Il dipendente licenziato per giustificato motivo oggettivo da una delle società del gruppo

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Ordinanza 24 gennaio 2020, n. 1656.

La massima estrapolata:

Nell’ambito dei gruppi societari, se il dipendente licenziato per giustificato motivo oggettivo da una delle società del gruppo, non chiama in causa tutte le società per cui allega di aver lavorato, deducendo che dietro al frazionamento di imprese si cela, in realtà, un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro, allora solamente la società titolare del rapporto di lavoro è tenuta ad assolvere all’obbligo di repêchage, ottemperato il quale – e al ricorrere delle altre condizioni previste dalla legge – il licenziamento deve ritenersi giustificato.

Ordinanza 24 gennaio 2020, n. 1656

Data udienza 7 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente

Dott. RAIMONDI Guido – rel. Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 23209-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2350/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/06/2018, R. G. N. 156/2017.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ricorso ai sensi della L. n. 92 del 2012 (OMISSIS) impugnava dinanzi al Tribunale di Velletri il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole il 13.9.2013 dalla sua datrice di lavoro, la societa’ (OMISSIS) s.p.a., della quale ella era responsabile dell’ufficio acquisti e del controllo qualita’. Il giudice della fase sommaria dichiarava illegittimo il licenziamento ordinando la reintegrazione della lavoratrice nel suo posto di lavoro, oltre al versamento di un’indennita’ risarcitoria, ai sensi del novellato L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4. A conclusione della fase di opposizione il Tribunale, con sentenza del 13.12.2016, in applicazione dello stesso articolo 18, comma 5 ritenuta la genuinita’ della soppressione del posto della lavoratrice, ma avendo accertato la violazione dell’obbligo di repechage, dichiarava risolto il rapporto di lavoro dal 16.9.2013 e condannava la societa’ a corrispondere alla lavoratrice, a titolo risarcitorio, un’indennita’ pari a venti mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto.
2. Avverso quest’ultima sentenza la societa’ datrice di lavoro proponeva reclamo dinanzi alla Corte di appello di Roma. La lavoratrice proponeva reclamo incidentale dinanzi alla stessa Corte.
3. Con sentenza pubblicata il 1.6.2018 la Corte di appello di Roma dichiarava inammissibile il reclamo della lavoratrice e, in accoglimento del reclamo principale della societa’, respingeva le domande della (OMISSIS), condannandola alla restituzione delle somme ricevute dalla datrice di lavoro in esecuzione dell’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria del giudizio di prime cure, al netto degli oneri fiscali, e alla rifusione in favore della reclamante principale delle spese del doppio grado del giudizio.
4. La Corte territoriale riteneva inammissibile il reclamo incidentale della lavoratrice perche’ ella aveva impugnato una sola delle due ragioni del decidere della sentenza di prime cure in ordine alla statuizione relativa alla genuinita’ della soppressione del posto della (OMISSIS), cioe’ quella basata sulla realta’ delle difficolta’ economiche dell’azienda, mentre non aveva mosso censure all’altra autonoma ratio decidendi della sentenza di primo grado, ragione del decidere basata sul non essere stato il ruolo ricoperto dalla lavoratrice svolto da un dipendente in particolare, bensi’ essere stato redistribuito tra i vari capi commessa e gli altri impiegati, con conseguente soppressione del posto. Il reclamo incidentale si doveva comunque ritenere anche infondato.
5. Quanto al reclamo principale, la Corte di appello ne riteneva la fondatezza, concludendo nel senso della legittimita’ del recesso, sulla scorta di tre ordini di considerazioni, corrispondenti ai tre motivi di gravame della reclamante principale. In primo luogo, la Corte territoriale constatava l’erroneita’ in diritto della soluzione prospettata dal giudice di prime cure, secondo cui per consentire il repechage della lavoratrice la societa’ avrebbe dovuto ridurre l’orario di lavoro di tutto il personale tecnico-amministrativo; cio’ per contrarieta’ di tale soluzione all’articolo 41 Cost., non essendo consentito al giudice ventilare una sua “soluzione riorganizzativa dell’impresa”, e perche’ ai sensi del Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 5 il passaggio dal tempo pieno al tempo parziale di lavoro puo’ avvenire solo con il consenso del lavoratore. In secondo luogo, la Corte di appello escludeva, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Velletri, che la societa’ avesse l’obbligo di comparare la posizione della (OMISSIS) con quella dei suoi colleghi di lavoro di pari livello, perche’ il licenziamento non era stato determinato solamente dall’esigenza di ridurre i costi aziendali, ma anche dalla decisione di sopprimere posizioni di lavoro divenute superflue in ragione del sopravvenuto ridimensionamento dell’attivita’, allorche’ la posizione della odierna ricorrente non era ne’ omogenea ne’ fungibile con quella dei suoi colleghi di lavoro, essendo ella l’unica addetta all’ufficio acquisti. Mancava quindi la condizione della “totale fungibilita’ dei dipendenti”, presupposto dell’obbligo di comparazione con gli altri dipendenti. In terzo luogo, la Corte territoriale constatava l’erroneita’ della statuizione del giudice di prime cure secondo cui l’azienda doveva ritenersi composta da piu’ societa’ e non dalla sola opponente, per cui la verifica dell’obbligo di repe’chage doveva essere effettuata esclusivamente con riferimento ai dipendenti della (OMISSIS) s.p.a., osservando come, pur avendo la lavoratrice dedotto nel ricorso introduttivo del giudizio di aver prestato la propria opera anche in favore della (OMISSIS) s.r.l., ella non avesse dedotto l’esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto, per cui quest’ultima societa’ non era stata evocata in giudizio e che, quanto alle altre societa’ in tesi collegate alla datrice di lavoro, queste ultime non erano state neppure citate nel ricorso introduttivo. Valutando quindi la situazione con riguardo alla sola societa’ (OMISSIS) s.p.a, il giudice di appello, sulla base della situazione aziendale che veniva accertata in fatto, concludeva che non vi fosse al momento del recesso la possibilita’ di rimpiegare la lavoratrice, neppure con mansioni inferiori.
6. Contro la detta sentenza della Corte di appello di Roma (OMISSIS) propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi. La societa’ (OMISSIS) s.p.a. resiste con controricorso. Entrambe le parti’ hanno depositato memoria.
7. Successivamente alla proposizione del ricorso la lavoratrice e’ stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 1324 e 1362 e ss. (in particolare dell’articolo 1363) c.c. in relazione e in combinato disposto con la L. n. 604 del 1966, articolo 2 ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo la ricorrente la Corte di merito sarebbe giunta alla sua conclusione secondo cui la lettera di licenziamento dell’azienda conteneva due distinte giustificazioni del recesso, l’una collegata al negativo andamento economico e l’altra alla soppressione del posto, violando le regole di ermeneutica poste dal codice civile nell’interpretazione della comunicazione di recesso.
2. Questa doglianza presenta un doppio profilo d’inammissibilita’.
3. In primo luogo, la sentenza impugnata non si limita a individuare due distinte ragioni del recesso nella lettera di licenziamento, ma osserva che il giudice di primo grado aveva preso posizione su tutti e due i motivi, ritenendoli entrambi fondati, mentre la odierna ricorrente aveva censurato unicamente la seconda parte della sentenza, senza fare alcun riferimento alla prima (sentenza impugnata, pag. 8-9). Cosi’ facendo la Corte di appello rilevava la formazione di un giudicato interno, statuizione che non viene censurata in questa sede. di qui, l’inammissibilita’ del motivo.
4. In secondo luogo, la ricorrente non individua alcuna violazione delle regole di ermeneutica, ma si limita a contrapporre all’interpretazione ritenuta dalla Corte territoriale un’altra lettura a lei piu’ favorevole. La doglianza consiste, infatti, in una diversa interpretazione del contenuto della lettera di recesso e quindi del risultato interpretativo in se’. Ma esso spetta esclusivamente al giudice di merito ed e’ pertanto insindacabile in sede di legittimita’, qualora sorretto da congrua motivazione, esente da vizi logici e giuridici (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), come appunto nel caso di specie, nel quale la Corte territoriale ricostruisce il significato del documento litigioso per le ragioni enunciate a p. 8 della sentenza impugnata, basate sul tenore letterale della lettera di licenziamento. Ne’, d’altro canto, in presenza di un’interpretazione ben plausibile del giudice di merito neppure essendo necessario che essa sia l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178), puo’ darsi ingresso ad una sostanziale sollecitazione a revisione del merito, discendente dalla contrapposizione di una interpretazione dei fatti propria della parte a quella della Corte territoriale (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694). E tale interpretazione contestata e’ stata giustificata sulla base del “tenore letterale” della lettera (e pertanto del criterio ermeneutico, che deve prevalere, quando riveli con chiarezza ed univocita’ la volonta’ delle parti, sicche’ non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti: Cass. 21 agosto 2013, n. 19357; Cass. 28 agosto 2007, n. 18180).
5. Il secondo, il terzo e il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente.
6. Con il secondo motivo la lavoratrice si duole della violazione e/o della falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, articolo 2 ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Come conseguenza di quanto denunciato con il primo motivo sarebbero stati violati i principi di immodificabilita’ della motivazione del licenziamento e della complessiva valutazione della giustificazione, giacche’ la Corte di merito avrebbe omesso di verificare complessivamente la motivazione e quindi di verificare “la complessiva giustificatezza o meno del recesso.”
7. Con il terzo motivo la (OMISSIS) deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. (omessa pronuncia), ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando il mancato esame del suo reclamo incidentale, erroneamente dichiarato inammissibile dalla Corte di appello di Roma per effetto delle violazioni denunciate con i motivi precedenti.
8. Con il quinto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, articolo 2 ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sempre in dipendenza dell’iniziale errore della sentenza impugnata, che si e’ concentrata sul motivo collegato alla soppressione del posto della lavoratrice, trascurando la parte della motivazione del recesso relativa al negativo andamento economico, mentre si trattava di una motivazione unitaria, la Corte territoriale, in violazione della norma invocata, avrebbe trascurato di valutare la piena applicazione dell’obbligo di repechage in relazione “a tutto il motivo addotto”.
9. I tre motivi in esame mancano chiaramente di autonomia, essendo tutti dipendenti dal primo e sono dunque, come quello, anch’essi inammissibili.
10. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, articolo 2 ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 giacche’ la sentenza impugnata avrebbe errato nel negare la rilevanza del lavoro da lei prestato in favore anche di soggetti diversi dalla societa’ (OMISSIS) s.p.a., circostanze che entravano in gioco esclusivamente dal punto di vista della giustificazione causale del licenziamento e che non imponevano quindi l’evocazione in giudizio di tali soggetti.
11. Il motivo e’ infondato.
12. Quando ci si trovi di fronte a un gruppo di societa’, i rapporti di lavoro dei dipendenti vanno imputati rispettivamente alle societa’ che ne sono titolari, a meno che non sia riscontrabile un’utilizzazione impropria – quando vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge – dello schema societario, e pur esistendo di fatto un “unico centro d’imputazione del rapporto di lavoro” lo stesso sia solo apparentemente frazionato in piu’ imprese.
13. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, Il collegamento economico-funzionale tra imprese non e’, di per se’ solo, sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attivita’ fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale e cio’ venga rivelato dai seguenti requisiti: a) unicita’ della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attivita’ esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attivita’ delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie societa’ titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (Cass. n. 19023 del 2017).
14. l’esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro va accertata dal giudice di merito (Cass. n. 3482 del 2013 (ord.)), che in questo caso l’ha esclusa con motivazione che non viene neanche censurata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 o n. 4, mentre nessuna violazione di norme di diritto viene individuata dal motivo.
15. Con il sesto e ultimo motivo la sentenza impugnata viene censurata per violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 92 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacche’ la condanna della ricorrente alle spese del doppio grado del giudizio avrebbe violato la norma invocata, nel testo modificato dal Decreto Legge n. 132 del 2014, articolo 13, comma 1, “nella lettura offerta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 77 del 2018, che ne ha dichiarato la parziale illegittimita’.
16. Il motivo e’ infondato. La sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, facendo salva la possibilita’ delle “altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni” per la compensazione delle spese, non esclude certamente che il principio della soccombenza possa applicarsi anche nelle cause di lavoro quando soccombente e’ il lavoratore.
17. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso e’ quindi complessivamente da rigettare.
18.1,c spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
19.Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese al 15% e accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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