Corte di Cassazione, penale, Sentenza|11 maggio 2021| n. 18154.
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’articolo 131-bis del Cp non può essere applicata, ai sensi del comma 3 del predetto articolo, qualora l’imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il “fatto” nella sua dimensione “plurima”, secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola (nella specie, è stato condiviso il diniego della causa di non punibilità, giacché l’imputato risultava avere commesso, in tempi diversi, plurime violazioni della normativa edilizia).
Sentenza|11 maggio 2021| n. 18154. Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto
Data udienza 16 aprile 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Reati edilizi – Contravvenzioni ex artt. 83, 93, 94 e 95, D.P.R. n. 380/2001 – Ammenda – Appello – Qualificazione come ricorso per cassazione – Art. 568 c.p.p. – Causa di non punibilità ex art. 131 bis, c.p. – Duplice condizione – Non abitualità della condotta e particolare tenuità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – rel. Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro Mari – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/07/2020 del Tribunale di Foggia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere CORBETTA Stefano;
letta la requisitoria redatta ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale GAETA Pietro, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Foggia condannava (OMISSIS) alla pena di 2.000 Euro di ammenda, condizionalmente sospesa, perche’ ritenuta responsabile delle seguenti contravvenzioni: Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 93 e 95, perche’, senza darne avviso scritto, con progetto allegato, al competente ufficio pubblico, realizzava una scalinata esterna di collegamento dell’abitazione con il retrostante giardino, il cui piano di campagna e’ a quota 1,4 m., costituita da una soletta rampante in cemento armato dello spesso di 15 cm., composta da nove gradini e dal pianerottolo impostato su due muretti dello spessore di 20 cm. circa e ha come fondazione una piastra in cemento armato dello spessore di 15 cm. (capo A); Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 94 e 95, per aver realizzato i lavori descritti al capo A) senza la preventiva autorizzazione del competente ufficio pubblico (capo B); Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 83 e 95, per avere eseguito i lavori descritti al capo A) in difformita’ dalle norme tecniche sull’edilizia in zone sismiche contenute nel Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008,
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputata, per il tramite dei difensori di fiducia, uno dei quali abilitato a patrocinare innanzi alle Magistrature Superiori, propone “appello” affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo chiede di sollevare questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 593 c.p.p., comma 3, in relazione agli articoli 3, 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, nella parte in cui esclude l’appellabilita’ delle condanne alla sola pena dell’ammenda a seguito dell’entrata in vigore della causa di non punibilita’ per tenuita’ del fatto ex articolo 131-bis c.p.. Ad avviso del ricorrente, vi sarebbe una ingiustificata disparita’ di trattamento tra l’imputato assolto ai sensi dell’articolo 131-bis c.p., il quale e’ legittimato a proporre impugnazione, e l’imputato condannato alla pena dell’ammenda, al quale, invece, e’ precluso la possibilita’ di appellare. Evidenzia il ricorrente, che, nel caso di specie, vi sarebbe un interesse alla decisione, poiche’, si fosse applicata la causa di non punibilita’, la sentenza potrebbe essere appellata e il reato verrebbe dichiarato prescritto.
2.2. Con il secondo motivo si chiede l’assoluzione dell’imputato, in quanto il Tribunale non ha tenuto conto della deposizione del teste (OMISSIS), e, in ogni caso, sarebbe intervenuta regolare sanatoria, come da documentazione allegata all’atto di appello.
2.3. Con il terzo motivo di censura la motivazione, non avendo il Tribunale spiegato il mancato riconoscimento della causa di non punibilita’ ex articolo 131-bis, stante l’esiguita’ dell’abuso edilizio, la non abitualita’ del comportamento e l’intervenuta sanatoria.
2.4. Con il quanto motivo si chiede che la pena venga applicata nel minimo edittale, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In primo luogo va osservato che avverso l’impugnata sentenza, la quale ha inflitto la pena dell’ammenda, e’ esperibile solamente ricorso per cassazione, e tale deve qualificarsi, ai sensi dell’articolo 568 c.p.p., l’impugnazione proposta come appello, avendone i requisiti di forma e di sostanza.
Invero, l’istituto della conversione dell’impugnazione previsto dall’articolo 568 c.p.p., comma 5, ispirato al principio di conservazione degli atti, determina unicamente l’automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato. Pertanto, l’atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini dell’impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (Sez. 1, n. 2846 del 08/04/1999 – dep. 09/07/1999, Annibaldi R, Rv. 213835), cio’ che e’ ravvisabile nel caso di specie.
2. La ventilata eccezione di illegittimita’ costituzionale, dedotta con il primo motivo, e’ manifestamente infondata.
3. Invero, l’argomentazione del difensore per sostenere l’asserita disparita’ di disciplina, ossia che la sentenza di proscioglimento per essere stata dichiarata la non punibilita’ ex articolo 131-bis c.p., in relazione a una contravvenzione punita con sola pena pecuniaria sia appellabile, poggia su una premessa indimostrata.
3.1. Al contrario, deve invece ritenersi che cio’ non sia consentito, in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 85 del 2008, con la quale e’ stata dichiarata l’illegittimita’ costituzionale della L. 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 1 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita’ delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui, sostituendo l’articolo 593 c.p.p., esclude che l’imputato possa appellare contro le sentenze di proscioglimento relative a reati diversi dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’articolo 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova e’ decisiva.
In motivazione, la Corte spiego’ che la declaratoria di incostituzionalita’ era limitata alle sentenze di proscioglimento relative a reati diversi dalle contravvenzioni per le quali potrebbe essere inflitta, in concreto, la sola pena dell’ammenda (ossia dalle contravvenzioni punite solo con detta pena o con pena alternativa), in quanto, diversamente ragionando, si determinerebbe un esito irrazionale, ossia che, come evidenza la Corte costituzionale, l’imputato “sia ammesso ad appellare la sentenza che l’abbia prosciolto da una contravvenzione punibile con la sola ammenda (ancorche’ senza un pieno riconoscimento della sua innocenza), quando invece gli e’ precluso in radice l’appello contro la sentenza che, dichiarandone la responsabilita’, abbia concretamente irrogato detta pena”.
3.2. Una soluzione del genere, ossia l’inappellabilita’ delle sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punibili con la sola ammenda, ad avviso della Corte costituzionale, “appare maggiormente aderente alle linee generali del sistema rispetto all’altra – in astratto alternativamente ipotizzabile di rimuovere, tramite lo strumento della declaratoria di incostituzionalita’ in via conseguenziale, la previsione dell’articolo 593 c.p.p., comma 3, consentendo all’imputato di appellare anche contro le sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda; questa seconda soluzione assumerebbe carattere marcatamente “creativo”, determinando un risultato – la caduta di ogni limite oggettivo all’appello – privo di riscontro nel pregresso assetto dell’istituto ed estraneo alla stessa voluntas legis. Si deve escludere, infatti, che (…) il legislatore della L. n. 46 del 2006 intendesse innovare il regime anteriore, quanto alla sottrazione all’appello delle sentenze relative alle contravvenzioni di minore gravita’. Militano in tal senso sia il mantenimento del limite oggettivo all’appellabilita’ delle sentenze di condanna, di cui all’articolo 593 c.p.p., comma 3; sia il carattere, come detto, del tutto marginale dell’ipotesi di appellabilita’ delle sentenze di proscioglimento introdotta dopo il rinvio della legge alle Camere da parte del Capo dello Stato; sia, infine, la circostanza che la L. n. 46 del 2006 aveva come obiettivo generale il contenimento, e non gia’ l’ampliamento, dell’area dell’appellabilita’”.
3.3. Coerentemente a tali coordinate ermeneutiche, deve percio’ affermarsi che l’imputato non e’ legittimato a proporre appello contro la sentenza di proscioglimento ex articolo 131-bis c.p., per un reato per il quale potrebbe essere inflitta, in concreto, la sola pena dell’ammenda, di talche’ non e’ configurabile la prospettata disparita’ di trattamento e nemmeno la violazione degli ulteriori parametri costituzionali indicati dal ricorrente.
4. Il secondo motivo e’ inammissibile perche’ articolato in fatto, e che, dunque, questa Corte non puo’ verificare, atteso il costante principio per cui il controllo del Giudice di legittimita’ sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247); cio’ evidentemente non consente a questa Corte di apprezzare diversamente la deposizione del teste (OMISSIS).
5. Quanto alla residua censura, il ricorrente non si confronta con il costante orientamento di questa Corte di legittimita’, secondo il quale, in tema di reati edilizi, il conseguimento del permesso di costruire in sanatoria ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 36, comporta l’estinzione dei reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche, ma non di quelli disciplinati dalla normativa antisismica e sulle opere di conglomerato cementizio (Sez. 3, Sentenza n. 22580 del 15/01/2019, dep. 23/05/2019, Di Palma, Rv. 275966, Sez. 3, n. 38953 del 04/07/2017 – dep. 07/08/2017, Rizzo, Rv. 270792; Sez. F, n. 44015 del 04/09/2014 – dep. 22/10/2014, Conforti, Rv. 261099), come nel caso in esame.
6. Il terzo motivo e’ infondato.
6.1. Si rammenta che la speciale causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 131 bis c.p. – applicabile, ai sensi del comma 1, ai soli reati per i quali e’ prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta – e’ configurabile in presenza di una duplice condizione, essendo congiuntamente richieste la particolare tenuita’ dell’offesa e la non abitualita’ del comportamento. Il primo dei due requisiti richiede, a sua volta, la specifica valutazione della modalita’ della condotta e dell’esiguita’ del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 c.p., cui segue, in caso di vaglio positivo – e dunque nella sola ipotesi in cui si sia ritenuta la speciale tenuita’ dell’offesa -, la verifica della non abitualita’ del comportamento, che il legislatore esclude nel caso in cui l’autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso piu’ reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuita’, nonche’ nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Per quanto concerne il requisito della non abitualita’ della condotta, la causa di esclusione della punibilita’ non trova applicazione, ai sensi dell’articolo 131 bis c.p., comma 3, qualora l’imputato abbia commesso piu’ reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi), poiche’ e’ la stessa previsione normativa a considerare il “fatto” nella sua dimensione “plurima”, secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuita’ dei singoli segmenti in cui esso si articola (Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016 – dep. 28/06/2016, Grosoli, Rv. 26726201). Ed invero proprio una lettura non superficiale del disposto dell’articolo 131 bis c.p., comma 3, non consente di applicare al caso in esame la causa di non punibilita’ della particolare tenuita’ del fatto, posto che la menzionata disposizione normativa esclude, tra l’altro, di poter riconoscere siffatta causa in favore di chi abbia commesso piu’ reati della stessa indole, anche nell’ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuita’.
6.2. Nel caso in esame, e’ ben vero che il Tribunale ha omesso di rispondere alla richiesta di applicazione dell’articolo 131-bis c.p., che era stata avanzata dal difensore in sede di conclusioni; tuttavia, dalla semplice lettura delle imputazioni, relative a tre distinte violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, commesse in tempi diversi, in quanto la mancata richiesta di autorizzazione evidentemente precede l’esecuzione dei lavori, emerge l’abitualita’ della condotta, che osta al riconoscimento della causa di non punibilita’ ex articolo 131-bis c.p..
7. Inammissibili, infine, sono le censure articolate con il quarto motivo, dirette contestare il trattamento sanzionatorio, essendo del tutto generiche ed assertive.
8. Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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