Esecuzione di opere in zona distante meno di trenta metri dal demanio marittimo

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 17 gennaio 2020, n. 1724

Massima estrapolata:

Il reato di esecuzione, senza autorizzazione o in violazione della stessa, di opere in zona distante meno di trenta metri dal demanio marittimo (cd. fascia di rispetto), previsto dagli artt. 55 e 1161 del codice della navigazione, ha natura permanente e cessa solo con il conseguimento dell’autorizzazione prescritta o con la demolizione del manufatto edificato entro la fascia demaniale. L’art. 55 cod. nav. presuppone l’esecuzione di «nuove opere» in prossimità del demanio marittimo e queste devono essere appunto caratterizzate dalla novità rispetto al preesistente, circostanza che può configurarsi nell’esecuzione di manufatti in precedenza non esistenti ovvero mediante significative trasformazioni di quanto preesistente, come nel caso di creazione di nuovi volumi o superfici ovvero mutamento di sagoma e non anche in meri interventi di manutenzione ordinaria. Fattispecie, occupazione di area demaniale marittima e realizzazione di innovazioni non autorizzate in specie costruzione di un manufatto in calcestruzzo ad un piano fuori terra di metri quadrati 240 circa, con annessa veranda sempre in calcestruzzo per metri quadrati 200 circa, e sostituzione di una parte di recinzione in blocchetti di cemento.

Sentenza 17 gennaio 2020, n. 1724

Data udienza 5 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/01/2019 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere RAMACCI LUCA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DI NARDO MARILIA.
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’.
udito il difensore presente avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi e anche ai motivi aggiunti.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 22 gennaio 2019 ha confermato la decisione con la quale, in data 12 novembre 2015, il Tribunale di Crotone aveva affermato La responsabilita’ penale di (OMISSIS) in relazione al reato di cui agli articoli 54, 55 e 1161 c.n., per l’occupazione di area demaniale marittima e per la realizzazione di innovazioni non autorizzate accertate il (OMISSIS).
Avverso tale pronuncia la predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rappresentando che, tanto nel giudizio di primo grado che in quello di appello, la condanna sarebbe stata disposta per un fatto diverso da quello originariamente contestato, in violazione, quindi, degli articoli 521 e 522 c.p.p..
In particolare, rileva che nella intestazione della sentenza di primo grado si farebbe riferimento alla costruzione di un manufatto in calcestruzzo ad un piano fuori terra di metri quadrati 240 circa, con annessa veranda sempre in calcestruzzo per metri quadrati 200 circa, mentre nel frontespizio della sentenza di appello vi sarebbe un riferimento alla costruzione di un manufatto in calcestruzzo per metri quadrati 200 circa. Non avrebbe invece costituito oggetto di contestazione, quantomeno sotto il profilo materiale, la realizzazione in assenza di valido titolo in sostituzione del materiale preesistente di una recinzione in blocchetti di cemento in prossimita’ dell’arenile senza il rispetto dello spazio demaniale e dell’area di rispetto cui farebbe riferimento la sentenza di appello.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, rappresentando che la Corte territoriale, travisando le risultanze processuali, avrebbe considerato erroneamente quale innovazione la sostituzione di una esigua parte di una recinzione in blocchetti di cemento anziche’ a vista, la quale non avrebbe apportato, in concreto, alcuna incidenza sull’uso del manufatto preesistente sull’area demaniale.
Censura ulteriormente la ritenuta permanenza dei reati rilevata dalla Corte territoriale anche con riferimento alle innovazioni, trattandosi, invece, di reato istantaneo.
4. Con il terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio e, segnatamente, alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del fabbricato, mentre nella sentenza impugnata si farebbe riferimento esclusivamente alla recinzione in cemento ed osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici del gravame, la difesa avrebbe prodotto la documentazione comprovante l’avvenuta demolizione del manufatto e lo smaltimento dei rifiuti derivanti dall’intervento demolitorio.
5. Con un quarto motivo di ricorso deduce la violazione legge ed il vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131-bis c.p..
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
6. Con atto datato 16/10/2019 la ricorrente ha fatto pervenire “motivi nuovi” con allegata documentazione che comproverebbe l’intervenuta demolizione del manufatto abusivo e relative pertinenze.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. L’articolo 521 c.p.p., nello stabilire che il giudice possa dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, richiede che il fatto storico addebitato rimanga identico per cio’ che concerne la condotta, l’evento e l’elemento soggettivo.
In applicazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, la diversita’ del fatto accertato rispetto a quello contestato si ha dunque quando il secondo si pone, rispetto al primo, in un rapporto di completa eterogeneita’.
La giurisprudenza di questa Corte ha peraltro rilevato, in piu’ occasioni, che la violazione di detto principio sia ravvisabile soltanto quando la modifica dell’imputazione pregiudichi le possibilita’ di difesa dell’imputato (cfr. ex pl. Sez. 2, n. 17565 del 15/3/2017, Beretti, Rv. 269569; Sez. 2, n. 34969 del 10/5/2013, Caterino e altri, Rv. 257782; Sez. 6, n. 6346 del 9/11/2012 (dep. 2013), Domizi e altri, Rv. 254888; Sez. 3, n. 41478 del 4/10/2012, Stagnoli, Rv. 253871; Sez. 3, n. 36817 del 14/6/2011, T. D. M., Rv. 251081; Sez. U, n. 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051).
Nel considerare la questione in esame, inoltre, si e’ anche tenuto conto dei principi stabiliti dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Corte Europea, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia; Corte Europea, 25 marzo 1999, Pellissier e Sassi c. Francia) che questa Corte ha avuto modo di richiamare (Sez. 6, n. 20500 del 19/2/2010, Fadda, Rv. 247371) ricordando che “la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha affermato che la portata dell’articolo 6, par. 3, lettera a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo impone un concetto ampio del principio del contraddittorio, che non si limita solo alla formazione della prova, ma che proietta i suoi effetti anche alla valutazione giuridica del fatto. In sostanza, l’imputato deve essere messo nelle condizioni di discutere in contraddittorio ogni profilo dell’accusa che gli viene mossa, compresa la qualificazione giuridica dei fatti addebitati. Il diritto ad essere informato dell’accusa e, quindi, dei fatti materiali posti a suo carico e sui quali si fonda l’accusa stessa, implica il diritto dell’imputato a preparare la sua difesa, sicche’ se il giudice ha la possibilita’ di riqualificare i fatti, deve essere assicurata all’imputato la possibilita’ di esercitare il proprio diritto alla difesa in maniera concreta ed effettiva: cio’ presuppone che sia informato, in tempo utile, sia dell’accusa, sia della qualificazione giuridica dei fatti a carico”.
Sempre in applicazione di tali principi si e’ ulteriormente chiarito che la diversa qualificazione giuridica del fatto non determina la violazione dell’articolo 521 c.p.p., quando appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile e l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto, nella fase di merito, la possibilita’ di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione (Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014, PG. PC. e Borile, Rv. 261052; Sez. 5, n. 7984 del 24/9/2012 (dep. 2013), Jovanovic e altro, Rv. 254649. V. anche Sez. 1, n. 9091 del 18/2/2010, Di Gati e altri, Rv. 246494).
Inoltre, nella decisione in precedenza richiamata (SS.UU. n. 36651/2010, cit.) le Sezioni Unite hanno anche precisato che l’indagine finalizzata alla verifica della violazione del principio di correlazione non deve esaurirsi nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, in quanto, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, non vi e’ violazione quando l’imputato, attraverso lo sviluppo del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.
Deve conseguentemente tenersi conto non soltanto del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, in modo tale da porlo in condizione di esercitare le sue difese sull’intero materiale probatorio valorizzato ai fini della decisione (Sez. 2, n. 17565 del 15/3/2017, Beretti, Rv. 269569, cit.; Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di Guglielmi e altro, Rv. 257278; Sez. III n. 15655, 16 aprile 2008 ed altre prec. conf.).
3. Tenuto conto dei condivisibili principi dianzi richiamati, occorre rilevare che, nella fattispecie in esame, il capo di imputazione riportato in sentenza richiama espressamente gli articoli 54, 55 e 1161 c.n..
Il primo articolo, come e’ noto, riguarda le occupazioni e innovazioni abusive, il secondo le nuove opere in prossimita’ del demanio marittimo ed il terzo l’abusiva occupazione di spazio demaniale e l’inosservanza di limiti alla proprieta’ privata.
Viene fatto inoltre riferimento alla realizzazione di un manufatto in calcestruzzo, indicandone l’ubicazione con foglio e mappale, specificando che le opere insistono in area demaniale entro la fascia di 30 metri dalla linea di confine, dando altresi’ conto dell’assenza dell’autorizzazione di cui all’articolo 55 e della inosservanza dei vincoli cui e’ assoggettata la proprieta’ privata nelle zone prossime all’area demaniale marittima.
Dalla sentenza impugnata risulta, inoltre, che il primo giudice aveva evidenziato come, all’esito di una verifica, fosse risultato che presso lo stabilimento balneare gestito dalla ricorrente era ancora sussistente l’abusiva occupazione del suolo demaniale precedentemente accertata e che la volumetria della struttura non era stata modificata ma era stata mutata la tipologia del materiale di una recinzione, precedentemente “a vista”, utilizzando blocchetti in cemento.
Dato quindi conto del contenuto dell’imputazione, la Corte territoriale ha ritenuto insussistente la denunciata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, osservando come la pur sintetica descrizione dell’imputazione, attraverso la indicazione specifica delle nome violate e la descrizione della condotta renderebbe implicito “il dato oggettivo di aver integrato il reato sia attraverso l’occupazione abusiva del demanio marittimo e l’esecuzione di innovazioni non autorizzate sullo stesso (combinato disposto di cui agli articoli 54 e 1161 c.n.)” escludendo ogni modificazione del fatto, affermando, altresi’, che il successivo sviluppo dibattimentale aveva comunque consentito la piena estrinsecazione del diritto di difesa.
Occorre osservare, a tale proposito, che la difesa nulla ha rilevato in relazione alla formulazione, obiettivamente estremamente sintetica, del capo di imputazione.
Come e’ noto, lo scopo della contestazione e’ quello di consentire all’imputato una difesa adeguata, con la conseguenza che l’imputazione deve ritenersi completa nei suoi elementi essenziali quando il fatto sia contestato in modo da consentire la difesa in relazione ad ogni elemento di accusa (cfr. Sez. 4, n. 38991 del 10/6/2010, Quaglierini e altri, Rv. 248847).
Si e’ anche precisato che, ai fini della completezza dell’imputazione, e’ sufficiente che il fatto sia contestato in modo da consentire la difesa in relazione ad ogni elemento di accusa, con la conseguenza che e’ legittimo anche il ricorso al rinvio agli atti del fascicolo processuale, purche’ si tratti di atti intellegibili, non equivoci e conoscibili dall’imputato (Sez. 5, n. 10033 del 19/1/2017, logha’ e altro, Rv. 269455).
Risulta inoltre dalla sentenza impugnata, la quale riporta i contenuti dell’atto di appello e risponde alle deduzioni formulate con l’impugnazione, che la difesa ha ampiamente articolato le proprie censure, dando dimostrazione della piena contezza di quanto contestato, cosi’ come pure emerge dal ricorso, ove, peraltro, ci si sofferma sulla dedotta mancata correlazione tra imputazione e sentenza e sui contenuti dell’imputazione, senza tuttavia precisare in alcun modo quali conseguenze la violazione dedotta abbia concretamente prodotto sul corretto esercizio del diritto di difesa.
4. Quanto al secondo motivo di ricorso, occorre considerare come sia evidente che l’articolo 55 codice navale presuppone l’esecuzione di “nuove opere” in prossimita’ del demanio marittimo e queste devono essere appunto caratterizzate dalla novita’ rispetto al preesistente, circostanza che puo’ configurarsi nell’esecuzione di manufatti in precedenza non esistenti ovvero mediante significative trasformazioni di quanto preesistente, come nel caso di creazione di nuovi volumi o superfici ovvero mutamento di sagoma e non anche in meri interventi di manutenzione ordinaria.
Nel caso di specie, la sostituzione di una recinzione definita “a vista” con altra in blocchetti in cemento non puo’ ritenersi irrilevante, atteso che incide maggiormente sull’assetto dell’area demaniale e rafforza il rapporto di fatto illegittimo tra il privato e l’area sottratta all’uso pubblico.
5. Quanto alla natura della contravvenzione, va ricordato come si sia affermato che il reato di esecuzione, senza autorizzazione o in violazione della stessa, di opere in zona distante meno di trenta metri dal demanio marittimo (cd. fascia di rispetto), previsto dagli articoli 55 e 1161 cod.nav., ha natura permanente e cessa solo con il conseguimento dell’autorizzazione prescritta o con la demolizione del manufatto edificato entro la fascia demaniale (Sez. 3, n. 36605 del 15/2/2017, Adinolfi e altri, Rv. 270730; Sez. 3, n. 3848 del 6/11/1997, Padua A, Rv. 209971).
Ne consegue la esatta collocazione temporale dei fatti operata dal giudice del merito.
6. Per cio’ che concerne, poi, la questione riguardante la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive, di cui tratta il terzo motivo di ricorso, si osserva che la Corte territoriale ha ritenuto, con motivazione congrua, accertata in fatto la non completa demolizione di dette opere, anche sulla base della documentazione acquisita.
7. Quanto alla determinazione della pena, la censura e’ estremamente generica, limitandosi a ritenere “aspro” il trattamento sanzionatorio, senza alcuna ulteriore specificazione, mentre la Corte di appello ha dato conto della corretta valutazione del primo giudice, il quale aveva considerato la gravita’ dei fatti e le modalita’ della condotta, apprezzando anche una precedente analoga vicenda che vedeva coinvolta l’imputata.
8. Per cio’ che riguarda, infine, il quarto motivo di ricorso, va osservato che, per quanto e’ dato rilevare dalla sentenza impugnata e dal ricorso, l’imputato ed il suo difensore non hanno prospettato al giudice del merito la questione della particolare tenuita’ del fatto e, secondo quanto gia’ affermato da questa Corte, quando la sentenza di merito e’ successiva alla vigenza della nuova causa di non punibilita’, la questione dell’applicabilita’ dell’articolo 131-bis c.p., non puo’ essere posta per la prima volta nel giudizio di legittimita’ come motivo di violazione di legge (cfr. Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018 – dep. 23/05/2018, Sarr, Rv. 272789; Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, Moio, Rv. 271877; Sez. 3, n. 19207 del 16/3/2017, Celentano, Rv. 269913; Sez. 6, n. 20270 del 27/4/2016, Gravina, Rv. 26667801; Sez. 7, n. 43838 del 27/5/2016, Savini, Rv. 26828101), ne’ puo’ affermarsi, in assenza di specifica richiesta, che nella fattispecie il giudice avesse l’obbligo di pronunciarsi comunque.
9. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilita’ consegue l’onere delle spese del procedimento, nonche’ quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 2.000,00.
Ai sensi dell’articolo 585 c.p.p., comma 4, l’inammissibilita’ dell’impugnazione si estende ai motivi nuovi.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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