcitorio, pendente, intrapreso dal suo liquidatore: cio’ sia per la difficolta’ di distinguere, in assenza del bilancio di liquidazione, tra i diritti in cui siano succeduti i soci, ove all’estinzione societaria non sia seguito il venir meno di tutti i rapporti giuridici facenti capo all’ente estinto, e quelli destinati all’estinzione; sia, soprattutto, perche’ l’instaurazione e la prosecuzione di quel giudizio da parte del liquidatore non consentono di ritenere che la societa’ avesse rinunciato alla pretesa ivi azionata”; Cass. 8582/2018: “L’estinzione della societa’ per avvenuta cancellazione volontaria dal registro delle imprese non priva i soci dell’interesse alla decisione in un giudizio di accertamento di un credito sociale coltivato dal liquidatore prima di detta cancellazione, stante la qualificazione di tale iniziativa come attivita’ ulteriore escludente una rinuncia alla pretesa azionata e stante l’interesse dei soci anzidetti a determinare l’entita’ del rapporto giuridico facente capo all’ente estinto”).
Nella specie, tuttavia, la cancellazione della societa’ e’ stata disposta a seguito di chiusura della procedura fallimentare per mancanza dell’attivo (L. Fall., articolo 118, comma 1, n. 4, “quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, ne’ i crediti prededucibili e le spese di procedura”), su richiesta del Curatore fallimentare, ai sensi della L. Fall., articolo 118, nel testo vigente al momento della pronuncia qui impugnata.
Deve osservarsi che, con la riforma fallimentare del 2015, di cui al Decreto Legge n. 83 del 2015, convertito in L. n. 132 del 2015, sono stati aggiunti, alla fine dell’articolo 118, i seguenti periodi: “La chiusura della procedura di fallimento nel caso di cui al n. 3) – vale a dire quando e’ compiuta la ripartizione dell’attivo – non e’ impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore puo’ mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio, ai sensi dell’articolo 43. In deroga all’articolo 35, anche le rinunzie alle liti e le transazioni sono autorizzate dal giudice delegato. Le somme necessarie per spese future ed eventuali oneri relativi ai giudizi pendenti, nonche’ le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato, sono trattenute dal curatore secondo quanto previsto dall’articolo 117, comma 2. Dopo la chiusura della procedura di fallimento, le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti definitivi e gli eventuali residui degli accantonamenti sono fatti oggetto di riparto supplementare fra i creditori secondo le modalita’ disposte dal tribunale con il decreto di cui all’articolo 119. In relazione alle eventuali sopravvenienze attive derivanti dai giudizi pendenti non si fa luogo a riapertura del fallimento…”. Dunque, dopo la Novella del 2015, nel caso di ripartizione dell’attivo, la chiusura del fallimento non e’ impedita dalla pendenza di giudizi ed il curatore, in questo caso, puo’ mantenere la legittimazione processuale anche nei successivi stati e gradi del giudizio, fino alla definitiva conclusione della lite. La riportata disposizione evidenzia poi che, anche in presenza di sopravvenienze attive, non si origina la riapertura del fallimento di cui alla L. Fall., articolo 121 (quando emergano, nel patrimonio del fallito, “attivita’ in misura tale da rendere utile il provvedimento…”).
Nella specie, pero’ la chiusura del fallimento della societa’ (e la sua conseguente cancellazione obbligatoria dal Registro delle Imprese, su richiesta del Curatore, con estinzione della societa’, ai sensi dell’articolo 2495 c.c.) e’ stata disposta per insufficienza dell’attivo, ai sensi della L. Fall., articolo 118, n. 4).
Indubbiamente, non si e’ trattato di una cancellazione volontaria, ma di una cancellazione imposta ed eseguita ex lege, a seguito della chiusura del fallimento.
Tuttavia, nel caso esaminato vi e’ stato lo iato (o interruzione o soluzione di continuita’) rappresentato dal fallimento della societa’, non dichiarato in giudizio, ne’ dalle parti, ne’ rilevato dal giudice malgrado gli effetti dell’interruzione automatica L. Fall., ex articolo 43.
In effetti, dopo la Novella di cui al Decreto Legislativo n. 5 del 2006, in forza dell’articolo 43, comma 3, citato, la dichiarazione di fallimento produce automaticamente l’effetto interruttivo nei processi in corso; doveva percio’ trovare applicazione la L. Fall., articolo 43, come modificato dal Decreto Legislativo n. 5 del 2006, articolo 41, ed operante, ai sensi dell’articolo 153 del Decreto Legislativo citato, anche nei giudizi anteriormente pendenti, a partire dal 16 luglio 2006, con consequenziale automaticita’ dell’interruzione del processo a seguito della dichiarazione di fallimento, purche’ quest’ultima fosse intervenuta successivamente a tale data (Cass. n. 27165/2016; Cass. n. 5650/2013; sugli effetti dell’interruzione automatica del giudizio anche Cass. 9124/2017 e Cass. 2658/2019).
Il giudizio in oggetto e’ stato comunque interrotto, nel corso del grado di appello, ma solo successivamente alla cancellazione della societa’, L. Fall., ex articolo 118, e su istanza, del 2012, della societa’ appellata (asserita debitrice).
Ora, i soci della societa’, fallita ed estinta, ai fini della necessaria verifica della loro legittimazione ad agire, non avendo preso parte in precedenza al giudizio instaurato dalla societa’, per poterlo riassumere in qualita’ di successori della stessa (nel credito litigioso pendente), avrebbero dovuto allegare di avere, anteriormente alla chiusura della procedura, portato a conoscenza del curatore del fallimento il fatto che un credito fosse sub iudice. Invero, solo in tale ipotesi si poteva legittimamente ritenere (richiamando i principi delle Sezioni Unite nel 2013) che il credito – incerto ed illiquido, comunque non incluso, com’e’ pacifico, dal curatore del fallimento nel progetto di ripartizione finale, chiusosi per insufficienza dell’attivo, – fosse stato consapevolmente rinunciato dal curatore della societa’ fallita, non avendo costui coltivato la res litigiosa, e, una volta cancellata la societa’, si fosse trasferito ai soci quali successori ex lege della societa’.
Questa Corte, nella pronuncia n. 1771/2017, in tema, ha ulteriormente osservato che “l’effetto della tacita rinuncia della societa’ puo’ correttamente postularsi, nonostante l’obbligo ex lege del curatore di formulare richiesta di cancellazione della societa’ dal registro delle imprese in ipotesi di chiusura del fallimento per ripartizione finale dell’attivo ovvero per mancanza o insufficienza di attivo, a motivo della mancata proposizione da parte della societa’ fallita ovvero da parte di – ogni altro interessato – e’ il caso del socio o dell’amministratore – del reclamo L. Fall., ex articolo 36, avverso la richiesta di cancellazione – senza dubbio atto di amministrazione dello stesso curatore”.
Nulla di cio’ risulta essere stato allegato dai ricorrenti, con conseguente conferma della declaratoria di inammissibilita’ dell’atto di riassunzione in appello.
Invero, la “legitimatio ad causam”, attiva e passiva, consiste nella titolarita’ del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarita’ del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento (il principio, consolidato, e’ stato ribadito da Cass. S.U. 2951/2016, ove si e’ anche affermato che pure “la carenza di titolarita’, attiva o passiva, del rapporto controverso e’ rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa”).
E poiche’ la facolta’ di proporre impugnazione spetta solo ai soggetti partecipi del precedente grado di giudizio, nel quale siano rimasti soccombenti, e’ stato ritenuto da questa Corte che “chi intende proporre ricorso per cassazione nell’asserita qualita’ di erede della persona che partecipo’ al precedente giudizio di merito deve provare, tramite le produzioni consentite dall’articolo 372 c.p.c., a pena di inammissibilita’ del ricorso medesimo, sia il decesso della parte originaria del giudizio che l’asserita sua qualita’ di erede di detta parte” essendo “la mancanza di tale prova rilevabile d’ufficio, in quanto attiene alla titolarita’ del diritto processuale di adire il giudice dell’impugnazione e, pertanto, alla regolare costituzione del contraddittorio” (Cass. 15352/2010; in termini, Cass. 2131/2011; Cass. 12065/2014; Cass. 25655/2014; Cass.4116/2016; Cass. 15414/2017).
3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso proposto dall’ex amministratore della societa’ cancellata, (OMISSIS), e dagli ex socio (OMISSIS) e (OMISSIS) in applicazione del seguente principio di diritto:
“Anche in conseguenza della obbligatoria cancellazione dal registro delle imprese, ai sensi della L. Fall., articolo 118, n. 4, a seguito di chiusura del fallimento per insufficienza dell’attivo, si determina l’estinzione della societa’ ed un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori (ed i conseguenti crediti) facenti capo all’ente, ma che non siano stati realizzati dal curatore fallimentare, si trasferiscono ai soci in regime di contitolarita’ o comunione indivisa, salvo che il mancato espletamento del recupero giudiziale consenta di ritenere che la societa’ vi abbia rinunciato, a favore di una piu’ rapida conclusione del procedimento liquidatorio. Ove il credito litigioso pendente non sia stato portato, o dai soci o dagli amministratori o dai liquidatori, a conoscenza del curatore del fallimento, il quale non lo abbia percio’ incluso tra le voci dell’attivo da realizzare, si deve legittimamente ritenere che esso ab origine sia stato tacitamente rinunciato dalla societa’ e quindi non possa formare oggetto di recupero giudiziale in forza della legittimazione successoria dei soci a seguito della estinzione della societa’ fallita”.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimita’, liquida in complessivi Euro 5.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, nonche’ al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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