CTU e possibilità per il giudice di discostarsi dalle conclusioni

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|14 ottobre 2021| n. 28043.

CTU e possibilità per il giudice di discostarsi dalle conclusioni.

La consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi, può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche. In particolare, quando la consulenza è di tipo percipiente, essa non può essere disattesa in modo criptico e sostanzialmente avalutativo del complesso delle circostanze da esse emergenti, ma solo sostituendo alla valutazione tecnica non condivisa altra, diversa e convincente valutazione a sua volta fondata su dati tecnico-scientifici (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di responsabilità sanitaria incardinato dagli eredi di un paziente deceduto a causa di causa di uno shock emorragico, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso in applicazione degli enunciati principi, ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata con la quale la corte distrettuale, accogliendo l’appello, aveva rigettato la domanda attorea , non ritenendo raggiunta la prova del nesso di causalità tra la condotta dei sanitari ed il decesso del paziente; in particolare, nella circostanza, censura il giudice di legittimità, la consulenza, essendo di tipo percipiente, non poteva essere disattesa in modo criptico, ma solo sostituendo alla valutazione tecnica non condivisa altra e diversa valutazione tecnica). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, ordinanza 11 gennaio 2021, n. 200; Cassazione, sezione civile III, ordinanza 8 febbraio 2019, n. 3717).

Sentenza|14 ottobre 2021| n. 28043. CTU e possibilità per il giudice di discostarsi dalle conclusioni

Data udienza 16 aprile 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilità sanitaria – CTU – Possibilità per il giudice di discostarsi dalle conclusioni – Onere motivazionale – Inadempimento – Carenza delle argomentazioni – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 14123/2019 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
AZIENDA ASL ROMA (OMISSIS), elettivamente domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
(OMISSIS), RAPPRESENTANZA LEGALE PER L’ITALIA elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1418/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

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FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) e i di lei figli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) convennero in giudizio, innanzi al Tribunale di Roma, il Policlinico (OMISSIS) e la ASL Roma (OMISSIS), al fine di sentirne accertare la responsabilita’ per la morte di (OMISSIS), rispettivamente marito e padre degli attori, avvenuta in data (OMISSIS) a causa di trattamento sanitario eseguito con grave imperizia e negligenza.
Dedussero che il (OMISSIS), in data 16.11.2011, era stato ricoverato presso il Pronto Soccorso del Policlinico (OMISSIS) a causa di un persistente sanguinamento da una ferita chirurgica sulla coscia destra, a seguito di intervento di asportazione di lipoma effettuato presso altro nosocomio; che, nonostante il grave quadro clinico, solo in data (OMISSIS) veniva eseguita la TAC addome ed arti inferiori la quale, pur consentendo di circoscrivere la sede di raccolta del versamento ematico, non individuava la fonte emorragica; che, il giorno successivo, a causa delle gravissime condizioni del paziente, si procedeva ad effettuare un intervento esplorativo, con il quale pero’ i medici si limitavano allo svuotamento della cavita’ interessata dal versamento emorragico, senza individuarne la causa, sicche’ lo stesso giorno il (OMISSIS) decedeva a causa di shock emorragico dovuto alla dissezione dell’aneurisma dell’arteria iliaca destra.
Si costitui’ in giudizio l’Azienda Sanitaria ASL Roma (OMISSIS) chiedendo il rigetto nel merito della domanda, in quanto infondata, e, in via subordinata, l’accertamento della responsabilita’ pro quota del Policlinico (OMISSIS).

 

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Con successivo atto di citazione in rinnovazione, gli attori convennero in giudizio (OMISSIS) S.p.A., proprietaria della struttura del Policlinico (OMISSIS), la quale si costitui’ in giudizio eccependo l’inammissibilita’ della domanda nei propri confronti, contestandone il merito e chiedendo l’autorizzazione a chiamare in causa la propria compagnia di assicurazione (OMISSIS) – Rappresentanza generale per l’Italia.
Autorizzata la chiamata in causa, si costitui’ in giudizio anche la compagnia assicuratrice, chiedendo il rigetto della domanda attorca e, nella denegata ipotesi di accertamento della responsabilita’ dei convenuti, la limitazione dell’obbligo indennitario limitatamente alla porzione di responsabilita’ riferibile alla (OMISSIS) e al suo personale dipendente.
Senza esperire consulenza tecnica medico-legale, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 14709/2015, accolse la domanda, ritenendo accertato l’inadempimento del contratto di prestazione professionale e di spedalita’ intercorso tra il (OMISSIS) e la Asl Roma (OMISSIS) per avere i medici eseguito tardivamente e non correttamente l’intervento chirurgico che avrebbe consentito di individuare la fonte dell’emorragia. Rigetto’ invece la domanda degli attori nei confronti di (OMISSIS), in quanto mera proprietaria della struttura affittata alla ASL Roma (OMISSIS) e la domanda di manleva nei confronti della compagnia assicuratrice.
2. Proposto appello da parte della ASL Roma (OMISSIS), la quale chiedeva la riforma della sentenza di primo grado anche nella parte in cui rigettava la domanda degli attori nei confronti della (OMISSIS), veniva espletata ctu medico-legale.
Con sentenza n. 1418/2019, depositata in data 26 febbraio 2019, la Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello, rigettando la domanda degli attori, non ritenendo raggiunta la prova del nesso di causalita’ tra la condotta dei sanitari e il decesso del paziente.
La Corte territoriale ha innanzitutto osservato che il giudice di primo grado aveva errato nel ritenere che in sede operatoria sarebbe stato possibile individuare la fonte dell’emorragia.
Secondo la Corte, il presupposto di tale ragionamento – ovvero che la dissecazione dell’aorta iliaca di destra, individuata quale causa del decesso, fosse preesistente rispetto all’intervento chirurgico – era smentito dall’esito della TAC eseguita il giorno precedente, che aveva escluso lesioni dei grossi vasi addominali, nonche’ dalla circostanza che in sede operatoria non era stato possibile individuare la sede dell’emorragia, mentre l’eventuale presenza della dissecazione non avrebbe potuto non essere rilevata dai medici, stante la severita’ delle sue manifestazioni.
I giudici di secondo grado hanno inoltre ritenuto non condivisibili sotto il profilo logico-giuridico le conclusioni del consulente medico-legale, il quale aveva dapprima attribuito all’inadempimento dei sanitari una riduzione delle chance di sopravvivenza del paziente in misura pari al 50% e successivamente, chiamato dalla Corte a chiarire se, in base al criterio del piu’ probabile che non, i sanitari avessero con il loro inadempimento provocato il decesso del paziente, aveva dato risposta affermativa.

 

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In particolare, secondo la Corte romana, era incomprensibile il criterio utilizzato per giungere ad una simile conclusione dal ctu, il quale aveva affermato che se l’intervento chirurgico fosse stato piu’ tempestivo e appropriato il (OMISSIS) avrebbe avuto il 50% in piu’ di chance di sopravvivenza, oltre a quelle pur minime che sarebbero state presenti anche in presenza di una condotta non corretta.
La conclusione circa sussistenza del nesso causale sarebbe inoltre contraddetta dai dati scientifici forniti dallo stesso ctu, il quale, affrontando la questione circa l’indicazione chirurgica (prescelta dai sanitari solo a seguito del repentino peggioramento delle condizioni del paziente), aveva evidenziato i rischi dell’atto chirurgico, precisando che l’intervento avrebbe efficacia risolutiva solo nel 4% dei casi, mentre per una percentuale di casi superiore al 50% provocherebbe la morte del paziente.
3. Avverso tale decisione, propongono ricorso in Cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, i signori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
3.1 Resistono con separati controricorsi la ASL Roma (OMISSIS) (gia’ ASL Roma (OMISSIS)), (OMISSIS) S.p.a. e (OMISSIS) – Rappresentanza Generale per l’Italia.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta: “nullita’ della sentenza o del procedimento per violazione degli articoli 111 Cost. e articolo 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4 – motivazione omessa e/o apparente in merito all’esclusione del nesso causale”; “nullita’ della sentenza o del procedimento per violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4 – errore di percezione”; “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione e relativo al nesso causale, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5 – errore di valutazione”. Secondo i ricorrenti, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe carente ed incoerente in quanto basata sul travisamento dell’affermazione del ctu circa i rischi dell’intervento chirurgico.
Il dato statistico riferito dal ctu sarebbe riferito all’intervento chirurgico di tipo esplorativo effettivamente eseguito dai medici del Policlinico, definito atto pericoloso e comunque non adeguato.
Il ctu, invece, aveva sostenuto che i sanitari avrebbero dovuto attivarsi immediatamente per eseguire il diverso intervento chirurgico di damage control mediante la tecnica del packing, che avrebbe consentito di tamponare la zona addominale, in modo da bloccare la fuoriuscita di sangue e da poter individuare in un secondo momento le sedi delle lesioni, cosi’ impedendo la rottura dell’aneurisma dell’aorta.
4.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, “violazione di legge – articoli 61, 191, 196 e 116 c.p.c., articolo 2967 c.c., articoli 40 e 41 c.p.”.
Non sarebbe comprensibile perche’ la Corte d’appello, che aveva gia’ riconvocato il ctu ponendogli quale unico quesito il chiarimento circa il principio del piu’ probabile che non (cosi’ lasciando intendere che per il resto la ctu era ritenuta logica e comprensibile), non abbia, in quella stessa occasione, chiesto di chiarire anche quegli aspetti poi ritenuti illogici e incomprensibili nella sentenza.
Il giudice dell’appello, omettendo di chiedere tali ulteriori chiarimenti al ctu, avrebbe deciso la causa sulla base delle proprie personali valutazioni, nonostante fossero necessari accertamenti di natura tecnica.

 

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4.3. Con il terzo motivo, si lamenta “nullita’ della sentenza o del procedimento per violazione degli articoli 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4 – errore di percezione”; “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 5 – errore di valutazione”.
La Corte d’appello avrebbe erroneamente interpretato le risultanze della ctu secondo cui l’importante emorragia che aveva portato i sanitari a decidere l’intervento sarebbe stata ragionevolmente da attribuirsi ad una fessurazione (piccola lacerazione incompleta) dell’arteria iliaca, solo successivamente dissecatasi.
A tale diagnosi si poteva pervenire esaminando le condizioni cliniche del paziente che, a partire dalla mattinata del (OMISSIS), avevano subito un repentino peggioramento per l’aggravamento della situazione emorragica come risultava dai valori ematici riportati nella relazione medico-legale di parte attrice.
Solo mediante l’esecuzione del corretto intervento chirurgico di damage control si sarebbe potuta individuare la fessurazione, impedendone l’evoluzione in dissecazione.
5.1. Il ricorso e’ da accogliere per quanto di ragione.
Occorre premettere che nel nostro ordinamento vige in astratto il principio judex peritus peritorum, in virtu’ del quale e’ consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio, e cio’ sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche. In entrambi i casi, l’unico onere incontrato dal giudice e’ quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto.
La consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perche’ volta coadiuvare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, e’ sottratta alla disponibilita’ delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Come e’ noto, questi puo’ affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso e’ necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (cfr. Cass. n. 3717/2019).
Le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli puo’ legittimamente disattenderle soltanto attraverso una coerente e convincente valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si e’ avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si e’ basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del C.T.U.. Qualora poi nel corso del giudizio di merito vengano espletate piu’ consulenze tecniche, in tempi diversi e con difformi soluzioni prospettate, il giudice, ove voglia uniformarsi alla seconda consulenza, e’ tenuto a valutare le eventuali censure di parte e giustificare la propria preferenza, senza limitarsi ad una critica adesione ad essa. Egli potra’ invece discostarsi da entrambe le soluzioni solo dando adeguata giustificazione del suo convincimento, mediante l’enunciazione dei criteri probatori e degli elementi di valutazione specificatamente eseguiti, nonche’, trattandosi di una questione meramente tecnica, fornendo adeguata dimostrazione di aver potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizioni proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione (da ultimo cfr. Cass. n. 200/2021).
Ebbene nel caso di specie le censure appaiono fondate in quanto la Corte d’appello disattende la consulenza valorizzando le presunte contraddizioni in cui sarebbe incorso il c.t.u. – non tiene tuttavia nella dovuta attenzione la circostanza che la consulenza, in processi come quello in esame, e’ di tipo percipiente e dunque non puo’ essere disattesa in modo criptico ma solo sostituendo alla valutazione tecnica non condivisa altra e diversa valutazione tecnica.
Risulta quindi del tutto inadeguato il passaggio motivazionale con cui la Corte di merito evidenzia che non e’ stata acquisita la prova della preesistenza all’intervento dell’aneurisma perche’, quantunque la morte sia stata causata dallo stesso, l’inadempimento e’ da iscriversi al trattamento della fissurazione che detto aneurisma precede e che avrebbe dovuto essere trattato; dalla corretta lettura dei fatti storici emergenti dalla consulenza – puntualmente riportati in ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza – risulta che l’accertamento della sussistenza del nesso causale era stato compiuto tenendo conto di due dati: occorreva intervenire prima, e (soprattutto) con una tecnica diversa e meno invasiva: la corretta disamina della rilevanza causale di tali fatti rispetto all’evento morte del paziente risulta del tutto omessa dalla Corte territoriale.
I fatti storici emersi dall’accertamento tecnico, nel caso di specie, sono stati oggetto di una disamina fondata su argomentazioni del tutto inconferenti, prive di seri e concreti riferimento a dati tecnici, estrapolando dalla relazione peritale passaggi non decisivi che avrebbero dovuto essere esaminati e valutati secondo ben altri principio di interconnessione logica e di rilevanza eziologica, mentre il fatto storico dell’omessa diagnosi era collegata a fatti pacificamente irrilevanti.
Pertanto il giudice del merito ha violato il principio secondo cui, quando la consulenza e’ di tipo percipiente, essa non puo’ essere disattesa in modo criptico e sostanzialmente avalutativo del complesso delle circostanze da esse emergenti, ma solo sostituendo alla valutazione tecnica non condivisa altra, diversa e convincente valutazione a sua volta fondata su dati tecnico-scientifici.
6. In conclusione, la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

 

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