Emanazione da parte della p.a. di un provvedimento di acquisizione sanante

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 10 giugno 2019, n. 3871.

La massima estrapolata:

L’emanazione da parte della p.a. di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42-bis d.p.r. n. 327 del 2001 determina l’improcedibilità delle domande di restituzione e di risarcimento del danno proposte in relazione ad esse, salva la formazione del giudicato non solo sul diritto del privato alla restituzione del bene, ma anche sulla illiceità del comportamento della p.a. e sul conseguente diritto del primo al risarcimento del danno.

Sentenza 10 giugno 2019, n. 3871

Data udienza 9 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 141 del 2017, proposto dai signori An. Sa. e Ca. An. Sa., rappresentati e difesi dall’avvocato Gi. Sg., con domicilio eletto presso lo studio Gr. e As. s.r.l., in Roma, corso (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata n. 594 del 2016;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla camera di consiglio del giorno 9 maggio 2019 il Cons. Silvia Martino;
Udito l’avvocato Gi. Sg.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al TAR per la Basilicata n. 399/2012, i signori An. Sa. e Ca. An. Sa. chiedevano la condanna del Comune di (omissis) al risarcimento dei danni, derivanti dall’illecita occupazione “senza titolo” dei terreni, di loro proprietà, foglio di mappa n. (omissis) particelle nn. (omissis) e (omissis), siti nella zona di espansione Piani della Maddalena, irreversibilmente trasformati mediante la costruzione di una strada a servizio dei lotti edificabili, per la mancata emanazione del decreto di espropriazione definitiva prima della cessazione degli effetti della dichiarazione di pubblica utilità e dei relativi termini fissati per l’ultimazione dei lavori e per il compimento della procedura espropriativa.
In particolare, essi chiedevano la condanna al risarcimento del danno corrispondente al valore venale dei terreni illecitamente occupati ed irreversibilmente trasformati, al valore venale del fabbricato rurale, ubicato sui suddetti terreni, e demolito per la costruzione della strada, al mancato godimento dei terreni medesimi per tutto il periodo di illegittima occupazione successivo alla scadenza del termine stabilito per il compimento della procedura espropriativa, alla minore volumetria realizzabile per effetto della costruzione della strada; il tutto, oltre interessi legali e rivalutazione.
A tal fine, gli interessati dichiaravano di voler “abdicare” al diritto di proprietà in favore del Comune di (omissis) e chiedevano contestualmente al TAR la “declaratoria dell’obbligo della stipula del contratto di compravendita dei predetti terreni tra i ricorrenti ed il Comune di (omissis) e della conseguente trascrizione di tale trasferimento di proprietà presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Potenza”.
2. Con sentenza n. 586 del 17 settembre 2015, il TAR:
a) affermava di non poter statuire direttamente il trasferimento al Comune della proprietà dei terreni di cui è causa, stante la natura discrezionale del provvedimento di acquisizione sanante;
b) dichiarava inammissibile la domanda volta ad ottenere la condanna del Comune al pagamento del valore venale degli immobili in questione, considerato che gli interessati “avrebbero dovuto chiedere la restituzione dei terreni di cui è causa previa remissione in pristino dello stato dei luoghi oppure l’emanazione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis DPR n. 327/2001, impugnando l’eventuale silenzio dell’Amministrazione ai sensi degli artt. 31, commi 1, 2 e 3, e 117 Cod. Proc. Amm.”
c) accoglieva, per il resto, la domanda risarcitoria, ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., ordinando al Comune di quantificare i danni – tenendo conto di quanto statuito dai commi 1 e 3 dell’art. 42 bis DPR n. 327/2001 – relativi:
1) al periodo di illegittima occupazione successivo alla scadenza del termine stabilito per il compimento della procedura espropriativa;
2) alla demolizione del fabbricato rurale, sito sui suddetti terreni e demolito per la costruzione della strada;
3) alla minore volumetria realizzabile.
3. La sentenza passava in giudicato.
4. Il Responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale – con relazione di stima del 9 novembre 2015 – determinava in complessivi Euro 13.995,62 la somma spettante ai signori Saluzzi, di cui Euro 6.303,80 (comprensivi degli interessi legali, senza rivalutazione monetaria) per il danno da illegittima occupazione dei suoli ed Euro 7.691,82 (comprensivi del cumulo di interessi legali e rivalutazione monetaria) per quanto concerne il danno relativo alla demolizione del fabbricato rurale, mentre non veniva riconosciuta alcuna somma per la minore volumetria realizzabile.
Il Comune di (omissis), con delibera della Giunta n. 53 del 9 dicembre 2015, approvava la relazione di stima del Responsabile dell’Ufficio Tecnico e, successivamente, con delibera del Consiglio n. 44 del 31 dicembre 2015 riconosceva il debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 191 del d.lgs. n. 267/2000.
I sigg. An. Sa. e Canio An. Sa. proponevano quindi ricorso in ottemperanza innanzi al TAR per la Basilicata, deducendo la nullità delle citate delibere della Giunta n. 53 del 9 dicembre 2015 e del Consiglio n. 44 del 31 dicembre 2015 per la violazione del giudicato.
5. Il TAR, nella resistenza del Comune:
– dichiarava infondata la domanda volta ad ottenere l’accertamento della nullità delle suddette delibere, perché il Comuna di (omissis) aveva adempiuto alla sentenza;
– non si adeguava alla relazione di stima del Responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale del 9 novembre 2015, approvata con delibera della Giunta n. 53 del 9 dicembre 2015, nella sola parte in cui, per il danno per il periodo di illegittima occupazione successivo alla scadenza del termine stabilito per il compimento della procedura espropriativa, erano stati ritenuti dovuti anche gli interessi legali e non anche la rivalutazione monetaria.
6. La sentenza è stata impugnata dagli originari appellanti, rimasti parzialmente soccombenti, i quali hanno dedotto quanto segue:
1. Erroneità della sentenza impugnata per violazione del giudicato formatosi a seguito dell’emissione della sentenza n. 586 del 2015 resa dalla prima Sezione del TAR di Potenza – Violazione dell’art. 42 – bis del d.P.R. n. 327 del 2011.
In primo luogo gli appellanti hanno lamentato il fatto che, sebbene il TAR abbia richiamato, ai fini della liquidazione del risarcimento del danno, i commi 1 e 3 dell’art. 42 -bis del d.P.R. n. 327 del 2001, tuttavia, nel calcolo effettuato dal Comune, non sia stato incluso il danno non patrimoniale, ivi previsto.
In ogni caso, nel corso del processo, essi avevano offerto prova del danno subito per il periodo di occupazione illegittima, sicché lo stesso non si sarebbe potuto liquidare nella sola misura forfettaria del 5% annuo sul valore determinato ai sensi del comma 1.
Per ciò che riguarda il valore del fabbricato rurale, la quantificazione operata dal Responsabile dell’Area tecnica del Comune di (omissis) non sarebbe condivisibile, in quanto non ha rivalutato i valori alla data di cessazione dell’occupazione e non ha tenuto in considerazione il valore del pozzo, ormai non più utilizzabile, essendo incluso in un relitto stradale non praticabile ai fini della coltivazione del fondo agricolo.
Per quanto riguarda il valore dei terreni, non sarebbe poi corretto il riferimento, operato dal TAR, alle stime effettuate dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, il quale ha riportato solamente valori riferiti a fabbricati e non a terreni edificabili, con la conseguenza che non sarebbe dato sapere da dove derivi la dimostrazione della coerenza con la media dei prezzi indicati negli atti di compravendita, atti mai allegati alla relazione di stima del Tecnico Comunale, né tantomeno depositati in giudizio;
2. Sotto diverso profilo, erroneità della sentenza impugnata per violazione del giudicato formatosi a seguito dell’emissione della sentenza n. 586 del 2015, resa dalla Prima Sezione del TAR di Potenza – Violazione dell’art. 42 – bis del d.P.R. n. 327/2001.
Neppure corretta, inoltre, sarebbe l’esclusione dal danno derivante dalla minore volumetria realizzabile, poiché esso era stato ritenuto spettante dalla sentenza n. 586 del 2015.
In particolare, quanto alle condizioni e ai limiti del trasferimento di cubatura (che secondo il TAR sarebbe ancora possibile), gli appellanti hanno evidenziato che esso può avvenire solo fra fondi:
– compresi nella medesima zona urbanistica ed aventi la stessa destinazione urbanistica in quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico;
– contigui, requisito ritenuto necessario affinché le costruzioni da realizzare risultino armonicamente distribuite sul territorio, a garanzia di esigenze estetiche, igieniche ed ambientali.
Nel caso di specie, il trasferimento di volumetria mediante perequazione urbanistica non è previsto dal Regolamento Urbanistico del Comune di (omissis), e comunque non è possibile trasferire la volumetria, in quanto le altre proprietà non rientrano nelle aree urbane e periurbane individuate dal Regolamento servite da urbanizzazione primaria.
Sarebbe comunque difficile ipotizzare un terzo interessato all’acquisto di volumetria in questa fase di recessione del mercato, anche perché lo stesso dovrebbe essere proprietario di un’area nella stessa zona urbanistica, contigua e priva di volumetria per consentire il rispetto della densità edilizia del lotto, del limite di altezza e della distanza dai fabbricati.
Di fatto, quindi, il risarcimento del danno da mancata volumetria non potrebbe trovare piena soddisfazione con la cessione o la vendita a terzi, ma esclusivamente attraverso un indennizzo a carico del Comune di (omissis), così come espressamente previsto nella sentenza n. 586 del 2015.
A tale riguardo, gli appellanti hanno chiesto che il danno sia quantificato in Euro 111.067,32, con rivalutazione e interessi, somma riveniente dai calcoli effettuati dal tecnico di parte.
7. Il Comune di (omissis) non si è costituito in giudizio.
8. L’appello è passato in decisione alla camera di consiglio del 9 maggio 2019.
9. Rileva in primo luogo il Collegio che non vi è in atti la prova della ricezione del ricorso in appello da parte del Comune di (omissis).
Non può infatti ritenersi idonea a dimostrare il perfezionamento delle operazioni di notificazione la produzione di copia della pagina “cerca spedizioni” del sito internet di Po. It. s.p.a. (allegata all’atto di appello), in quanto priva di valenza probatoria ed avente mera funzione informativa.
Non risulta poi utile il documento depositato dall’avvocato Sg. nella camera di consiglio del 9 maggio 2019.
Dalla relata di notifica in calce, come pure dalla ricevuta di presentazione della raccomandata rilasciata dalle Po., si evince infatti che l’atto di appello è stato spedito al difensore del Comune costituito in primo grado, avvocato Fr. Bu., presso il domicilio eletto in Piazza della Costituzione Italiana n. 42, Potenza; tuttavia, il retro della cartolina depositata (in forma digitale, ancorché senza le modalità del PAT) riguarda un atto indirizzato ad uno degli appellanti, signor Ca. An. Sa., evidentemente non utile ai fini di cui trattasi.
Deve altresì rilevarsi che, nell’ambito della documentazione allegata all’atto di appello, figura un ulteriore ricorso al TAR, relativo all’impugnativa della, pure allegata, delibera n. 29 del 22 luglio 2016 con cui, successivamente alla pubblicazione della sentenza oggetto dell’odierno gravame, il Comune di (omissis) ha disposto l’acquisizione, ex art. 42 – bis del d.P.R. n. 327 del 2001, delle aree di proprietà dei ricorrenti.
Secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza, “l’emanazione da parte della p.a. di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42-bis d.p.r. n. 327 del 2001 determina l’improcedibilità delle domande di restituzione e di risarcimento del danno proposte in relazione ad esse, salva la formazione del giudicato non solo sul diritto del privato alla restituzione del bene, ma anche sulla illiceità del comportamento della p.a. e sul conseguente diritto del primo al risarcimento del danno” (Cass., Sez. I, n. 5686 del 7 marzo 2017; cfr. anche, in precedenza, Cass., n. 11258 del 31 maggio 2016; Cons. Stato, Sez. IV, 28 maggio 2019, n. 3467; Sez. IV, 29 aprile 2019, n. 2705).
Nel caso in esame, non può dirsi formato un giudicato restitutorio, poiché il TAR, con la sentenza resa nella fase di cognizione, n. 586 del 17 settembre 2015, a fronte dell’asserita “abdicazione” da parte dei ricorrenti al loro diritto di proprietà in favore del Comune, si è limitato a statuire che essi, per contro, “avrebbero dovuto chiedere la restituzione dei terreni di cui è causa previa remissione in pristino dello stato dei luoghi oppure l’emanazione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis DPR n. 327/2001, impugnando l’eventuale silenzio dell’Amministrazione ai sensi degli artt. 31, commi 1, 2 e 3, e 117 Cod. Proc. Amm.”
Per quanto poi riguarda la parte della pronuncia che ha condannato il Comune al risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima, la stessa ha statuito solo sull'”an debeatur”, mentre le doglianze relative al “quantum”, definite in sede di ottemperanza, sono state devolute nella presente sede di appello, impedendo così il consolidamento delle statuizioni rese in prime cure.
Il ristoro previsto dal cit. art. 42 – bis del d.P.R. n. 327 del 2001 configura un indennizzo da atto lecito (dal momento che il provvedimento di acquisizione comporta – secundum ius – l’adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto).
Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza, le controversie inerenti alla sua quantificazione sono devolute alla giurisdizione ordinaria ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. g) c.p.a. (cfr., ex plurimis, Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 25 luglio 2016, 15283; id., ordinanza 29 ottobre 2015, n. 22096; Cons. St., sez. IV, sentenza n. 4550/2017).
Vero è che si potrebbero porre problemi di interferenza con il giudicato, laddove il provvedimento ex art. 42 – bis del d.P.R. n. 327/2001 si innesti su una precedente decisione del giudice amministrativo che abbia specificamente dettato, ad esempio, i criteri per quantificare il valore venale del fondo (dato, questo, cui si rapportano sia le poste risarcitorie da occupazione illegittima sia quelle indennitarie in ipotesi di emissione del provvedimento di acquisizione sanante).
In simili ipotesi, “laddove si lamenti che l’amministrazione, nell’emettere il provvedimento ex art. 42 bis del Testo Unico si sia discostata dalla specifica indicazione valoriale scolpita nella decisione giudiziale, effettivamente si potrebbe in teoria sostenere che la successiva vicenda processuale concerna il doveroso controllo in sede di ottemperanza di decisioni regiudicate nell’ambito delle quali erano state indicate dal Giudice della cognizione le coordinate cui l’amministrazione intimata avrebbe dovuto attenersi anche laddove avesse ritenuto di emettere il provvedimento ex art. 42 bis del TU Espropriazione” (Cons. St., sez. IV^, sentenza n. 1910/2016).
Tuttavia, nel caso di specie, la pronuncia di cognizione non ha affrontato in alcun modo la questione della determinazione del valore venale del terreno, ma si è limitata genericamente a rinviare agli stessi criteri di liquidazione previsti dal più volte citato art. 42 – bis (commi 1 e 3).
L’improcedibilità sopravvenuta del ricorso in ottemperanza instaurato in primo grado, per effetto dell’adozione del provvedimento di acquisizione, si apprezza inoltre anche in ordine alle specifiche voci di danno individuate dal TAR in sede di cognizione.
Infatti, l’indennizzo previsto per il caso di emanazione dell’atto di acquisizione deve avere riguardo al complessivo pregiudizio patrimoniale subito (cfr. Sezioni Unite, 25 luglio 2016, n. 15283).
10. Ai sensi degli artt. 35, comma 1, lettera c), 38 e 85, comma 9, c.p.a, nel giudizio amministrativo il rapporto processuale non perde la sua unitarietà per il fatto di essere articolato in gradi distinti, sicché la sopravvenuta carenza o l’estinzione dell’interesse al ricorso di primo grado determina l’improcedibilità non solo dell’appello – indipendentemente da chi l’abbia proposto – ma pure dell’impugnazione originaria spiegata innanzi al giudice di primo grado, e comporta quindi, qualora non si verta in ipotesi di vizio o difetto inficiante il solo giudizio di appello, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
Nel caso di specie, si impone pertanto la declaratoria d’improcedibilità del ricorso instaurato in primo grado (r.g. n. 106/2016 del TAR per la Basilicata), per sopravvenuta carenza d’interesse, con il conseguente annullamento senza rinvio della sentenza dello stesso TAR n. 594 del 4 giugno 2016.
In ragione della peculiarità della vicenda in esame, appare equo compensare integralmente tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 141 del 2017, di cui in premessa, dichiara l’improcedibilità del ricorso di primo grado (R.G. n. 106/2016 del TAR per la Basilicata) per sopravvenuta carenza d’interesse e, per l’effetto, annulla senza rinvio la sentenza indicata in epigrafe.
Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore

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