Distanze tra fabbricati e l’individuazione della norma applicabile

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|25 gennaio 2023| n. 2268.

Distanze tra fabbricati e l’individuazione della norma applicabile

In materia di distanze tra fabbricati, l’individuazione della norma applicabile, correlata alla sussistenza di pareti finestrate di uno o di entrambi gli immobili al confine, fa riferimento alle sole facciate contrapposte e non a quelle in posizione secondaria, ancorché più alte delle prime, oltre che alle caratteristiche, principali o pertinenziali, degli immobili stessi, con la conseguenza che, in sede di giudizio, deve tenersi conto, a tali fini, anche del manufatto che, al momento della realizzazione di quello nuovo, si frapponeva tra quest’ultimo e quello preesistente, restando irrilevante sia l’intervenuta sua demolizione prima dell’accesso del c.t.u., sia l’inferiorità della sua altezza rispetto a quello retrostante munito di finestre nel piano superiore. (Nella specie, la S.C., a fronte della deduzione del proprietario del fabbricato preesistente, secondo cui la presenza di una finestra al piano alto di quest’ultimo rendeva irrilevante la preesistenza di un manufatto interposto tra il proprio e quello nuovo, ha cassato la sentenza di merito che si era limitata ad evidenziare il mancato rinvenimento dello stesso al momento del sopralluogo del c.t.u.)

Ordinanza|25 gennaio 2023| n. 2268. Distanze tra fabbricati e l’individuazione della norma applicabile

Data udienza 16 dicembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: EDILIZIA ED URBANISTICA – DISTANZE LEGALI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10072/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS), presso il cui studio (OMISSIS), e’ elettivamente domiciliato;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avv. (OMISSIS) presso il cui studio, in (OMISSIS), sono elettivamente domiciliati;
– controricorrenti –
Avverso la sentenza n. 118/2018 della Corte d’Appello di Venezia, sez. II, del 21/11/2017, depositata il 22/1/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/12/2022 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.

Distanze tra fabbricati e l’individuazione della norma applicabile

RILEVATO

che:
1. (OMISSIS) convenne in giudizio davanti al Tribunale di Padova, (OMISSIS), proprietario dell’immobile confinante, sito nel Comune (OMISSIS), distinto in catasto al (OMISSIS), chiedendo che venisse demolito il manufatto costruito in violazione delle distanze legali dal confine e dal proprio fabbricato, identificato al (OMISSIS).
Costituitosi in giudizio, il convenuto replico’ che la costruzione, risalente ad epoca anteriore al 1988, ampliata negli anni immediatamente successivi e condonata nel 2006, adibita ad autorimessa, rispettava le distanze prescritte all’epoca, e propose, a sua volta, domanda riconvenzionale, condizionata all’accertamento della violazione delle distanze, chiedendo che venisse accertata l’intervenuto acquisto per usucapione della servitu’ di mantenimento della costruzione nell’esatta posizione in cui si trovava.
Con sentenza n. 3521/2016, il Tribunale di Padova condanno’ il convenuto all’arretramento della costruzione esistente sull’area di sua proprieta’ fino alla distanza di 10 mt. dall’immobile dell’attore, rigettando la domanda riconvenzionale.
La Corte d’Appello di Venezia, adita dal soccombente, confermo’ la sentenza di primo grado.
2. Contro la predetta sentenza il (OMISSIS) propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati anche con memoria. Resistono i (OMISSIS) con controricorso, illustrato anche con memoria.

 

Distanze tra fabbricati e l’individuazione della norma applicabile

CONSIDERATO

che:
1.1 Col primo motivo, il (OMISSIS) lamentando la violazione ed errata applicazione dell’articolo 1158 c.c., in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c., si duole dell’affermazione circa l’impossibilita’ di stabilire l’anno di costruzione del precedente manufatto, le sue dimensioni e la sua posizione, nonche’ l’identita’ dello stesso con l’attuale autorimessa; denuncia altresi’ l’omesso esame del fatto decisivo relativo all’identita’ tra il manufatto raffigurato nei rilievi aerofotogrammetrici e quello oggetto del condono; rimprovera ai giudici di merito di avere erroneamente affermato che la documentazione in atti non fosse idonea ad indicare se il manufatto, raffigurato nei rilievi aerofotogrammetrici, corrispondesse all’attuale autorimessa e di avere percio’ respinto la domanda di usucapione. Sempre ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello aveva fatto mal governo del prudente apprezzamento previsto dall’articolo 116 c.p.c. rispetto ai rilievi aerofotogrammetrici, posto che, pur riconoscendo la presenza, nella sua proprieta’, di un manufatto a partire dal 1987, aveva contraddittoriamente affermato che quello risultante dai predetti rilievi era diverso da quello rilevato dal c.t.u., senza precisare, pero’, per quale motivo il bene raffigurato, pur non rilevabile nelle sue dimensioni, potesse essere considerato non coincidente con quello oggetto di causa, stante l’asserita impossibilita’ di effettuare una comparazione dimensionale; sia rispetto all’esame delle planimetrie redatte in sede di sanatoria, che, a differenza di quanto affermato in sentenza, documentavano l’ubicazione dell’opera condonata esattamente nel luogo precedentemente occupato dal manufatto risultante dai rilievi aerofotogrammetrici e corrispondente per dimensioni, sagoma e volumetria a quello gia’ adibito a voliera e ricovero attrezzi, salvo un ampliamento realizzato a distanza superiore ai mt. 10; la Corte aveva fatto mal governo del prudente apprezzamento previsto dall’articolo 116 c.p.c. anche rispetto alle prove assunte, posto che nessuno dei testimoni aveva affermato che il manufatto si trovasse in un luogo diverso da quello precedentemente occupato dalla voliera-ricovero attrezzi raffigurata nei rilievi aerofotogrammetrici e descritto nella planimetria redatta in occasione del condono.
1.2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione ed errata applicazione dell’articolo 1158 c.c. con riguardo agli articoli 873 e ss. c.c., del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, all’articolo 9 N. T.A. del P.R.G. del Comune (OMISSIS), nonche’ in relazione all’articolo 116 c.p.c. ed errata affermazione circa la qualificazione di nuova costruzione al manufatto esistente, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di merito affermato che l’autorimessa costituisse nuova costruzione, senza considerare che l’ampliamento era stato costruito a distanza di oltre 5 mt. dal confine e oltre 10 mt. dal fabbricato del vicino. Dalla documentazione relativa alla pratica di rilascio del permesso di costruire n. 24/2010, risultava, infatti, che la ristrutturazione aveva riguardato la porzione di manufatto gia’ oggetto di condono, che non aveva subito modifiche nella sagoma e nel volume, e che l’ampliamento era stato eseguito, invece, su un’area posta alla distanza di mt. 10 dal confine, sicche’ i giudici di merito avrebbero dovuto riesaminare la predetta pratica.

 

Distanze tra fabbricati e l’individuazione della norma applicabile

2. I primi due motivi, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Va, innanzitutto, rilevata l’inammissibilita’ della prima censura, nella parte in cui la violazione viene sussunta nell’ambito della fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rispetto alla quale deve osservarsi come, nell’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, prevista dall’articolo 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi, del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilita’ del motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo riformulato, del Decreto Legge n. 83, articolo 54, comma 3 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994).
Pertanto, essendo stato l’appello incardinato nel 2017, la censura e’, sotto questo profilo, inammissibile.
Con specifico riferimento, invece, al dedotto vizio di violazione di legge (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), appare utile ricordare (si veda da ultimo Cass. Sez. 5, 25/09/2019, n. 23851) che esso “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione” (e nei limiti in cui essa e’ consentita dalla “novellazione” del testo del n. 5 del medesimo articolo 360 c.p.c.); “il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi” essendo, peraltro, “segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (Cass. 16/02/2017, n. 4125; Cass. 13/10/2017, n. 24155).
Con specifico riguardo poi alla violazione degli articoli 115 e 116 c.c., lamentata nella specie, va ulteriormente osservato come un’autonoma questione di malgoverno delle suddette disposizioni non possa porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., Sez. 1, 01/03/2022, n. 6774). Al di la’ di tali limiti, il potere del giudice di valutazione della prova non e’, invece, sindacabile in sede di legittimita’ sotto il profilo della violazione dell’articolo 116 c.p.c., quale apprezzamento riferito ad un astratto e generale parametro non prudente della prova, posto che l’utilizzo del pronome “suo” e’ estrinsecazione dello specifico prudente apprezzamento del giudice della causa, a garanzia dell’autonomia del giudizio in ordine ai fatti relativi, salvo il limite che “la legge disponga altrimenti” (Cass., Sez. 3, 17/11/2021, n. 34786), e che spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare, secondo il suo prudente apprezzamento, le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonche’ la facolta’ di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, senza essere tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (in questi termini, Cass., Sez. L, 13/6/2014, n. 13485).

 

Distanze tra fabbricati e l’individuazione della norma applicabile

Ne consegue che e’ inammissibile la censura con la quale si lamenti che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ valutativa consentita dall’articolo 116 c.p.c. (in tal senso, Cass., Sez. U, n. 30/9/2020, n. 20867).
Nella specie, non risulta, ne’ e’ stato dedotto, che i giudici di merito, nel rigettare l’appello, abbiano eluso le norme poste a presidio del principio della disponibilita’ delle prove in capo alle parti o quelle afferenti al valore dimostrativo delle prove legali o abbiano omesso l’esame di elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria, essendo piuttosto emerso come la Corte d’appello abbia ampiamente esaminato l’intero compendio probatorio nella sua disponibilita’ (aerofotogrammetrie, pratica di condono, dichiarazioni dei testi), di cui ha dato analiticamente conto e valutato la portata dimostrativa, per poi pervenire al convincimento che non vi fosse alcuna certezza circa l’identita’ del manufatto esistente sul terreno del (OMISSIS) fin dal 1987 e adibito a voliera-ricovero attrezzi, e quello oggetto di giudizio adibito ad autorimessa, dopo avere. Peraltro, la valutazione in termini di “nuova costruzione” del manufatto oggi adibito a garage, operata dai giudici di merito, non soltanto e’ corroborata dall’identica dicitura contenuta nel permesso in sanatoria n. 57/06, riferito proprio a tale manufatto, ma trova soprattutto sostegno nel principio, gia’ espresso da questa Corte, secondo cui, ai fini dell’individuazione della disciplina delle distanze, rientrano nella nozione di nuova costruzione di cui la L. n. 1150 del 1942, articolo 41 sexies, anche ai fini dell’applicabilita’ Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9 per il computo delle distanze legali dagli altri edifici, non solo l’edificazione di un manufatto su un’area libera, ma altresi’ gli interventi di ristrutturazione che, in ragione dell’entita’ delle modificazioni apportate al volume ed alla collocazione del fabbricato, rendano l’opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente, senza che assuma rilevanza, in senso contrario, il disposto Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 2-bis, comma 1-ter, , nel testo risultante a seguito delle modificazioni introdotte dal Decreto Legge n. 76 del 2020, articolo 10, comma 1, lettera a) conv. con modif. in L. n. 120 del 2020, giacche’ tale norma, se prevede che possano rientrare nella nozione di ricostruzione anche opere che aumentano il volume o modificano la sagoma dell’opera da costruire, richiede pur sempre che l’intervento sia realizzato nel rispetto delle distanze preesistenti, e cioe’ di quelle conformi alla normativa vigente al momento in cui e’ stato realizzato l’intervento originario (Cass., Sez. 2, 24/6/2022, n. 20428).

 

Distanze tra fabbricati e l’individuazione della norma applicabile

Alla luce di tale principio, infatti, le opere di restauro, ai fini delle distanze, non possono considerarsi parcellizzate e soggette, in quanto tali, a discipline differenti a seconda che si valuti il corpo originario oppure quello successivamente edificato in ampliamento, come sostanzialmente suggerito dal ricorrente, atteso che l’incremento volumetrico dell’opera preesistente e la diversa ubicazione di quella nuova non possono che dar luogo ad un bene a se’ stante, del tutto diverso da quello preesistente e connotato da unicita’, sicche’, indipendentemente dal fatto che il corpo aggiunto si trovi o meno a distanza regolamentare, le norme applicabili sul punto non possono che essere quelle vigenti al momento della realizzazione dello stesso nella sua interezza, cosi’ come la valutazione del loro rispetto non puo’ che riguardare il bene cosi’ come trasformato (in un caso analogo Cass., Sez. 2, 3/3/2008, n. 5741, ha ritenuto, ad esempio, legittima l’applicazione della disciplina delle distanze dettata dal Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, per i nuovi edifici, perche’ il confinante fabbricato era stato oggetto oltre che di concessione di ristrutturazione, anche di ampliamento, e ricostruito in posizione diversa da quella preesistente).
Si osserva, infine, come le censure non si confrontino neppure con la ratio decidendi espressa in sentenza, atteso che i giudici di merito hanno respinto la domanda di usucapione della servitu’ in quanto non era rimasto provato che l’ampliamento fosse stato realizzato prima del 1990, ossia venti anni prima l’introduzione della relativa domanda riconvenzionale nel giudizio di primo grado. Alla stregua di quanto detto, deve allora concludersi per l’infondatezza delle doglianze, risolvendosi esse in una sostanziale istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto,certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass.Sez.U.,25/10/2013,n.24148).
3. Col terzo motivo, infine, i ricorrenti lamentano la violazione ed errata applicazione degli articoli 873 e ss. c.c., Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, articolo 9 N. T.A. del P.R.G. del Comune (OMISSIS) (norme sulle distanze), articoli 115 e 116 c.p.c. e omesso esame del fatto decisivo relativo alla preesistenza di una costruzione sul fondo dell’attore, per avere i giudici di merito omesso di considerare che, al momento della proposizione della causa (23/7/2010), esisteva, all’interno della proprieta’ (OMISSIS), un manufatto abusivo, posto a ridosso della parete nord del loro fabbricato principale e alla distanza di cm. 50 dal confine con la proprieta’ dell’odierno ricorrente, privo di finestre e fronteggiante la parete sud del manufatto per cui e’ causa, e altro manufatto posto a ridosso della parete est, come evidente dalle tavole allegate ai due permessi di costruire nn. 7/08 e 24/10 rispettivamente del 19/2/2008 e del 26/2/2010, il primo dei quali era stato demolito dopo la loro Costit. in giudizio, secondo quanto rilevato dallo stesso c.t.u.. La presenza, al momento della instaurazione della lite, del primo manufatto, poi demolito, consentiva, dunque, di applicare l’articolo 9 della N. T.A., che prescriveva per i manufatti accessori, fronteggianti i confini e privi di luci e vedute, come nella specie, la distanza di cui all’articolo 873 e 875 c.c.. Tale aspetto, decisivo in ordine alla individuazione delle norme da applicare in punto di distanza tra costruzioni con pareti non finestrate, era stato tempestivamente evidenziato, in quanto oggetto di specifica contestazione dal proprio c.t.p. a mezzo di osservazioni inviate al c.t.u., sicche’ i giudici avevano errato allorche’ avevano affermato la non tempestivita’ della deduzione.
Questo motivo e’, invece, fondato.
In materia di distanze tra fabbricati, del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, che prescrive una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, e’ applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente, o che si trovi alla medesima altezza o ad altezza diversa rispetto all’altro (Cass., Sez. 2, 1/10/2019, n. 24471), essendo sufficiente, per l’applicazione di tale distanza, che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, ancorche’ solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta; ne consegue, pertanto, che il rispetto della distanza minima e’ dovuto anche per i tratti di parete che sono in parte privi di finestre (Cass., Sez. 2, 20/6/2011, n. 13547).
Le costruzioni di natura accessoria e pertinenziale, peraltro, possono ritenersi sottratte alle disposizioni di cui agli strumenti urbanistici, con riguardo ai fabbricati in genere, solo se e nei limiti in cui gli strumenti stessi contengano una esplicita deroga in tal senso (Cass., Sez. 2, 06/05/1987, n. 4208; sent. n. 428 del 1977, n. 426 del 1981), sebbene le deroghe alle distanze tra costruzioni applicabili ai manufatti di natura accessoria e pertinenziale non trovino applicazione ove l’unita’ strutturale della costruzione “secondaria” con quella “principale” impedisca di considerare la prima, indipendentemente dall’uso cui e’ destinata, come costruzione a se’ stante, dotata di sue autonome dimensioni e caratteristiche e, pertanto, di qualificarla come accessoria alla seconda, essendo entrambe parti integranti di un unico intero fabbricato (Cass., Sez. 2, 28/02/2018, n. 4657). Pertanto, una volta accertato che una siffatta deroga sussiste, resta da esaminare se il manufatto di cui si discute abbia o meno natura accessoria alla stregua della nozione contenuta nello specifico strumento urbanistico di cui si lamenta la violazione.
L’articolo 9, delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Selvazzano Dentro, recante “Norme per l’edilizia esistente”, stabilisce, al comma 4, che “i locali accessori, quali autorimesse, magazzini, lavanderie e legnaie, ampliamento del fabbricato principale esistente, possono essere realizzati anche staccati dallo stesso” e, al comma 6, che “per le costruzioni accessorie di cui al precedente punto 4 si applicano gli articoli 873 e 875 c.c. in ordine alle distanze dai confini e dagli altri fabbricati. Le pareti di tali manufatti, fronteggianti i confini, non devono avere ne’ luci ne’ vedute. Per gli interventi di cui sopra necessita l’accordo scritto delle parti”.
Tale disposizione deve necessariamente essere letta alla luce dell’intero impianto normativo dettato in materia di distanze, sicche’ la deroga dettata dalle N. T.A. intanto puo’ dirsi operante, in quanto il fabbricato accessorio costituisca una costruzione a se’ stante rispetto a quello principale, sia privo di luci o vedute e sia antistante a parete non finestrata, secondo le specificazioni contenute nel principio sopra espresso, aspetti questi che devono evidentemente sussistere al momento in cui viene realizzata la nuova fabbrica a distanza inferiore a quella prevista dal ridetto Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9.
Orbene, e’ stato dedotto che, al momento della modificazione del manufatto ubicato nella proprieta’ del (OMISSIS), insisteva, sulla proprieta’ dei controricorrenti, altro immobile, poi demolito, che si frapponeva, nella parte antistante il confine per cui e’ causa, tra la parete finestrata del loro fabbricato e l’edificio oggetto di causa, circostanza questa non negata, infatti, dai controricorrenti, che si sono limitati ad obiettare che esso, pur oscurando le finestre dotate di inferriate al piano terra del proprio edificio, non copriva, invece, quella al primo piano priva di inferriate e prospiciente la costruzione contestata.
Tale obiezione, pero’, non puo’ assumere rilevanza ai fini voluti, atteso che l’individuazione della norma applicabile in materia di distanze, correlata alla sussistenza di pareti finestrate di uno o di entrambi gli immobili al confine, non puo’ che fare riferimento alle facciate contrapposte e non certo a quelle in posizione secondaria, ancorche’ piu’ alte delle prime, oltreche’ alle caratteristiche, principali o pertinenziali, degli immobili stessi.
Nonostante cio’, i giudici di appello hanno trascurato di approfondire l’indagine volta ad accertare se il predetto manufatto abusivo (poi demolito) insistesse sul fondo dei (OMISSIS) al momento dell’edificazione da parte del confinante (OMISSIS) e quali ne fossero le caratteristiche, le dimensioni e l’altezza, onde individuare quale norma, in tema di distanze, andasse in concreto applicata alla fattispecie concreta, preferendo rispondere alla specifica deduzione difensiva dell’appellante (odierno ricorrente) osservando che nulla era stato rilevato in loco dal c.t.u. al momento del sopralluogo.
Ma e’ evidente che, con tale argomentazione, la Corte d’appello, facendo erroneamente coincidere, quanto allo stato dei luoghi, il momento della verifica con quello sostanziale della data di edificazione del manufatto in contestazione, benche’ il primo sia necessariamente susseguente al secondo, abbia commesso il lamentato vizio della falsa applicazione di legge, che, come detto nel punto che precede, si profila allorche’ si assuma la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perche’ la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non e’ idonea a regolarla.
Deve ulteriormente osservarsi come la considerazione, contenuta in sentenza, in merito alla tardivita’ della deduzione sul punto, in ragione del mancato rispetto, da parte dell’appellante, del termine concesso per osservazioni in occasione della relazione del c.t.u., depositata il 5/2/2013, debba ritenersi espressa ad abundantiam, al solo fine di corroborare il rigetto nel merito del gravame per infondatezza delle censure, non avendo influito sul dispositivo della decisione, la cui “ratio decidendi” e’, in realta’, rappresentata dal rigetto nel merito del gravame per infondatezza del motivo (in questi termini, Cass. 18/12/2017, n. 30354, Rv. 647172 – 01; successive conformi, ex pluribus, Cass., Sez. 5, 16/10/2018, n. 29305; Cass., Sez. 5, 12/12/2019, n. 32736; Cass. sez. 5, 29/10/2020, n. 23872; Cass., Sez. 5, 11/11/2021, n. 33294), oltre a porsi, anche nel merito, in contrasto col principio secondo il quale le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, ove non integrino eccezioni di nullita’ relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli articoli 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purche’ non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano all’attendibilita’ e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio (Cass., Sez. U, 21/2/2022, n. 5624).
4. In conclusione, la sentenza deve essere cassata in relazione al terzo motivo con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, che, in diversa composizione, dovra’ statuire anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

 

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