L’esecutore testamentario è tenuto a rendere il conto della propria gestione ogni volta che quest’ultima cessi

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 16 aprile 2019, n. 10594.

La massima estrapolata:

Ai sensi dell’art. 709 c.c., l’esecutore testamentario è tenuto a rendere il conto della propria gestione ogni volta che quest’ultima cessi, ed anche laddove ciò si verifichi prima del decorso di un anno dalla morte del testatore.

In tema di interruzione del processo per morte del procuratore di una delle parti, il termine per la relativa riassunzione decorre dalla data in cui la parte rimasta senza difensore ha avuto dell’evento conoscenza legale, acquisita tramite atti muniti di fede privilegiata quali dichiarazioni, notificazioni o certificazioni rappresentative dell’evento medesimo, alle quali non è equiparabile la conoscenza di fatto altrimenti acquisita, e dovendo tale conoscenza avere ad oggetto tanto l’evento in sé considerato, quanto lo specifico processo nel quale esso deve esplicare i suoi effetti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione gravata che aveva escluso che una missiva, ancorché inviata a mezzo raccomandata AR, ma avente ben diverse finalità, potesse assicurare la conoscenza legale dell’evento interruttivo, poiché non conteneva la specifica indicazione dell’evento stesso, il quale risultava solo implicitamente, ed era priva di fede privilegiata).

Ordinanza 16 aprile 2019, n. 10594

Data udienza 27 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 15786/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), domiciliate in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentate e difese dall’avvocato (OMISSIS) in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 713/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con atto di citazione del 26 aprile 2002, (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio (OMISSIS), deducendo che il convenuto era stato designato quale esecutore testamentario dai genitori (OMISSIS) e (OMISSIS), deceduti rispettivamente in data (OMISSIS) e (OMISSIS), e che pertanto gli andava ordinato di rendere il conto della propria gestione, con la condanna alla corresponsione dei frutti civili percetti nonche’ al risarcimento dei danni eventualmente cagionati.
Nella resistenza del convenuto, il quale eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, avendo nelle more gia’ rinunciato all’incarico di esecutore testamentario, senza che pero’ in precedenza avesse mai svolto attivita’ di gestione, il Tribunale di Palermo con sentenza del 5 aprile 2005 rigettava la domanda attorea.
Avverso tale sentenza proponevano appello le originarie parti attrici e la Corte d’Appello di Palermo con la sentenza n. 713 del 30 aprile 2014, in riforma della decisione gravata, condannava il (OMISSIS) al pagamento della somma di Euro 6.075,11, oltre interessi legali, nonche’ delle spese del doppio grado.
Rilevava che erroneamente non era stato ordinato al convenuto di rendere il conto di gestione, e che era altrettanto erronea la conclusione del Tribunale secondo cui i documenti versati in atti dal convenuto dimostrassero l’infondatezza della pretesa attorea, in quanto solo una volta offerto il conto, sarebbe stato possibile contestare la correttezza dell’attivita’ dell’esecutore testamentario.
Quindi disattesa l’eccezione di estinzione del giudizio, interrottosi in appello per il decesso del difensore dell’appellato, dovendosi escludere che la riassunzione del processo fosse avvenuta tardivamente, oltre il termine semestrale di legge, la sentenza escludeva altresi’ che fosse fondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’appellato, per essere stato convenuto in giudizio nella qualita’ di esecutore testamentario, che ormai aveva perso, e non anche in proprio.
Quindi passava ad esaminare le risultanze della CTU esperita in grado di appello, ed osservava che mentre per la successione di (OMISSIS) doveva escludersi, anche per la natura dei beni caduti in successione, che l’esecutore fosse tenuto a versare delle somme alle attrici, diversa conclusione doveva essere raggiunta quanto alla successione della (OMISSIS).
Infatti, tra i beni relitti vi erano anche alcune unita’ immobiliari gia’ concesse in locazione, e precisamente degli appartamenti siti in (OMISSIS), per i quali, sebbene fossero dovuti dai conduttori i canoni di locazione, non risultavano rendicontati i relativi importi che l’esecutore avrebbe dovuto incassare.
Analoga conclusione andava accolta per quanto riguardava l’immobile in (OMISSIS) e per i terreni agricoli in Monreale, con la conseguenza che il (OMISSIS) andava condannato al pagamento in favore delle attrici dell’ammontare pari ai due terzi dei frutti prodotti dai beni in esame, oltre interessi legali dalla data di scadenza dei canoni al soddisfo. Infine, condannava l’appellato anche al pagamento delle spese del doppio grado, atteso che la lite era scaturita dall’inottemperanza del (OMISSIS) all’obbligo di presentare i dovuti rendiconti.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di quattro motivi.
Le intimate hanno resistito con controricorso.
2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 305 c.p.c., per avere la sentenza gravata disatteso l’eccezione di estinzione del giudizio di appello, stante la mancata tempestiva riassunzione a seguito di interruzione.
Assume la parte che in realta’ le appellanti avevano avuto conoscenza, da reputarsi legale, dell’evento interruttivo, costituito dalla morte del difensore del ricorrente, gia’ in data 24/4/2009, allorquando al difensore delle stesse appellanti era stato comunicato con raccomandata AR che sulle somme dovute a titolo di spese legali, per effetto della provvisoria esecutorieta’ della sentenza di primo grado, non erano dovuti gli accessori fiscali, in quanto le eredi del difensore deceduto non erano titolari di alcuna posizione fiscale e previdenziale.
A tale missiva aveva poi risposto il difensore delle stesse (OMISSIS), prendendo atto del suo contenuto, e dimostrando in tal modo di avere avuto piena contezza dell’evento interruttivo. Ne deriva quindi che deve reputarsi essere intervenuta una conoscenza legale dell’evento de quo, secondo quanto richiesto dalla giurisprudenza formatasi sull’articolo 305 c.p.c., dopo gli interventi della Corte Costituzionale, in epoca di gran lunga anteriore al semestre anteriore alla riassunzione, che essendo quindi intempestiva non ha impedito l’avvenuta estinzione del giudizio di appello.
Il motivo e’ inammissibile ex articolo 360 bis n. 1 c.p.c..
I giudici di appello sul punto hanno rilevato che l’articolo 305 c.p.c., per effetto della sentenza n. 139/1967 della Corte Costituzionale e della successiva sentenza n. 159 del 1971 della stessa Consulta, deve essere interpretato nel senso che il termine semestrale (ratione temporis) per la riassunzione decorre solo nel caso in cui la parte interessata alla riassunzione abbia avuto conoscenza legale dell’evento, e cioe’ attraverso una dichiarazione, notificazione o certificazione, essendo esclusa la conoscenza aliunde acquisita.
Andava pertanto escluso che la dichiarazione fatta personalmente dalla parte rappresentata circa la morte del proprio difensore possa avere tale efficacia, con la conseguenza che la missiva invocata dall’appellato, peraltro priva di fede privilegiata, era inidonea a far scattare il termine per la riassunzione del processo.
La decisione impugnata non appare censurabile, avendo deciso la controversia in conformita’ della giurisprudenza di questa Corte, non avendo il ricorso peraltro addotto argomenti idonei a sovvertire tale orientamento, determinando pertanto l’inammissibilita’ del motivo.
Anche di recente e’ stato, infatti ribadito che (cfr. Cass. n. 8640/2018) in caso di interruzione del processo determinata, “ipso iure”, nella fattispecie dall’apertura del fallimento, giusta la L. Fall., articolo 43, comma 3, (aggiunto dal Decreto Legislativo n. 5 del 2006, articolo 41), al fine del decorso del termine trimestrale per la riassunzione e’ necessaria la conoscenza “legale” dell’evento interruttivo, acquisita cioe’ non in via di fatto, ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento che determina l’interruzione del processo, assistita da fede privilegiata (nella specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto tardiva la riassunzione del processo calcolando il relativo termine dalla notifica della citazione direttamente alla curatela – cio’ che, secondo la Corte d’appello, dimostrava la conoscenza del fallimento – anziche’ dalla dichiarazione in udienza del procuratore della societa’ fallita), aggiungendosi altresi’ che (cfr. Cass. n. 6398/2018) la conoscenza formalmente legale oltre ad essere acquisita per il tramite di atti muniti di fede privilegiata quali dichiarazioni, notificazioni o certificazioni rappresentative dell’evento medesimo, e’ necessario che abbia specificamente ad oggetto tanto l’evento in se considerato quanto lo specifico processo nel quale esso deve esplicare i suoi effetti (conf. Cass. n. 27165/2016).
Ne deriva che non potendo spiegare effetti ai fini della decorrenza del termine per la riassunzione la conoscenza aliunde acquisita dell’evento eventualmente in via di fatto (cfr. Cass. n. 2340/1996; Cass. n. 2147/1983), risulta ineccepibile la decisione gravata, che ha escluso che una missiva, ancorche’ inviata a mezzo raccomandata AR, ma avente ben diverse finalita’ (quella di regolare sul piano fiscale un adempimento intervenuto in conseguenza della provvisoria esecutorieta’ della sentenza di primo grado), potesse assicurare la conoscenza legale dell’evento interruttivo, sia perche’ mancava una specifica indicazione dell’evento stesso, essendo ricavabile la morte del difensore solo ab implicito sulla scorta del tenore della richiesta di rideterminare gli oneri fiscali sulle somme versate, sia perche’ non munita di fede privilegiata, come sopra inteso.
3. Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 709 c.c., per avere la Corte d’Appello ordinato al ricorrente di rendere il conto della gestione delle eredita’ per le quali era stato nominato esecutore testamentario.
Si deduce che la norma invocata prevede che l’esecutore testamentario e’ tenuto a presentare il conto della gestione anche trascorso un anno dalla morte del testatore, se la gestione si prolunga oltre tale periodo.
Poiche’ il (OMISSIS) si era dimesso, quanto all’eredita’ di (OMISSIS), dopo pochi mesi dall’assunzione dell’incarico, laddove per la diversa eredita’ della (OMISSIS), non aveva svolto alcuna attivita’ di amministrazione dei beni relitti, non poteva essergli ordinato di rendere il conto.
Anche a tale motivo deve essere disatteso.
L’interpretazione della norma che offre il ricorrente risulta evidentemente smentita dallo stesso testo di legge, il quale prevede che il rendiconto, dal cui obbligo nemmeno il testatore puo’ esonerare l’esecutore, debba essere reso al termine della gestione e comunque in ogni caso alla scadenza dell’anno dalla morte del de cuius, ove la gestione continui.
La previsione che, secondo l’interpretazione offertane in dottrina, impone all’esecutore, nel caso in cui la gestione dei beni si prolunghi oltre l’anno dalla morte del de cuius (ipotesi che appare ben delineata da Cass. n. 12241/2016, che ha appunto chiarito che in tema di funzioni dell’esecutore testamentario, il termine annuale previsto dall’articolo 703 c.c., riguarda solo il possesso dei beni ereditari, non anche l’amministrazione degli stessi, la cui gestione l’esecutore deve proseguire finche’ non siano esattamente attuate le disposizioni testamentarie, salvo contraria volonta’ del testatore o esonero giudiziale ex articolo 710 c.c.), la redazione di un duplice rendiconto, ribadisce che resta fermo l’obbligo della resa del conto al termine della gestione, e quindi anche prima dell’anno dalla morte del de cuius, ove l’attivita’ dell’esecutore si esaurisca prima, come si ricava ab implicito da Cass. n. 2455/1984, la cui massima recita che a norma dell’articolo 709 c.c., l’esecutore testamentario e’ tenuto al rendiconto, quando la gestione si protrae oltre l’anno dalla morte del testatore, indipendentemente dal compimento dell’anno di effettiva gestione.
Va quindi affermato il seguente principio di diritto: “Ai sensi dell’articolo 709 c.c., l’esecutore testamentario e’ tenuto a rendere il conto della propria gestione ogni volta che quest’ultima cessi, ed anche laddove cio’ si verifichi prima del decorso di un anno dalla morte del testatore”.
Ne deriva che risulta priva di rilevanza la circostanza che la gestione dei beni si sia arrestata prima della maturazione del termine annuale, rilevando unicamente che il (OMISSIS) fosse cessato dall’incarico di esecutore (e cio’ anche a tacere del fatto che secondo la preferibile opinione della dottrina, l’obbligo di rendiconto e’ legato alla gestione che e’ un termine che copre tutto il campo delle attivita’ che l’esecutore e’ chiamato a porre in essere, essendo sinonimo di incarico in senso lato, piu’ che di sola amministrazione).
4. Il terzo motivo lamenta la nullita’ della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti nonche’ omessa motivazione.
Assume il ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe condannato il (OMISSIS) ala restituzione di somme alle attrici, in relazione all’incasso di affitti per alcuni degli immobili caduti nella successione della (OMISSIS).
Nel pervenire a tale conclusione ha pero’ trascurato il contenuto della missiva del 4 ottobre 2002, con la quale, a pochi giorni dalla morte della de cuius, le stesse attrici avevano diffidato i conduttori degli immobili caduti in successione a versare i canoni a persona diversa dalle stesse eredi.
Cio’ ha quindi determinato una violazione dell’articolo 112 c.p.c., in quanto sarebbe stata adottata una pronuncia di condanna in relazione a somme che sono state in realta’ incassate direttamente da parte delle attrici, trascurandosi altresi’ che per il ricorrente, dopo la detta missiva, sarebbe stato impossibile incassare i canoni di locazione.
Il motivo e’ inammissibile.
In disparte l’erroneita’ del riferimento alla violazione dell’articolo 112 c.p.c., avendo il giudice di appello esattamente deciso sulla domanda proposta, vertendo la censura piuttosto sulla valutazione di fatto circa la ricorrenza dei fatti costitutivi della pretesa creditoria azionata, reputa il Collegio che, ancorche’ della missiva menzionata in ricorso non se ne faccia menzione in sentenza, la stessa non costituisce un fatto connotato da decisivita’ ai fini dell’accoglimento del motivo.
In tal senso rileva la considerazione che il solo invio da parte delle attrici di una diffida ai conduttori dal versare i canoni a persone diverse dalla stesse eredi, non assume di per se’ efficacia vincolante per i conduttori ne’ tanto meno esimeva l’esecutore testamentario dal dover reagire avverso il rifiuto (illegittimo) eventualmente opposto dai conduttori alle richieste di pagamento provenienti dal soggetto effettivamente tenuto a curare l’incasso dei canoni in ragione della carica di esecutore testamentario ricoperta.
La sentenza impugnata ha ravvisato la responsabilita’ del (OMISSIS), ritenendolo in colpa, per non avere dato contezza delle somme rappresentate dai frutti dei beni caduti in successione, e della cui amministrazione era stato incaricato durante il periodo nel quale ha rivestito tale qualita’, essendo quindi suo onere, al fine di andare esente da responsabilita’, quello di documentare che i canoni di locazione erano stati incassati da altri ovvero che i conduttori si erano rifiutati di corrisponderli, e che a tale rifiuto avesse fatto conseguire le iniziative piu’ opportune al fine di dare piena attuazione agli obblighi derivanti dal mandato di fonte testamentaria.
5. Il quarto motivo lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., quanto alla condanna alle spese di lite, ma trattasi di censura che appare logicamente fondata sul convincimento della fondatezza dei precedenti motivi di ricorso, assumendosi che la certa riforma della sentenza gravata imporrebbe di rivedere anche la decisione circa il carico delle spese di lite.
Tuttavia il riscontro dell’inammissibilita’ del primo e del terzo motivo di ricorso e dell’infondatezza del secondo, impone il rigetto anche di quello in esame.
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
7. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto l’articolo 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;
Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore delle controricorrenti che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 1 bis, dello stesso articolo 13.

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