Esimente putativa dell’esercizio del diritto di critica

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 15 maggio 2019, n. 21145.

La massima estrapolata:

In tema di diffamazione, è configurabile l’esimente putativa dell’esercizio del diritto di critica nei confronti di chi abbia la ragionevole e giustificabile convinzione della veridicità dei fatti denunciati, lesivi dell’altrui reputazione, anche se di essa non sussista certezza processuale. (Fattispecie in cui la Corte ha censurato la decisione di condanna, evidenziando che, per il ricorrente, che non aveva accusato la persona offesa della commissione di reati, ma di generiche irregolarità amministrative, tale convinzione fondava sulle specifiche contestazioni formulate a carico della predetta nelle sedi penale e amministrativa e sulla destituzione dalla funzione manageriale espletata, disposta per riscontrate irregolarità).

Sentenza 15 maggio 2019, n. 21145

Data udienza 18 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. MORELLI Francesca – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
nel procedimento a carico di quest’ultimo;
avverso la sentenza del 14/11/2018 del TRIBUNALE di AGRIGENTO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere IRENE SCORDAMAGLIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CESQUI Elisabetta, che ha concluso chiedendo;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto di entrambi i ricorsi;
udito il difensore:
L’avv. (OMISSIS) insiste nell’accoglimento del ricorso e deposita conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione;
L’avv. (OMISSIS) espone i motivi di gravame e insiste nell’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Agrigento, investito degli appelli proposti dall’imputato (OMISSIS) e dalla parte civile (OMISSIS) avverso la sentenza del Giudice di Pace di quella citta’ del 5 aprile 2018, con pronuncia del 14 novembre 2018, ha parzialmente riformato la decisione gravata, escludendo il delitto di diffamazione contestato al (OMISSIS) quanto alle espressioni: “Bugiardo, calunnia, farnetica, minaccia” e riconoscendo il vincolo della continuazione tra le restanti condotte di reato; rideterminando l’importo delle spese sostenute dalla parte civile (OMISSIS) in relazione al giudizio di primo grado.
A ragione della conferma del riconoscimento della responsabilita’ del (OMISSIS) per il delitto di diffamazione continuata, commessa inviando, quale funzionario preposto al settore della gestione dei contratti di fornitura e servizi della ASP di (OMISSIS), oltre che all’ (OMISSIS), nella qualita’ di Direttore Generale della ASP di (OMISSIS), anche al Direttore Amministrativo, al Collegio dei Revisori dei Conti, all’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari della ASP di (OMISSIS) e all’Assessore Regionale per la Salute, tre missive – nel periodo compreso tra il luglio e l’ottobre 2010 – con le quali egli: si doleva:” del comportamento quantomeno inficiato da vizio di incompetenza” tenuto dal Direttore Generale della ASP e dell’assenza: “di significativi atti di governo” da parte del detto funzionario di vertice, nonche’ dell’abitudine di questi di incontrare fornitori e rappresentanti delle ditte con i quali contrattava prezzi prima della gara, in spregio alle norme di disciplina dei pubblici contratti; auspicava un possibile procedimento penale a carico del direttore generale per i delitti di abuso di ufficio, falso in atto pubblico e turbata liberta’ degli incanti; denunciava: “il mare di illegalita’ nel quale era venuta ad annegare la ASP di (OMISSIS)”, il Tribunale argomentava affermando che non era da dubitarsi: della oggettivita’ dell’offesa, posto che le espressioni utilizzate erano certamente idonee a screditare l’opinione che nell’ambiente sociale si aveva dell’ (OMISSIS), cui era attribuita una gestione illegale del proprio ufficio; della coscienza e volonta’ dell’imputato di screditare la reputazione professionale di (OMISSIS); dell’ingiustizia delle condotte tenute, posto che il diritto di critica che le avrebbe animate era insussistente, perche’ non erano stati allegati, ne’ provati, fatti illeciti in capo all’ (OMISSIS), che, infatti, era stato prosciolto dai reati addebitatigli.
A fondamento dell’accoglimento dell’appello della parte civile contro la liquidazione delle spese che le dovevano essere corrisposte per l’attivita’ difensiva nel giudizio di primo grado, assumeva che le stesse dovessero essere piu’ congruamente determinate, con esclusione delle spese sostenute nella fase delle indagini preliminari, tenuto conto dei valori medi stabili dai parametri di cui alla Tabella del Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, con riduzione del 20% in assenza di questioni di particolare rilievo.
2. Insorgono contro l’illustrata decisione sia l’imputato che la parte civile.
2.1. Il ricorso dell’imputato e’ affidato ad un solo articolato motivo, con il quale e’ denunciato il vizio di violazione di legge, in relazione all’articoli 595 c.p., e il vizio di motivazione. All’uopo viene evidenziato che l’intento dell’odierno ricorrente, che era pubblico ufficiale, non era quello di diffamare la persona offesa (OMISSIS), ma quello di segnalare e denunciare a funzionari ed uffici preposti ad attivita’ di controllo le gravi irregolarita’ riscontrate nell’espletamento della sua funzione. Segnalazioni e denunce da cui erano scaturiti sia un procedimento penale a carico della parte civile, ancorche’ non esitato in una condanna, sia rilievi di natura contabile da parte della Corte dei Conti; come anche la destituzione dell’ (OMISSIS) dalla funzione manageriale espletata per provvedimento assessoriale in ragione di irregolarita’ riscontrate. Donde non di un attacco gratuito alla persona si era trattato, ma della denuncia dei comportamenti tenuti dal Direttore Generale della ASP di (OMISSIS) suscettibili di destare sospetto quanto alla loro liceita’ e legittimita’: come del resto dimostrato dalla sottoposizione di questi a procedimenti amministrativi e penali.
2.2. il ricorso della parte civile e’ affidato a due motivi:
– il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge, in relazione agli articoli 592 e 541 c.p.p., e ai parametri di cui alla L. n. 247 del 2012, e il vizio di motivazione, passando analiticamente in rassegna le ragioni di illegittimita’ e di incongruita’ della liquidazione effettuata dal giudice di appello delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di primo grado;
– il secondo motivo deduce i medesimi vizi in relazione alla disposta compensazione delle spese sostenute dalle parti nel processo di appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso dell’imputato e’ fondato.
1. L’impugnante non contesta la ricostruzione dei fatti siccome operata dai giudici di merito, ma insorge contro la conclusione, rassegnata da questi ultimi, che le condotte ascrittegli fossero state animate dalla coscienza e volonta’ di diffamare il Direttore Generale della ASP di (OMISSIS) – ad un cui settore anch’egli era preposto -: le stesse, infatti, erano state mosse dall’intento di denunciare a funzionari o uffici dotati di poteri di controllo sulla ASP comportamenti da questi opinati come tali da integrare irregolarita’ gestionali e contabili e, finanche, reati contro la pubblica amministrazione. Comportamenti, quelli denunciati, che, peraltro, si erano rivelati dotati di un fondamento di verisimiglianza, dal momento che avevano stimolato l’istaurazione nei confronti dell’ (OMISSIS) di procedimenti amministrativi sanzionatori (rilievi in sede contabile da parte della Corte dei Conti; destituzione assessorale dalla funzione di Direttore Generale della ASP) e di un processo penale pur conclusosi con l’assoluzione: donde l’ulteriore rilievo afferente l’erronea esclusione dell’avere egli agito in presenza di una scriminante, identificata dal giudice censurato nell’esercizio del diritto di critica.
2. Invero, deve riconoscersi che il Tribunale, affermando, per un verso, che non era da dubitarsi dell’esistenza in capo all’imputato della coscienza e volonta’ di screditare la reputazione professionale di (OMISSIS) – risultato, quello della denigrazione, accettato quanto meno come evento probabile del proprio agire -, in ragione della durezza delle espressioni utilizzate (con assoluta padronanza) per dipingere le condotte di presunta illegalita’ ascritte all’ (OMISSIS); per altro verso, che era da escludersi che egli avesse agito in presenza di una causa di giustificazione, perche’ l’giudizi negativi espressi sul conto dell’ (OMISSIS) muovevano da fatti inesistenti, essendo stato questi scagionato dai reati ascrittigli, e’ incorso in errori di diritto oltre che in un difetto di motivazione.
3. V’e’ da rilevare che e’ ius receptum che, in tema di diffamazione, non puo’ trovare applicazione la scriminante del diritto di critica quando la condotta dell’agente trasmodi in aggressioni gratuite, non pertinenti ai temi in discussione ed integranti l’utilizzo di “argumenta ad hominem”, intesi a screditare l’avversario mediante la evocazione di una sua presunta indegnita’ od inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 – dep. 10/02/2011, P.M. in proc. Simeone e altri, Rv. 249239; Sez. 5, n. 38448 del 25/09/2001, Uccellobruno, Rv. 219998); che, invece, sussiste la detta esimente nel caso in cui un soggetto portatore di interessi di rilevanza collettiva indirizzi una o piu’ missive a persone dotate di specifici poteri funzionali, con le quali si censurano le scelte di un pubblico funzionario, preposto un servizio di rilevanza pubblica, ponendone in dubbio la regolarita’ e denunciando favoritismi (Sez. 5, n. 38962 del 04/06/2013, P.C. in proc. Di Michele, Rv. 257759; Sez. 5, n. 32180 del 12/06/2009, Dragone, Rv. 244495).
4. Nel caso in esame, emerge, in primo luogo, che nessuna delle espressioni, ascritte all’imputato e reputate come offensive, si rivolge all’ (OMISSIS) in quanto persona, attaccandolo nella sua dimensione privata, tutte concernendo, piuttosto, la funzione svolta e il suo modo di gestire la ASP di (OMISSIS) (Sez. 5, n. 18799 del 06/02/2008, Santillo, Rv. 239824; Sez. 5, n. 36077 del 09/07/2007, Mazzucco, Rv. 237726): critiche al suo operato rivoltegli in missive destinate a organi dotati di responsabilita’ politica (l’Assessore regionale alla salute) o a funzionari dotati di poteri di gestione amministrativa dell’ente pubblico e di controllo (il Direttore amministrativo, il Collegio dei revisori dei conti, l’Ufficio di disciplina) da un funzionario sottordinato, ma preposto ad un ufficio suscettibile di risentire delle scelte strategiche, giudicate non legittime, del responsabile dell’ente pubblico.
5. In secondo luogo spicca l’interpretazione riduttiva della verita’ del fatto oggetto delle opinioni o dei giudizi espressi dall’imputato offerta dal Tribunale.
Invero, la critica si concretizza nella manifestazione di un giudizio valutativo e presuppone un fatto che e’ assunto ad oggetto o a spunto del discorso critico (Sez. 1, n. 40930 del 27/09/2013, P.M. in proc. Travaglio e altro, Rv. 257794). Cio’ sta a significare che il giudizio valutativo e’ diverso dal fatto da cui trae spunto e a differenza di questo non puo’ pretendersi che sia “obiettivo” e neppure, in linea astratta, “vero” o “falso”. La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e, cioe’, un contenuto di veridicita’ limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (Sez. 5, n. 13549 del 20/02/2008, Pavone, Rv. 239825; Sez. 5, n. 13880 del 18/12/2007 – dep. 02/04/2008, Pandolfelli, Rv. 239816; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, PG in proc. Trevisan, Rv. 221904; Sez. 5, n. 13264 del 16/03/2005, non massimata; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, Rv. 221904; Sez. 5, n. 7499 del 14/02/2000, Rv. 216534).
In tal senso, del resto, si e’ espressa la giurisprudenza convenzionale, che ha affermato che la liberta’ di esprimere giudizi critici, cioe’ “giudizi di valore”, trova il solo, ma invalicabile, limite nella esistenza di un “sufficiente riscontro fattuale” (Corte Edu, sent. del 27.10.2005 caso Wirtshafts – Trend Zeitschriften – Verlags Gmbh c. Austria ric. n. 58547/00, nonche’ sent. del 29.11.2005, caso Rodrigues c. Portogallo, ric. n. 75088/01) e che, al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, e’ sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perche’, se la materialita’ dei fatti puo’ essere provata, l’esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata (Corte EdU, sent. del 1.7.1997 caso Oberschlick c. Austria par. 33).
6. In terzo luogo stupisce il silenzio serbato dal decidente sul requisito della continenza o meno delle espressioni utilizzate.
Giova rammentare che la stessa concerne un aspetto sostanziale e un profilo formale. La continenza sostanziale, o “materiale”, attiene alla natura e alla latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all’interesse pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di denunzia: essa si riferisce, dunque, alla quantita’ e alla selezione dell’informazione in funzione del tipo di resoconto e dell’utilita’/bisogno sociale di esso. La continenza formale attiene, invece, al modo con cui il racconto sul fatto e’ reso o il giudizio critico esternato, e cioe’ alla qualita’ della manifestazione: essa postula, quindi, una forma espositiva proporzionata, “corretta” in quanto non ingiustificatamente sovrabbondante al fine del concetto da esprimere.
Cio’ comporta che le modalita’ espressive non devono essere gratuitamente offensive. Tuttavia toni aspri o polemici non possono considerarsi di per se’ punibili quando siano proporzionati e funzionali all’opinione o alla protesta da esprimere (Sez. 5, n. 11905 del 05/11/1997, Farassino G, Rv. 209647).
7. Quanto detto permette, allora, di ribadire che la diversita’ dei contesti nei quali si svolge la critica, cosi’ come la differente responsabilita’ e funzione dei soggetti ai quali la critica e’ rivolta, possono quindi giustificare attacchi di grande violenza se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi: sono, in definitiva, gli interessi in gioco che segnano la “misura” delle espressioni consentite (Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014, P.M. in proc. Surano, Rv. 261122).
Tale principio deve trovare applicazione in primo luogo allorche’ le opinioni veementi siano rivolte a soggetti che detengono o rappresentano un potere pubblico, e siano dunque giustificate dalla sentita necessita’ di rispondere con durezza ad un esercizio del potere percepito come arbitrario o illegittimo, salvi, ovviamente, i non ammessi argumenta ad hominem.
8. Al lume delle indicazioni ermeneutiche passate in rassegna, va riconosciuto, quindi, che le espressioni inserite nelle missive a firma dell’imputato – alludenti: 1) ad “un comportamento quantomeno inficiato da vizio di incompetenza” tenuto dal Direttore Generale della ASP; all’assenza “di significativi atti di governo” da parte del detto funzionario di vertice; all’abitudine di questi di incontrare fornitori e rappresentanti delle ditte con i quali contrattava prezzi prima della gara, in spregio alle norme di disciplina dei pubblici contratti; ad un possibile procedimento penale a carico del direttore generale per i delitti di abuso di ufficio, falso in atto pubblico e turbata liberta’ degli incanti; alle denunce del “mare di illegalita’ nel quale era venuta ad annegare la ASP di (OMISSIS)” possono anche integrare “asprezze ed esagerazioni”, ma, collocate nel piu’ ampio contesto comunicativo del quale sono parte, che consente di intenderle nel loro giusto valore, rientrano certamente nel cono d’ombra della scriminante del diritto di critica, esercitato rispetto a valori ed interessi – il buon andamento, l’imparzialita’ e la trasparenza della pubblica amministrazione – che l’imputato ragionevolmente temeva potessero essere messi a repentaglio dai comportamenti del Direttore della ASP di (OMISSIS), come si desume dal riscontro fattuale dei procedimenti amministrativi e penali attivati a carico di quest’ultimo. Valori ed interessi che l’imputato pretendeva, a modo suo, di difendere: tale ultimo rilievo valendo anche ad escludere l’elemento soggettivo della diffamazione contestata.
9. E’ d’uopo, poi, rilevare che il Tribunale ha escluso la sussistenza della scriminante del diritto di critica perche’ in sede giudiziaria non era stata raggiunta la certezza della verita’ dei fatti addebitati all’ (OMISSIS) nelle missive a firma dell’imputato.
Cosi’ opinando, tuttavia, il giudice censurato non si e’ in alcun modo posto il problema della configurabilita’ putativa della causa di giustificazione invocata. Dalla mancanza di certezza processuale in ordine alla verita’ dei fatti addebitati ai Direttore Generale va tenuto distinto, infatti, il profilo della ragionevole e giustificabile convinzione in capo al (OMISSIS) che lo fossero; profilo da ritenersi esistente avuto riguardo alle circostanze che l’ (OMISSIS) fu raggiunto da specifiche contestazioni per il suo operato sia in sede amministrativa che in sede penale e che venne destituito dalla sua funzione. Anche sotto questo aspetto, dunque il fatto non e’ punibile: nulla, infatti, preclude l’applicabilita’ della regola dettata dall’articolo 59 c.p., comma 4, in riferimento all’esercizio del diritto di critica.
10. S’impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perche’ il fatto contestato al (OMISSIS) non costituisce reato, avendo egli agito in presenza di una causa di giustificazione o difettando il suo agire dell’elemento soggettivo.
11. L’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata determina la revoca di tutte le statuizioni civili adottate nei confronti dell’imputato nel giudizio di merito. Cio’ e’ sufficiente a comportare il rigetto del ricorso della parte civile.
12. Va, dunque, disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perche’ il fatto contestato all’imputato non costituisce reato. Segue la revoca delle statuizioni civili. Tanto determina il rigetto del ricorso della parte civile che deve essere condannata al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il fatto non costituisce reato, revoca le statuizioni civili.
Rigetta il ricorso della parte civile che condanna al pagamento delle spese processuali.

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