La funzione delle misure di salvaguardia

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 19 aprile 2019, n. 2568.

La massima estrapolata:

La funzione delle misure di salvaguardia è quella di “evitare che la non ancora intervenuta approvazione da parte della Regione, o comunque di altra autorità competente, di eventuali previsioni di non edificabilità previste dal piano in vigore, consenta ai proprietari delle aree interessate di realizzare nuove costruzioni nel periodo intercorrente tra la predisposizione di un nuovo piano e l’approvazione di questo da parte della Regione, in tal modo eludendo, durante tale fase, le stesse previsioni contenute nel progettato nuovo piano”; in altri termini “dette misure sono funzionali ad un corretto assetto del territorio, in quanto impediscono che alcun intervento edilizio si realizzi nelle more dell’approvazione di un nuovo piano da parte dell’Amministrazione competente.

Sentenza 19 aprile 2019, n. 2562

Data udienza 9 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello n. 5798 del 2009, proposto dal signor Vi. Ci., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Cl., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…),
contro
l’ENTE REGIONALE PARCO DI (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Bi. e Ri. Bi., con domicilio eletto presso il primo in Roma, via (…),
per l’annullamento e/o la riforma integrale,
previa adozione delle opportune misure cautelari,
della sentenza del T.A.R. del Lazio, sede di Roma, Sezione Seconda bis, n. 3869 del 12 maggio 2008, resa tra le parti, con cui è stato respinto il ricorso in primo grado n. 8487/2007, proposto dal signor Vi. Ci., in proprio e nella qualità di amministratore unico pro tempore della (omissis) 2002 S.r.l., per l’annullamento del provvedimento dell’Ente Regionale Parco di (omissis) prot. n. 2102 del 22 maggio 2007 di diniego di nulla osta per l’esecuzione di interventi sugli immobili siti in Roma, località (omissis), alla via (omissis), Km. (omissis).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ente Regionale Parco di (omissis);
Vista l’ordinanza della Sezione Quarta n. 4410 del 28 settembre 2010, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione della sentenza appellata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2019, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avvocato Cl. per la appellante e l’avvocato Ri. Bi. per l’Ente Parco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il signor Vi. Ci. ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso con cui egli aveva chiesto l’annullamento del provvedimento dell’Ente Regionale Parco di (omissis) (prot. n. 2102 del 22 maggio 2007) di diniego di nulla osta per l’esecuzione di interventi sugli immobili siti in Roma, località (omissis), alla via (omissis), Km. (omissis) nonché il risarcimento del danno da quantificare in corso di giudizio.
2. In tale ricorso, l’interessato aveva esposto che il predetto diniego di nulla osta fosse illegittimo, in quanto:
– all’epoca della determinazione negativa assunta dall’Ente, le misure di salvaguardia introdotte dalla legge regionale del Lazio 6 ottobre 1997, n. 29, opposte quale elemento ostativo agli interventi richiesti, erano ormai scadute da tempo per decorso del quinquennio di loro massima durata;
– in ogni caso, gli interventi che si sarebbero voluti eseguire sui fabbricati non erano qualificabili come di ristrutturazione edilizia ed erano pertanto compatibili con la citata legge regionale, tenuto altresì conto della destinazione agrituristica del complesso degli immobili;
– il Comune di Roma aveva già autorizzato in sanatoria nei riguardi della società Pe. S.r.l., dante causa dell’istante, una serie di interventi eseguiti sui fabbricati, che ne avevano modificato la destinazione funzionale in un complesso di ospitalità turistica.
All’esito di acquisizione di chiarimenti e documentazione dall’Amministrazione convenuta, il T.A.R. adì to ha respinto il ricorso evidenziando:
a) che, nel caso di specie, le misure di salvaguardia dovessero valere fino a quando l’Ente Parco non avesse direttamente adottato specifiche norme di salvaguardia valevoli per il territorio, non vigendo dunque per il Parco di (omissis) il limite temporale dei cinque anni;
b) che quelli richiesti da parte ricorrente fossero da considerare interventi di ristrutturazione edilizia, giacché avrebbero comportato evidenti e rilevanti modifiche, non riconducibili alla definizione di mero restauro e risanamento conservativo;
c) che gli interventi edilizi denegati non potessero essere assentiti neanche in considerazione del favore riservato dalla l.r. n. 29/1997 agli interventi edilizi su immobili in aree protette volti a modificare la funzionalità per fini agrituristici, non emergendo dagli atti di causa che la società (omissis) 2002 S.r.l. avesse come scopo la gestione di centri turistici;
d) che, peraltro, non fosse rilevante per la definizione del giudizio in oggetto il fatto che in passato il Comune avesse assentito interventi edilizi eseguiti dalla dante causa della predetta S.r.l., non precludendo ciò che in futuro l’Ente Parco potesse comunque impedire la trasformazione degli immobili medesimi.
3. Nell’odierno appello, l’istante deduce avverso la decisione così sintetizzata i seguenti motivi di gravame:
I) violazione e falsa applicazione dell’articolo 8 della l.r. n. 29/1997; motivazione insufficiente; violazione dell’articolo 42 della Costituzione.
Secondo l’appellante, la ricostruzione della volontà legislativa regionale offerta dal T.A.R. non troverebbe fondamento giuridico, e anzi sarebbe in contrasto con i principi più volte affermati dalla giurisprudenza, secondo i quali le misure di salvaguardia non possono che avere natura eccezionale e temporanea.
In particolare, incongruamente l’articolo 8 della citata legge regionale viene richiamato dal giudice di prime cure unicamente per definire il contenuto delle misure di salvaguardia, e non anche quanto alla previsione della durata quinquennale di esse.
La pronuncia del T.A.R., inoltre, sarebbe viziata da difetto di motivazione poiché non dà conto delle ragioni sottese alla decisione assunta, idonee a contrastare la giurisprudenza ormai consolidata sulla necessità di interpretare le norme che introducono misure di salvaguardia in conformità al dettato costituzionale, pena l’incostituzionalità delle disposizioni che non prevedono un limite temporale alla loro vigenza.
L’appellante solleva, inoltre, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 8 della l.r. n. 29/97, ove interpretato come fatto dal primo giudice, ossia nel senso di operare senza limite temporale, per violazione dell’articolo 42, comma 2, della Costituzione, in quanto la norma, secondo la ricostruzione del T.A.R., comportando l’inedificabilità dell’area e il divieto di operare interventi di ristrutturazione senza limite di tempo, assumerebbe carattere espropriativo, andando a limitare il godimento dei beni e incidendo irragionevolmente sul diritto di proprietà .
II) violazione e falsa applicazione degli articoli 8 e 44 della l.r. n. 29/1997; motivazione illogica.
Secondo l’appellante, anche nell’ipotesi in cui le misure di salvaguardia di cui all’articolo 8 della l.r. n. 29/97 dovessero ritenersi ancora operanti, l’Ente Parco non avrebbe potuto comunque negare al ricorrente l’autorizzazione richiesta per le opere da realizzare sui tre fabbricati ai sensi del combinato disposto degli articoli 8, comma 4, e 44, comma 11, della stesa legge regionale.
Infatti, l’articolo 8 della l.r. n. 29/97, proprio perché norma di carattere generale, rimanda alle norme degli strumenti urbanistici vigenti consentendo, quindi, tutte le tipologie di interventi ivi previsti e pertanto, nel caso di specie, anche la ristrutturazione del preesistente senza variazione di volumetria e sagoma, in conformità a quanto previsto dal P.R.G. di Roma per le zone A (città storica).
In ogni caso, l’appellante ribadisce che l’intervento edilizio oggetto di nulla osta nel caso in oggetto non può connotarsi come ristrutturazione ma bensì come restauro e risanamento conservativo; in quanto gli interventi richiesti non hanno altra funzione che quella di completare un’opera già iniziata da oltre dieci anni, senza trasformare l’immobile nella sostanza in qualcosa di diverso.
III) violazione della l.r. n. 29/1997 sotto altro profilo; motivazione illogica.
La l.r. n. 29/1997 consente la possibilità di operare interventi sul preesistente patrimonio edilizio consistenti in ampliamenti e adeguamenti a fini agrituristici.
Pertanto, secondo l’appellante, anche se l’intervento fosse da connotarsi come ristrutturazione, potrebbe ottenere ugualmente il nulla osta perché chiaramente finalizzato ad attività agrituristica.
La destinazione turistica ricettiva o agrituristica degli immobili in oggetto deriva direttamente dalle concessioni in sanatoria, rilasciate dal Comune di Roma nel 2002 all’azienda agricola Pietra Pe. S.r.l. (dante causa del signor Cirillo e della (omissis) 2002 S.r.l.).
Di contro, a nulla rileva, ai fini della destinazione degli immobili, che la società (omissis) 2002 non abbia come scopo sociale quello di praticare attività di agriturismo, perché quel che va considerato è se l’intervento richiesto sia finalizzato all’espletamento di tale attività e se quest’ultima sia compatibile con la destinazione d’uso dell’immobile su cui si interviene.
4. L’Ente Regionale Parco di (omissis) si è costituito, opponendosi all’accoglimento della domanda attorea.
5. All’esito della camera di consiglio del 25 agosto 2009, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata, è stata accolta l’istanza cautelare e per l’effetto sospesa l’efficacia della sentenza impugnata.
6. Infine, all’udienza del 9 aprile 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
7. Tutto ciò premesso, l’appello è fondato e pertanto meritevole di accoglimento.
8. Ed invero, deve ritenersi fondato il primo motivo di ricorso, concernente la durata delle misure di salvaguardia, in quanto costituisce jus receptum che queste ultime abbiano una natura eccezionale e derogatoria, e pertanto debbano avere durata temporanea (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. IV, 19 dicembre 2007, n. 6548).
8.1. In particolare, come questo Consesso ha già avuto modo di osservare (sez. IV, sent. n. 1354 del 6 aprile 2016), facendo richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 102 del 2013, la funzione delle misure di salvaguardia è quella di “evitare che la non ancora intervenuta approvazione da parte della Regione, o comunque di altra autorità competente, di eventuali previsioni di non edificabilità previste dal piano in vigore, consenta ai proprietari delle aree interessate di realizzare nuove costruzioni nel periodo intercorrente tra la predisposizione di un nuovo piano e l’approvazione di questo da parte della Regione, in tal modo eludendo, durante tale fase, le stesse previsioni contenute nel progettato nuovo piano”; in altri termini “dette misure sono funzionali ad un corretto assetto del territorio, in quanto impediscono che alcun intervento edilizio si realizzi nelle more dell’approvazione di un nuovo piano da parte dell’Amministrazione competente”.
Tuttavia, tale funzione di tutela dell’assetto del territorio, operata dalle misure di salvaguardia, deve essere necessariamente bilanciata con altri interessi parimenti rilevanti, fra cui indubbiamente rientra la tutela del diritto di proprietà .
In particolare, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (sent. n. 2 del 7 aprile 2008) ha espressamente chiarito come l’introduzione di misure di salvaguardia senza limite di tempo può comportare un ingiustificato rallentamento dell’azione amministrativa e pertanto, un contrasto con l’esigenza di tutelare il valore costituzionale della proprietà e le connesse facoltà edificatorie.
In altri termini, non può essere impedito sine die al privato proprietario di godere e disporre dei propri immobili rischiando di creare una vera e propria cristallizzazione della situazione di fatto (cfr. sul punto anche Cons. Stato, sez. V, 25 marzo 2002, n. 1682).
8.2. Pertanto questo Consesso, essendo stato chiamato più volte a verificare la possibilità da parte dell’Amministrazione di imporre misure di salvaguardia prive di uno specifico limite di durata, si è espresso molto chiaramente richiamando, prima di tutto, il contesto normativo rilevante e, nello specifico e per quanto qui rileva, l’articolo 8, comma 2, della l.r. del Lazio n. 29 del 1997 secondo cui “dalla data di pubblicazione del piano regionale approvato dal Consiglio regionale in conformità a quanto stabilito dall’articolo 7 e fino alla data di entrata in vigore delle leggi regionali istitutive delle singole aree naturali protette, e comunque per non più di cinque anni, entro i confini delle aree di cui all’articolo 7, comma 4, lettera a), si applicano le disposizioni dei successivi commi e le eventuali misure transitorie di salvaguardia previste dall’articolo 7, comma 4, lettera b)” (cfr. tra le tante Cons. Stato, sez. IV, n. 1354/2016, cit.).
Tale norma dà attuazione ai principi che il legislatore statale ha previsto in materia di misure di salvaguardia all’articolo 12, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Il valore del suddetto articolo è stato chiarito dalla già richiamata Plenaria n. 2/2008, che gli ha riconosciuto valenza mista, ovvero “edilizia, da un lato, in quanto volta ad incidere sui tempi dell’attività edificatoria; urbanistica, dall’altro, in quanto finalizzata alla salvaguardia, in definiti ambiti temporali, degli assetti urbanistici in itinere e, medio tempore, dell’ordinato assetto del territorio”, e in particolare ha attribuito a tale articolo la prevalenza su eventuali norme regionali previgenti di contenuto difforme.
Tale tesi chiarisce ulteriormente la disciplina delle misure di salvaguardia, soggetta alla competenza legislativa concorrente fra Stato e Regioni, rispetto alla quale, cioè, lo Stato ha il potere di fissare i principi fondamentali, e le Regioni hanno il potere di emanare la normativa di dettaglio (cfr. Corte cost. ord. n. 314/2012; id., sent. n. 309/2011).
Tale assetto dei rapporti fra Stato e Regioni comporta, pertanto, che il legislatore regionale non possa prevedere in alcun modo misure di salvaguardia che eccedano i limiti temporali previsti dalla legislazione statale e inoltre che il giudice sia tenuto ad interpretare le disposizioni regionali in materia in modo conforme al dettato costituzionale.
8.3. In aggiunta, al riguardo, questo Consiglio di Stato si è ripetutamente espresso nel senso che “in ogni caso le norme di salvaguardia, per espressa previsione dell’art. 8, comma 2, della L.R. n. 29/97 che ne ha disposto l’applicazione, hanno la durata massima di cinque anni con decorrenza dall’entrata in vigore della legge stessa” e che esse “non possono comunque avere durata indefinita, in quanto tanto comporterebbe non solo un danno illogico ed ingiustificato per i titolari delle aree interessate dalle misure transitorie, ma anche il blocco della destinazione urbanistica delle stesse” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2012, n. 3517).
Ciò premesso, è indubbio che non sia possibile, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, ipotizzare l’esistenza di misure di salvaguardia sine die, in quanto esse, qualunque sia l’interesse cui sono funzionalmente rivolte e a prescindere dal fatto che riguardino aree naturali protette da istituire o aree ed enti già istituiti, devono avere comunque una durata limitata e temporanea “onde scongiurare il rischio che all’effetto tipico, di natura meramente cautelare, si sovrapponga quello improprio di una permanente compressione del diritto di proprietà, anche con riferimento ai pur tutelati valori ambientali” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 6548/2007, cit.).
8.4. Questo aspetto trova conferma anche nel diritto sovranazionale, in particolare, nell’articolo 1 del Primo Protocollo addizionale alla C.E.D.U. (ormai pacificamente applicabile nel sistema nazionale, stante la sua natura di fonte integrativa del parametro di costituzionalità di cui all’articolo 117 Cost.), secondo cui la tutela del diritto di proprietà viene considerata un valore primario che non può essere immotivatamente compromesso sine die.
Da quanto sin qui esposto risulta chiaro come l’apposizione di misure di salvaguardia illimitate nel tempo contrasta con i principi dettati tanto dalla legislazione statale quanto da quella sovranazionale.
Non riconoscere, infatti, un termine finale alle misure di salvaguardia finirebbe per svuotare esse stesse della loro funzione; poiché seppur poste a tutela dell’interesse ambientale costituzionalmente rilevante, andrebbero in realtà a contrastare tale stesso interesse, ledendo il diritto di proprietà e le connesse facoltà edificatorie dei privati.
8.5. Alla luce dei superiori rilievi risulta meritevole di accoglimento il primo motivo di gravame sollevato dall’appellante, non riscontrandosi ragioni per discostarsi dall’orientamento ormai consolidato di questo Consiglio di Stato, nel senso del “generale principio della temporaneità delle misure di salvaguardia, aventi natura eccezionale e derogatoria, e della ragionevole durata del loro termine di efficacia (…) onde scongiurare il rischio che all’effetto tipico, di natura meramente cautelare, si sovrapponga quello improprio di una permanente compressione del diritto di proprietà, anche con riferimento ai pur tutelati valori ambientali” (cfr. tra le tante Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2012, n. 3515).
9. L’accoglimento del primo motivo di ricorso assume carattere assorbente del secondo e del terzo motivo, esonerando il Collegio dal relativo esame.
10. Alla luce dei rilievi che precedono, s’impone una decisione di accoglimento del ricorso e di riforma della sentenza impugnata, con il conseguente obbligo dell’Ente Regionale Parco di (omissis) di ripronunciarsi sulla originaria istanza di nulla osta.
11. In ragione della peculiarità della vicenda esaminata e della sua risalenza ad epoca in cui ancora non si erano consolidati gli indirizzi giurisprudenziali di cui si è oggi fatta applicazione, le spese di lite possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti con esso impugnati.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente, Estensore
Fulvio Rocco – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere
Da Assegnare Magistrato – Consigliere

Per aprire la mia pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *