Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 14 giugno 2019, n. 16068.
La massima estrapolata:
In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, il certificato di destinazione urbanistica costituisce una condizione dell’azione e non un presupposto della domanda, potendo, pertanto, intervenire anche in corso di causa nonché nel corso del giudizio d’appello, purché prima della relativa decisione. Ne consegue che l’allegazione e la documentazione della sua esistenza è sottratta alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti e la carenza del relativo documento è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Ordinanza 14 giugno 2019, n. 16068
Data udienza 20 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9006/2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2421/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/03/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificata l’8.11.2000 (OMISSIS) evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Roma (OMISSIS) per sentir pronunciare ex articolo 2932 c.c., sentenza avente luogo del contratto non concluso e quindi trasferire a proprio favore la proprieta’ di un terreno sito in (OMISSIS). L’attore esponeva di aver formulato, presso l’agenzia immobiliare che era stata incaricata della vendita dell’immobile di cui e’ causa, una proposta di acquisto conforme alla richiesta della convenuta e deduceva che detta proposta era stata accettata, con conseguente costituzione del vincolo contrattuale tra le parti.
Si costituiva la convenuta resistendo alla domanda ed il contraddittorio veniva poi integrato nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti eredi di (OMISSIS), comproprietario del bene controverso insieme alla vedova (OMISSIS).
Con sentenza n. 12548/2006 il Tribunale accoglieva la domanda ex articolo 2932 c.c. e ordinava il trasferimento dell’immobile nei soli confronti di (OMISSIS), respingendo invece la domanda risarcitoria in quanto non provata.
Interponeva appello (OMISSIS) invocando la sentenza costitutiva ex articolo 2932 c.c., anche nei confronti degli altri contitolari del bene oggetto di causa, che avevano espressamente accettato la proposta di acquisto formulata dall’appellante dopo il decesso del loro dante causa (OMISSIS). Inoltre, l’appellante contestava il rigetto della domanda risarcitoria, invocando la liquidazione equitativa del danno subito. Gli odierni controricorrenti si costituivano resistendo al gravame e spiegando a loro volta appello incidentale per la riforma integrale della prima decisione.
Con la sentenza oggi impugnata, n. 2421/2014, la Corte di Appello di Roma rigettava l’appello incidentale accogliendo invece il principale e pronunciando sentenza costitutiva ex articolo 2932 c.c., nei confronti di tutti i comproprietari del bene immobile compromesso in vendita tra le parti.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
I ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 c.c. e segg., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato la proposta di acquisto da loro accettata come contratto preliminare di compravendita, laddove essa avrebbe potuto essere al massimo considerata come mera puntuazione, come tale insuscettibile di ricevere la tutela costitutiva di cui all’articolo 2932 c.c..
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 1351 e 2932 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che la proposta contrattuale, in se’ non idonea a costituire contratto preliminare di compravendita, si collocava nella fase delle trattative prenegoziali, con conseguente impossibilita’ di attivare la specifica tutela costitutiva prevista dall’articolo 2932 c.c..
Le due doglianze, che possono essere trattate congiuntamente, sono inammissibili.
Si deve ribadire, innanzitutto, il principio per cui “In tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volonta’ dei contraenti – e’ un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimita’ solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli articoli 1362 c.c. e segg., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volonta’ nello schema legale corrispondente- risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche puo’ formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimita’ sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto cosi’ come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 29111 del 05/12/2017, Rv. 646340; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 420 del 12/01/2006, Rv. 586972).
Nel caso di specie, la Corte romana ha ritenuto che per effetto della circostanza che gli odierni ricorrenti avessero firmato per accettazione la proposta di acquisto in data 4.8.2000 – e quindi successivamente al decesso del loro dante causa (OMISSIS), venuto a mancare il 29.5.2000 – gli stessi si fossero “… personalmente impegnati, in luogo del dante causa, alla conclusione dell’operazione immobiliare, ed il rifiuto opposto alla sottoscrizione del contratto preliminare di compravendita integra inadempimento delle obbligazioni assunte” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata). La Corte di secondo grado ha inoltre ritenuto che “… poiche’ la proposta accettata dagli appellati contiene tutti gli elementi essenziali del contratto di compravendita,… il previsto compromesso ha natura di negozio meramente riproduttivo del consenso gia’ prestato e la sua mancata conclusione non osta alla proposizione della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere la vendita dell’immobile ed alla pronuncia di una sentenza che realizzi il trasferimento della proprieta’ del bene, sufficientemente individuato dalle parti, ove il promissario acquirente abbia offerto, con l’atto introduttivo del giudizio, il pagamento del prezzo”(cfr. pag. 4).
La ricostruzione logica operata dal giudice di merito appare coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui “In tema di minuta o di puntuazione del contratto, qualora l’intesa raggiunta dalle parti abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto non e’ configurabile un impegno con funzione meramente preparatoria di un futuro negozio, dovendo ritenersi formata la volonta’ attuale di un accordo contrattuale; per tale valutazione, ben puo’ il giudice far ricorso ai criteri interpretativi dettati dagli articoli 1362 c.c. e segg., i quali mirano a consentire la ricostruzione della volonta’ delle parti, operazione che non assume carattere diverso quando sia questione, invece che di stabilirne il contenuto, di verificare anzitutto se le parti abbiano inteso esprimere un assetto d’interessi giuridicamente vincolante, dovendo il giudice accertare, al di la’ del nomen iuris e della lettera dell’atto, la volonta’ negoziale con riferimento sia al comportamento, anche successivo, comune delle parti, sia alla disciplina complessiva dettata dalle stesse, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2720 del 04/02/2009, Rv. 606500).
In applicazione di detto principio si e’ affermato che “Ai fini della configurabilita’ di un vincolo contrattuale definitivo, e’ necessario che l’accordo delle parti si formi su tutti gli elementi di cui all’articolo 1325 c.c., non potendosene ravvisare la sussistenza ove i contraenti abbiano raggiunto un’intesa soltanto sugli elementi essenziali, rinviando ad un momento successivo la determinazione di quelli accessori. Cio’ non di meno, in base al generale principio dell’autonomia contrattuale di cui all’articolo 1322 c.c., un contratto con gli effetti di cui all’articolo 1372 c.c., puo’ considerarsi perfezionato ove, alla stregua della comune intenzione delle parti, possa ritenersi che le stesse abbiano inteso come vincolante un determinato assetto, anche se per taluni aspetti siano necessarie ulteriori specificazioni, il cui contenuto sia, pero’, da configurare come mera esecuzione del contratto gia’ concluso (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 30851 del 29/11/2018 (Rv. 651863).
L’accertamento relativo alla natura dell’accordo stipulato ai fini di individuare se esso integri contratto preliminare o mera puntuazione si traduce quindi nell’interpretazione della volonta’ negoziale delle parti secondo i criteri di cui agli articoli 1362 c.c. e segg., ed implica un apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimita’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13067 del 14/07/2004, Rv. 574568; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 667 del 18/01/2012, Rv. 621389).
In conseguenza di quanto esposto, non e’ possibile operare in questa sede una revisione della valutazione di fatto e dell’apprezzamento delle risultanze della proposta di acquisto oggetto del presente giudizio operati dal giudice del merito, in continuita’ al principio posto da Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 115, 116 c.p.c. e articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 perche’ la Corte di Appello non avrebbe potuto concedere all’attore un termine per depositare il certificato di destinazione urbanistica dell’immobile oggetto di causa. Ad avviso dei ricorrenti, infatti, era semmai il (OMISSIS) a poter chiedere di essere autorizzato alla produzione, e la Corte territoriale avrebbe potuto al massimo autorizzare il deposito, ma mai invitare d’ufficio la parte a depositare il documento mancante agli atti del giudizio.
La doglianza e’ inammissibile ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 1, in quanto il certificato di destinazione urbanistica non costituisce presupposto della domanda ma condizione dell’azione, ond’esso deve essere acquisito agli atti del giudizio al momento della decisione. Di conseguenza, puo’ ben essere prodotta anche in appello, sottraendosi il suo deposito alle preclusioni ordinarie previste dal rito. In termini, cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 23825 dell’11/11/2009, Rv. 609752, secondo la quale “In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, la sussistenza della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 40, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, non costituisce un presupposto della domanda, bensi’ una condizione dell’azione, che puo’ intervenire anche in corso di causa e sino al momento della decisione della lite. Ne consegue che la carenza del relativo documento e’ rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, con l’ulteriore conseguenza che sia l’allegazione, che la documentazione della sua esistenza, si sottraggono alle preclusioni che regolano la normale attivita’ di deduzione e produzione delle parti e possono quindi avvenire anche nel corso del giudizio di appello, purche’ prima della relativa decisione” (conf. Cass. Sez. 2,
Sentenza n. 17419 del 23/07/2010, Rv. 614722; cfr. anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6684 del 07/03/2019, Rv. 652937).
Il principio va esteso anche al certificato di destinazione urbanistica, posto che esso – in modo assolutamente analogo alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio della L. n. 47 del 1985, ex articolo 40, attestante l’inizio dell’opera prima del 2.9.1967 – va acquisito agli atti del giudizio allo scopo di assicurare la trasferibilita’ del bene immobile oggetto della controversia.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiche’ il ricorso per cassazione e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ dichiarato inammissibile, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
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