Dalle norme del codice civile articoli 2086, 2094, 2104 non può dedursi l’obbligo di reperibilità in quanto aggiuntivo rispetto alla prestazione ordinaria.

Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 26 marzo 2018, n. 7410

Dalle norme del codice civile articoli 2086, 2094, 2104 non può dedursi l’obbligo di reperibilità in quanto aggiuntivo rispetto alla prestazione ordinaria.

Ordinanza 26 marzo 2018, n. 7410
Data udienza 6 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere

Dott. SPENA Francesca – Consigliere

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere

Dott. DI PAOLA Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 29112/2016 proposto da:
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 397/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 10/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 06/02/2018 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS.
RILEVATO
che con sentenza del 10 giugno 2016, la Corte d’Appello di Firenze confermava la decisione resa dal Tribunale di Firenze e accoglieva la domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimita’ della sanzione disciplinare irrogatagli per aver rifiutato, in quanto asseritamente a questa non tenuto, la prestazione di servizi di reperibilita’;
che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto non configurabile, ai sensi di legge e di contratto collettivo e individuale, a carico del lavoratore un obbligo di esecuzione di tali prestazioni e, dunque, la condotta contestata insuscettibile di assumere rilevanza sul piano disciplinare;
che per la cassazione di tale decisione ricorre la Societa’, affidando l’impugnazione a tre motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso, l’intimato;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., e’ stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, la Societa’ ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli articoli 2086, 2094 e 2104 c.c., Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articoli 3, 4 e 5 e articolo 41 Cost., lamenta la non conformita’ a diritto dell’orientamento espresso dalla Corte territoriale secondo cui il datore di lavoro non potrebbe disporre unilateralmente l’impiego del lavoratore in servizi, come quello di reperibilita’, non rientranti nella prestazione ordinaria e nel tempo di questa convenuto in contratto;
che, con il secondo motivo, denunciando il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 224, comma 2, CCNL 18.7.2008 ed all’allegato 1 al CIA 15.6.2005, la Societa’ ricorrente imputa alla Corte territoriale, in considerazione all’assenza di qualsiasi riferimento nella motivazione dell’impugnata sentenza, di aver tralasciato l’analisi della disciplina contrattuale vigente in materia;
che la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1340 c.c., e’ dedotta nel terzo motivo in relazione al convincimento maturato dalla Corte territoriale in ordine all’inconfigurabilita’ di una prassi aziendale di adibizione continuativa dei manutentori ai servizi di reperibilita’;
che tutti i motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, risultano infondati, dovendosi ribadire, in linea di puro diritto, come, contrariamente all’assunto di cui al primo motivo, non possa farsi discendere dal combinato disposto degli articoli 2086, 2094 e 2104 c.c., un obbligo a carico del lavoratore di esecuzione di compiti, quale quello di reperibilita’, palesemente aggiuntivi ed estranei alla prestazione ordinaria dedotta in contratto nonche’ l’inoperativita’ di prassi aziendali, dal ricorrente invocate nel terzo motivo, formatesi in contrasto con la disciplina collettiva e rilevare, con riguardo al secondo motivo, che la medesima conclusione cui perviene la Corte territoriale in ordine all’inconfigurabilita’ di un obbligo di reperibilita’ in capo al lavoratore anche alla stregua della disciplina collettiva, recata dall’articolo 224 del CCNL di categoria e dal contratto integrativo aziendale del 15.6.2005, all. 1 (tra l’altro prodotti per la prima volta in appello, come si legge nell’impugnata sentenza), lungi dal derivare dal denunciato omesso esame di tale disciplina da parte della Corte territoriale, risulta indotta dalla non riferibilita’ della stessa al lavoratore cui la Corte medesima deve addivenire stante la mancata deduzione da parte della Societa’ dell’appartenenza del lavoratore, qui ancora genericamente qualificato come manutentore (del resto in sintonia con la lettura che la Societa’ sembra operare della predetta disciplina, secondo cui l’obbligo in parola investirebbe tutti i manutentori) alle figure di “Capi reparto DRO” o di “Assistenti del reparto DRO”, indicate nel richiamato All. 1 al CIA 15.6.2005 quali destinatarie esclusive del servizio di reperibilita’, non riferibilita’ di fronte alla quale la Corte stessa non si e’ arrestata, procedendo nella valutazione delle situazioni di fatto dedotte dalla Societa’ come indicative della sussistenza dell’obbligo e correttamente escludendo tale rilevanza sulla base di argomentazioni, quale quella relativa alla non significativita’ ai fini in questione della strumentazione in dotazione, che non risultano qui neppure fatte oggetto di censura;
che, pertanto condividendosi la proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
Motivazione semplificata.

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