Divorzio e la morte dell’ex coniuge nel corso del procedimento

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|24 giugno 2022| n. 20495.

Divorzio e la morte dell’ex coniuge nel corso del procedimento

In tema di divorzio, la morte dell’ex coniuge ricorrente nel corso del procedimento per la revisione dell’assegno divorzile, ai sensi dell’art. 9, comma 1, della l. n. 898 del 1970, non comporta la dichiarazione di improseguibilità dello stesso, ma gli eredi subentrano nella posizione del coniuge richiedente la revisione, al fine dell’accertamento della non debenza dell’assegno a decorrere dalla domanda sino al decesso, nonché nell’azione di ripetizione dell’indebito, ex art. 2033 c.c., per la restituzione delle somme non dovute.

Sentenza|24 giugno 2022| n. 20495. Divorzio e la morte dell’ex coniuge nel corso del procedimento

Data udienza 10 maggio 2022. Divorzio e la morte dell’ex coniuge nel corso del procedimento

 

 

Integrale

Tag/parola chiave: Divorzio – Assegno divorzile – Giudizio di revisione – Decesso del coniuge obbligato al pagamento nel corso del giudizio – Non comporta la declaratoria di improseguibilità – Gli eredi subentrano nella posizione del coniuge richiedente la revisione – Accertamento della non debenza dell’assegno a decorrere dalla domanda sino al decesso – Azione di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. per la restituzione delle somme non dovute

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f.

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sezione

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere

Dott. FERRO Massimo – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 5166/2020 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso il decreto n. 3110/2019 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 29/11/2019;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/05/2022 dal Consigliere LOREDANA NAZZICONE;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale RITA SANLORENZO, la quale chiede che le Sezioni Unite della Corte di cassazione – previa affermazione del principio di diritto in base al quale nel caso di decesso di uno degli ex coniugi, che segua alla formazione del giudicato interno che dichiara lo scioglimento del vincolo coniugale, il procedimento per la determinazione del diritto all’assegno deve comunque proseguire riguardando diritti patrimoniali maturati a tale titolo nei confronti del de cuius sino alla data dell’avvenuto decesso – voglia rigettare il ricorso.

 

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FATTI DI CAUSA

1. – Con decreto del 12 marzo 2019, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha respinto il ricorso proposto dall’ex coniuge, volto alla revoca dell’attribuzione di un assegno divorzile di Euro 2.240,00 mensile in favore della ex moglie.
In sede di reclamo, la Corte di appello di Messina con decreto del 29 novembre 2019, in parziale riforma, ha ridotto di Euro 500,00, quindi fissato nella misura di Euro 1.740,00, il predetto importo, a decorrere dalla pubblicazione del decreto.
Ha ritenuto la corte territoriale che la percezione, da parte della beneficiaria dell’assegno, di una somma rilevante (pari a circa Euro 400.000,00) integrasse un fatto nuovo, idoneo a modificare in melius le condizioni pregresse, indipendentemente dalla circostanza fatto che una parte della somma sia poi stata donata alle figlie, mentre per il reclamante il fatto nuovo sopravvenuto, del pari idoneo a modificarne in peius la situazione complessiva, e’ la malattia grave da cui egli e’ stato colpito, con le relative spese di cura e di viaggio; ha ritenuto assenti, invece, le condizioni per revocare l’assegno, sebbene la richiedente disponesse di una casa con relative pertinenze e nel suo patrimonio fosse entrata un considerevole somma.
2. – Avverso questa decisione proposto ricorso per cassazione, fondato su tre motivi. Si difende con controricorso l’intimata.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
La parte ricorrente ha depositato la memoria ex articolo 378 c.p.c..
La causa e’ stata posta in decisione all’udienza collegiale del 10 maggio 2022.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione della L. 10 dicembre 1970, n. 898, articoli 5 e 9, in quanto la corte del merito non ha tenuto conto degli insegnamenti di Cass., sez. un., n. 18287 del 2018, non avendo accertato l’inadeguatezza dei mezzi economici della ex coniuge o l’impossibilita’ di procurarseli per ragioni oggettive: al contrario, essa ha successivamente ereditato importanti cespiti, e’ divenuta proprietaria dell’abitazione in cui vive e di un magazzino, che essa lascia artatamente vuoto ed inutilizzato e che potrebbe essere utilmente locato con un buon reddito; la stessa donazione di Euro 200.000,00 alle figlie, di cui la Corte d’appello da’ atto, dimostra che l’ex coniuge non ha nessun problema economico ed anzi gode di notevoli disponibilita’.
Con il secondo motivo, lamenta la nullita’ del decreto impugnato, ai sensi dell’articolo 132 c.p.c., comma, n. 4, per assoluta mancanza di motivazione circa il quantum della riduzione operata.
Con il terzo motivo, deduce la violazione o la falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, articolo 9, con riguardo alla decorrenza della riduzione, arbitrariamente fissata dall’emissione del decreto e non dal deposito del ricorso introduttivo.
2. – La vicenda. La vicenda in esame ha visto la pronuncia di una iniziale sentenza sullo status in data 17 dicembre 2012, con prosecuzione del giudizio ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile, conclusosi con l’affermazione dell’obbligo, a carico dell’ex marito, di pagare la somma mensile di Euro 2.240,00 in favore dell’ex moglie, disposto dal Tribunale con la sentenza del 13 giugno 2013, appellata e confermata dal giudice di secondo grado.
Quindi, con ricorso depositato il 22 dicembre 2017, il coniuge onerato ha agito per la revoca dell’assegno, istanza parzialmente accolta in sede di giudizio di reclamo con la riduzione del medesimo ad Euro 1.740,00.

 

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Intrapreso il giudizio di cassazione e formulata dalla Sezione VI-1 proposta di accoglimento del ricorso per manifesta fondatezza, nel mese di novembre 2021 la ex coniuge controricorrente ha depositato istanza di interruzione del giudizio, in ragione del sopravvenuto venir meno del ricorrente.
Oggetto della rimessione alle Sezioni unite sono, pertanto, le questioni concernenti le sorti del processo in simile evenienza, con riguardo alle figure delle parti del giudizio divorzile o di modifica delle condizioni di esso, alla natura delle sentenze pronunciate, alla successione, all’interruzione ed alla riassunzione della causa.
3. – Il procedimento di divorzio. La L. 10 dicembre 1970, n. 898, articolo 4, commi 12, 13 e 14, (articolo sostituito dal Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, conv. in L. 14 maggio 2005 n. 80) prevedono, rispettivamente, che:
a) nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, e che avverso tale sentenza e’ ammesso solo l’appello immediato; formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all’articolo 10, dovendosi trasmettere la sentenza in copia autentica, a cura del cancelliere, all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni e le ulteriori incombenze, onde lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio “hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell’annotazione della sentenza”;
b) quando sia stata pronunciata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza sull’an circa l’obbligo di somministrazione dell’assegno, puo’ disporne gli effetti sin dalla domanda;
c) “per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado e’ provvisoriamente esecutiva”.
In tal modo, si permette la definizione del giudizio sullo status al piu’ presto, con la formazione del giudicato: onde la sentenza si limita alla statuizione sullo status, come sovente accade per l’esigenza, da un lato, di soddisfare il desiderio della rapida riconquista dello status di soggetto non coniugato (non si parla di status di divorziato “che e’ uno status inesistente, determinando, piuttosto, la pronuncia di divorzio la riacquisizione dello stato libero”: cosi’, in motivazione, Cass. 23 gennaio 2019, n. 1882), e, dall’altro lato, di permettere, per i profili patrimoniali connessi alla condizione di bisogno di uno dei coniugi, il piu’ complesso accertamento.
Il legislatore discorre qui di “sentenza non definitiva” nel senso che il giudice non si spoglia dell’intero processo: si tratta peraltro di una sentenza definitiva parziale, in quanto definisce la questione di status.
4. – Il procedimento di revisione dell’assegno. A sua volta, la L. n. 898 del 1970, articolo 9, prevede che, qualora sopravvengano “giustificati motivi”, dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, con procedimento in camera di consiglio, puo’, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni sulla misura e sulle modalita’ dell’assegno.

 

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La domanda di revoca o riduzione dell’assegno divorzile, gia’ disposto in favore dell’altro coniuge, puo’ dunque sopravvenire anche al giudicato, che viene appunto annoverato nella categoria del giudicato rebus sic stantibus, in quanto per definizione soggetto al perdurante adeguamento alle situazioni sopravvenute. Infatti, il titolo esecutivo in materia di famiglia e’ si’ assistito da definitivita’ equiparabile al giudicato, ma si tratta di un giudicato del tutto peculiare (fra le altre, Cass. 2 luglio 2019, n. 17689; Cass. 30 luglio 2015, n. 16173), riguardo al quale i fatti sopravvenuti possono rilevare attraverso un procedimento ad hoc, quale nella specie dettato della L. n. 898 del 1970, articolo 9, per il divorzio.
Cio’ si lega alla stretta interrelazione con una determinata situazione pregressa suscettibile naturaliter di un’evoluzione imponderabile, perche’ legata alle vicende personali degli ex coniugi, tanto da fondare l’esigenza di un previo formale intervento, devoluto al giudice, sul titolo preesistente nel superiore e pubblicistico interesse della migliore composizione possibile delle esigenze dei componenti della famiglia disciolta.
La speciale procedura di revisione dei provvedimenti sul contributo al mantenimento dell’ex coniuge, di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 9, e’ volta a rivedere, modificare o neutralizzare l’efficacia propria di titolo esecutivo giudiziale.
Al riguardo, il giudice dovra’ compiere la necessaria, complessiva, approfondita e comparativa valutazione tra le situazioni rilevanti di entrambi i coniugi, riferita a molteplici fattori.
La revisione dell’assegno divorzile, di cui alla norma richiamata, postula invero l’accertamento di un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche degli ex coniugi, idoneo a modificare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle loro condizioni, quale presupposto fattuale integrante i “giustificati motivi” di cui e’ parola nell’articolo 9 – necessario per procedere al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali (cfr. Cass. 5 giugno 2020, n. 10647; Cass. 20 gennaio 2020, n. 1119; Cass. 5 marzo 2019, n. 6386; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2953; Cass. 13 gennaio 2017, n. 787; Cass. 29 dicembre 2011, n. 30033; Cass. 2 maggio 2007, n. 10133; Cass. 25 agosto 2005, n. 17320).
Si deve, dunque, verificare se siano sopravvenuti elementi fattuali, idonei a destabilizzare l’assetto patrimoniale in essere, nel qual caso il giudice di merito dovra’ fare applicazione dei nuovi principi, quali emergenti dalle recenti pronunce di questa Corte a Sezioni unite (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287), per modificarlo e adeguarlo all’attualita’.
In tali ipotesi, il ricorrente si propone, dunque, la cessazione o la riduzione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno all’ex coniuge, a decorrere sin dalla domanda di revisione, con la conseguente domanda di restituzione dell’indebito, ai sensi dell’articolo 2033 c.c..
5 – Il venir meno di un coniuge nel corso del giudizio di revisione dell’assegno. Posto quanto de’tto in ordine all’oggetto degli
accertamenti giudiziari sulla domanda di revisione, il venir meno di un coniuge – sia egli l’obbligato, sia l’avente titolo all’assegno – non comporta la improseguibilita’ del giudizio di revisione.

 

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La sentenza sullo status e’, in tal caso, ormai definitiva e non piu’ modificabile.
Al contrario, quella sull’assegno e’, come visto, rivedibile, in ragione del mutamento delle condizioni e per un “giustificato motivo”: pertanto, il Collegio delle S.U. ha reputato che, venuta meno una delle parti del rapporto di solidarieta’ post-coniugale, la domanda di accertamento della non debenza dell’assegno dalla data della domanda stessa a quella del decesso prosegua da parte degli eredi dell’obbligato, onde il processo puo’ giungere al suo esito, ai fini dell’accertamento della non debenza e del diritto di credito alla ripetizione dell’indebito per le somme versate sin dalla domanda di revisione, richieste in vita dal coniuge obbligato, di cui gli eredi divengono titolari.
In una situazione come quella di specie, in cui si e’ verificato il decesso dell’ex coniuge, obbligato ed istante per la revisione del debito, con riguardo alla somma versata ed oggetto di domanda di ripetizione, nel periodo intercorrente dalla domanda di revisione sino al decesso dell’ex coniuge medesimo, e’ data dunque la possibilita’, per gli eredi del de cuius, di pervenire all’accertamento richiesto.
Tale conclusione e’ indotta dalla considerazione che la perdurante pendenza del solo giudizio sulle domande accessorie puo’ costituire una causa di “scissione” del carattere unitario proprio del giudizio di divorzio, che perverra’ cosi’ alla pronuncia su di quelle.
Il processo di divorzio ha una finalita’ e con essa un contenuto compositi, mirando in primo luogo a realizzare il diritto potestativo del coniuge alla elisione dello status matrimoniale, ma con esso, simultaneamente, anche a tutelare una serie di diritti fondamentali relativi alle primarie esigenze della parte eventualmente sul piano economico meno solida, nonche’ dei figli della coppia.
Riconoscendo e determinando l’assegno di divorzio, il giudice traduce nel linguaggio della corrispettivita’ quanto i coniugi abbiano compiuto, durante la vita comune, nello spirito della gratuita’.
Con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18287, le Sezioni Unite hanno stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilita’ di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione, sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovra’ essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonche’ di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’eta’ dell’avente diritto.
La peculiarita’ degli accertamenti probatori prescritti per legge sul tema della debenza di un assegno di mantenimento divorzile non impedisce tale conclusione.
La L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6, tra i parametri sull’an e sul quantum dell’assegno esige lo scrutinio, da parte del tribunale, “delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”, nonche’ del fatto che il richiedente “non ha mezzi adeguati o comunque non puo’ procurarseli per ragioni oggettive”.
Dal suo canto, la L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 9, dispone che i coniugi “devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”.
Si tratta di elementi partecipativi al processo, con precisi obblighi di produzione istruttoria relativa al patrimonio personale e comune, con possibilita’ da parte del tribunale di disporre indagini sui redditi sui patrimoni e sul tenore di vita, che dovranno essere espletati nei confronti degli eredi.
E sui quali la Corte (Cass. 20 febbraio 1017, n. 4292; Cass. 28 gennaio 2011, n. 2098, fra le altre) ritiene che l’esercizio del potere del giudice di disporre, d’ufficio o su istanza di parte, indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria costituisca una deroga alle regole generali sull’onere della prova, potere giudiziale il quale non puo’ sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” gia’ fornito.
Occorre, altresi’, chiarire che possono esservi obblighi pecuniari gia’ entrati nel patrimonio dell’avente diritto: si tratta dei c.d. arretrati, i quali, in ipotesi concessi in via provvisoria oppure da una sentenza non passata in giudicato, non siano stati corrisposti dal coniuge obbligato da tale provvedimento e sino al suo decesso, e la cui debenza dunque permane.
Infatti, essi restano acquisiti, quale debito, al patrimonio del dante causa, e, come tali, passano agli eredi: onde l’altro coniuge rimasto in vita ben potra’ agire, se sia ne mancato il pagamento, direttamente in executivis nei confronti di essi, giovandosi del medesimo titolo.
Ove, dunque, sussista un simile debito come avente titolo in una sentenza sull’assegno impugnata, il quantum liquidato dal giudice, afferente il periodo tra il momento del giudicato della sentenza sullo status (o la diversa decorrenza stabilita, anche da un provvedimento provvisorio) e quello del decesso e’ un debito maturato in vita dal de cuius e passa agli eredi, cosi’ che avverso i medesimi potra’ essere fatto direttamente valere in via esecutiva.

 

Divorzio e la morte dell’ex coniuge nel corso del procedimento

 

 

In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto:
“Nel caso di procedimento per la revisione dell’assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 1, il venir meno del coniuge ricorrente nel corso del medesimo non comporta la declaratoria di improseguibilita’ dello stesso, ma gli eredi subentrano nella posizione del coniuge richiedente la revisione, al fine dell’accertamento della non debenza dell’assegno a decorrere dalla domanda sino al decesso, subentrando altresi’ essi nell’azione di ripetizione dell’indebito ai sensi dell’articolo 2033 c.c., per la restituzione delle somme non dovute”.
6. – Il caso di specie. Nella specie, l’inapplicabilita’ dell’istituto dell’interruzione nel giudizio di Cassazione comporta che la causa debba essere decisa con la delibazione dei motivi proposti.
Il primo ed il secondo motivo, miranti nel loro complesso a smentire i presupposti della pronuncia impugnata quanto ai requisiti dell’assegno divorzile, come tale unitariamente scrutinabili, sono fondati, mentre resta assorbito il terzo motivo.
Invero, la decisione impugnata non ha correttamente applicato il disposto della L. 10 dicembre 1970, n. 898, articolo 5, non avendo affatto motivato in relazione ai presupposti ed agli accertamenti dell’assegno divorzile, come delineati dagli insegnamenti delle Sezioni unite.
Il principio di solidarieta’, posto a base del riconoscimento del diritto all’assegno, “impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacita’ di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari”: invero, il “parametro dell’adeguatezza contiene in se’ una funzione equilibratrice e non solo assistenziale-alimentare” (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287, in motiv.).
Nell’indicata finalita’ deve, in particolare, tenersi conto delle aspettative professionali sacrificate per una funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, non guidata dalla necessita’ di dare ricomposizione ai tenore di vita endoconiugale, ma dal riconoscimento del ruolo e dei contributo fornito dall’ex coniuge, economicamente piu’ debole, alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (oltre alla citata Cass., sez. un., n. 18287 del 2018, si vedano Cass. 9 agosto 2019, n. 21234; 23 gennaio 2019, n. 1882; Cass. 28 febbraio 2020, n. 5603, fra le altre).
La corte territoriale non ha richiamato l’orientamento dell’attuale diritto vivente, ma neppure ha valutato gli elementi di fatto e le situazioni pregresse, come invece richiesto dalla norma.
Il decreto impugnato, invero, ha riconosciuto l’attuale diritto all’assegno, senza ne’ motivare sull’eventuale squilibrio patrimoniale, ne’ porlo in relazione con gli altri parametri di legge, in particolare con il contributo fornito alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale del coniuge.
Come precisato da questa Corte, il fondamento costituzionale dei criteri indicati dalla L. n. 898 del 1971, articolo 5, comma 6, rappresentato dall’articolo 29 Cost., impone una valutazione concreta ed attuale della adeguatezza dei mezzi a disposizione dell’ex coniuge e dell’incapacita’ dello stesso di procurarseli per ragioni obiettive, fondata in primo luogo sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, ma non disgiunta, bensi’ collegata causalmente con quella degli altri indicatori contenuti nella norma, al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparita’ della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofa milia re.
La predetta valutazione risulta altresi’ coerente con la funzione assistenziale e, a determinate condizioni, compensativo-perequativa attribuita all’assegno, la quale esclude la possibilita’ di conferire rilievo al solo squilibrio economico tra le parti o all’elevato livello reddituale del coniuge obbligato, tenuto conto anche del superamento del precedente orientamento giurisprudenziale, che, individuando il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio quale parametro di riferimento ai fini della valutazione dell’adeguatezza dei mezzi economici a disposizione dell’ex coniuge istante, considerava coessenziale alla sua ricostruzione la differenza patrimoniale e reddituale esistente tra le parti.
Ma, nella specie, la corte del merito ha omesso di operare tutti gli accertamenti richiesti. Essa si e’ limitata ad argomentare circa l’ammissibilita’ della domanda di revisione, avendo accertato che l’interessata ha percepito un ingente importo, pari a circa Euro 400.000,00, evento in se’ idoneo a rendere ammissibile la domanda di revisione dell’assegno, in una con il peggiorato stato di salute dell’obbligato (per il quale egli e’ poi deceduto).
Tuttavia, nella decisione di non revocare l’assegno, ma ridurlo di appena Euro 500,00 (e non “ad Euro 500,00”, come e’ stato a volte inteso), dunque lasciando permanere l’obbligo di pagamento della non esigua somma di Euro 1.740,00 mensili, ha omesso qualsiasi motivazione; e cio’, pur dando parimenti atto che la richiedente dispone di un’abitazione, con le relative pertinenze, e che appunto il suo patrimonio sia accresciuto di una considerevole somma.
Nessun effettivo accertamento essa ha operato circa l’inadeguatezza dei mezzi economici, l’impossibilita’ di procurarseli per ragioni oggettive, il contributo dato alla vita familiare, il rilievo sulla attuale situazione della richiedente.
Non solo, pertanto, non viene motivata la riduzione nella misura de’tta, del tutto apoditticamente disposta, ma la scarna motivazione non da’ conto di avere operato nessuna valutazione circa i complessi presupposti dell’assegno.
7. – Il decreto impugnato va dunque cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, ai fini di un nuovo accertamento. Ad essa si demanda altresi’ la liquidazione delle spese di legittimita’.

 

Divorzio e la morte dell’ex coniuge nel corso del procedimento

 

 

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni unite, accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbito il terzo; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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