Danno c.d. biologico-terminale

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 20 marzo 2019, n. 7850.

La massima estrapolata:

In caso di danno da perdita della vita, nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse, si configura un danno biologico risarcibile da liquidarsi in relazione alla menomazione dell’integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso. Tale danno, c.d. biologico-terminale, dà luogo ad una pretesa risarcitoria trasmissibile iure hereditatis, da commisurare soltanto all’inabilità temporanea, adeguando tuttavia la liquidazione alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, seppur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed anzi esita nella morte

Sentenza 20 marzo 2019, n. 7850

Data udienza 28 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 19143/2013 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente – principale –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), in qualita’ di eredi di (OMISSIS), tutti elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrenti – ricorrenti incidentali –
e contro
(OMISSIS) S.P.A. (OMISSIS);
– ricorrente principale controricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 138/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 30/03/2013 R.G.N. 697/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/11/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega Avvocato (OMISSIS).

FATTO

Con sentenza in data 30 marzo 2013, la Corte d’appello di Brescia condannava (OMISSIS) s.p.a. al pagamento, in favore di (OMISSIS), (OMISSIS), Fabrizio e (OMISSIS) quali eredi del congiunto (OMISSIS) a titolo risarcitorio non patrimoniale, della somma di Euro 283.400,00, oltre accessori: cosi’ parzialmente riformando la sentenza di primo grado, che ne aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dal loro dante causa (rispettivo coniuge e padre), deceduto il (OMISSIS), in ragione della sua prescrizione.
Con ampia ed accurata motivazione, la Corte territoriale escludeva la prescrizione del diritto risarcitorio per l’individuazione infradecennale del momento di concreta percezione del danno da illecito datoriale da parte del lavoratore. E cio’ per essere stata appresa dagli eredi l’eziologia professionale del mesotelioma peritoneale, che aveva procurato il decesso del congiunto, soltanto nel 2007 a seguito della presentazione di una domanda di indennizzo all’Inail; mentre inizialmente essa era stata esclusa dagli stessi sanitari che lo avevano avuto in cura, i quali avevano indicato quale possibile causa l’abitudine al fumo.
Nel merito, la Corte bresciana riteneva, sulla base della C.t.u. medico-legale disposta, l’esistenza di un nesso causale tra l’esposizione ad amianto durante il periodo (in particolare iniziale, dal 1961 al 1969) in cui il lavoratore era stato alle dipendenze di (OMISSIS) s.p.a. Ed essa riconosceva quindi la spettanza, in favore degli eredi, del danno non patrimoniale nelle sue componenti di danno biologico (a titolo di danno differenziale ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articoli 10 e 11) e di danno morale (a titolo di danno complementare, per la responsabilita’ penale incidentalmente accertata a carico della societa’ datrice), che liquidava, secondo i criteri propri dell’invalidita’ temporanea di commisurazione alla durata della malattia e tenuto conto del suo esito mortale; nella complessiva somma suindicata computata all’attualita’, oltre interessi legali dal (OMISSIS) previa devalutazione annuale e dalla data della sentenza sulla somma annualmente rivalutata.
Con atto tempestivamente notificato, la societa’ gia’ datrice ricorreva per cassazione con tre motivi, cui gli eredi del lavoratore resistevano con controricorso, contenente ricorso incidentale con unico motivo, cui la predetta societa’ replicava a propria volta con controricorso; entrambe la parti comunicavano memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’articolo 2935 c.c., e articolo 2947 c.c., comma 1, per erronea individuazione della decorrenza della prescrizione, non gia’ in applicazione del principio di concreta conoscibilita’ dell’origine professionale della malattia esitata nella morte del lavoratore, secondo un criterio di ordinaria diligenza sulla base di conoscenze scientifiche ormai trentennali, ma di effettiva conoscenza secondo un canone meramente soggettivo (degli eredi) del danneggiato.
2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 2727 e 2729 c.c., articolo 115, comma 2, in riferimento all’articolo 2935 c.c., e articolo 2947 c.c., comma 1, per il mancato corretto apprezzamento delle conseguenze da trarre da un fatto considerato dalla stessa Corte territoriale come notorio, quale la conoscenza scientifica ultratrentennale, gia’ all’epoca della diagnosi della malattia del lavoratore (nel 1992), della correlazione tra amianto e mesotelioma, tenuto conto della conoscenza degli eredi delle mansioni del de cuius e dell’ambiente e condizioni di lavoro in (OMISSIS) s.p.a., a contatto con l’amianto.
3. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’articolo 2087 c.c., per inesigibilita’, negli anni indicati dalla Corte territoriale come di rilevante esposizione del lavoratore all’amianto (in particolare dal 1961 al 1964), dell’adozione di misure di protezione idonee, per l’acquisizione certa a livello scientifico della correlazione tra amianto e mesotelioma (sempre secondo la medesima Corte) soltanto dalla meta’ degli anni sessanta, se non addirittura dagli anni settanta.
4. Con unico motivo, i controricorrenti a propria volta deducono, con ricorso incidentale, violazione dell’articolo 2059 c.c., per erronea liquidazione del danno non patrimoniale secondo il criterio dell’invalidita’ temporanea e non permanente, in difetto del cd. danno biologico terminale”, per la permanenza in vita ultrannuale del lavoratore malato.
5. I primi due motivi, siccome entrambi relativi alla non corretta individuazione della decorrenza del termine di prescrizione decennale (sotto i censurati profili di violazione o falsa applicazione dell’articolo 2935 c.c., e articolo 2947 c.c., comma 1, e degli articoli 2727 e 2729 c.c., articolo 115, comma 2, in riferimento all’articolo 2935 c.c., e articolo 2947 c.c., comma 1), possono essere congiuntamente esaminati, per ragioni di stretta connessione.
5.1. Essi sono infondati.
5.2. La Corte territoriale ha fatto una corretta applicazione del principio di diritto, secondo cui la prescrizione decorre, in materia, non dal giorno in cui il terzo abbia determinato la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si sia manifestata all’esterno, bensi’ da quello in cui essa venga percepita o possa essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (Cass. s.u. 11 gennaio 2008, n. 579; Cass. 2 luglio 2013, n. 16550; Cass. 3 maggio 2016, n. 8645; Cass. 22 settembre 2017, n. 22045; Cass. 31 maggio 2018, n. 13745).
Ed essa lo ha applicato procedendo ad un argomentato accertamento in fatto (in particolare, dall’ultimo capoverso di pg. 6 al primo di pg. 7 della sentenza), di pertinenza esclusiva del giudice di merito, siccome quaestio facti, incensurabile in sede di legittimita’ (Cass. 10 aprile 2015, n. 7194; Cass. 7 aprile 2016, n. 6747; Cass. 18 luglio 2016, n. 14662).
5.3. Tale accertamento si e’ poi fondato su un ragionamento probatorio esente da contraddizioni, avendo la Corte puntualmente chiarito il riferimento della conoscibilita’ ultratrentennale, per gli approdi dell’indagine scientifica all’epoca del fatto, della nocivita’ delle polveri di amianto alla loro correlazione al mesotelioma pleurico, comportante la doverosa conoscenza datoriale, ai fini della verifica dell’elemento soggettivo in relazione a (OMISSIS) s.p.a. (dal terzo capoverso di pg. 22 al sesto alinea di pg. 24 della sentenza); non anche al diverso mesotelioma peritoneale, da cui era stato colpito il lavoratore, ben giustificante la ritardata consapevolezza dell’effettivo nesso causale (ignorato persino nella diagnosi rassegnata dai sanitari che lo avevano in cura), in quanto non altrettanto notoriamente (ed anzi raramente) associato ad una tale esposizione.
6. Il terzo motivo, relativo a violazione o falsa applicazione dell’articolo 2087 c.c., per inesigibilita’ all’epoca dell’adozione di misure di protezione idonee, e’ parimenti infondato.
6.1. Anche qui la Corte d’appello bresciana ha esattamente applicato il principio di esigibilita’ dal datore di lavoro dell’adozione di misure idonee alla prevenzione delle ragioni di danno per i lavoratori dipendenti; non gia’ della predisposizione di accorgimenti idonei a fronteggiare cause d’infortunio del tutto imprevedibili, posto che la responsabilita’ datoriale, per inadempimento a norma dell’articolo 2087 c.c., non e’ di natura oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, quale difetto di diligenza nella predisposizione delle suddette misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore (Cass. 17 aprile 2012, n. 6002; Cass. 22 gennaio 2014, n. 1312).
6.2. Ebbene, essa ha accertato in fatto la mancata installazione di adeguati impianti di aspirazione e di umidificazione per l’abbattimento delle polveri: misure specificamente protettive esigibili gia’ in base alla normativa del 1956 (dall’ultimo capoverso di pg. 25 al primo di pg. 26 della sentenza); sicche’, ha giustificato l’accertamento compiuto con una congrua argomentazione (senza alcuna contraddizione sulle conoscenze scientifiche acquisite dalla meta’ degli anni sessanta), pertanto incensurabile in sede di legittimita’ (Cass. 12 febbraio 2000, n. 1579; Cass. 17 febbraio 2009, n. 3785).
7. Anche l’unico motivo incidentale, relativo a violazione dell’articolo 2059 c.c., per erronea liquidazione del danno non patrimoniale, e’ infondato.
7.1. Ed infatti la Corte territoriale, adottando il criterio dell’invalidita’ temporanea (e non permanente), ha correttamente liquidato il danno non patrimoniale (sub specie di cd. “danno biologico terminale”, di permanenza ultrannuale in vita del lavoratore malato) con ragionamento correttamente argomentato (a pgg. 28 e 29 della sentenza), in esatta applicazione del principio regolante la materia.
Esso prevede che, in tema di danno da perdita della vita, nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse, sia configurabile un danno biologico risarcibile, da liquidarsi in relazione alla menomazione della integrita’ fisica patita dal danneggiato sino al decesso. E tale danno, qualificabile come danno “biologico terminale”, da’ luogo ad una pretesa risarcitoria, trasmissibile iure hereditatis, da commisurare soltanto all’inabilita’ temporanea, adeguando tuttavia la liquidazione alle circostanze del caso concreto: ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno e’ massimo nella sua intensita’ ed entita’, tanto che la lesione alla salute non e’ suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte (Cass. 23 febbraio 2004, n. 3549; Cass. 28 aprile 2006, n. 9959; Cass. 8 luglio 2014, n. 15491). Ed esso, nella liquidazione personalizzata sotto il profilo di una “sofferenza che raggiunge, in un caso di lucida e dolorosa attesa della morte, come e’ stato quello in esame, la sua massima estensione”, attentamente valorizzata in un’analitica scansione della progressiva evoluzione temporale dal ricovero ospedaliero, il (OMISSIS), al decesso, il (OMISSIS) (cosi’ al primo capoverso di pg. 29 della sentenza), ben puo’ essere commisurato a questo intervallo cronologico, se nel tempo che si dispiega tra la lesione e il decesso la persona si trovi in una condizione di “lucidita’ agonica”, in quanto in grado di percepire la sua situazione ed in particolare l’imminenza della morte: essendo quindi irrilevante, a fini risarcitori, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale e il decesso nel caso in cui la persona sia rimasta “manifestamente lucida” (Cass. 23 ottobre 2018, n. 26727): come appunto verificatosi nel caso di specie.
8. Dalle superiori argomentazioni discende il rigetto di entrambi ricorsi, con la compensazione integrale delle spese del giudizio tra le parti, reciprocamente soccombenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi principale e incidentale; dichiara compensate interamente le spese del giudizio tra le parti.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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