Divisione e scioglimento della comunione ordinaria

Divisione e scioglimento della comunione ordinaria

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1) La disciplina codicistica

A)    Introduzione

      La divisione è l’atto di ripartizione del bene comune tra i compartecipi, che cambia le quote della comunione in parte concrete di proprietà esclusiva e comporta lo scioglimento della comunione.

art.  1111 c.c.     scioglimento della comunione: ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione; l’autorità giudiziaria può stabilire una congrua dilazione, in ogni caso non superiore a cinque anni, se l’immediato scioglimento può pregiudicare gli interessi degli altri.

Il patto di rimanere in comunione per un tempo non maggiore di dieci anni è valido e ha effetto anche per gli aventi causa dai partecipanti. Se è stato stipulato per un termine maggiore, questo si riduce a dieci anni .

Se gravi circostanze lo richiedono, l’autorità giudiziaria può ordinare lo scioglimento della comunione prima del tempo convenuto .

 

        A mente di una pronuncia di merito[1] ai sensi dell’art. 1111 c.c. può essere concessa una dilazione alla divisione formalmente richiesta da uno dei comunisti qualora la divisione stessa possa recare pregiudizio agli interessi degli altri compartecipanti, dove la contrapposizione sussistente tra l’interesse del singolo e quello degli altri implica una qualificazione collettiva di quest’ultimo e l’irrilevanza, pertanto, di qualsiasi interesse a carattere personale.

        Il pregiudizio che giustifica la dilazione della divisione, in altri termini, non può coincidere con la lesione all’interesse, prettamente individuale, di uno di essi a conservare una posizione di vantaggio, ma deve riferirsi a tutta la collettività, in modo che la dilazione risponda ad un interesse obiettivo della comunione.

        Per altra pronuncia il potere che l’art. 1111 del c.c. riconosce all’autorità giudiziaria in merito al differimento dello scioglimento della comunione, può essere esercitato solo nel caso in cui il pregiudizio derivante dall’immediato scioglimento coinvolga l’interesse obiettivo della comunione globalmente intesa e non l’interesse dei singoli condomini. Ad esempio il riferimento al particolare momento economico che investe il mercato immobiliare, non costituisce un motivo idoneo a rappresentare un effettivo pregiudizio per la comunione e non è, pertanto, una circostanza idonea, ove allegata dalla parte, a giustificare la dilazione dello scioglimento della comunione di cui al citato articolo 1111.

        Riguardo poi alla natura di tale diritto, per la Corte di Piazza Cavour[2], dalla chiara disposizione di cui all’articolo 1111 del c.c. si ricava che il diritto di domandare lo scioglimento della comunione ha natura potestativa.

        È bene anche precisare, ai fini prettamente procedurali, che per la S.C. la domanda di scioglimento di una comunione contiene in sè, quale presupposto indeclinabile, la richiesta di accertamento, in caso di contestazione, della comunione stessa. Ne consegue che non si ha mutatio libelli“, ma solo riduzione della domanda originaria, quando l`attore, che abbia chiesto inizialmente la divisione di un bene, si limiti in prosieguo a formulare pretesa di accertamento della comproprietà di parti dello stesso.

B)  Cose non soggette a divisione

 

art. 1112  c.c.        cose non soggette a divisione: lo scioglimento della comunione non può essere chiesto quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all’uso a cui sono destinate.

        Per la S.C.[3] in tema di scioglimento della comunione, la disposizione di cui all’art.1112 c.c., che stabilisce l’indivisibilità del bene nel caso in cui la sua assegnazione in proprietà esclusiva ad uno dei condividendi ne comporti la cessazione dall’uso cui esso è destinato, trova applicazione esclusivamente nel caso in cui allo scioglimento della comunione si pervenga per via giudiziale[4], in quanto, nello scioglimento convenzionale, il potere dei comproprietari di addivenire allo scioglimento e di disporre dei beni implica anche il potere di mutarne l’uso e la destinazione originaria, sicché la possibilità di divisione del bene non trova altri impedimenti se non quelli derivanti da ragioni fisiche o da vincoli posti da leggi speciali.

        Caso particolare risulta quello dello Ius sepulcri per il quale in virtù di alcune sentenze di merito[5] qualora, si è previsto che se su un sepolcro familiare, sussista la contitolarità, da parte di più eredi, dello ius sepulcri consistente nel diritto di essere seppelliti in un determinato sepolcro- o dello ius inferendi in sepulcrum consistente nel diritto di far seppellire qualcuno in un certo sepolcro – fra gli aventi diritto si instaura una vera e propria comunione che, esulando totalmente dal diritto reale gravante sul suolo in cui il sepolcro è edificato e sui materiali utilizzati per la costruzione, risulta indivisibile ed insuscettibile di disposizione da parte di alcuni solo degli eredi.

Mentre per ultima sentenza della S.C.

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 7 settembre 2012, n. 14990

la soffitta destinata ad abitazione civile partecipa alla divisione e assegnazione delle parti comuni nel caso in cui  venga accertato in fatto che il proprietario dell’intera porzione immobiliare  aveva provveduto a frazionare il piano rialzato e il sottotetto (trasformato in vera e propria abitazione), ricavando  due autonomi appartamenti non solo distinti fisicamente ma anche catastalmente.

C)  Intervento nella divisione e opposizioni

 

art.  1113 c.c.     intervento nella divisione e opposizioni: i creditori e gli aventi causa da un partecipante possono intervenire nella divisione a proprie spese[6], ma non possono impugnare la divisione già eseguita, a meno che abbiano notificato un’opposizione anteriormente alla divisione stessa e salvo sempre ad essi l’esperimento dell’azione revocatoria[7] o dell’azione surrogatoria .

Nella divisione che ha per oggetto beni immobili, l’opposizione per l’effetto indicato dal comma precedente, deve essere trascritta prima della trascrizione dell’atto di divisione e, se si tratta di divisione giudiziale, prima della trascrizione della relativa domanda .

Devono essere chiamati a intervenire, perché la divisione abbia effetto nei loro confronti, i creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull’immobile in virtù di atti soggetti a trascrizione e trascritti prima della trascrizione dell’atto di divisione o della trascrizione della domanda di divisione giudiziale[8].

Nessuna ragione di prelevamento in natura per crediti nascenti dalla comunione può opporsi contro le persone indicate dal comma precedente, eccetto le ragioni di prelevamento nascenti da titolo anteriore alla comunione medesima, ovvero da collazione.

 

        È agli inizi degli anni 80’ che si ha il massimo sforzo della Corte di Piazza Cavour.

        Difatti secondo una prima massima a norma dell’art. 1113 c.c., ogni creditore ha facoltà d’intervenire nella divisione di beni comuni al proprio debitore e ad altri. Tuttavia, il limite della sua azione è dato dal proprio interesse, che è quello della migliore realizzazione del credito. In conseguenza, il creditore intervenuto nel giudizio di divisione non può opporsi all’assegnazione delle quote per attribuzione, invece che per sorteggio, quando non contesti che le quote siano di uguale valore[9].

        Gli acquirenti di singoli beni già facenti parte della massa e che ne siano divenuti proprietari solitari, devono essere chiamati ad intervenire nel giudizio di divisione, a norma dell’art. 1113 c.c., se ed in quanto si voglia che la relativa decisione faccia stato anche nei loro confronti. Pertanto, secondo la Corte di legittimità[10], ove tali acquirenti non siano stati chiamati a partecipare al giudizio divisionale, la relativa sentenza non è inutiliter data, essendo perfettamente eseguibile, ma è solamente non opponibile ai detti acquirenti.

        Per il disposto dell’art. 1113, secondo comma, c.c., l’efficacia dell’opposizione del creditore, ai fini della impugnativa della divisione immobiliare di cui sia parte il debitore, è condizionata alla trascrizione dell’atto di opposizione anteriormente alla trascrizione della divisione. La trascrizione si pone quindi, per la S.C.[11], come una condizione di ammissibilità della domanda del creditore che deve, ex officio, essere rilevata dal giudice senza la necessità di una eccezione di parte.

Bisogna, poi, precisare, in forza di ultima sentenza della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 9 novembre 2012, n. 19529

che i creditori iscritti e gli aventi causa, pur avendo diritto ad intervenire nella divisione (art. 1113 primo comma c.c.), non sono parti in tale giudizio, configurandosi la divisione come scioglimento di un rapporto di comunione, con la conseguenza che soltanto i titolari di tale rapporto devono partecipare al giudizio finalizzato a detto scioglimento; è invero indubitabile che i creditori iscritti e gli aventi causa, intervenendo nel suddetto giudizio, potranno vigilare sul corretto svolgimento del procedimento divisionale con il richiamo al rispetto delle norme di legge, o potranno proporre opposizione alla divisione non ancora eseguita a seguito di un giudizio cui non hanno partecipato (art. 1113 primo comma c.c.), ma è altresì certo che essi non hanno alcun potere dispositivo proprio perché non sono condividenti; pertanto la loro mancata evocazione nel giudizio di divisione comporterà che la divisione non avrà effetto nei loro confronti, come espressamente prevede l’art. 1113 terzo comma c.c. (Cass. 28-6-1986 n. 4330).

        Per la medesima Corte[12] l’intervento nella divisione del creditore ipotecario di uno dei condividenti, a norma del terzo comma dell’art. 1113 c.c., si sostanzia in un’attività diretta alla conservazione della garanzia ipotecaria del creditore medesimo essendo finalizzato, indipendentemente da una specifica richiesta in tal senso, ad ottenere che l’immobile ipotecato sia compreso nel lotto da assegnare al condividente suo debitore o, nel caso di un unico immobile comune, che l’ipoteca venga concentrata sulla parte del bene da attribuire al debitore medesimo e, pertanto, rientra fra le domande che, a norma degli artt. 2943, secondo comma, e 2945, secondo comma, c.c., hanno effetto interruttivo permanente della prescrizione del diritto di credito nei confronti del debitore condividente.

        Con altra decisione la S.C. [13] ha avuto modo di precisare che l’art. in commento — nella parte in cui attribuisce agli aventi causa di un comunista, il diritto di intervenire nella divisione a proprie spese, ma non quello di impugnare la divisione già eseguita — va riferito a colui che abbia acquistato dal comunista un diverso titolo, come un diritto reale di godimento sulle cose comuni o su una di esse, ovvero il diritto di comunione su uno o piu immobili specifici facenti parte della comunione, ma non può intendersi nel senso che l’alienante della quota (di comunione ordinaria o ereditaria) e non il cessionario, che è l’attuale partecipante indicato dalla norma, possa chiedere la divisione.

        La S.C.[14], infine sul tema, chiarisce che non spetta al creditore del condividente alcuna facoltà di impedire, sospendere o interrompere il giudizio di divisione attivato dal proprio debitore, atteso che il diritto alla generica garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio del debitore cede (non solo rispetto agli atti di alienazione, ma anche) nei confronti del diritto alla divisione spettante al debitore. Al creditore è riconosciuto, per converso, il diritto di partecipare volontariamente al detto giudizio onde verificarne il quomodo e gli effetti, comportando il relativo procedimento peculiarità risolventesi in una serie di valutazioni di fatto potenzialmente idonee a pregiudicare il patrimonio del condividente e, di riflesso, il suo creditore.

D)  Divisioni in natura

 

art. 1114 c.c.        divisione in natura: la divisione ha luogo in natura, se la cosa per essere comodamente divisa in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti.

 

        Orbene in caso di scioglimento della comunione ereditaria od ordinaria, per la Corte di legittimità[15] il fine primario della divisione è la conversione del diritto di ciascun condividente alla quota ideale in diritto di proprietà esclusiva di beni individuali, sicché quando in presenza di un immobile indivisibile o non comodamente divisibile vi è una pluralità di richieste di assegnazione benché è possibile l’assegnazione anche ai titolari di quota minore, laddove ciò corrisponda all’interesse comune delle parti.

        Il diritto di ciascun condividente ad una porzione di beni qualitativamente omogenea all’intero non è assoluto e derogabile, ma trova un limite, oltre che nella indivisibilità del bene imposta dalla legge nell’interesse della produzione nazionale, nel pregiudizio che il frazionamento arrecherebbe alle ragioni della pubblica economia e dell’igiene e nella non comoda divisibilità degli immobili, la quale può dipendente sia dalla eccessiva onerosità delle opere di divisione o dei pesi, limiti e servitù che essa impone per il godimento delle singole quote, sia dal pregiudizio che da essa deriverebbe per il valore delle porzioni rispetto all’intero o per la normale utilizzabilità dei beni[16].

        Inoltre per la stessa Corte di Cassazione[17], la non comoda divisibilità di un immobile, integrando un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura, può ritenersi giustificata solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dalla irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dalla impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessivi.

L’articolo 1114 c.c. deve essere letto correlativamente all’art. 720 c.c.

        Difatti secondo la Corte Partenopea[18] in tema di divisione delle cose comuni, la disciplina applicabile è quella relativa alla divisione ereditaria che attribuisce a ciascun coerede il diritto di ricevere la propria quota in natura. Tale diritto – di natura potestativa – può essere derogato solo in caso di non comoda divisibilità ai sensi dell’art. 720 c.c. Tale requisito, peraltro, deve essere rigorosamente accertato mediante un’indagine di natura tecnica – in riferimento alla fattibilità pratica di una divisione strutturale che comporti la costituzione di eccessivi pesi e servitù sulle diverse porzioni – ed economica quanto alla convenienza che deve essere esclusa qualora si prospetti un eccessivo deprezzamento del bene in conseguenza della divisione o l’eccessiva onerosità, rispetto al valore dello stesso, dei lavori necessari per procedere alla divisione.

art. 720 c.c.    immobili non divisibili: se nell’eredità vi sono immobili non comodamente divisibili, o il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell’igiene, e la divisione dell’intera sostanza non può effettuarsi senza il loro frazionamento, essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all’incanto[19].

 

Il concetto giuridico di divisibilità di un immobile

        Per determinare il criterio di comoda divisibilità di un immobile, ai fini del disposto dell’art 720 c.c., occorre avere riguardo non solo alla sua natura e destinazione, ma, e soprattutto, all’intera massa da dividere in rapporto al numero delle quote dei condividenti.

        Non si può parlare di indivisibilità qualora nel patrimonio comune vi siano più immobili che, isolatamente considerati, non sono divisibili in frazioni corrispondenti alle quote dei condividenti, ma possono tuttavia, ciascuno insieme ad altri, comporre la quota di alcuno di essi, in maniera che le quote degli altri condividenti possano costituirsi con i rimanenti immobili dell’eredità o della comunione.

        Il requisito della comoda divisibilità di un bene deve essere rilevato tenendo conto della possibilità di procedere alla divisione senza spese rilevanti o imposizioni di limitazioni, pesi o vincoli a carico delle singole quote e in maniera che il frazionamento dell’immobile, considerato sotto l’aspetto economico e funzionale, non produca un notevole deprezzamento dello stesso, in relazione alla normale utilizzazione del bene indiviso.

        Quando si parla di divisione ereditaria, inoltre, al fine dell’accertamento della comoda divisibilità degli immobili, deve aversi riguardo alla situazione economica (consistenza e valore) e giuridica (numero ed entità delle quote) dei beni al momento della divisione e non a quello dell’apertura della successione, e, quindi, anche alla eventuale concentrazione di più quote nella persona di un solo coerede.

        Il concetto di comoda divisibilità è stato oggetto di una estesa elaborazione dottrinale e giurisprudenziale e postula non solo che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento, ma che lo stesso possa avvenire senza dover affrontare la soluzione di problemi tecnici eccessivamente costosi e senza che alla fine ne derivi un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote, rapportate proporzionalmente al valore dell’intero. Mediante un’attenta lettura della copiosa giurisprudenza formatasi sul concetto di comoda divisibilità è possibile oggi individuare i criteri cardinali da tener presente nello stabilire l’applicabilità dell’art. 720 c.c. alle varie casistiche che possono presentarsi.

        Secondo una prima pronuncia il concetto di comoda divisibilità di un immobile a cui fa riferimento l’art. 720 c.c. postula, sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economico – funzionale, che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso[20].

        Ancora, secondo la Corte Capitolina[21], il concetto di «comoda divisibilità» del bene a cui fanno riferimento gli articoli 720 e 1114 del c.c. postula, sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento e, sotto l’aspetto economico-funzionale, che la divisione consenta il mantenimento, sia pure in misura proporzionalmente ridotta della funzionalità che aveva il tutto e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto della normale destinazione e utilizzazione del bene stesso.

        Poi, in virtù di una pronuncia della S.C.[22] le disposizioni degli artt. 720 e 722 c.c. concernenti gli immobili indivisibili o non comodamente divisibili – in relazione ai quali soltanto è derogabile la regola del diritto del coerede ad avere in natura la propria porzione dei beni ereditari – trovano applicazione, in virtù del rinvio operato dall’art. 1116 c.c., anche in tema di divisione di immobili in comunione non ereditaria, con la conseguenza che in tal caso il diritto del comunista alla divisione in natura (art. 1114 c.c.) sussiste anche se altro condividente abbia realizzato, sulla porzione d’immobile da lui occupata in base ad una divisione di fatto, costruzioni o altre opere influenti sul valore del cespite da dividere, salvo che tale circostanza la quale integra, di per sè, soltanto una ragione di credito da regolare in sede di resa di conto fra i condividenti – abbia comportato una situazione di indivisibilità o di non comoda divisibilità ai sensi della suindicata disciplina in tema di divisione ereditaria.

Secondo recente sentenza della S.C.

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 14577 del 21 agosto 2012

il concetto di comoda divisibilità di un immobile presupposto dall’art. 720 c.c. postula, sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento, che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economico- funzionale, che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’ intero, tenuto conto dell ‘usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso.

Sul punto è intervenuta nuovamente la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione VI civile, sentenza 13 luglio 2016, n. 14343

affermando che l’art. 720 c.c. richiede per la sua applicazione un’analisi economica dei risultati che concretamente possono essere eseguiti ed induce a considerare gli effetti dell’eventuale divisione del bene in termini economici più che in termini di possibilità geometrica.

Inoltre, ad esempio, la destinazione unifamiliare o bifamiliare di un alloggio non ne muta la destinazione urbanistica, che rimane intesa a fini abitati vi e non trasforma l’uso dell’ immobile (in uso commerciale o industriale), come si verifica quando c’è mutamento urbanistlco. Né il mutamento di tipologia della villetta può incidere in alcun modo sulla comoda divisibilità, restando altrimenti preclusa abitualmente la suddivisione di un immobile inizialmente unitario, in offesa alla regola della divisione – ove possibile – in natura.

Soto un profilo prettamente processuale, poi, la non comoda divisibilità di un immobile, integrando un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura (Cass. 25322/11), può ritenersi legittimamente predicabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dalla irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dalla impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessivi.

        In materia di divisione di immobili, deve sempre preferirsi la divisione in natura del bene laddove possibile, mentre nessuna considerazione merita la proposta del convenuto di acquistare l’intero in quanto non proprietario della quota maggiore del bene, solo quest’ultimo difatti ha diritto a vedersi assegnato l’intero, qualora il bene non sia divisibile[23].

In tema ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 17 luglio 2014, n. 16376

ha avuto modo nuovamente di precisare che nell’esercizio del potere di attribuzione dell’immobile ritenuto non comodamente divisibile, ed a maggior ragione quando le quote siano eguali e non soccorra quindi l’unico criterio indicato dalla legge (di preferire, cioè il condividente “avente diritto alla quota maggiore”), il giudice non trova alcun limite nelle disposizioni dettate dall’art. 720 cod. civ., da cui gli deriva, al contrario, un potere prettamente discrezionale nella scelta del condividente al quale assegnarlo, potere che trova il suo temperamento esclusivamente nell’obbligo di indicare i motivi in base ai quali ha ritenuto di dover dare la preferenza all’uno piuttosto che all’altro degli aspiranti all’assegnazione e si risolve in un tipico apprezzamento di fatto, sottratto come tale al sindacato di legittimità, potendo essere oggetto di controllo in questa sede soltanto la logicità intrinseca e la sufficienza del ragionamento operato dal giudice di merito.

        Per altra massima[24], il principio dell’art. 1114 c.c., per il quale la divisione ha luogo in natura se la cosa può essere comodamente divisa in porzioni corrispondenti alle quote dei partecipanti, non esclude la possibilità del ricorso al correttivo dei conguagli in denaro, previsto dall’art. 728 c.c.

art. 728 c.c.   conguagli in danaro: l’ineguaglianza in natura nelle quote ereditarie si compensa con un equivalente in danaro[25]

        Ancora per altra pronuncia di merito[26] in tema di divisione, è preferibile, di fronte a vari prospetti divisionali, preferire quello che preveda il conguaglio in denaro di minore entità. Tale scelta, a sostanziale parità di condizioni, appare essere quella può coerente rispetto alle norme dettate in tema di divisione che, com’è noto, privilegiano quella in natura.

Inoltre per una massima della Corte di Piazza Cavour[27], in un caso particolare affrontato, al fine di stabilire la divisibilità o meno di un’area comune a due fabbricati appartenenti a diversi proprietari e destinata all’accesso ai fabbricati stessi in due porzioni distinte da attribuire in proprietà esclusiva a ciascuna delle parti, il giudice del merito deve tenere conto della diminuzione del valore complessivo dell’area a seguito della divisione, nonché degli effetti di tale divisione sulla efficienza, funzionalità e comodità dell’accesso ai fabbricati, mentre è irrilevante ai predetti fini la deduzione di frequenti dissidi fra le parti che rendevano impossibile l’uso comune dell’area. Il giudice, poi, al fine di rendere possibile la divisione non può mai imporre a carico di uno o di entrambi i condividenti l’obbligo di procedere a modifiche o variazioni della consistenza, ubicazione o conformazione dei fabbricati, trattandosi di beni non compresi (ed insuscettibili di essere attratti) nell’oggetto della divisione, circoscritta alla sola area comune, che non può incidere sulla struttura dei fabbricati né comportare la imposizione di oneri o limitazioni al contenuto dei diritti precedentemente esercitati o comunque spettanti sui medesimi.

Infine[28] l’unitaria destinazione economica del ben comune non ne esclude la comoda divisibilità, ai sensi dell’art. 720 c.c., nel giudizio di divisione regolato dagli artt. 784 e ss. c.p.c.[29], se il bene può essere materialmente ripartito, senza pregiudizio dell’originario valore economico, in parti vantaggiosamente utilizzabili dai singoli condividenti.

E)   Obbligazioni solidali dei partecipanti

 

art. 1115 c.c.    obbligazioni solidali dei partecipanti: ciascun partecipante può esigere che siano estinte le obbligazioni in solido contratte per la cosa comune, le quali siano scadute o scadano entro l’anno dalla domanda di divisione.

La somma per estinguere le obbligazioni si preleva dal prezzo di vendita della cosa comune, e, se la divisione ha luogo in natura, si procede alla vendita di una congrua frazione della cosa, salvo diverso accordo tra i condividenti.

Il partecipante che ha pagato il debito in solido e non ha ottenuto il rimborso concorre nella divisione per una maggiore quota corrispondente al suo diritto verso gli altri condividenti.

 

        In merito la S.C.[30], con un pronuncia non molto recente, anche nel caso in cui con riguardo alla divisione relativa ad una comunione ereditaria (ugualmente per quella ordinaria) uno dei coeredi abbia provveduto al pagamento di un debito solidale contratto per la comunione, senza ottenerne il rimborso “pro quota” da parte degli altri coeredi, con la conseguente espansione della sua quota a norma del terzo comma dell’art. 1115 c.c, per stabilire quale sia il maggiore quotista al fine di attribuirgli un bene immobile non comodamente divisibile, occorre valutare l’immobile in questione con riferimento al momento della apertura della successione

        Ad integrazione della disciplina è giusto segnalare anche l’art. 1119 c.c., in tema di condominio.

        Difatti secondo una recente sentenza di merito[31] non è ammissibile la domanda giudiziale proposta al fine di sentir dichiarare il diritto allo scioglimento della comunione legale esistente si di un cortile destinato al passaggio dei proprietari delle unità immobiliari circostanti quando, per effetto dell’invocata divisione, il cortile finirebbe per perdere e mutare la sua naturale funzione. Ai sensi dell’art. 1119 c.c., infatti, non si può procedere alla divisione di parti comuni allorquando essa finirebbe per aggravare e rendere incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino. In materia condominiale infatti, la divisione della cosa comune incontra un limite fondamentale che si ha quando il frazionamento delle parti comuni, in porzioni suscettibili di godimento separato, sia tale da aggravare, renderne più difficoltoso o impossibile il godimento a ciascuno dei proprietari della cosa. Al contrario, è ammessa la divisione della cosa comune quando in capo a costoro non derivi alcun danno o pregiudizio.

        Infine è bene già precisare che per la S.C.[32] l’invocazione da parte del condividente che ha pagato un debito solidale dell’art. 1115 comma terzo c.c., onde conseguire nel giudizio di divisione un incremento della propria quota, pari al suo diritto verso gli altri condividenti, integra non una eccezione, ma una domanda volta all’accertamento del proprio diritto ed alla conseguente espansione della quota, che non può proporsi per la prima volta in appello per il divieto del “novum” di cui all’art. 345 c.p.c.

2) Brevi cenni sulla divisione ereditaria

 

art. 1116  c.c.     applicabilità delle norme sulla divisione ereditaria: alla divisione delle cose comuni si applicano le norme sulla divisione dell’eredità, in quanto non siano in contrasto con quelle sopra stabilite.

 

 

In tal modo il legislatore ha sostanzialmente affermato che le norme sulla divisione ereditaria costituiscono la logica necessaria integrazione delle norme sulla divisione delle cose comuni e si applicano sempre, salvi gli eccezionali casi d’incompatibilità.

Per quanto riguarda le norme sulla divisione ereditaria che non possono essere applicate alla divisione ordinaria si ricordano gli artt.:

1)   713 2,3 e 4 co – la sospensione testamentaria della divisione;

2)   715 – casi d’impedimento alla divisione;

3)   723 – resa dei conti; difatti il rendiconto, ancorché per il disposto dell’art. 723 c.c. costituisca operazione contabile che deve necessariamente precedere la divisione, in quanto preliminare alla determinazione della quota spettante a ciascun condividente, non si pone tuttavia in rapporto di pregiudizialità con la proposizione della domanda di divisione giudiziale poiché ben può essere richiesta la divisione giudiziale ex art. 1111 c.c. a prescindere dal rendiconto, a tanto potendosi e dovendosi provvedere nel corso del giudizio di divisione, sia nelle forme di cui all’art. 263 e ss. c.p.c., sia mediante indagini e prove di tipo diverso, come la consulenza tecnica[33].

4)   719  – la vendita dei beni per il pagamento dei debiti ereditari;

5)   731  – la suddivisione tra stirpi;

6)   733 – le norme date dal testatore sulla divisione;

7)   734  – la divisione fatta dal testatore;

8)   735 – la preterizione degli eredi e la lesione della legittima;

9)   724 – 725  – l’istituto della collazione;

10)737 – 751 – l’istituto dell’imputazione dei debiti;

11)752 – 756  – il pagamento dei debiti ereditari;

12)732–  il retratto successorio[34].

Mentre, secondo la S.C.[35], non è applicabile l’art. 1115 c.c. – secondo il quale il partecipante che abbia adempiuto obbligazioni contratte in solido per la cosa comune ha diritto, in sede di divisione, ad un incremento della quota in misura corrispondente al rimborso dovutogli – se eredi legittimi sono soltanto i due figli del “de cuius“, ciascuno di essi ha diritto ad una metà del patrimonio relitto, senza che il coerede che abbia sostenuto oneri anche nell’interesse dell’altro possa vedersi riconoscere il diritto ad un corrispondente incremento della propria quota o anche soltanto alla scelta tra le quote uguali predisposte nel progetto di divisione, dovendosi ritenere che, a parità di quote, il metodo tendenziale di assegnazione, derogabili solo in presenza di situazioni di apprezzabile opportunità, sia quello del sorteggio previsto dall’art. 729 c.c.

È cosa giusta anche riportare ai fini procedurali che l’azione di divisione ereditaria e quella di riduzione sono fra loro autonome e diverse, perché la prima presuppone la qualità di erede e tende all’attribuzione di una quota ereditaria, mentre la seconda implica la qualità di legittimario leso nella quota di riserva ed è finalizzata alla riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni lesive della legittima; ne consegue che la domanda di riduzione non è implicitamente inclusa in quella di divisione, sicché – nel regime anteriore alla riforma di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353 – una volta proposta la domanda di divisione, quella di riduzione è da ritenere nuova e, come tale, inammissibile ove la controparte abbia sul punto rifiutato il contraddittorio nel corso del giudizio di primo grado[36].

3) La divisione contrattuale

Se tutti i comunisti sono d’accordo, si procede dunque alla divisione contrattuale, che si perfeziona una volta raggiunta l’unanimità dei consensi sull’insieme delle varie operazioni necessarie.

Natura giuridica

È un contratto

1)   a prestazioni corrispettive – e il sinallagma, più che nella rinunzia reciproca a qualsiasi diritto sui beni assegnati agli altri, si ritrova nell’interdipendenza fra le porzioni attribuite, infine, non è un negozio di accertamento poiché esso non presuppone l’incertezza.

2)   plurilaterale nel senso che devono partecipare più persone, ma non è un contratto plurilaterale a tutti gli effetti perché è necessaria la partecipazione di tutti i contitolari del diritto. Difatti l’atto negoziale di divisione del compossesso di un bene (nella specie, un’area di proprietà comunale) è affetto da nullità nel caso in cui sia stato stipulato senza l’intervento di tutti i compossessori di un bene, difettando, per il persistente possesso dei compossessori estranei all’accordo, la possibilità per gli stipulanti di eseguirne e correlativamente pretenderne l’adempimento[37]. Con altra pronuncia, la medesima Corte[38], ha affermato, inoltre, che in tema di divisione negoziale, in relazione alla quale fra l’altro non trova applicazione la norma dettata dall’art. 784 c.p.c. – per la divisione giudiziale – sul litisconsorzio processuale, la partecipazione (di natura sostanziale) al negozio da parte del contitolare della comunione ereditaria, è necessaria soltanto se lo scioglimento concerna la contitolarità del medesimo diritto (comunione omogenea) e non invece allorché sullo stesso bene concorrano diritti reali di tipo differente come ad esempio usufrutto e proprietà (comunione impropria). Ne consegue che non è affetto da nullità l’accordo stipulato dai comproprietari per lo scioglimento della relativa comunione nonostante che nella divisione negoziale non sia intervenuto il coniuge superstite titolare del diritto di usufrutto e partecipe – quale legatario “ex lege” – della comunione ereditaria dal momento dell’apertura della successione.

3)   solitamente oneroso (a volte può avere anche i requisiti di una negozio misto e in tal caso ricorre una figura di donazione indiretta)

4)   ad effetti immediati

5)   commutativo

6)   istantaneo

I requisiti del contratto

di divisione sono quelli tipici di ogni altro contratto

(art. 1325):

A) l’accordo –  Per la Corte di legittimità[39] un progetto di divisione di comunione, redatto da un terzo, cui sia stato affidato tale compito, ove si presenti di contenuto tale da integrare gli elementi della proposta e dell’accettazione della divisione e venga sottoscritto per adesione da tutti i condividenti, è idoneo a determinare l’incontro di volontà dei medesimi e quindi la conclusione del contratto di divisione.

B) la causa  (scioglimento della comunione) –

C) l’oggetto – riguardo all’oggetto secondo la Cassazione[40] la divisione può avere solamente il diritto di proprietà o altri diritti reali, i soli suscettibili di comunione indivisa “ex” art. 1100 c.c., e non anche i diritti personali di godimento. Pertanto, l’attribuzione ad uno dei condividenti della proprietà in via esclusiva non comporta, pur avendo essa natura dichiarativa ed efficacia retroattiva, che il medesimo diviene conseguentemente unico conduttore -in luogo della parte originariamente complessa- a far data dalla stipulazione della locazione avente ad oggetto quanto assegnato (nel caso, azienda scolastica), con conseguente retroattiva liberazione degli altri conduttori dagli obblighi derivanti da tale contratto.

Inoltre – partendo dal presupposto che l’oggetto del contratto per il quale è necessaria la forma scritta può considerarsi determinabile, benchè non indicato specificamente, solo se sia con certezza individuabile in base agli elementi prestabiliti dalle parti nello stesso atto scritto, senza necessità di fare ricorso al comportamento successivo delle parti, dovendosi escludere la possibilità di applicazione, per la determinazione dell’oggetto del contratto, della regola ermeneutica dell’art. 1362 comma secondo c.c., che consente di tenere conto, nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, del comportamento di questi successivo alla conclusione del contratto[41] – la C.S.[42] ha confermato la decisione di giudici del merito che avevano ritenuto l’indeterminabilità dell’oggetto con riguardo ad una divisione nella quale alcuni beni immobili delle singole quote erano indicati con espressioni – “casa mamma” “casa nonna” – che non ne consentivano l’individuazione senza un riferimento alle tradizioni ed abitudini familiari, controverse tra le parti.

D) la forma se ad oggetto il contratto beni immobili o qualsiasi altro diritto di natura reale, essa deve rivestire quella scritta ed è soggetta a trascrizione.

Difatti per una pronuncia di merito[43] lo stato di comunione di un bene immobile cessa solo per apposita convenzione tra le parti ovvero a seguito di pronuncia giudiziale comunque richiesta dai comproprietari. Peraltro la convenzione richiede la forma scritta ad substantiam per cui la sussistenza di un tale accordo non può essere provata per testimoni ed anche ammettendone l’esistenza lo stesso è comunque privo di qualsiasi effetto reale per difetto di forma.

Infine, in senso generale, secondo la S.C.[44] la disposizione di cui all’art.1112 c.c., che stabilisce l’indivisibilità del bene nel caso in cui la sua assegnazione in proprietà esclusiva ad uno dei condividendi ne comporti la cessazione dall’uso cui esso è destinato, trova applicazione esclusivamente nel caso in cui allo scioglimento della comunione si pervenga per via giudiziale, in quanto, nello scioglimento convenzionale, il potere dei comproprietari di addivenire allo scioglimento e di disporre dei beni implica anche il potere di mutarne l’uso e la destinazione originaria, sicché la possibilità di divisione del bene non trova altri impedimenti se non quelli derivanti da ragioni fisiche o da vincoli posti da leggi speciali.

4) La divisione giudiziale

 

Iter dello scioglimento della comunione.

Qualora non sia raggiunta l’unanimità dei consensi, si deve procedere alla divisione giudiziale ad iniziativa di qualsiasi comunista interessato.

Preliminarmente è necessario costituire la riunione fittizia dell’intera massa da dividere con le relative quote di diritto tenuto debitamente.

Successivamente bisognerà osservare lo stato, la consistenza, la situazione economica e giuridica (numero ed entità delle quote) della cosa tenendo presente anche l’eventuale concentrazione di più quote nella persona di un solo comunista e/o coerede.

Può anche verificarsi che il bene o i beni (specie IMMOBILI) costituenti la MASSA COMUNE risultino INDIVISIBILI (art. 720 e 721 c.c.) nel qual caso il Giudice Istruttore procede alla vendita all’incanto oppure, delega le operazioni di vendita all’incanto ad un professionista (787 c.p.c.); avvenuta l’aggiudicazione, il prezzo ricavato viene diviso tra i condividenti.

Il tecnico (CTU) incaricato dal giudice dovrà di conseguenza operare uno studio approfondito del bene, eventualmente da dividere, appurando la sua divisibilità in funzione dell’aspetto strutturale, ossia accertando che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete omogenee suscettibili di autonomo e libero godimento che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e non creare pregiudizio alle ragioni dell’economia pubblica o dell’igiene.

Altresì, dovrà tenersi debitamente conto anche dell’aspetto economico-funzionale, ovvero che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’intero, in conformità alla normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso. Infine non bisognerà trascurare l’aspetto delle servitù, cioè se la divisione comporta l’imposizione o la formazione di servitù, pesi o vincoli che non devono risultare in alcun modo eccessivamente gravose (opere complesse e/o di notevole costo) rispetto alle singole porzioni.

Alla luce dei su indicati criteri, sarà dunque il tecnico a stabilire la possibilità di procedere a una comoda o non comoda divisibilità tenendo però sempre presente che, al verificarsi della seconda ipotesi, la vendita all’incanto è configurata dall’ordinamento come rimedio residuale cui ricorrere solo nel caso in cui nessuno dei condividenti voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell’intero. All’incanto dovrà giungersi, altresì, nell’ipotesi che più di un coerede pretenda di ottenere per sé l’immobile comune.

Di converso, nel caso vi siano una pluralità di richieste di assegnazione, salvo che vi siano ragioni di opportunità (ravvisabile nell’interesse comune dei condividenti), costante giurisprudenza ha stabilito che va accolta la richiesta di attribuzione del coerede (o comunista) titolare della quota maggiore, e non quella di attribuzione congiunta del bene degli altri aventi diritto a quote tra loro eguali, atteso che quest’ultima, a differenza dell’attribuzione del bene al maggior quotista, comporterebbe il protrarsi della comunione, sia pure con riferimento a un numero di partecipanti minore di quello originario.

Da ultimo la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 luglio 2014, n. 15396

è nuovamente intrevenuta sul punto affermando che secondo alcune decisioni, nella divisione, devono essere preferibilmente seguiti dal giudice i criteri di attribuzione fissati dall’art 720 c.c. salvo deroga solo per gravi motivi che riguardano l’interesse comune dei condividenti. Ovvero: In tema di divisione di cose comuni, per il caso in cui in presenza di un immobile indivisibile o non comodamente divisibile vi sia una pluralità di richieste di assegnazione, i criteri di attribuzione fissati dall’art. 720 c.c. in base ai quali l’immobile medesimo deve essere compreso per intero (con l’addebito dell’eccedenza nella porzione del condividente avente la quota maggiore, ovvero nella porzione di più condividenti ove questi ne chiedano congiuntamente l’attribuzione), devono essere preferibilmente seguiti, nel senso che il giudice se ne può discostare solo per motivi gravi ed attinenti all’interesse comune dei condividenti (Cass. Sez. 2, n. 7588 del 11/07/1995).

Secondo l’altro contrario, ma prevalente indirizzo (che è stato condiviso dalla sentenza in commento), il giudice ha il potere discrezionale di derogare dal criterio, indicato nell’art. 720 c.c., della preferenziale assegnazione al condividente titolare della quota maggiore, purché assolva all’obbligo di fornire adeguata e logica motivazione della diversa valutazione di opportunità adottata, che si risolve in un tipico accertamento di fatto, sottratto come tale al sindacato di legittimità ove adeguatamente motivato (Cass. n.11641 del 13.05.2010; Cass. n. 22857 del 28/10/2009; Cass. n. 21319 del 15/10/2010; Cass. n. 24053 del 25/09/2008: in tal caso la Corte ha confermato la sentenza del giudice di secondo grado con riguardo all’attribuzione dell’immobile non divisibile assumendo come criterio discriminante quello dell’interesse personale prevalente dell’assegnatario, privo di un’unità immobiliare da destinare a casa familiare, rispetto al titolare della quota maggiore che disponeva di altra abitazione).

In tale ipotesi il conguaglio in danaro, che costituisce debito di valore esprimendo l’equivalente economico della quota spettante all’altro condividente, esprime l’equivalente economico della quota di tale bene e deve essere determinato con riferimento al valore del bene stesso al momento della conclusione del relativo giudizio di divisione anche in mancanza di una espressa richiesta di parte in tal senso.

Tale valore non è, però, determinabile maggiorando automaticamente il prezzo del bene accertato dal consulente tecnico di ufficio nel corso del giudizio divisorio dell’indice di svalutazione monetaria, intervenuta tra la data dell’accertamento e quella della pronuncia della sentenza, in quanto spesso gli immobili si rivalutano con un ritmo più elevato, o comunque diverso, da quello di svalutazione della moneta secondo gli indici calcolati dall’ISTAT, sì che il riferimento a tale indice è inidoneo per una rivalutazione equa della somma dovuta a conguaglio.

Sul valore effettivo del bene, al momento della divisione, sono dovuti gli interessi corrispettivi mentre per il periodo precedente di divisione deve farsi riferimento al rapporto dei comunisti coi beni oggetto della comunione: se il possesso degli stessi e il godimento dei frutti è stato comune, non sono dovuti interessi compensativi sulla somma a conguaglio; nell’ipotesi in cui il solo condividente (poi assegnatario) ha avuto il possesso dei beni, sorgerà a favore del non assegnatario il diritto al rendiconto con riferimento agli eventuali frutti ed eventualmente il diritto agli interessi corrispettivi sulle somme dovute a tale titolo, in ogni caso non essendo dovuti interessi compensativi sul valore del capitale.

Dalla dottrina prevalente, si ritiene che tutta la fase della divisione giudiziale che avviene dinanzi al Giudice Istruttore fino all’eventuale approvazione del progetto abbia natura   di VOLONTARIA GIURISDIZIONE, mentre si avrà procedura contenziosa (187 cpc) solo nell’ipotesi di controversie fra le parti.

Per una pronuncia del Tribunale Capitolino[45], inoltre, nel caso di divisione di beni oggetto di comproprietà provenienti da titoli diversi e, quindi, appartenenti a diverse comunioni, è possibile procedere ad un’unica divisione invece che a tante divisioni quante sono le masse solo con il consenso di tutte le parti, consenso che non può risultare da una manifestazione tacita o da un semplice comportamento processuale non appositivo avverso la domanda di divisione unitaria, ma deve materializzarsi in uno specifico e apposito negozio giuridico, da cui possa evincersi in modo inequivocabile tale comune volontà.

Per altra pronuncia del medesimo Tribunale[46] relativamente alla divisione ereditaria, ma applicabile per analogia – a parere di chi scrive – alla divisione in senso generale in ordine alla domanda di scioglimento della comunione ereditaria tra le parti relativa ad immobile, costituisce onere delle parti produrre nei termini di decadenza concessi dall’art. 184 c.p.c. (vecchio rito) i certificati dei Registri Immobiliari (ovvero una relazione notarile sostitutiva), indispensabili per verificare la proprietà del bene in capo al de cuius al momento dell’apertura della successione, nonché la perdurante appartenenza alla comunione e l’esistenza di altri eventuali litisconsorti necessari (creditori o aventi causa da un partecipante alla comunione di cui all’art 1113 c.c. e 784 c.p.c.). L’assenza di tale documentazione impedisce i suddetti accertamenti, da effettuarsi dal giudice d’ufficio, ed impone una declaratoria di inammissibilità della domanda di divisione.

Sempre ai fini procedurali per il Tribunale della lanterna[47] relativamente alla domanda giudiziale in forza della quale gli attori chiedano disporsi la divisione del compendio immobiliare in comproprietà con i convenuti, sono inammissibili le domande e le eccezioni formulate da questi ultimi solo nelle memorie deduttive ed istruttorie di cui all’art. 183 c.p.c., in coincidenza con la sostituzione del legale inizialmente incaricato. Ebbene, la circostanza in forza della quale nella comparsa di costituzione e risposta predisposta dal primo legale non risulti sollevata alcuna contestazione o richiesto alcun accertamento in merito all’individuazione del compendio da dividere e le pretese relative ad un terreno non menzionato dagli attori nell’atto introduttivo del giudizio risultino avanzate solo successivamente, rileva il vizio dello jus postulandi ovvero di un’omissione sostanziale riguardante l’esatta individuazione dell’oggetto del processo e dei beni da dividere. Da siffatta integrazione ne consegue il tentativo di ampliamento dell’oggetto della controversia con una pretesa che mal si concilia con l’iniziale omessa contestazione dell’iniziativa di parte attrice di procedere alla divisione degli immobili. Ne consegue, in conclusione, la configurabilità di vera e propria domanda riconvenzionale che, a seguito della riforma del 2005 non può che dichiararsi inammissibile dovendo essere proposta a pena di decadenza nella comparsa di costituzione e risposta.

In ogni momento della procedura, il Giudice Istruttore può delegare le operazioni divisionali ad un professionista  (art.786 – 791 cpc) che redige il progetto, assegna le quote e rimette il processo verbale contenente le operazioni divisionali al Giudice Istruttore: se non vi sono contestazioni segnalate dal professionista, il G.I. approva il progetto di divisione, che diventa esecutivo.

Qualora, poi, sorga controversia

1) tra le parti

2) o innanzi al professionista delegato circa il progetto divisionale il Giudice Istruttore a norma dell’art.187 rimette le parti innanzi al Collegio per la decisione della causa attraverso SENTENZA.

Nell’ambito del giudizio di divisione, la sentenza che pronuncia lo scioglimento della comunione ha valore definitivo anche quando, stante l’accertata non comoda divisibilità del bene, il giudice procedente disponga la vendita dell’immobile, invero le operazioni successive alla statuizione sullo scioglimento devono ritenersi di mero carattere attuativo degli effetti derivanti dalla sentenza medesima e, pertanto, prive di qualsiasi valore conclusivo del giudizio, il cui esaurimento della materia del contendere coincide non con la concreta attribuzione dei beni ai singoli condividenti, ma con l’esaurimento del potere del giudice di procedere all’accertamento del diritto di ciascuno dei comunisti a sciogliere la comunione[48].

Conforme a tale pronuncia risulta esserne un’altra[49] secondo la quale, una volta passata in giudicato la sentenza con la quale è stato disposto lo scioglimento della comunione con determinazione dei lotti, questi entrano da quel momento a far parte del patrimonio di ciascuno degli ex comunisti. Pertanto nel caso in cui ne sia disposto il sorteggio, e l’individuazione concreta degli assegnatari abbia luogo successivamente, in concomitanza con tale adempimento di carattere puramente formale, qualsiasi evento si verifichi nel frattempo a vantaggio o in danno dei beni costituenti ciascun singolo lotto, si verifica a vantaggio o in danno dell’ex comunista, senza che tali accadimenti possano più influire sulla determinazione della composizione dei lotti e dar luogo ad ulteriori aggiustamenti e conguagli.

Per la Cassazione[50], poi, la imposizione con sentenza di divisione giudiziale a carico di ciascuno dei condividenti di obbligazioni reciproche, finalizzate allo scioglimento della comunione, determina tra le prestazioni dovute un collegamento di corrispettività, analogo a quello intercorrente tra prestazioni dovute in adempimento di obbligazioni di identico contenuto volontariamente assunte dai condividenti con un unico contratto o con una pluralità di contratti collegati preordinati alla realizzazione dello scioglimento della comunione, e di conseguenza anche in questa ipotesi ciascuno di essi può  rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro o gli altri condividenti non adempiono o non offrono di adempiere contemporaneamente le proprie, salvo che siano diversi i termini per l’adempimento.

Rimessione al CollegioNATURA CONTENZIOSA

La divisione dà luogo ad un LITISCONSORZIO NECESSARIO nel senso che la domanda giudiziale deve proporsi nei confronti di tutti gli eredi (o di tutti i condomini della MASSA in caso di divisione ordinaria) e dei creditori opponenti (se vi sono), in mancanza di uno dei condividenti si ritiene che la divisione sia NULLA; in mancanza di uno dei creditori opponenti che abbia fatto richiesta di partecipare alla divisione (e che non sia stato invitato a parteciparvi) si ritiene che la divisione non sia lui opponibile (vedi anche art. 1113 c.c.).

Proprio in merito all’art. 1113[51] c.c. per la Corte di legittimità[52] la divisione dei beni in comunione – effettuata in via contrattuale o giudiziale – è opponibile al creditore ipotecario solo se lo stesso sia stato parte nel contratto o sia stato chiamato ad intervenire nel giudizio. Infatti, se l’art. 2825 c.c. dispone che l’ipoteca costituita da uno dei partecipanti alla comunione dispiega i suoi effetti solo rispetto alla propria quota così come sarà assegnata in sede di divisione, l’art. 1113, co. III c.c. prevede, dal canto suo, che i creditori iscritti e i titolari di diritti sull’immobile (in virtù di atti soggetti a trascrizione avvenuta prima della trascrizione dell’atto di divisione o della domanda giudiziale) devono essere chiamati ad intervenire (appunto nella conclusione del contratto o nel giudizio)affinché la divisione stessa produca effetti (sia opponibile) anche nei loro confronti.

Inoltre, ha avuto modo di precisare la medesima S.C.[53] che la qualità di litisconsorti necessari, ex art. 784 c.p.c., ad esempio, di tutti i condomini rispetto alla domanda di scioglimento della comunione permane in ogni grado del processo, indipendentemente dall’attività e dal comportamento di ciascuna parte. Ne consegue che, se, in fase di appello, l’appellante non provveda alla citazione di uno o più condomini, il giudice di secondo grado è obbligato a disporre l’integrazione del contraddittorio in ottemperanza al precetto dell’art. 331 c.p.c., ancorché, già disposta in primo grado la divisione ex art. 789 c.p.c., debba soltanto pronunciare sulle spese, in quanto la causa accessoria sulle spese condivide il carattere di inscindibilità della causa principale.

In realtà la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio ha l’onere soltanto di indicare nominativamente le persone che devono partecipare al giudizio quali litisconsorzi necessari, di provarne l’esistenza, documentando, altresì, i presupposti di fatto che giustificano l’integrazione, senza, peraltro, che sussista, a suo carico, anche l’onere di dimostrare l’esistenza in vita di tali soggetti, la loro residenza, domicilio o dimora abituale[54].

Mentre per altra pronuncia[55] – in tema di divisione ereditaria, ma come già più volte segnalato applicabile per analogia alla divisione ordinaria – la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio, a causa della mancata partecipazione al giudizio di un coerede, non può limitarsi ad assumere genericamente l’esistenza di litisconsorti pretermessi, ma ha l’onere di indicare le persone degli altri eredi, oltre quelli che, in tale qualità, abbiano ritualmente partecipato alle pregresse fasi del giudizio e di specificare le ragioni di fatto e di diritto della necessità di integrazione, le quali non debbono apparire “prima facie” pretestuose.

È escluso dal litisconsorzio l’usufruttuario

Infatti, vale l’insegnamento per cui qualora con la domanda di divisione si chieda lo scioglimento della comunione non ereditaria avente ad oggetto la contitolarità della nuda proprietà, l’usufruttuario “pro quota” dell’immobile non è parte necessaria del giudizio, atteso che l’usufrutto e la nuda proprietà, costituendo diritti reali diversi, danno luogo – ove spettino a più persone – a un concorso di “tura in re aliena” sul medesimo bene e non anche ad una comunione in senso proprio, configurabile in presenza della contitolarità del medesimo diritto reale (art. 1100 c.c.) ed alla quale è correlato il giudizio di divisione, che è volto alla trasformazione del diritto ad una quota ideale (della proprietà o di altro diritto reale limitato) in un diritto esclusivo (di proprietà o di altro diritto reale limitato) su beni individuali[56].

Mentre nel caso di comproprietà di beni gravati da un diritto di usufrutto, la partecipazione dell’usufruttuario al giudizio di divisione, per la S.C.[57], si rende necessaria nella sola ipotesi di comunione ereditaria, e sempreché l’usufruttario rivesta, altresì, la qualità di erede (art. 713 c.c.), ma non in caso di divisione convenzionale, dovendo ritenersi consentito ai comproprietari, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, di pattuire fra di essi lo scioglimento della comunione stessa (art. 784 c.p.c.), senza che, in tale giudizio, l’usufruttuario acquisti la veste di litisconsorte necessario.

Inoltre è bene anche sottolineare che nel giudizio di divisione di una comunione ereditaria – applicabile per analogia alla divisione in generale –  per ultima Cassazione[58] si deve tener conto, al fine della determinazione delle singole quote, anche del diritto di usufrutto attribuito, ad esempio nel caso di divisione ereditaria, per testamento ad uno degli eredi sulla quota spettante ad altri coeredi, in quanto la mancata capitalizzazione di tale diritto comporterebbe il permanere della comunione sui beni oggetto di usufrutto, in tal modo risultando vanificato l’obiettivo fondamentale del giudizio divisorio, che è quello di sciogliere integralmente la comunione.

Sempre in tema di giusto contradditorio per la Corte nomofilattica[59] l’alienazione che il comproprietario faccia del suo diritto, ai sensi dell’art. 1103 c.c., determina l’ingresso dell’acquirente nella comunione soltanto nel caso in cui l’alienazione riguardi la quota o una frazione di questa, mentre se il comproprietario disponga di un singolo bene, avendo l’alienazione efficacia obbligatoria, della comunione continua a far parte il disponente, che, pertanto, resta titolare dell’azione di cui all’art. 1111 c.c. e deve essere chiamato ad integrare il contraddittorio nel relativo giudizio da altri promosso.

Inoltre, per una pronuncia di merito[60], relativamente all’azione promossa al fine di ottenere una sentenza dichiarativa dello scioglimento della comunione, qualora ad uno dei condividenti sia attribuito un bene il cui valore risulti superiore rispetto alla quota cui il medesimo ha diritto, sorge, in favore degli altri partecipanti alla comunione, il diritto al conguaglio dal momento dell’adozione del provvedimento definitivo di scioglimento e ciò a prescindere dalla natura costitutiva o dichiarativa della relativa sentenza. Sulle somme attribuite a titolo di conguaglio sono dovuti gli interessi corrispettivi a decorrere dal momento in cui, con il provvedimento definitivo, sia cessato lo stato di comunione, in pendenza del quale i frutti maturati fino alla divisione spettano a ciascuno dei partecipanti in ragione delle rispettive quote.

Infine, l’atto di divisione, stante la carenza di effetti traslativi derivanti dallo stesso, ha carattere semplicemente dichiarativo e non è idoneo, pertanto, a fornire da solo, nei confronti dei terzi, la prova dell’acquisto della proprietà.  Per costante giurisprudenza della Corte di legittimità[61], infatti, nel giudizio di rivendica di un immobile ai fini della prova della proprietà non è sufficiente un atto di divisione che per il suo carattere dichiarativo non ha di per sé forza probante nei confronti dei terzi, del diritto di proprietà attribuito ai condividendo ma occorre necessariamente dimostrare il titolo di acquisto in base al quale il bene è stato attribuito in sede di divisione.

          In conclusione per quanto riguarda le spese del giudizio di divisione per la S.c.[62] vanno poste a carico della massa le spese che sono servite a condurre nel comune interesse il giudizio alla sua conclusione, mentre valgono i principi generali sulla soccombenza per quelle spese che, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, sono state necessitate da eccessive pretese o da inutili resistenze, cioè dall’ingiustificato comportamento della parte.

5) La disciplina procedurale

art.  784 c.p.c.     litisconsorzio necessario: le domande di divisione ereditaria o di scioglimento di qualsiasi altra comunione debbono proporsi in confronto di tutti gli eredi o condomini e dei creditori opponenti se vi sono.

 

Come già è stato ampiamente indicato in precedenza della necessità del litisconsorzio, ad abbundantiam, con un’altra pronuncia la S.C.[63] ha chiarito che l’art. 784 c.p.c. è norma speciale rispetto all’art. 1131 secondo comma, c.c., e pertanto, malgrado quest’ultima disposizione conferisca all’amministratore di condominio la legittimazione passiva per qualunque azione, se un condomino chiede lo scioglimento della comunione su un bene comune e la conseguente modifica dell’uso di esso, è necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, onde tutelare più intensamente le loro ragioni nella trasformazione delle rispettive facoltà di godimento.

Inoltre, sempre nel trattare casi particolari, per la stessa Corte[64], poiché la divisione di un bene comune va annoverata tra gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, ai sensi dell’art. 180 secondo comma, c.c., come sostituito dalla legge n. 151 del 1975 sulla riforma del diritto di famiglia, qualora del bene da dividere siano comproprietari, assieme ad altri, due coniugi in regime di comunione legale, la rappresentanza spetta congiuntamente ad entrambi, con la conseguenza che entrambi sono litisconsorti necessari, ex art. 784 c.p.c., nel giudizio divisionale da chiunque promosso.


art.  785 c.p.c
.       pronuncia sulla domanda di divisione: se non sorgono contestazioni sul diritto alla divisione, essa è disposta con ordinanza dal giudice istruttore; altrimenti questi provvede a norma dell’articolo 187.


art. 786 c.p.c
.    direzione delle operazioni: le operazioni di divisione sono dirette dal giudice istruttore, il quale, anche nel corso di esse, può delegarne la direzione a un notaio.


art.   787 c.p.c
.     vendita di mobili: quando occorre procedere alla vendita di mobili, censi o rendite, il giudice istruttore o il professionista delegato procede a norma degli articoli 534 e ss., se non sorge controversia sulla necessità della vendita.
Se sorge controversia, la vendita non può essere disposta se non con sentenza del collegio.

 

art.  788 c.p.c.     vendita di immobili: quando occorre procedere alla vendita di immobili, il giudice istruttore provvede con ordinanza a norma dell’articolo 569, terzo comma, se non sorge controversia sulla necessità della vendita[65].

Se sorge controversia, la vendita non può essere disposta se non con sentenza del collegio.

La vendita si svolge davanti al giudice istruttore. Si applicano gli, articoli 570 e seguenti[66].

Quando le operazioni sono affidate a un professionista, questi provvede direttamente alla vendita, a norma delle disposizioni del presente articolo[67].

art. 570 c.p.c.  avviso della vendita:dell’ordine di vendita è dato dal cancelliere, a norma dell’articolo 490, pubblico avviso contenente l’indicazione degli estremi previsti nell’art. 555, del valore dell’immobile determinato a norma dell’articolo 568, del sito Internet sul quale è pubblicata la relativa relazione di stima, del nome e del recapito telefonico del custode nominato in sostituzione del debitore, con l’avvertimento che maggiori informazioni, anche relative alle generalità del debitore, possono essere fornite dalla cancelleria del tribunale a chiunque vi abbia interesse.

 

art. 571 c.p.c.    offerte d’acquisto:ognuno, tranne il debitore, è ammesso a offrire per l’acquisto dell’immobile pignorato personalmente o a mezzo di procuratore legale anche a norma dell’articolo 579, ultimo comma. L’offerente deve presentare nella cancelleria dichiarazione contenente l’indicazione del prezzo, del tempo e modo del pagamento e ogni altro elemento utile alla valutazione dell’offerta.

L’offerta non è efficace se perviene oltre il termine stabilito ai sensi dell’articolo 569, terzo comma, se è inferiore al prezzo determinato a norma dell’articolo 568 o se l’offerente non presta cauzione, con le modalità stabilite nell’ordinanza di vendita, in misura non inferiore al decimo del prezzo da lui proposto.

L’offerta è irrevocabile, salvo che:

[1) il giudice disponga la gara tra gli offerenti di cui all’articolo 573;]

2) il giudice ordini l’incanto;

3) siano decorsi centoventi giorni dalla sua presentazione ed essa non sia stata accolta.

L’offerta deve essere depositata in busta chiusa all’esterno della quale sono annotati, a cura del cancelliere ricevente, il nome, previa identificazione, di chi materialmente provvede al deposito, il nome del giudice dell’esecuzione o del professionista delegato ai sensi dell’articolo 591 bis e la data dell’udienza fissata per l’esame delle offerte. Se è stabilito che la cauzione è da versare mediante assegno circolare, lo stesso deve essere inserito nella busta. Le buste sono aperte all’udienza fissata per l’esame delle offerte alla presenza degli offerenti.

 

art. 572 c.p.c.   deliberazione sull’offerta:  sull’offerta il giudice dell’esecuzione sente le parti e i creditori iscritti non intervenuti.

Se l’offerta è superiore al valore dell’immobile determinato a norma dell’articolo 568, aumentato di un quinto, la stessa è senz’altro accolta.

Se l’offerta è inferiore a tale valore, il giudice non può far luogo alla vendita se vi è il dissenso del creditore procedente, ovvero se il giudice ritiene che vi è seria possibilità di migliore vendita con il sistema dell’incanto. In tali casi lo stesso ha senz’altro luogo alle condizioni e con i termini fissati con l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’articolo 569.

Si applicano le disposizioni degli articoli 573, 574 e 577.

 

art. 573 c.p.c.  gara tra gli offerenti: se vi sono più offerte, il giudice dell’esecuzione invita gli offerenti a una gara sull’offerta più alta.

Se la gara non può avere luogo per mancanza di adesioni degli offerenti, il giudice può disporre la vendita a favore del maggiore offerente oppure ordinare l’incanto.

 

art. 574 c.p.c.    provvedimenti relativi alla vendita: il giudice dell’esecuzione, quando fa luogo alla vendita, dispone con decreto il modo del versamento del prezzo e il termine, dalla comunicazione del decreto, entro il quale il versamento deve farsi, e, quando questo è avvenuto, pronuncia il decreto previsto nell’art. 586 .

Si applica anche a questa forma di vendita la disposizione dell’art. 583.

Se il prezzo non è depositato a norma del decreto di cui al primo comma, il giudice provvede a norma dell’art. 587

Per la Corte di Piazza Cavour l’ordinanza con la quale il giudice dispone la vendita all’incanto, ai sensi dell’art. 788 c.p.c., per sciogliere la comunione ereditaria, come quella generale, non è atto nè del procedimento di vendita, nè del processo di esecuzione, ma da un lato fissa le modalità dell’incanto, dall’altro consente il prosieguo della divisione, sicché, mentre per la prima parte è impugnabile ex art. art. 617 c.p.c., per l’ altra parte non è invece ammissibile il ricorso per Cassazione ex art. 111 Costituzione, trattandosi di provvedimento privo di contenuto decisorio. In particolare tale rimedio straordinario è da escludere anche nel caso in cui l’ ordinanza suddetta non sia stata comunicata alla parte contumace.

Per altra pronuncia gli atti di vendita di immobili a mezzo notaio, posti in essere nell’ambito del procedimento di scioglimento di comunione ereditaria, pur essendo disciplinati dagli artt. 570 e segg. c.p.c., espressamente richiamati dall’art. 788, terzo comma, c.p.c., non sono riconducibili ad una azione esecutiva, avendo solo funzione attuativa dello scioglimento della comunione; ne consegue che il rimedio esperibile avverso tale procedura ed il provvedimento conclusivo di trasferimento del bene non é l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c., bensì un’autonoma azione di nullità. (Nell’affermare l’anzidetto principio, la S.C. ha rigettato il ricorso ex art. 111 Cost. avverso il provvedimento con cui era stata disattesa l’istanza di revoca del decreto di trasferimento dell’immobile oggetto di divisione, proposta da uno dei coeredi per la mancata effettuazione della pubblicità prevista dall’art. 490 c.p.c., precisando che tale norma non è applicabile alla fattispecie in esame, disciplinata, invece, dall’art. 790 c.p.c.).


art.  789  c.p.c
.     progetto di divisione e contestazioni su di esso: il giudice istruttore predispone un progetto di divisione che deposita in cancelleria e fissa con decreto l’udienza di discussione del progetto, ordinando la comparizione dei condividenti e dei creditori intervenuti.
Il decreto è comunicato alle parti.
Se non sorgono contestazioni, il giudice istruttore, con ordinanza non impugnabile, dichiara esecutivo il progetto, altrimenti provvede a norma dell’articolo 187.
In ogni caso il giudice istruttore dà con ordinanza le disposizioni necessarie per l’estrazione a sorte dei lotti.

 

Per al S.C.[68] nel procedimento di scioglimento della comunione, la comunicazione del deposito del progetto divisionale e dell’udienza fissata per la relativa discussione deve essere effettuata, a norma dell’art. 789, secondo comma, c.p.c., nei confronti di tutti i condividenti, anche se contumaci; in difetto di tale adempimento, che non può essere sostituito dal mero deposito in cancelleria dell’elaborato peritale, il giudice istruttore non può dichiarare esecutivo il progetto di divisione per mancanza di contestazioni, risultandone invalidi la relativa ordinanza ed i successivi atti del procedimento. Né è di ostacolo a tale obbligo di comunicazione la tassativa elencazione contenuta nell’art. 292, primo comma, c.p.c., perché tale disposizione riguarda solo il giudizio contenzioso, mentre l’art. 789 c.p.c. aggiunge nuovi obblighi in riferimento al giudizio di divisione.

Per altra pronuncia[69] più datata nel procedimento di scioglimento della comunione la comunicazione del deposito del progetto di divisione e dell’udienza fissata per la sua discussione deve essere effettuata nei confronti di tutte le parti condividenti, anche se contumaci, pena l’invalidità dell’ordinanza con la quale, a norma dell’art. 789 c.p.c., il giudice istruttore in assenza di contestazioni rende esecutivo il progetto di divisione. Tale invalidità, denunziabile, in difetto di uno specifico mezzo di impugnazione mediante il ricorso straordinario ex art. 111 Cost., pur incidendo anche sui successivi atti del procedimento, quali, fra gli altri i provvedimenti di assegnazione dei lotti o quelli in materia di spese del giudizio divisorio, non può esser fatta valere con riferimento solo a tali atti successivi senza una specifica impugnazione avverso il progetto di divisione approvato, costituendo questo l’antecedente necessario di quelli. Ne deriva che il condividente contumace che abbia avuto conoscenza dell’ordinanza di assegnazione di quote o di liquidazione delle spese del giudizio, notificatagli da altro condividente, ha l’onere di impugnare l’ordinanza di approvazione del progetto entro il termine di legge, decorrente dalla data di legale conoscenza dei provvedimenti oggetto di notificazione, implicando tale conoscenza anche la conoscenza del provvedimento in cui essi trovano il loro presupposto, e ove limiti la propria impugnazione al solo provvedimento di assegnazione o di liquidazione, la rende vana, non potendo essa impedire che il progetto di divisione divenga inoppugnabile.

Infine[70], qualora, a seguito di domanda di scioglimento di comunione immobiliare, sia stata emessa sentenza non definitiva dichiarativa dell’invocato scioglimento e della comoda divisibilità del bene immobile, con la conseguente proposizione di appello avverso tale sentenza, e, poi, il giudice istruttore abbia approvato con ordinanza il progetto divisionale per mancanza di contestazioni, divenuto perciò esecutivo, l’accoglimento del suddetto appello determinerebbe, ai sensi dell’art. 336, comma secondo, c.p.c. la caducazione di tutti gli atti ed i provvedimenti dipendenti dalla sentenza riformata e, quindi, nel caso prospettato, anche dell’indicato progetto divisionale dichiarato esecutivo ai sensi dell’art. 789, comma terzo, c.p.c., rinveniente il suo presupposto logico-giuridico proprio nella menzionata sentenza non definitiva. Pertanto, nel caso di rigetto del richiamato appello, deve ritenersi che l’appellante sia legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza a lui sfavorevole emanata dal giudice di appello, con la conseguente reiezione dell’eccezione (come proposta nella specie dai controricorrenti) basata sulla circostanza della precedente intervenuta esecutività del progetto divisionale.

 

A)  Delle operazioni davanti al notaio

 


art. 790 c.p.c
.      operazioni davanti al notaio: se a dirigere le operazioni di divisione è stato delegato un notaio, questi dà avviso, almeno cinque giorni prima, ai condividenti e ai creditori intervenuti del luogo, giorno e ora in cui le operazioni avranno inizio.
Le operazioni si svolgono alla presenza delle parti, assistite, se lo richiedono e a loro spese, dai propri procuratori.
Se nel corso delle operazioni sorgono contestazioni in ordine alle stesse, il notaio redige apposito processo verbale che trasmette al giudice istruttore.
Questi fissa con decreto un’udienza per la comparizione delle parti, alle quali il decreto stesso è comunicato dal cancelliere.
Sulle contestazioni il giudice provvede con ordinanza.

 

        Il disposto del primo comma è stato confermato anche dalla S.C.[71] secondo la quale nel giudizio di divisione, ove il giudice istruttore deleghi un notaio per l’espletamento delle operazioni (nella specie, vendita di un immobile ritenuto indivisibile) ai sensi dell’art. 790 cod. proc. civ., questi ha l’obbligo di dare avviso, almeno cinque giorni prima, ai condividenti e ai creditori intervenuti, del luogo, giorno e ora di inizio delle operazioni; la tardività di tale avviso, traducendosi in irregolarità procedurale che impedisce la partecipazione alla vendita all’incanto, determina la nullità di tutte le operazioni divisionali inerenti alla vendita stessa.

 

art.  791 c.p.c.     progetto di divisione formato dal notaio: il notaio

redige unico processo verbale delle operazioni effettuate.
Formato il progetto delle quote e dei lotti, se le parti non si accordano su di esso, il N.io trasmette il pr.sso ver.le al giudice istruttore, entro 5 giorni dalla sotto.zione.
Il giudice provvede come al penultimo comma dell’articolo precedente per la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti e quindi emette i provvedimenti di sua competenza a norma dell’articolo 187.
L’estrazione dei lotti non può avvenire se non in base a ordinanza del giudice, emessa a norma dell’articolo 789, ultimo comma, o a sentenza passata in giudicato.

        A mente di una sentenza della S.C.[72] la stima dei beni da dividere e la scelta del criterio da adottare per la determinazione del valore di tali beni, con riguardo a natura, ubicazione, consistenza, possibile utilizzazione e condizioni di mercato, rientrano nel potere discrezionale ed esclusivo del giudice del merito; tali valutazioni sono insindacabili in sede di legittimità, se sostenute da adeguate e razionale motivazione.

        Infine secondo la sezione Tributaria della S.C.[73], in tema di imposta di registro, in caso di scioglimento della comunione ereditaria (nella specie con sentenza) mediante assegnazione dell’intero bene ad alcuni comproprietari, con versamento, da parte loro agli altri condividenti di somme in denaro pari al valore delle quote, si applica l’aliquota propria degli atti di divisione e non la regola, prevista dall’art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 ( secondo cui la divisione con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente) essendo irrilevante che la somma corrisposta non provenga dalla massa ereditaria, atteso che l’art. 34 cit. non si occupa della provenienza dei beni assegnati, ma soltanto del loro valore.

B)  Dell’espropriazione dei beni indivisi

art. 599 c.p.c.  pignoramento:: possono essere pignorati i beni indivisi anche quando non tutti i comproprietari sono obbligati verso il creditore.

In tal caso del pignoramento è notificato avviso, a cura del creditore pignorante, anche agli altri comproprietari, ai quali è fatto divieto di lasciare separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza ordine di giudice.

 

art. 600 c.p.c.  convocazione dei comproprietari: il giudice dell’esecuzione, su istanza del creditore pignorante o dei comproprietari e sentiti tutti gli interessati, provvede, quando è possibile, alla separazione della quota in natura spettante al debitore.

Se la separazione in natura non è chiesta o non è possibile, il giudice dispone che si proceda alla divisione a norma del codice civile, salvo che ritenga probabile la vendita della quota indivisa ad un prezzo pari o superiore al valore della stessa, determinato a norma dell’articolo 568.

 

art. 601 c.p.c.   divisione: se si deve procedere alla divisione, l’esecuzione è sospesa finché sulla divisione stessa non sia intervenuto un accordo fra le parti o pronunciata una sentenza avente i requisiti di cui all’articolo 627 .

Avvenuta la divisione, la vendita o l’assegnazione dei beni attribuiti al debitore ha luogo secondo le norme contenute nei capi precedenti.

In tema secondo ultima pronuncia della S.C.

Corte di Cassazione, sezione VI, 19 marzo 2013, n.6809

L’espropriazione forzata dell’intera quota, spettante ad un compartecipe, dei beni compresi in una comunione, è certamente possibile, ma limitatamente a tutti i beni indivisi di una singola specie (immobili, mobili o crediti). Iniziata l’espropriazione della stessa, il giudice dell’esecuzione può disporre la separazione in natura della quota spettante al debitore esecutato, se questa è possibile, o, in caso contrario, ordinare che si proceda alla divisione, oppure disporre la vendita della quota indivisa

Non è invece ammissibile l’espropriazione forzata della quota di un singolo bene indiviso, quando la massa in comune comprenda più beni della stessa specie, perché, potendo, in sede di divisione, venire assegnato al debitore una parte di un altro bene facente parte della massa, il pignoramento potrebbe non conseguire i suoi effetti, per inesistenza nel patrimonio del debitore, dell’oggetto dell’esecuzione.

6) Gli atti paradivisori (c.d. divisione civile)

        Questi atti sono diritti a sciogliere la comunione mediante l’apporzionamento, ossia attraverso assegnazioni proporzionali alle quote dei contitolari.

        Sono, pertanto atti differenti dalla divisione che hanno, comunque, la funzione divisoria; a tali atti si applicano, analogicamente, le norme sulla divisione.

        Essi sono, inoltre, ex art. 764, 1 co, assoggettati all’azione di rescissione.

Divisione transattiva

E’ quella che si caratterizza per la presenza della causa della divisione (apporzionamento) nel senso che i comproprietari procedono alla formazione delle quote di fatto corrispondenti alle quote di diritto e poi invece di assegnarle ai rispettivi comproprietari, l’assegnano ad uno o alcuni di essi stabilendo corrispettivi o conguagli: a tale ipotesi, in caso di lesione oltre il quarto si applica la rescissione (763 e 764, 1° comma).

Tizio lascia la casa a Via Petrarca (valore bonariamente attribuito: € 1.200.000,00) ai 4 figli A, B, C, D, (quest’ultimo D è debitore di € 300.000,00 verso A);

Se i quattro figli sciolgono la comunione attraverso la cessione di ¾ ad A che diventa proprietario dell’intero appartamento attraverso due cessioni onerose per € 300.000,00 ciascuna quanto a B e C e attraverso la compensazione tra il credito e il debito di A verso D, si ha DIVISIONE TRANSATTIVA. Se i cedenti attraverso una PERIZIA eseguita nei termini di Legge accertino che la casa ha il valore di € 2.400.000, si ha una lesione ULTRA QUARTUM e la DIVISIONE E’ RESCINDIBILE.

Transazione divisoria

        Si ha quando le parti transigono una lite sorta o insorgente in ordine alla misura dei rispettivi diritti loro spettanti nella comunione e senza procedere all’apporzionamento delle rispettive quote assegnano a titolo transattivo ad uno o più di esse determinati beni o diritti: contro tale transazione non è ammessa rescissione.


NOTE

[1] Tribunale di Padova Sezione I civile, sentenza 22 marzo 2011, n. 559. In relazione alla domanda di divisione attinente un immobile rimasto nella disponibilità di uno solo dei comunisti, deve essere esclusa la riconducibilità alla tutela di un interesse così come sopra definito, della dilazione richiesta sulla scorta della condizione economica dell’occupante, dovuta, nello specifico, ad una incapacità lavorativa connessa ad una grave patologia e della conseguente difficoltà a reperire un’altra abitazione. In siffatta fattispecie, pertanto, l’istanza avanzata ex art. 1111 citato non può che essere respinta.

[2] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 04 dicembre 2007, n. 25288. Come correttamente affermato, nella specie, dal giudice a quo che ha altresì evidenziato la mancanza, nel caso concreto, di pregiudizi agli interessi dell’altro partecipanti, tale da giustificare un differimento nel tempo dello scioglimento della comunione

[3] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 29. Marzo 2006, n. 7274

[4] Cfr par.fo, 4 pag. 22

[5] Tribunale di Rovigo civile, sentenza 13 novembre 2006, n. 124. Del resto la Corte di Cassazione aveva già determinato, in tempi non recenti, il contenuto dello ius sepulcri specificando che esso consiste in un diritto reale con peculiari caratteristiche avente ad oggetto il potere di collocare le salme in un determinato sepolcro e la cui titolarità spetta, in caso di sepolcro familiare, a tutti coloro che sono legati al fondatore da un vincolo di sangue. Tale titolarità determina fra gli eredi una comunione indivisibile che esclude ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni degli eredi e dello stesso fondatore nonché il potere di limitare o condizionare lo ius inferendi in sepulcrum nei confronti degli altri comunisti (vedi, ex pluribus, Cassazione, sezione I, n. 519/1986).

[6] Tribunale di Napoli civile, sentenza 12 novembre 2003. Nel giudizio di scioglimento della comunione le spese del giudizio vanno poste a carico della massa, incluse quelle sostenute dai creditori presenti nel giudizio; pertanto è inapplicabile il comma 1 dell’art. 1113 C.C. nel caso in cui questi ultimi sono evocati in giudizio dalle parti al fine di rendere loro opponibile l’esito del giudizio.

[7]Tribunale di Genova Sezione IV civile, sentenza 01 luglio 2003, n. 2561. L’art. 1113, comma 1, ultima parte, c.c. mette a disposizione di creditori ed aventi causa l’esercizio dell’azione revocatoria, quale strumento concorrente rispetto all’opposizione alla divisione ivi prevista, sicché in alcun modo la mancata opposizione costituisce un ostacolo, giuridicamente rilevante, all’esperimento da parte delle Banche creditrici dell’azione per cui è causa.

[8] Corte di Cassazione Sezione I civile, sentenza 28 giugno 1986, n. 4330. Nel giudizio di divisione di una comunione di beni, il terzo acquirente di un diritto su uno degli immobili comuni, per atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale, non e` parte necessaria del giudizio, ma, se non chiamato ad intervenirvi, non gli puo` essere opposta la sentenza che lo definisce, con la conseguenza che egli, ove danneggiato dalla ripartizione, potra` pretendere che si proceda a nuova divisione

[9]  Corte di Cassazione, sentenza dell’8 luglio 1963, n. 1838

[10] Corte di Cassazione, sentenza del  21 luglio 1981, n. 4703

[11] Corte di Cassazione, sentenza del 6 novembre 1973, n. 2889

[12] Corte di Cassazione, sentenza del 24 giugno 1980, n. 3971

[13] Corte di Cassazione, sentenza del 22 aprile 1981, n. 2364

[14] Corte di Cassazione Sezione II civile, ordinanza 21 maggio 2004, n. 9765

[15] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 25 ottobre 2006, n. 22906. Nell’affermare il suindicato principio la S.C. ha ritenuto infondata la doglianza del ricorrente secondo cui l’attribuzione dell’immobile in comunione “pro-indiviso” al titolare di quota minore, non assegnatario di altri beni in comunione, e non già al titolare della quota maggiore, viceversa attributario di altri beni immobili oggetto della divisione, risultava nella specie adottata in violazione del criterio elettivo della quota maggiore. La Suprema Corte ha peraltro corretto ex art. 384 cod. proc. civ. la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui essa risultava erroneamente motivata con riferimento non già all’interesse comune delle parti bensì all’interesse precipuo -seppur grave- dell’assegnataria, invalida civile con totale e permanente inabilità, oltre che facendo inammissibilmente richiamo a ragioni di equità invero estranee a pronunzia da rendersi, in difetto di diversa e concorde richiesta delle parti, secondo diritto

[16] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 01 febbraio 1995, n. 1158

[17] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 22 luglio 2005, n. 15380. Nella specie, è stata confermata la decisione impugnata che, nel ritenere la comoda divisibilità di un fabbricato rurale, aveva assegnato a favore di ciascuno dei condividenti un distinto corpo di fabbrica che,mantenendo inalterata la originaria destinazione abitativa ed agricola del manufatto, era autonomo ed indipendente dall’altro

[18] Corte d’Appello di Napoli Sezione II civile, sentenza 16 febbraio 2009, n. 571

[19] Per la legge applicabile in tema di divisione ereditaria vedi anche l’ art. 46 c. 3 L. 31.05.1995 n. 218 (G.U. 03.06.1995 n. 128 S.O.) ” Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”.

Per gli aspetti fiscali, art. 34 DPR 26.04.1986 n. 131 T.U. delle disposizioni concernenti l’ imposta di registro.

[20] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 08 novembre 2010, n. 22661. In termini, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 30 luglio 2004, n. 14540

[21] Corte d’Appello di Roma Sezione III civile, sentenza 20 settembre 2006, n. 3905

[22] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 30 marzo 1988, n. 2662

[23] Tribunale di Rovigo civile, sentenza 04 febbraio 2010, n. 68

[24] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 24 febbraio 1995, n. 2117

[25] Per la legge applicabile in tema di divisione ereditaria vedi anche l’ art. 46 c. 3 L. 31.05.1995 n. 218 (G.U. 03.06.1995 n. 128 S.O.) ” Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”.

Per gli aspetti fiscali, art. 34 DPR 26.04.1986 n. 131 T.U. delle disposizioni concernenti l’ imposta di registro.

[26] Tribunale di Vicenza Sezione II civile, sentenza 21 aprile 2009, n. 623

[27] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 15 febbraio 1982, n. 937

[28] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 24 febbraio 1995, n. 2117

[29] Cfr par.fo 5, pag. 31

[30] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 07 febbraio 1991, n. 1299

[31] Tribunale di Genova Sezione I civile, sentenza 06 agosto 2009, n. 3023

[32] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 14 dicembre 1994, n. 10693

[33] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 19 luglio 1993, n. 8040

[34] Per un maggior approfondimento dell’istituto aprire il seguente collegamento Il retratto successorio

[35] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 29 gennaio 2009, n. 2394

[36] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 10 novembre 2010, n. 22885

[37] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 23 aprile 1991, n. 4442

[38] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 24 novembre 2003, n. 17881

[39] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 26 luglio 2005, n. 15583

[40] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 30 giugno 2005, n. 13948

[41] L’accertamento della presenza dei requisiti necessari per una sicura identificazione dell’oggetto del contratto è riservato al giudice di merito ed è soggetto al sindacato della Cassazione solo sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione.

[42] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 11 aprile 1992, n. 4474

[43] Giudice di Pace di Bologna Sezione IV civile, sentenza 18 gennaio 2008, n. 429

[44] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 29 marzo 2006, n. 7274

[45] Tribunale di Roma Sezione VIII civile, sentenza 12 gennaio 2010, n. 391

[46] Tribunale di Roma Sezione VIII civile, sentenza 03 giugno 2009, n. 12168

[47] Tribunale di Genova Sezione I civile, sentenza 12 luglio 2010, n. 2802

[48] Tribunale di Monza Sezione III civile, sentenza 08 giugno 2009, n. 1743

[49] Tribunale di Foggia Sezione II civile, sentenza 20 giugno 2005, n. 1017

[50] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 23 marzo 1996, n. 2558

[51] Cfr par.fo 1, lett. C pag. 5

[52] Tribunale di Potenza civile, sentenza 18 marzo 2009, n. 217

[53] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 05 dicembre 2001, n. 15358

[54] Corte d’Appello di Roma Sezione III civile, sentenza 13 gennaio 2009, n. 117

[55] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 15 luglio 2005, n. 15086

[56]Tribunale di Vicenza Sezione I civile, sentenza 11 ottobre 2010, n. 1695 cfr., mutatis mutandis, Cass. 13 dicembre 2005 n. 27412; v. anche conformi, sempre in linea di principio, Cass. 26 gennaio 2010 n. 1557 e Cass. 10 aprile 1974 n. 1023

[57] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 08 giugno 2001, n. 7785

[58] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 13 maggio 2010, n. 11640

[59] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 29 novembre 1996, n. 10629

[60] Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Sezione I civile, sentenza 06 settembre 2010, n. 3044

[61] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 19 aprile  2006, n. 9041, Cass. 1 marzo 1979, n. 1511, Cass. 13 aprile 1987, n. 3669

[62] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 15 maggio 2002, n. 7059

[63] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 08 maggio 1998, n. 4655

[64] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 21 gennaio 2000, n. 648

[65] Il presente comma è stato così sostituito dall’art. 2 L. 28.12.2005 n. 263, come modificato dall’art. 39 quater, D.L. 30.12.2005, n. 273, con decorrenza dal 01.03.2006. Si riporta di seguito il testo previgente:

“Quando occorre procedere alla vendita di immobili, il giudice istruttore provvede con ordinanza a norma degli articoli 576 e seguenti, se non sorge controversia sulla necessità della vendita.”.

[66] Il presente comma è stato così sostituito dall’art. 2 L. 28.12.2005 n. 263, come modificato dall’art. 39 quater, D.L. 30.12.2005, n. 273, con decorrenza dal 01.03.2006. Si riporta di seguito il testo previgente:

“L’incanto si svolge davanti al giudice istruttore che, quando occorre, può disporre altri incanti a norma dell’ articolo 591.”

[67] Il presente comma è stato così modificato dall’art. 2 L. 28.12.2005 n. 263, come modificato dall’art. 39 quater, D.L. 30.12.2005, n. 273, con decorrenza dal 01.03.2006. Si riporta di seguito il testo previgente:

“Quando le operazioni sono affidate a un notaio , questi provvede direttamente alla vendita, a norma delle disposizioni del presente articolo

[68] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 25 ottobre 2010, n. 21829

[69] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 03 settembre 1997, n. 8441

[70] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 16 febbraio 2007, n. 3636

[71] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 22 ottobre 2009, n. 22390

[72] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 15 maggio 2002, n. 7059

[73] Corte di Cassazione Sezione Tributaria civile, sentenza 30 luglio 2010, n. 17866

Avv. Renato D’Isa

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