Corte di Cassazione, sezione sesta civile, Ordinanza 16 ottobre 2018, n. 25794.
La massima estrapolata:
Il Comune non può richiedere un prezzo fisso forfettario per l’erogazione dell’acqua potabile, attraverso il servizio idrico integrato, e non può applicare il canone per la depurazione, se il relativo impianto non è in funzione.
Ordinanza 16 ottobre 2018, n. 25794
Data udienza 1 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10233-2017 proposto da:
COMUNE DI ARAGONA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1887/2016 del TRIBUNALE di AGRIGENTO, depositata il 21/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 01/03/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.
RILEVATO CHE
1. (OMISSIS) conveniva dinanzi al Giudice di Pace di Agrigento il Comune di Aragona, al fine di ottenere la ripetizione di Euro 2065,93, corrisposti all’ente negli anni 2004-2013 in quanto titolare di un contratto di fornitura di acqua potabile. L’attore eccepiva che, in quanto il contratto stipulato fosse riconducibile allo schema della somministrazione, i canoni non andassero corrisposti in misura forfettaria, ma sulla scorta degli effettivi consumi. Inoltre, parte attrice lamentava il pagamento di parte del canone da imputare alla depurazione, in quanto l’Ente non disponeva di un efficiente sistema che garantisse il servizio. Il Comune di Aragona si costituiva in giudizio contestando tutte le domande attoree.
Con sentenza 438/2016, il Giudice adito respingeva le domande del Vela, ritenendo legittima la previsione dell’obbligo del pagamento del canone annuo, nonche’ provata l’esistenza dell’impianto di depurazione.
2. (OMISSIS) proponeva appello avverso la sentenza di prime cure. Il Comune si costituiva contestando la fondatezza delle doglianze.
Il Tribunale di Agrigento, con sentenza 1887 del 21 dicembre 2016, accoglieva integralmente l’impugnazione, condannando il Comune alla ripetizione dell’indebito, nella misura di 1765,48 Euro. In particolare, il Giudice d’Appello evidenziava che, sebbene il servizio di fornitura di acqua abbia natura pubblicistica, il rapporto di utenza ha comunque fonte privatistica, con la conseguenza per cui il corrispettivo non poteva essere calcolato forfettariamente, ma sulla base dell’effettivo consumo dell’utente. Quanto alla contestazione del canone corrisposto a fronte del servizio di depurazione delle acque, il Tribunale non riteneva raggiunta la prova dell’effettiva esistenza di un impianto depurativo funzionante.
3. Il Comune di Aragona propone ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello con due motivi. (OMISSIS) resiste con controricorso.
3.1. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, la proposta di manifesta fondatezza del ricorso.
CONSIDERATO CHE
4. Con l’unico motivo parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “1. delle norme e dei principi in tema di conclusione del contratto per fatti concludenti. 2. Dell’articolo 1339 c.c. in combinato disposto con gli articoli 36 e 37del Regolamento idrico comunale; 3. Per violazione e falsa applicazione delle norme, dei principi e del diritto vivente in base al quale l’ammontare del prezzo che il somministrato deve pagare a far data dall’anno 2000, epoca dell’istruzione del servizio idrico integrato, pur avendo la natura di corrispettivo di una prestazione commerciale complessa la cui fonte non e’ rappresentata da un atto autoritativo, ma dal contratto di utenza, e’ individuato dalla legge (Cass. Civ. n. 12763/2014)”.
Il Tribunale di Agrigento avrebbe errato nel considerare i contratti esibiti dal Comune – in cui era contemplato l’obbligo del pagamento del canone annuo non regolanti il rapporto contrattuale con (OMISSIS) perche’ cessati a causa della scadenza del termine novennale. Avrebbe, inoltre, errato nel non considerare sussistente, sulla base di quanto dedotto in sede d’appello, l’impianto di depurazione dell’acqua.
Il ricorso e’ inammissibile ai sensi dell’articolo 360 bis c.p.c., n. 1.
Con ordinanza n. 8391/2017, invero, questa Corte ha confermato la sentenza del Tribunale di Agrigento identica a quella oggetto dell’odierno procedimento, ponendosi in linea di continuita’ con la consolidata giurisprudenza nella stessa materia.
Sempre riguardo al servizio di fornitura idrico, e aventi come parte ricorrente ancora il Comune di Aragona, sono intervenute altre due ordinanze di questa Corte: la n. 12037/2017 e la n. 12870/2017. Anche queste si pongono sulla stessa scia dell’ordinanza n. 8391/2017.
Si evince con facilita’ come le questioni sollevate da parte ricorrente sono state decise piu’ volte in modo conforme da questa Corte e l’esame dei motivi dell’odierno ricorso non offre elementi per confermare o mutare questo orientamento.
Ancora, il ricorso e’ inammissibile per violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto il ricorrente da un lato, propone una diversa interpretazione del contratto concluso tra le parti, inammissibile in questa sede (ex multis, Cass. Sent. N. 5016/2014), e dall’altra richiama brevi stralci del Regolamento comunale ed omette di riprodurre nella loro integralita’ i passi salienti.
Il ricorso e’, peraltro, anche – come hanno sostenuto le citate decisioni – manifestamente infondato, in quanto il pagamento richiesto dal comune non corrisponde al c.d. “minimo garantito” ma e’ calcolato a forfait, in maniera uguale per tutte le utenze e prescinde, quindi, dal consumo della singola utenza.
In questa determinazione forfettaria del prezzo non si rinviene nessuna configurazione bipartita della tariffa idrica, tipica della somministrazione del “minimo garantito”, che presuppone una parte fissa (comprendente i costi per la produzione e per la erogazione del servizio) e una parte variabile (commisurata alla effettiva quantita’ di acqua consumata dall’utente). Non avendo effettuato, il Comune di Dragona, alcuna misurazione del consumo dei singoli utenti e non risultando nemmeno installato nell’abitazione del (OMISSIS) un contatore, appare evidente che esso proceda ad una liquidazione forfettaria di tali importi.
Inoltre, come gia’ evidenziato correttamente dal giudice d’appello a pagina 4 e 5 della sentenza impugnata, i cui ragionamenti meritano di essere condivisi, i contratti di utenza stipulati nel 1973 e nel 2001 devono ritenersi a tempo determinato e quindi scaduti.
Detto cio’, la vincolativita’ per l’utente finale degli importi richiesti dal Comune non puo’ discendere dal solo articolo 36 del Regolamento idrico comunale. Tale norma subordina l’applicazione del regime tariffario del “consumo minimo” alla espressa pattuizione delle parti. Essendo i contratti di cui trattasi scaduti e’ chiaro che nessun contratto vigeva tra le parti e nessuna pattuizione sul punto risultava effettuata.
Per quanto riguarda l’importo dovuto dal (OMISSIS) per la parte concernente il servizio di disinquinamento idrico, il giudice di seconde cure reputa non raggiunta la prova sul funzionamento dell’impianto di depurazione (pag. 6 sentenza impugnata), perche’ “il fatto che siano stati impiegati e I o spesi dei soldi non significa, come e’ logico, che il depuratore funzioni correttamente”.
Considerato quanto rilevato dal giudice d’appello, rilevato che il ricorrente non ha fornito alcuna prova sul funzionamento dell’impianto di depurazione e che la nuova valutazione nel merito degli elementi probatori e’ preclusa al giudice di legittimita’, i canoni di disinquinamento risultano non dovuti dal (OMISSIS).
6. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato articolo 13, comma 1 bis.