Concordato liquidatorio proposto da un’impresa facente parte di un gruppo

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 17 ottobre 2018, n. 26005.

La massima estrapolata:

Il concordato liquidatorio proposto da un’impresa facente parte di un gruppo che, una volta pagati i creditori privilegiati ed i creditori chirografari nella percentuale prevista, destina il ricavato dei beni restanti al soddisfacimento dei creditori di altre società del gruppo, viola l’articolo 2740 del Codice Civile, perché l’effetto esdebitatorio presuppone sempre la messa a diposizione dei creditori di tutte le attività del debitore. Nel caso poi del gruppo di società il concordato può essere proposto unicamente da ciascuna società senza alcuna possibilità di confusione delle rispettive masse attive e passive delle singole società

Sentenza 17 ottobre 2018, n. 26005

Data udienza 2 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IOFRIDA Giulia – Presidente

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 11988/2013 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, (OMISSIS) S.c.ar.l. in liquidazione, (OMISSIS) Soc. Cons. a r.l. in liquidazione, (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, in persona dei rispettivi liquidatori pro tempore, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procure in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, ciascuno in persona del curatore avv. (OMISSIS); Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, Fallimento (OMISSIS) a r.l. in liquidazione, Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, ciascuno in persona del curatore avv. (OMISSIS), tutti elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende, giusta procure a margine del controricorso;
– controricorrenti –
contro
Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Pubblico Ministero in persona del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1535/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/03/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2018 dal cons. Dott. DE MARZO GIUSEPPE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS), con delega, che ha chiesto l’accoglimento;
udito, per i controricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 19 marzo 2013 la Corte d’appello di Roma ha rigettato i reclami proposti da (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, l'(OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, l'(OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) soc. coop. a r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) soc. cons. a r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione,con i quali era stata chiesta la revoca delle sentenze di fallimento emesse in relazione a tali societa’.
2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che, nel caso di specie, il Tribunale aveva comunicato al P.M. la proposta di concordato depositata dalle societa’ reclamanti, in osservanza dell’articolo 161, L. Fall., che consente al P.M. di partecipare al procedimento e di formulare le sue conclusioni, tra le quali e’ ben possibile l’istanza di fallimento, che si inquadra nello speciale potere di azione attribuito dalla legge fallimentare alla parte pubblica; b) che, in definitiva, l’obbligo di comunicare al P.M. la proposta di concordato consente a quest’ultimo di acquisire l’eventuale notitia decoctionis, da ritenersi qualificata in quanto proveniente dallo stesso debitore che denuncia una situazione fattuale potenzialmente riconducibile ai presupposti del fallimento; c) che la stessa distinzione operata dall’articolo 6 L.F. tra ricorso per la declaratoria di fallimento, da parte del debitore o dei creditori, e richiesta del P.M., finisce per svincolare l’iniziativa della parte pubblica da particolari requisiti di forma, soprattutto quando assunta nel corso della procedura di concordato; d) che, del resto, nessuna lesione del diritto di difesa era stata dedotta dalle societa’ reclamanti; e) che, infine, la natura confessoria della insolvenza contenuta nella proposta concordataria spiegava la semplice presa d’atto da parte del P.M..
Nel merito, la Corte territoriale ha confermato la valutazione di inammissibilita’ della proposta concordataria con funzione liquidatoria presentata dalle varie societa’, la quale, nel prevedere che il ricavato della cessione dei beni della (OMISSIS) e della (OMISSIS), una volta soddisfatti per intero i creditori privilegiati e nella percentuale prevista (rispettivamente il 19 e il 20%) i creditori chirografari, fosse destinato al soddisfacimento dei creditori delle altre societa’ del gruppo, finiva, nella sostanza, per realizzare la violazione del principio inderogabile della responsabilita’ patrimoniale del debitore, ai sensi dell’articolo 2740 cod. civ..
La sentenza impugnata, infine, ha osservato che siffatti rilievi consentivano di considerare come assorbita la doglianza relativa alla inammissibilita’ della proposta per mancanza di una valida attestazione di fattibilita’, aggiungendo, per completezza: a) che l’attestatore non aveva fatto proprie le conclusioni e le analisi del perito e, anzi, aveva formulato delle riserve sui valori indicati nelle relazioni di stima; b) che un giudizio di fattibilita’ subordinato al mancato verificarsi di una serie di circostanze negative sostanzialmente si traduce nell’assenza di una prognosi favorevole sul non avveramento di tali fattori condizionanti, soprattutto quando questi ultimi siano piu’ d’uno.
3. Avverso tale sentenza la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, l'(OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, l'(OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) soc. coop. a r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) soc. cons. a r.l. in liquidazione, la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resistono con controricorso le curatele dei fallimenti della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, della (OMISSIS) s.c.a.r.l. in liquidazione, della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, della (OMISSIS) societa’ consortile a r.l. in liquidazione, della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione. Le curatele delle restanti societa’ non hanno svolto attivita’ difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 6, 7 e 162 L.F. nonche’ dell’articolo 101 c.p.c., rilevando: a) che le ricorrenti, nel proporre reclamo, non avevano inteso dolersi del mero fatto che la richiesta di fallimento fosse stata proposta verbalmente dal P.M., ma dell’assenza di qualsiasi rilievo in merito allo stato di insolvenza; b) che tale vizio aveva reso la richiesta inidonea al raggiungimento del fine e quindi si era tradotta in un illegittimo esercizio del potere di azione, che aveva anche menomato il concreto esercizio del diritto al contraddittorio c) che, in senso contrario, non potevano essere valorizzati elementi fattuali acquisiti in epoca successiva; d) che, del resto, l’atto depositato dal P.M. presso la Procura Generale, a seguito della proposizione del reclamo, aveva ritenuto “pienamente esaustive le ragioni di non convenienza economica per i creditori del proposto concordato”, aggiungendo che la motivazione della richiesta di fallimento doveva appunto essere colta “nel giudizio di non fattibilita’ e non convenienza del concordato”; e) che, alla stregua di tale precisazione, appariva evidente che l’accertamento dello stato di insolvenza e la dichiarazione di fallimento dovevano essere ricondotte ad un accertamento officioso da parte del Tribunale.
La doglianza e’ infondata, in quanto, come gia’ rilevato da questa Corte (Cass. 13 aprile 2017, n. 9574) alla richiesta di fallimento formulata dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 162, comma 2, quale conseguenza della inammissibilita’ della proposta di concordato preventivo, non si applica il disposto dell’articolo 7 della medesima legge. In realta’, accanto al petitum, chiaramente evincibile dalle conclusioni formulate a verbale, e’ esattamente individuabile anche il requisito della causa petendi, giacche’ lo stato di insolvenza e’ quello desumibile dalla complessiva situazione fattuale e procedimentale, alla luce della stessa proposta concordataria. La cit. Cass. 9574 del 2017, al pari della successiva Cass. 16 marzo 2018, n. 6649chiarisce, infatti, che il P.M., informato della proposta di concordato preventivo (articolo 161, comma 5, L. Fall.), partecipa ordinariamente al procedimento, nel rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa delle altre parti, mediante la presenza in udienza, ivi compresa quella fissata dal tribunale ai fini della declaratoria di inammissibilita’ della domanda, rassegnando le proprie conclusioni orali, che comprendono, oltre alla valutazione negativa sulla proposta concordataria, anche l’eventuale richiesta di fallimento in ragione della ritenuta insolvenza dell’imprenditore, di cui e’ venuto a conoscenza a seguito della partecipazione alla procedura, senza che vi sia la necessita’ che tali conclusioni si traducano in un formale ricorso da notificare al debitore in vista di un’udienza ex articolo 15 L. Fall., affatto necessaria:
I cenni del provvedimento impugnato alla incontestata insolvenza della societa’ non mirano a ricostruire, sulla base di una situazione fattuale emersa successivamente, il contenuto della richiesta, ma solo a sottolineare che proprio tale realta’, palesata dalla proposta, aveva rappresentato il fondamento dell’iniziativa processuale del pubblico ministero.
E’ appena il caso di osservare che, in tale contesto, le valutazioni espresse dalla Procura generale, a seguito della proposizione del reclamo, non hanno alcun rilievo, al fine di risolvere la questione processuale sollevata che richiede l’applicazione delle norme pertinenti, senza essere condizionata dalle deduzioni e dai convincimenti delle parti.
In tale prospettiva, neppure e’ dato cogliere quale pregiudizio abbiano sofferto le possibilita’ difensive delle ricorrenti, una volta che le stesse erano, secondo il ragionevole apprezzamento espresso dalla Corte territoriale, ben consapevoli della situazione di insolvenza nella quale versavano e delle prevedibili conseguenze che sarebbero scaturite da una valutazione di inammissibilita’ del concordato.
2. Con il secondo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’articolo 2740 cod. civ., nonche’ degli articoli 160 e 182 L. Fall., rilevando: a) che l’articolo 2740 cit. protegge l’interesse disponibile del creditore a non subire comportamenti del debitore che limitino la consistenza del patrimonio di quest’ultimo a danno del primo; b) che tale principio trova piena attuazione proprio nel concordato preventivo con cessione dei beni, che, per sua natura, si accompagna al rischio che i creditori chirografari non ricevano integralmente la percentuale del pagamento offerta nella proposta di concordato, che pure essi accettano, rinunciando alla illimitata responsabilita’ patrimoniale del debitore, in cambio della rassicurazione che parte del loro credito verra’ soddisfatta; c) che tali indicazioni si inquadrano nella privatizzazione della procedura di concordato, nella soppressione dell’inciso dell’articolo 160 L. Fall., che faceva riferimento alla “cessione di tutti i beni” e, infine, nella modifica della rubrica dell’articolo 182 L. Fall., oggi formulata come “cessione di beni” e non piu’ come “cessione dei beni”; d) che, pertanto, l’articolo 186-bis L. Fall., lungi dal costituire eccezione alla regola, appare espressione dei ricordati principi; e) che, in definitiva, la Corte territoriale aveva ritenuto inammissibile la proposta per ragioni attinenti alla convenienza della stessa, rimesse alla esclusiva valutazione dei creditori; f) che la posizione dei creditori dissenzienti era destinata ad essere tutelata con il rimedio della opposizione all’omologa del concordato e con gli altri istituti destinati a trovare applicazione in relazione agli sviluppi della procedura (come la procedura finalizzata alla revoca dell’ammissione al concordato preventivo); g) che, peraltro, nel caso di specie, la cessione dei beni in favore dei creditori di (OMISSIS) e di (OMISSIS) era riconducibile ad una sorta di cessio pro solvendo.
Le doglianze sono infondate.
La tesi delle ricorrenti valorizza la natura negoziale del concordato e la disponibilita’ degli interessi in gioco, nel senso che spetta al debitore la facolta’ di fissarne il contenuto e attribuisce ai creditori il diritto di valutarne la convenienza economica. E qualora vengano in rilievo, come nella specie, gruppi di societa’, dovrebbe appunto essere rimessa a siffatta valutazione l’approvazione della proposta di destinare parte dell’attivo di una delle societa’ in concordato ai creditori di altra societa’ del gruppo, ancorche’ non sia prevista l’integrale soddisfazione dei creditori della prima.
Ritiene il Collegio che il concordato con cessione solo parziale dei beni realizzi una violazione dell’articolo 2740 cod. civ., in quanto l’effetto esdebitatorio presuppone la messa a disposizione dei creditori di tutte le attivita’ del debitore. Proprio la presenza di tale effetto spiega l’inapplicabilita’ della disciplina dettata dall’articolo 1977 cod. civ., che consente al debitore di cedere “tutte o alcune sue attivita’”; in realta’, la cessione dei beni di fonte contrattuale non ha un effetto esdebitatorio, a differenza di quanto avviene nel concordato, e consente ai creditori cessionari di agire esecutivamente anche sulle attivita’ non cedute. Cosi’ come diversa e’ la situazione che si presenta nel concordato con continuita’ aziendale, ai sensi dell’articolo 186 bis L. Fall., in cui la cessione parziale dei beni e’ espressamente prevista proprio in relazione alla finalita’ perseguita dall’istituto di consentire la prosecuzione dell’attivita’ imprenditoriale.
In senso contrario, non e’ convincente l’argomento tratto dal testo del novellato articolo 160 L.F. – che non opera piu’ un esclusivo e puntuale riferimento alla cessione di “tutti” i beni -, giacche’ la formulazione del dato normativo in termini generali si spiega in quanto la cessione e’ divenuta una delle forme attraverso le quali si possono attuare la prevista ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti.
Posto allora che la cessione deve continuare ad investire nel concordato liquidatorio la totalita’ dei beni del debitore, deve poi osservarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, e’ inammissibile la proposta unitaria di concordato da parte di societa’ fra loro collegate da vincolo di direzione e controllo che preveda l’attribuzione ai creditori di ciascuna societa’ solo di parte del patrimonio di questa (Cass. 13 ottobre 2015, n. 20559; Cass. 13 luglio 2018, n. 18761). Il concordato preventivo puo’, pertanto, essere proposto unicamente da ciascuna delle societa’ appartenenti al gruppo davanti al tribunale territorialmente competente per ogni singola procedura, senza possibilita’ di confusione delle masse attive e passive, per essere, quindi, approvato da maggioranze calcolate con riferimento alle posizioni debitorie di ogni singola impresa.
La necessaria separazione delle masse attive e passive rappresenta, pertanto, anche in ragione del meccanismo di formazione delle maggioranze necessarie, un dato imprescindibile della normativa. Del resto, essa caratterizza anche la sola ipotesi di concordato di gruppo, espressamente regolata dal Decreto Legge 23 dicembre 2003, n. 347, articolo 4 bis, comma 2, conv. con L. 18 febbraio 2004, n. 39. Siffatta scelta normativa e’ stata, peraltro, confermata anche dalla L. 19 ottobre 2017, n. 155, recante la delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza. La L. n. 155 del 2017, articolo 3, comma 1, lettera d), infatti, nell’indicare al Governo i principi e i criteri direttivi per la riforma in tema di gruppi di impresa, ha previsto la facolta’ di proporre con unico ricorso domanda di ammissione al concordato preventivo o di liquidazione giudiziale, lasciando ferma “in ogni caso l’autonomia delle rispettive masse attive e passive”.
In questa prospettiva si apprezza la coerenza con il quadro normativo della soluzione assunta dalla Corte distrettuale, che ha colto nella violazione della regola dettata dall’articolo 2740 cod. civ. il fondamento del giudizio di non fattibilita’ giuridica della proposta concordataria.
3. Con il terzo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione degli articoli 161, 162 e 163 L. Fall., con riferimento alle considerazioni dedicate dalla sentenza impugnata alla questione della inammissibilita’ per mancanza di una valida attestazione di fattibilita’ del piano (questione pure ritenuta, in linea di principio, assorbita dal rigetto dei motivi di reclamo precedenti).
Rilevano le ricorrenti: a) che, secondo quanto chiarito da Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, il controllo del giudice e’ limitato alla fattibilita’ giuridica del piano e non si estende ai profili della verosimiglianza dell’esito e della convenienza della proposta, invece rimessi alla valutazione dei creditori; b) che l’attestatore, nel caso di specie, aveva esaminato le perizie immobiliari e confermato la congruita’ dei valori espressi, alfine pervenendo alla attestazione di fattibilita’ del piano, pur doverosamente segnalando, nel quadro degli eventi futuri, alcune criticita’ finalizzate a fornire ai creditori i necessari elementi valutativi.
Il rigetto del secondo motivo comporta l’evidente assorbimento delle censure appena indicate.
4. In conclusione, il ricorso, complessivamente infondato, deve essere respinto e le ricorrenti condannate al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo, oltre che dichiarate tenute al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Avv. Renato D’Isa