In tema di sequestro preventivo

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 15 maggio 2019, n. 21157.

La massima estrapolata:

In tema di sequestro preventivo, il giudice del riesame è tenuto a devolvere al giudice civile l’eventuale controversia sulla proprietà della cosa esclusivamente quando intenda restituirla e cioè nel caso in cui proceda all’annullamento per qualsiasi ragione del provvedimento cautelare. (In applicazione del principio, la Corte ha disatteso il motivo di ricorso inteso a censurare la mancata applicazione dell’art. 324, comma 8, cod. proc. pen. per la soluzione della controversia proprietaria incidente, nella prospettazione difensiva, sulla configurabilità delle fattispecie ipotizzate nel provvedimento cautelare confermato dal tribunale).

Sentenza 15 maggio 2019, n. 21157

Data udienza 26 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – rel. Consigliere

Dott. borrelli Paola – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi presentati da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 14/2/2019 del Tribunale di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Seccia Domenico, che ha concluso per l’inammissibilita’ dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Salerno ha rigettato l’istanza di riesame proposta da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso il provvedimento di sequestro preventivo dell’area considerata di destinazione all’uso comune di un fabbricato ubicato lungo la (OMISSIS), disposto nel procedimento a carico dei suindicati indagati per i reati di violazione di domicilio aggravato, violenza privata aggravata consumata e tentata, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni volontarie tentate, come agli stessi rispettivamente contestati. La vicenda riguarda la controversia instauratasi tra (OMISSIS) e i suoi familiari e (OMISSIS), aggiudicatario in procedura esecutiva dell’appartamento sito nel menzionato fabbricato gia’ di proprieta’ della madre dell’indagato, in merito alla destinazione a pertinenza del fabbricato di un’area che lo circonda e di cui, invece, lo (OMISSIS) rivendica l’esclusiva proprieta’ e comunque l’esclusione dall’oggetto del pignoramento che ha portato all’acquisto del (OMISSIS).
2. Avverso l’ordinanza ricorrono con unico atto a firma del comune difensore tutti gli indagati articolando quattro motivi. Premesso che con il medesimo atto gli indagati hanno altresi’/impugnato il diverso provvedimento in pari data con il quale il Tribunale ha rigettato anche l’istanza di riesame avverso l’ordinanza con cui e’ stata loro applicata la misura cautelare di cui all’articolo 282-ter c.p.p., con i primi tre motivi di ricorso vengono dedotti inosservanza od errata applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati contestati, evidenziandosi, in riferimento alle produzioni documentali difensive, illogicita’ e carenze argomentative dell’ordinanza impugnata. In tal senso, nell’ambito del terzo motivo, si lamenta altresi’ l’errata qualificazione dei fatti attribuiti agli indagati, inquadrabili al piu’ nello schema dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, giacche’ i fatti eventualmente rimproverabili ai ricorrenti si qualificherebbero nell’elemento soggettivo in tal senso alla luce della vertenza civilistica pendente tra le parti al fine di stabilire l’appartenenza – comune od esclusiva – proprio dell’area sottoposta a vincolo e che il Tribunale illogicamente ha sostanzialmente ritenuto neutra. Con il quarto motivo e con specifico riferimento alla cautela reale i ricorrenti deducono violazione dell’articolo 321 c.p.p. in merito alla sussistenza del fumus dei delitti contestati – richiamandosi in proposito alle argomentazioni dispiegate nei motivi precedenti – nonche’ dell’articolo 324 c.p.p., comma 8, evidenziando come il Tribunale si sarebbe indebitamente sostituito al giudice civile nell’attestare il diritto di passaggio delle persone offese sull’area in sequestro, la cui natura pertinenziale all’immobile di proprieta’ delle medesime e’ per l’appunto l’oggetto della controversia pendente dinanzi a tale giudice, mentre avrebbe dovuto rinviare la decisione sul punto a quest’ultimo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Inammissibili sono innanzi tutto i ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che non risultano titolari di alcun diritto sul bene in sequestro sulla base degli atti disponibili e di quelli allegati dalla difesa e che pertanto non vantano, ne’ hanno prospettato un interesse concreto ad impugnare il provvedimento del giudice del riesame, sempre sussistente in capo all’indagato o all’imputato esclusivamente in caso di sequestro probatorio. In proposito deve,infatti, ribadirsi il consolidato insegnamento di questa Corte per cui l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo e’ legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare e successivamente ricorso per cassazione solo in quanto vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame, interesse che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (ex multis Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017, Ruan e altri, Rv. 271231). Ne consegue che, nell’ipotesi in cui l’indagato non sia titolare del bene sottoposto a sequestro, in tanto puo’ impugnare, in quanto il provvedimento ablativo abbia prodotto una lesione nella sua sfera giuridica e che l’eventuale eliminazione o riforma del provvedimento stesso abbia l’effetto di render possibile il conseguimento di un risultato a lui giuridicamente favorevole (Sez. 6, n. 41682 del 30/10/2008, Hussein, Rv. 241921), il che i sunnominati ricorrenti non solo non hanno dimostrato, ma nemmeno prospettato.
3. Peraltro, come accennato, i motivi di ricorso – che in ogni caso devono essere esaminati con riferimento alla posizione di (OMISSIS) – sono comunque inammissibili.
3.1 Preliminarmente e’ opportuno ricordare che non e’ consentito aggirare i limiti posti dall’articolo 325 c.p.p. alla ricorribilita’ delle ordinanze in materia cautelare reale, ammessa dalla norma citata solo per violazione di legge, qualificando come difetto assoluto della motivazione qualsivoglia vizio afferente alla medesima. Perche’ effettivamente ricorra l’ipotesi di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c) e’ invece necessario che l’apparato giustificativo del provvedimento impugnato risulti o del tutto mancante o, quanto meno, privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. un. 25932 del 29 maggio 2008, Ivanov, rv 239692; Sez. Un., n. 5876 del 28 gennaio 2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710).
3.2 Difetto che nel caso di specie non ricorre, atteso che il Tribunale, con riferimento al fumus dei delitti contestati ha sviluppato un articolato apparato giustificativo anche a confutazione dei rilievi svolti dalla difesa nel giudizio di riesame. Nel quarto motivo di ricorso, al di la’ della assertiva evocazione di un per l’appunto insussistente difetto assoluto della motivazione del provvedimento impugnato, vengono in realta’ richiamate le censure svolte nei motivi precedenti, con i quali si lamentano invece mere carenze o illogicita’ del discorso giustificativo sviluppato dai giudici del riesame, di per se’ indeducibili, come detto, nel giudizio di legittimita’ in tema di cautele reali.
3.3 Inconferente ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti per l’adozione del sequestro e’,invece,l’obiezione svolta con il terzo motivo in merito alla errata qualificazione dei fatti in contestazione. Anche qualora volesse accedersi alla tesi dei ricorrenti, infatti, l’invocata derubricazione non sarebbe ostativa, come nel caso della misura personale, all’intervento cautelare reale.
3.4 Quanto infine alla eccepita violazione dell’articolo 324 c.p.p., comma 8, le censure sviluppate con l’atto di impugnazione devono ritenersi manifestamente infondate. Tale disposizione deve essere infatti coordinata con quelle di cui al comma 7 cit. articolo e di cui all’articolo 263 c.p.p., comma 3 ricavandosene il principio per cui il giudice del riesame e’ tenuto a devolvere a quello civile l’eventuale controversia sulla proprieta’ della cosa esclusivamente qualora intenda restituirla e cioe’ nel caso in cui proceda all’annullamento per qualsiasi ragione del provvedimento cautelare. Conclusione che peraltro e’ agevole raggiungere anche solo considerando l’obbligo di mantenimento del sequestro previsto dall’articolo 324, cit. comma 8 nelle more della decisione del giudice civile. Avendo invece il Tribunale rigettato l’istanza di riesame e mantenuto il sequestro, non gravava sul medesimo alcun onere di devoluzione, trovando applicazione la regola generale prevista dall’articolo 2 c.p.p., che legittima il giudice penale ad esprimersi – peraltro con valore meramente incidentale su tutte le questioni pregiudiziali alla sua decisione. Peraltro dalla motivazione del provvedimento impugnato emerge come il giudice del riesame nemmeno abbia inteso affermare l’effettivita’ del diritto di (OMISSIS), ritenendo fondato l’intervento cautelare nella sua genuina funzione impeditiva. In altri termine:, la ratio della decisione impugnata e’ quella per cui in ogni caso sia necessario mantenere il sequestro dell’area in quanto la sua libera contesa anche al di fuori delle aule di giustizia costituisce potenziale occasione di ulteriori azioni criminose, come ragionevolmente desumibile dai fatti in contestazione per come accertati allo stato degli atti.
4. Alla declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi consegue ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro tremila alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.

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