Esercizio abusivo di attività di gioco o scommessa

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 3 maggio 2019, n. 18590.

La massima estrapolata:

In tema di esercizio abusivo di attività di gioco o scommessa, qualora il gestore di un centro scommesse italiano affiliato a un bookmaker straniero metta a disposizione dei clienti il proprio conto-giochi o un conto-giochi intestato a soggetti di comodo, consentendo la giocata senza far risultare chi l’abbia realmente effettuata, è configurabile il reato di cui all’art. 4, comma 4-bis, della legge 13 dicembre 1989, n. 401, essendo realizzata un’illegittima intermediazione nella raccolta delle scommesse che rende irrilevante l’esistenza di titoli autorizzatori o concessori in capo a detto bookmaker.

Sentenza 3 maggio 2019, n. 18590

Data udienza 9 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania del 9 marzo 2018;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal presidente;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Fimiani Pasquale che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

– Con sentenza del 9 marzo 2018, la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Catania, in composizione monocratica, del 24 luglio 2017, con la quale l’imputata era stata condannata alla pena di mesi sei di reclusione, per il reato di cui alla L. n. 401 del 1989, articolo 4, commi 1, 4-bis e 4-ter perche’, nella qualita’ di titolare di una sala giochi, in mancanza di concessione e autorizzazione, svolgeva attivita’ organizzata al fine di accettare, raccogliere o comunque favorire l’accettazione o la raccolta anche in via telematica di scommesse per conto della societa’ estera (OMISSIS).
2. – Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difenso7e, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, la difesa lamenta la violazione e l’inosservanza delle norme processuali e la nullita’ per mancata correlazione tra sentenza e imputazione ex articolo 521 c.p.p., sull’assunto che sarebbero state ricondotte all’interno della norma incriminatrice condotte alla stessa estranee, in quanto il giudice avrebbe dovuto verificare se (OMISSIS) fosse in possesso delle autorizzazioni in Austria e, solo in assenza di queste, avrebbe dovuto ritenere sussistente il reato.
2.2. – Con un secondo motivo di ricorso, la ricorrente censura il vizio di motivazione nella misura in cui non risulterebbero identificati gli elementi costitutivi del reato in contestazione, ne’ adeguatamente motivata la sussistenza dell’elemento psicologico.
2.3. – In terzo luogo, la difesa lamenta il vizio di motivazione in riferimento agli elementi costitutivi del reato in discussione. Nel caso di specie, infatti, durante un accertamento della Guardia di Finanza, si era rilevata l’installazione di una “postazione dotata di terminale informatico” utilizzata per la raccolta e la gestione delle scommesse. A parere della difesa, l’imputata metteva a disposizione dell’utente solamente dei supporti informatici con libera connessione a internet, sicche’ l’attivita’ posta in essere dall’utente finale era riconducibile solo al suo alveo di responsabilita’, non anche a quella dell’imputata. La difesa richiama inoltre la questione della compatibilita’ della disciplina italiana in materia di giochi e scommesse con la normativa comunitaria e con la liberta’ di stabilimento e di impresi, sanciti dagli articoli 43 e ss. e 49 e ss. del Trattato istitutivo della Comunita’ Europea, la quale ammette solo restrizioni che siano giustificate dalla partecipazione all’esercizio dei pubblici poteri, da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanita’ pubblica. Dunque, al di la’ dell’assenza del titolo concessorio, non risulterebbero motivi ostativi riconducibili al pubblico interesse o al mantenimento della sicurezza pubblica – all’esercizio da parte della societa’ (OMISSIS) dell’attivita’ nel settore delle scommesse, posto che la medesima e’ in possesso della regolare licenza austriaca, rilasciata all’esito di controlli svolti dalle competenti autorita’ per la tutela dell’ordine pubblico del tutto equivalenti a quelli previsti dalla normativa italiana per l’accertamento dei requisiti di moralita’, affidabilita’ e trasparenza e solidita’ economica del bookmaker; andrebbe percio’ riconosciuto il diritto della societa’ austriaca e dei suoi affiliati di operare in Italia, dovendosi disapplicare la normativa italiana in contrasto con la disciplina Europea.
2.4. – Con un quarto e un quinto motivo di ricorso (dei quali l’ottavo motivo costituisce la sostanziale ripetizione), la difesa censura il vizio di motivazione e l’inosservanza delle norme processuali, con riferimento alla mancata indicazione, nella sentenza di appello, degli elementi a carico dell’imputata, di natura oggettiva, logica e rappresentativa, che potessero dimostrare “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” la sua responsabilita’: il giudice non avrebbe dovuto limitarsi a riproporre gli argomenti descrittivi della rubrica, fornendone un’interpretazione conforme all’ipotesi di accusa, ma sarebbe stato necessario l’accertamento concreto della responsabilita’ nel caso di specie.
2.5. – Con una sesta censura, si lamenta il vizio di motivazione per mancata dichiarazione di improcedibilita’ per tenuita’ del danno. Si ricorda che la disciplina dell’articolo 131 bis c.p., prevede la necessaria verifica della particolare tenuita’ dell’offesa, della non abitualita’ del comportamento, della modalita’ della condotta e dell’esiguita’ del danno o del pericolo cagionati e si sostiene che la Corte di merito avrebbe dovuto valutare anche gli effetti patrimoniali della condotta, tenute in considerazione le condizioni economiche dell’odierna imputata e gli altri elementi dell’articolo 133 c.p..
2.6. – Con un settimo motivo, la difesa censura l’inosservanza delle norme penali con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, per la modestia del fatto in contestazione, il comportamento tenuto dall’odierna imputata nella commissione del reato, l’inconsapevole condotta posta in essere, le motivazioni che hanno determinato il reato e l’assoluta incensuratezza. Infine, si censura la mancanza di motivazione in ordine alla tipologia della pena – reclusione piuttosto che arresto – alla misura e all’entita’ della sanzione in concreto inflitta e alla mancata concessione del beneficio della “non menzione”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. – Il ricorso e’ inammissibile.
3.1. – Il primo motivo – relativo alla violazione delle norme processuali e alla nullita’ per mancata correlazione tra sentenza e imputazione ex articolo 521 c.p.p. – e’ inammissibile per genericita’.
Nel caso di specie, infatti, la difesa tratta solamente la questione del regime giuridico dell’allibratore straniero in territorio austriaco – come si vedra’, comunque irrilevante nel caso di specie – non facendo alcun riferimento all’oggetto della doglianza, ne’ tantomeno individuando atti processuali da cui possa emergere il vizio lamentato. E deve ricordarsi che dal motivo di censura deve necessariamente emergere la correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (ex plurimis, Sez. U., n. 8825 del 27/10/2018, Rv. 268823; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568).
– Il secondo motivo di ricorso, con cui la ricorrente censura il vizio di motivazione, e’ parimenti inammissibile.
Preliminarmente, e’ opportuno ribadire che il controllo sulla motivazione del giudice di legittimita’ resta circoscritto, per espresso dettato normativo dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), al solo accertamento della congruita’ e coerenza dell’apparato argomentativo e non puo’ consistere in una diversa lettura degli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione o nella scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne deriva che, se le doglianze del ricorrente non sono idonee a disarticolare la logicita’ e la linearita’ del provvedimento impugnato, queste devono essere ritenute inammissibili perche’ proposte per motivi diversi da quelli consentit (ex plurimis, Sez. fer., n. 30880 del 2/08/2011; Sez. 6, n. 32878 del 20/07/2011; Sez. 1, n. 33028 del 14/07/2011).
Nel caso di specie, la difesa lamenta la mancata identificazione degli elementi costitutivi del reato in contestazione e l’insussistenza dell’elemento psicologico, senza argomentare tale doglianza, non richiamando, neanche a fini di critica, i passaggi motivazionali della sentenza impugnata rilevanti in tal senso. Non contesta, in particolare, la corretta e logica affermazione della Corte d’appello, secondo cui l’imputata, al fine di consentire le giocate, metteva a disposizione dei clienti il proprio conto-giochi e poi provvedeva alla stampa delle giocate stesse, cosicche’ era lei che figurava quale “scommettitore”, rispetto alle operazioni poste in essere per conto dei terzi interessati con la societa’ (OMISSIS). Tale modo di procedere configura una illegittima intermediazione, che rerde irrilevante la questione dell’esistenza di titoli autorizzatori o concessori in capo alla (OMISSIS), essendo il legame con la stessa una mera occasione per l’esercizio illecito della raccolta di scommesse da parte dell’imputata. Dunque, si attaglia pienamente alla fattispecie in esame il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di esercizio abusivo di attivita’ di gioco o scommessa, l’avere posto in essere, mediante attivita’ di intermediazione e raccolta diretta delle scommesse, la condotta prevista dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, articolo 4, comma 4-bis, che non sia limitata alla mera trasmissione delle scommesse effettuate dai clienti ad un allibratore straniero, esclude ogni profilo discriminatorio nella partecipazione dello stesso alle gare, dal momento che l’attivita’ e la conseguente necessita’ di titolo autorizzativo va individuata direttamente in capo all’operatore italiano (ex plurimis, Sez. 3, n. 889 del 28/06/2017, dep. 12/01/2018, Rv. 271977 – 01; Sez. 3, n. 44381 del 15/09/2016, Rv. 269282 – 01; Sez. 3, n. 19248 del 08/03/2012, Rv. 252623 – 01). Deve dunque affermarsi che, qualora il gestore di un centro scommesse italiano affiliato a un bookmaker straniero metta a disposizione dei clienti il proprio conto-giochi o un conto giochi-intestato a soggetti di comodo, consentendo la giocata senza far risultare chi la abbia realmente effettuata, il suo legame con detto bookamaker diviene irrilevante, configurandosi come una mera occasione per l’esercizio illecito della raccolta di scommesse.
3.3. – Il terzo motivo di ricorso, relativo alla manifesta illogicita’ della motivazione, e’ manifestamente infondato.
Preliminarmente, la difesa afferma – contro l’evidenza – che l’imputata era “regola-mente munita di tutte le autorizzazioni di legge” e che, in quanto tale, la stessa metteva solamente a disposizione degli utenti finali le apparecchiature telematiche per permetere il contatto tra lo scommettitore e il bookmaker. Quanto al possesso da parte della (OMISSIS) delle autorizzazioni di legge, gia’ la sentenza di primo grado ha chiarito che: “sebbene fosse stata formulata richiesta in tal senso, la (OMISSIS) non era in grado di fornire ed esibire alcuna concessione o autorizzazione di P.S. previste dall’articolo 88 T.U.L.P.S.”; quanto, invece, al preteso non coinvolgimento dell’imputata nell’attivita’ di accettazione e raccolta in via telematica delle scommesse per conto della societa’ estera, la Corte ci appello ha evidenziato – come appena visto – che l’imputata ha posto in essere una condotta attiva di messa a disposizione di un conto-gioco di comodo, che rende irrilevante il suo eventuale legame commerciale con la (OMISSIS).
3.4. – Il quarto, il quinto e l’ottavo motivo di ricorso – con i quali la difesa censura il vizio di motivazione e l’inosservanza delle norme processuali con riferimento alla mancata indicazione, nella sentenza di appello, degli elementi a carico dell’imputata, di natura oggettiva, logica e rappresentativa, che potessero dimostrare “al di la’ di ogni ragionevole dubbio’ la responsabilita’ della stessa in ordine al fatto ascrittole – sono inammissibili perche’ formulati in modo non specifico. La difesa non contesta, neanche in via di mera prospettazione, la conforme valutazione dei giudici di primo e secondo grado, riferita a prove documentali quali gli scontrini, privi del logo dell’A.A.M.S. e del numero di concessione, afferenti a giocate a distanza, poco prima effettuate telematicamente attraverso il sito (OMISSIS), nonche’ alle dichiarazioni testimoniali degli ufficiali di polizia giudiziaria che hanno proceduto all’accertamento dei fatti.
3.5. – Il sesto motivo di ricorso, relativo alla mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione per la mancata dichiarazione di improcedibilita’ per tenuita’ del danno, e’ parimenti inammissibile per genericita’. Infatti, sebbene la ricorrente abbia richiamato i principi di diritto che avrebbero dovuto essere vagliati dalla Corte territoriale per verificare la sussistenza della particolare tenuita’ dell’offesa, la modalita’ della condotta e l’esiguita’ del danno o del pericolo, manca nel ricorso una compiuta illustrazione delle ragioni dell’applicabilita’ degli stessi al caso concreto; per di piu’ a fronte di una condotta, quella della creazione di un conto-gioco di comodo in un esercizio commerciale, che denota di per se’ una ripetitivita’ dei profitti illeciti e una significativa intensita’ del dolo.
3.6. – Il settimo motivo di ricorso – relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, alla scelta della tipologia della pena (reclusione piuttosto che arresto), alla misura e all’entita’ della pena, nonche’ alla mancata concessione del beneficio della “non menzione” – e’ inammissibile perche’ costituisce la mera riproduzione di una analoga censura proposta in appello, del tutto priva di specificita’. La motivazione della sentenza impugnata risulta, in ogni caso, del tutto logica e coerente laddove esclude la concebilita’ delle circostanze attenuanti generiche e conferma il trattamento sanzionatorio, peraltro assai contenuto, sulla base della gravita’ del fatto, trattandosi di una condotta illecita svolta stabilmente in un apposito esercizio aperto al pubblico. Ne’ la difesa spiega le ragioni per cui, tra le varie fattispecie sanzionatorie previste dalla L. n. 401 del 1989, articolo 4, comma 1, la condotta dell’imputata debba essere fatta rientrare nell’ambito di quelle punite con l’arresto anziche’ con la reclusione.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese de, procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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