Cronaca giudiziaria valida solo se notizia fedele

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 ottobre 2024| n. 26789.

Cronaca giudiziaria valida solo se notizia fedele

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esimente del diritto di cronaca giudiziaria è configurabile, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, se l’attribuzione del fatto illecito ad un soggetto è rispondente a quella presente negli atti giudiziari e nell’oggetto dell’imputazione, sia sotto il profilo dell’astratta qualificazione che della sua concreta gravità, con la conseguenza che essa non è invocabile se il cronista attribuisce ad un soggetto un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva affermato la responsabilità delle testate giornalistiche, le quali avevano erroneamente addebitato ad una persona il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, in luogo di quello, effettivamente contestato, di intestazione fittizia di beni con l’aggravante della finalità di agevolare l’associazione mafiosa).

 

Ordinanza|15 ottobre 2024| n. 26789. Cronaca giudiziaria valida solo se notizia fedele

Data udienza 1 luglio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilita’ civile – Diffamazione, ingiurie ed offese – In genere cronaca giudiziaria – Fedeltà della notizia al contenuto del provvedimento giudiziario – Necessità – Attribuzione di un reato diverso da quello contestato nel procedimento penale – Esimente ex art. 51 c.p. – Configurabilità – Esclusione – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. FIECCONI Francesca – Relatore

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19397/2022 R.G. proposto da:

Ad.Fr., Ca.Mi., Ca.Gi. domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato Ad.Fr. (Ad.Fr.@pecavvpa)

– ricorrenti –

contro

Sa.Do. Spa, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA AD.15., presso lo studio dell’avvocato CE.RO. (Omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato LO.AN. (An.Lo.);

– controricorrente –

nonché contro

Ad.Fr., Ma.Ez., Ca.Gi., Ma.Ez., Ad.Fr., Ca.Mi., LI.IN. – Os.Na., LI.IN. – Os.Na., RC.ME. Spa, RA. RA.IT. Spa, GE. GRUPPO EDITORIALE Spa, GE. GRUPPO EDITORIALE Spa, IL.SO. Spa, AN.DU. – ASSOCIAZIONE CULTURALE FA.BO., AN.DU. – ASSOCIAZIONE CULTURALE FA.BO., il GIORNALE DI.SI. – EDITORIALE POLIGRAFICA Spa, il GIORNALE DI.SI. – EDITORIALE POLIGRAFICA Spa, Gi.Ga., Gi.Ga., Ma.Ez., Ma.Mo.;

– intimati –

sul controricorso incidentale proposto da

RA. RA.IT. Spa,Ma.Mo., IL.SO. Spa, RC.ME. Spa elettivamente domiciliati in ROMA VIA CA.PO., presso lo studio dell’avvocato SI.VA. (Si.Pe.) che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati MA.CA. (Ca.Ma.);

– ricorrenti incidentale –

contro

Ma.Ez., LI.IN. – Os.Na., GE. GRUPPO EDITORIALE Spa, AN.DU. –

ASSOCIAZIONE CULTURALE FA.BO.,il GIORNALE DI.SI. – EDITORIALE POLIGRAFICA Spa, Sa.Do. Spa, Gi.Ga.;

– intimati –

sul controricorso incidentale proposto da GE.NE. Spa e Ma.Ez., elettivamente domiciliato in ROMA PI.SA., presso lo studio dell’avvocato CA.EL. (Omissis) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Omissis (Omissis);

– ricorrenti incidentali –

contro

Ca.Gi., Ma.Ez., Ad.Fr., Ca.Mi.;

– intimati –

sul controricorso incidentale proposto da GIORNALE DI.SI. EDITORIALE POLIGRAFICA Spa, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati AL.GI. (Omissis), AL.AL. (Omissis);

– ricorrente incidentale –

contro

Ad.Fr., Ca.Mi., Ca.Gi.;

– intimati –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 794/2022 depositata il 12/05/2022;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/07/2024 dal Consigliere FRANCESCA FIECCONI.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso notificato il 27/09/2022, affidato a otto motivi illustrati da successiva memoria, Ad.Fr., nonché i figli Ca.Mi. e Ca.Gi., ricorrono per cassazione della sentenza n. 794/2022 (doc. 3), emessa dalla Corte d’Appello di Palermo, depositata e comunicata a mezzo p.e.c. in data 12.05.2021, che ha parzialmente riformato la sentenza emessa Tribunale di Palermo, con la quale sono state condannate la RA. – Ra.Te. Spa, la GE.-GRUPPO EDITORIALE Spa (editore della testata La Repubblica), il GIORNALE DI.SI. – Ed. Pol. (editore del il GIORNALE DI.SI.) e Il.So. al pagamento, in favore di Ad.Fr., della somma di Euro 10.000,00 ciascuno, oltre interessi dalla data della sentenza al soddisfo; è stata rigettata ogni altra domanda spiegata dalla Ad.Fr. per ulteriori fatti collegati la pubblicazione di notizie sulla sua persona nel periodo in cui aveva subito un misura detentiva; sono state rigettate, inoltre, tutte le domande formulate da Ca.Gi. e da Ca.Mi. nei confronti delle testate giornalistiche appellate, con conseguente condanna alle spese; sono state compensate le spese del doppio grado di giudizio tra Ad.Fr. da una parte e la RA.- Ra.Te. Spa, la GE. – GRUPPO EDITORIALE Spa, il GIORNALE DI.SI. – Ed. Pol. e Il.So. dall’altra.

2. Sa.Do. Spa, P.I. (Omissis), ha notificato controricorso in data 16.12.2021, illustrato da successiva memoria, subentrando alla posizione della Sa.Do. Spa, P.I. (Omissis), la quale, in ragione dell’atto di fusione – allegato sub doc. n. 4/a – è stata incorporata dalla nuova società. La controricorrente Sa.Do. deduce che i ricorrenti hanno notificato il ricorso a Sa.Do. Spa editore del quotidiano La.Si. in persona del legale rappresentante in carica Gu.Va. e chiede di dichiarare nullo e/o inammissibile e/o improcedibile il ricorso per aver controparte citato in giudizio e notificato il ricorso a soggetto diverso e oramai estinto. In subordine chiede la conferma della sentenza nella parte in cui ha confermato la sentenza di primo grado che ne ha dichiarato la carenza di legittimazione passiva.

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3. Il GIORNALE DI.SI. EDITORIALE POLIGRAFICA Spa ha notificato ricorso con ricorso incidentale affidato a due motivi, illustrato da successiva memoria.

4. La RA. – RA.IT. Spa, IL.SO. Spa e Ma.Mo., anche nell’ interesse di R.C. S.p.a, hanno notificato controricorso con ricorso incidentale, affidato a un unico motivo.

5. La GE.NE. Spa, editore de La Repubblica, ha notificato controricorso unitamente al direttore Ma.Ez., e proposto due motivi di ricorso incidentale.

6. LI.IN. e AN.DU., intimati, non hanno partecipato al giudizio di legittimità.

7. Per quanto ancora di interesse, in data 11.03.2015, l’Avv. Ad.Fr. e i figli Ca.Mi. e Ca.Gi., convenivano gli odierni intimati al fine di vedersi ristorati dei danni patiti in ragione della pubblicazione di articoli di giornale, dal contenuto diffamatorio, e relativi alle vicende giudiziarie che avevano coinvolto la stessa Ad.Fr. e, di riflesso, i propri figli. Con riferimento ai convenuti Sa.Do. Spa e Sa.Ma., gli attori denunciavano l’avvenuta diffamazione a mezzo stampa per la pubblicazione in data 27.10.2008, dell’articolo intitolato “(Omissis)” del quotidiano on line “La.Si. WEB”, sul sito Ww.La.; l’odierna controricorrente eccepiva non avere nessun collegamento con l’articolo di giornale allegato dall’attrice, ragion per cui veniva richiesto di dichiarare il difetto di legittimazione passiva in riferimento ai fatti allegati. Gli attori, ammettendo l’errore commesso in fase di citazione nei confronti dell’odierna controricorrente, allegavano con la memoria ex art. 183, co. 6, n. 1 c.p.c. altri articoli di giornale pubblicati dalla Sa.Do. Spa in data 28.11.2008.

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8. All’esito del giudizio di primo grado il Giudice di prime Cure, con specifico riferimento alla posizione della Sa.Do. Spa, accoglieva le difese relative all’estraneità ai fatti allegati a fondamento della propria pretesa dagli attori in atto di citazione, ritenendo tardive le allegazioni successive. Per il resto, il Tribunale rigettava nel merito le domande formulate dagli attori nei confronti dei convenuti GRUPPO EDITORIALE Le. Spa, R.C. Spa, Il.So. Spa, RA. – RA.IT. Spa, GIORNALE DI.SI. EDITORIALE POLIGRAFICA Spa, Sa.Do. Spa, LI.IN. – Os.Na., condannando altresì parte attrice al pagamento delle spese processuali, avendo accertato e dichiarato la legittimità di tutti gli articoli ed interventi contestati, in quanto espressione dei diritti di cronaca e di critica, entrambi costituzionalmente garantiti, dopo avere verificato il rispetto dei requisiti della verità, pertinenza.

9. Con atto di citazione in data 18.10.2017, Ad.Fr., Ca.Mi. e Ca.Gi. proponevano appello. In data 16.12.2021, Sa.Do. Spa, anche nell’interesse di Sa.Ma. depositava comparsa di costituzione in prosecuzione rilevando come, nelle more del giudizio, fosse occorso un atto di fusione per incorporazione all’esito del quale la società Sa.Do. Spa, avente partita iva (Omissis), incorporata dalla società Sa.Do. Spa con partita iva (Omissis) – la quale era subentrata in tutte le posizioni della società incorporata -; insisteva in tutte le difese, richieste ed eccezioni formulate dalla società incorporata e, con successiva memoria, rilevava l’avvenuta dichiarazione di fallimento della società incorporata e, seppur ne sosteneva la non influenza in ragione del subentro automatico della società incorporante nelle posizioni dell’incorporata, lasciava alla Corte la scelta di assumere ogni eventuale conseguente azione. Si costituivano in giudizio le odierne controricorrenti. La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva sancito il difetto di legittimazione passiva della Sa.Do. Spa e respinto le domande di risarcimento dei figli della Ad.Fr. in quanto infondate. In parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva in parte l’appello della Ad.Fr. in relazione all’attribuzione alla medesima di un reato più grave e condannava le testate e i giornalisti dalla medesima convenute al risarcimento del danno sull’assunto che la fattispecie di concorso esterno è oggettivamente diversa e ben più grave di quella effettivamente contestata. Riteneva, tuttavia, che la depressione sofferta dall’attrice non fosse in relazione causale con la diffusione della notizia non conforme al vero e liquidava a carico di ciascuna parte, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, la somma di Euro. 10.000,00, comprensivi di interessi compensativi dall’illecito alla decisione, oltre interessi legali fino al saldo, a carico della GE. – GRUPPO EDITORIALE Spa (la Repubblica), RA. news 25, il Giornale Di.Si. e Il.So.. Dichiarava prescritto il diritto limitatamente al GIORNALE DI.SI., considerandolo quale unico appellato ad avere eccepito la decorrenza del termine tempestivamente.

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10. Non riscontrando alcun diretto riferimento ai figli dell’attrice negli articoli in oggetto, la Corte di merito non riteneva che essi ledessero il loro onore e la loro reputazione, sull’assunto che, in mancanza di allegazioni documentali idonee a provare la correlazione causale con l’emarginazione sociale in cui si sono ritrovati, probabilmente ogni danno fosse dovuto allo stato detentivo della madre e non alla diffusione delle false notizie. Le spese di lite, rispetto alle appellate condannate per avere diffuso una notizia falsa, venivano compensate, posto che le tesi dell’avv. Ad.Fr. hanno trovato accoglimento soltanto in parte. Rispetto alle cinque parti non riconosciute responsabili, invece, condannava l’avv. Ad.Fr. e i figli Ca.Gi. e Ca.Mi., in solido tra loro, a rifondere le spese legali del secondo grado di giudizio, liquidate in Euro. 5.532,00, in favore della Sa.Do. Spa, LI.IN. e Gi.Ga. (considerate unica parte processuale), Ma.Mo., Ma.Ez., RC.ME. Spa Infine, ha condannato gli appellanti Ca.Mi. e Ca.Gi., in solido, al pagamento delle spese in favore dei periodici ritenuti responsabili per aver diffamato la loro madre, RA. – Ra.Te. Spa, della GE. – GRUPPO EDITORIALE Spa, del GIORNALE DI.SI. – Ed. Pol. e del So.24., liquidate in complessivi Euro 5.532,00 in favore di ciascuna testata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

11. In via pregiudiziale va rigettata l’eccezione di nullità del ricorso proposta da Sa.Do. Spa, essendosi sanato il vizio di vocatio in ius di un ente incorporato ed estinto, per effetto della spontanea costituzione in giudizio dell’ente incorporante, risultante dalla fusione quale successore a titolo universale, atteso che la sanatoria ex art. 164 c.p.c. ha efficacia “ex tunc” in ogni stato e grado del giudizio (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4661 del 28/02/2007Sez. 6-5, Ordinanza n. 5341 del 03/04/2012; Sez. 6-5, Ordinanza n. 5341 del 03/04/2012).

12. I ricorsi incidentali vanno trattati logicamente per primi e congiuntamente, lamentando la violazioni di norme in relazione alla condanna delle testate giornalistiche convenute al risarcimento del danno nei confronti dell’avv. Ad.Fr. per i fatti di cui è causa.

13. Con il primo motivo IL GIORNALE DI.SI. EDITORIALE POLIGRAFICA Spa, nonchéa RA. – RA.IT. Spa, IL.SO. Spa e Ma.Mo., anche nell’ interesse dii R.C. S.p.a, deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 21 Cost., 51 e 59, c. 4, c.p., 2043 c.c., 184, 115 c.p.c., 335 c.p.p. (art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c.) là dove la Corte d’Appello ha affermato la loro responsabilità per avere erroneamente addebitato all’avv. Ad.Fr. il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, in luogo del reato di “intestazione fittizia di beni” con la aggravante di cui dall’art. 7 D.L. 152/1991, per avere favorito l’associazione mafiosa.

14. GE.NE. Spa e il dott. Ma.Ez., deducono ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 21 Cost., 2043 c.c., 51 e 595 c.p. e 11 L. 8 febbraio 1948 n. 47) con riferimento ai principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di diffamazione a mezzo stampa, per avere la Corte di Appello ritenuto di non vagliare l’inesattezza rilevata dal punto di vista della “marginalità” della stessa rispetto alla notizia complessiva e al suo nucleo essenziale.

15. RA. – RA.IT. Spa, IL.SO. Spa e Ma.Mo., anche nell’ interesse dii R.C. S.p.a, deducono Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 595, 51 e 59 c.p. in relazione all’art. 21 Cost, in quanto la condotta dei giornalisti e del direttore di “Ra.” avrebbero dovuto essere ritenute scriminate dal legittimo esercizio del diritto di cronaca giudiziaria.

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16. Con il secondo motivo IL GIORNALE DI.SI. – EDITORIALE POLIGRAFICA Spa e GE. – NEWS NETWORK Spa e il dott. Ma.Ez. deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 1227, 2043, 2056, 2697, 2727 e 2729 c.c., 115 c.p.c. (art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c.), là dove la Corte distrettuale ha liquidato il danno in assenza di qualsiasi prova relativa alla tiratura ed alla diffusione in concreto dello stampato e della notizia pubblicata, del pregiudizio patito da controparte, della sua entità e del nesso di causalità. La Corte, inoltre, avrebbe taciuto i criteri per addivenire alla liquidazione del danno. La diffusione in concreto della notizia – in tesi- non sarebbe mai stata oggetto di prova. La Corte avrebbe errato, infine, nel non valutare il mancato esercizio del diritto di rettifica ai sensi dell’art. 1227 c.c.

17. Posto quanto sopra, va rilevato che il primo motivo di ricorso incidentale è infondato.

18. La Corte di Appello di Palermo ha accolto il IV motivo di appello formulato dall’avv. Ad.Fr. “Limitatamente all’erroneità dell’addebito di concorso esterno in associazione mafiosa, in luogo della corretta imputazione formulata dal P.M. nella richiesta di custodia cautelare in carcere (artt. 81,99 e 110 c.p., 12-quinquies L. 356/92 e 7 D.L. 152/91)”. In riforma della sentenza di primo grado, il secondo giudice ha ritenuto che “Nondimeno, la Suprema Corte (Cass. 5760/2012) – dopo aver ribadito i presupposti di applicabilità della esimente di cui all’art. 51 c.p. – ha sancito il principio di diritto secondo cui deve escludersi la causa di giustificazione del diritto di cronaca nel caso in cui venga pubblicata, contrariamente al vero, la notizia che nei confronti dell’imputato si stiano svolgendo indagini per un fatto illecito diverso da quello effettivamente contestatogli. E nel caso in esame non può esservi dubbio sul fatto che il reato di concorso esterno non sia equiparabile alla posizione di chi commette un reato comune aggravato dall’art. 7 D.L. 152/1991”. La Corte di Appello ha conseguentemente stabilito che: “Pertanto, se, come appare indiscutibile alla luce dell’ordinanza di custodia cautelare, alla appellante Ad.Fr. non fu addebitata dagli Organi inquirenti la condotta contra legem di cui si fa parola negli articoli (concorso esterno in associazione mafiosa), non è dubbio che la notizia, limitatamente a tale aspetto, debba essere considerata non corrispondente al vero e quindi non scriminata dal diritto di cronaca”.

19. Le controricorrenti a fondamento del ricorso incidentale deducono la irrilevanza della falsa notizia diffusa sotto il profilo sostanziale, adducendo che si tratta di un errore impercettibile per i lettori, ed invocano la scriminante putativa nell’esercizio del diritto di cronaca. Sul punto la Corte d’Appello ha però chiaramente sottolineato la differenza tra concorso esterno in associazione mafiosa e l’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, assumendo come errata la notizia che la Ad.Fr. fosse stata sottoposta alla misura cautelare della detenzione in carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, divulgata dalle testate convenute in giudizio, ritenendo non corretta la valutazione del giudice di prime cure di irrilevanza dell’inesatto riferimento operato dai giornalisti, posto che all’attrice era stata ascritta la circostanza aggravante della finalità di agevolazione dell’organizzazione mafiosa in riferimento alla commissione di un reato comune (intestazione fittizia di beni), da cui la Ad.Fr. è stata in seguito assolta. Ha inoltre sancito che l’erronea convinzione circa la rispondenza al vero del fatto riferito non può mai comportare l’applicazione della esimente del diritto di cronaca quando l’autore dello scritto diffamante o il direttore della pubblicazione non abbiano proceduto a verifica, compulsando la fonte originaria. Ha ritenuto infine invalicabile il diritto della collettività a ricevere informazioni su chi sia stato coinvolto in un procedimento penale o civile, specialmente se i protagonisti abbiano posizione di rilievo nella vita sociale o politica, con la conseguenza che, ove i limiti del diritto di cronaca siano rispettati, la diffusione di notizie lesive del credito sociale dell’indagato, secondo il consolidato orientamento interpretativo perde il suo carattere di antigiuridicità.

Cronaca giudiziaria valida solo se notizia fedele

20. In breve, La Corte di merito ha ritenuto che debba escludersi la causa di giustificazione del diritto di cronaca nel caso in cui venga pubblicata, contrariamente al vero, la notizia che nei confronti dell’imputato si siano svolte indagini per un fatto illecito diverso da quello effettivamente contestatogli.

21. Il principio applicato dalla Corte d’Appello è conforme a quanto già da tempo ritenuto dalla giurisprudenza penale in tema di esimente putativa del delitto di diffamazione, ove ai fini della sua applicazione appare preminente la sussistenza di una “necessaria correlazione” fra quanto è stato narrato e ciò che è realmente accaduto. Ciò importa l’inderogabile necessità di un “assoluto” rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto riferito, nonché lo stretto obbligo di rappresentare gli avvenimenti quali sono, risultando inaccettabili i valori sostitutivi di esso, quali quello della veridicità o della verosimiglianza dei fatti narrati; né il giornalista può appagarsi di notizie rese pubbliche da altre fonti informative (altri giornali, agenzie e simili), senza esplicare alcun controllo, perché in tal modo le diverse fonti propalatrici delle notizie – attribuendosi reciproca credibilità – finirebbero per rinvenire l’attendibilità in se stesse (cfr., tra le tante, Cass. Pen Sez. 5, Sentenza n. 618 del 23/01/1997; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 40415 del 19/05/2004).

22. Soprattutto, quando la notizia ha una evidente pubblica risonanza, il giornalista deve esaminare e controllare attentamente la notizia in modo da superare ogni dubbio, non essendo sufficiente in proposito l’affidamento in buona fede sulla fonte informativa, soprattutto quando questa sia costituita da un’altra pubblicazione giornalistica, atteso che, in tal caso, l’agente si limita a confidare sulla correttezza e professionalità dei colleghi, chiudendosi in un circuito autoreferenziale (Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 35702 del 19/05/2015). Sicché, la scriminante putativa dell’esercizio del diritto di critica o di cronaca è configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il giornalista abbia assolto l’onere di esaminare, controllare e verificare l’oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio (Cass. pen. Sez. 5, Sentenza n. 51619 del 17/10/2017; Cass. pen. Sez. 5, Sentenza n. 50189 del 04/11/2019).

23. Alla luce della giurisprudenza sopra citata, l’esimente in questione è dunque ravvisabile solo qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, quando l’attribuzione del fatto illecito ad un soggetto sia rispondente a quello presente negli atti giudiziari e nell’oggetto dell’imputazione, sia sotto il profilo dell’astratta qualificazione che della sua concreta gravità, con la conseguenza che essa non è invocabile se il cronista attribuisce ad un soggetto un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (Cass.pen. Sez. 5, Sentenza n. 13782 del 29/01/2020).

24. Quanto all’oggetto della notizia propalata, va sottolineata la non – equiparabilità della posizione di chi commette un reato comune aggravato dall’art. 7 D.L. n. 152 del 1991 e di chi concorre – benché dall’esterno – nell’associazione mafiosa, assumendo che la commissione di un singolo reato, ancorché aggravato dall’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, non è indice di per sé di un perdurante collegamento dell’agente con l’associazione mafiosa, né tantomeno della volontà di contribuire alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima; mentre – di contro – il concorso esterno nell’associazione mafiosa implica che l’agente, pur non essendo inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione, fornisca un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo che costituisca condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima (Cass., Sez. Un. pen, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231671; Cass. Sez. Un. pen 47054 del 16/11/2021, Coppola, Rv 2824 55-01).

25. Sicché, in tema di agevolazione dell’attività di un’associazione di tipo mafioso, la circostanza aggravante prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, richiede per la sua configurazione il dolo specifico di favorire l’associazione, con la conseguenza che questo fine deve essere l’obiettivo “diretto” della condotta, non rilevando possibili vantaggi indiretti, né il semplice scopo di favorire un esponente di vertice della cosca, indipendentemente da ogni verifica in merito all’effettiva ed immediata coincidenza degli interessi del capomafia con quelli dell’organizzazione (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 44698 del 22/09/2015). L’aggravante ha dunque natura soggettiva, e non oggettiva quale il concorso esterno in associazione mafiosa, essendo incentrata su una particolare motivazione a delinquere e sulla specifica direzione finalistica del dolo e della condotta, finalità che non presuppone necessariamente l’intento del consolidamento o rafforzamento del sodalizio criminoso, essendo sufficiente l’agevolazione di qualsiasi attività esterna dell’associazione, anche se non coinvolgente la conservazione ed il perseguimento delle finalità ultime tipizzate dall’art. 416-bis cod. pen. (Sez. U, Sentenza n. 337 del 18/12/2008, Antonucci e altri.; Cass. Pen. Sez. 6, Sentenza n. 53691 del 17/10/2018; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8545 del 19/12/2019).

Cronaca giudiziaria valida solo se notizia fedele

26. In ragione della differenza tra le due figure di reato, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, laddove la notizia sia stata attinta da atti giudiziari, come nel caso in esame, il requisito della verità è integrato allorché il dato pubblicato risulti fedele al contenuto dell’atto, senza che sia necessaria né la verifica della fondatezza del fatto riportato, né l’indicazione specifica della fonte, purché dal contesto dell’articolo risulti con chiarezza la natura giudiziaria della fonte stessa (Cass. Civ. Sez. 3, Ordinanza n. 11769 del 12/04/2022). Difatti è precipuo compito di un “giornalista avveduto”, officiato di raccogliere notizie di cronaca giudiziaria, non appiattirsi su una comune errata percezione dei contorni del reato attribuito alla destinataria dell’atto giudiziario, confuso invece nel caso concreto con quello – ben più grave – del concorso esterno in associazione mafiosa, in luogo dello specifico reato comune attribuito alla professionista (fittizia intestazione di beni, seppur con l’aggravante della finalità di agevolare un’attività esterna dell’associazione mafiosa), riportando pertanto nel giusto contesto la descrizione dei fatti attribuiti alla professionista, per quanto gravi.

27. Quanto al secondo motivo, denunciante la violazione di norme sulla liquidazione del danno morale, se ne deve rilevare l’inammissibilità, non apparendo idoneamente censurata la violazione dei parametri normativi applicati ai fini della valutazione necessariamente equitativa del danno morale conseguente alla diffamazione – reputazionale e di sofferenza morale -, bensì il risultato concreto della valutazione, in questa sede incensurabile in quanto desunta da specifiche circostanze o da elementi presuntivi. È, infatti, da ritenere legittimo il ricorso al notorio ed alle presunzioni nella prova del danno derivante da lesione alla reputazione veicolata attraverso mezzi diffusivi dei contenuti diffamatori, considerato che, in base all'”id quod plerumque accidit”, si può presumere che tale lesione abbia arrecato alla persona offesa una sofferenza morale meritevole di ristoro e che il relativo nesso causale sia, in tal caso, di tale evidenza da far sì che l’onere di motivazione da parte del giudice riguardo alla sussistenza del danno morale risarcibile possa ritenersi soddisfatto attraverso il richiamo al contenuto e alle modalità di diffusione delle affermazioni lesive (cfr., tra le ultime, Cass. Sez. 5 pen., Sentenza n. 25059 del 21/04/2023).

28. Nel caso in questione, il giudice ha tenuto conto della diffusione sul territorio regionale e nazionale dei quotidiani in questione, della risonanza mediatica della vicenda, della significativa lesività della errata informazione divulgata, ai fini della valutazione necessariamente equitativa, la quale non è censurabile in Cassazione, sempre che i criteri seguiti siano enunciati in motivazione, come nel caso in esame, e non siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto, il che è da escludere (Cass. Sez. 1 civ., Ordinanza n. 8248 del 27/03/2024; Cass. Civ. Sez. 3, Ordinanza n. 13153 del 25/05/2017).

29. Risulta altrettanto errato l’argomento utilizzato in ordine all’incidenza, sul danno prodotto, del mancato esercizio, da parte dell’attrice, della facoltà di ottenere una rettifica della notizia, per neutralizzare gli effetti dannosi dell’illecito che ne sarebbe potuto derivare, da valutarsi ex art. 1227 c.c. La pubblicazione di una rettifica ai sensi dell’art. 8 della L. n. 47 del 1948 non determina, quale conseguenza automatica, la riduzione del danno, dovendosi procedere, piuttosto, a una valutazione in concreto della relativa incidenza sullo specifico pregiudizio già verificatosi quale conseguenza delle dichiarazioni offensive (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 1152 del 17/01/2022).

30. Attesa l’infondatezza e inammissibilità dei motivi racchiusi nei ricorsi incidentali, devono ora essere considerati gli otto motivi del ricorso principale. Essi si palesano inammissibili per i seguenti motivi.

31. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione degli artt. 342 e 132, comma 2 n. 2 c.p.c., L. n. 47 del 1948 e artt. 57 e 596-bis c.p. in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. sull’assunto che la Corte di merito abbia errato nel dichiarare inammissibile la domanda spiegata e l’impugnazione proposta nei confronti di AN.DU., Ma.Mo., Ma.Ez. e Gi.Ga., essendo evidente che gli appellanti avevano puntualmente censurato la loro condotta, essendosi determinata una nullità processuale ex art. 112 c.p.c. posta in essere dal Giudice di primo grado che non avrebbe considerato le domande formulate nei loro confronti. Il motivo è infondato. La Corte di merito ha ritenuto insufficiente, per come è oggi strutturato il processo di appello, richiamare il solo contenuto diffamatorio degli articoli di giornali già allegati in citazione, senza riportarne espressamente le argomentazioni nell’atto di appello, essendo mancata una specifica censura circa la mancata disamina di tali domande da parte del giudice di primo grado (cfr. sentenza, p. 12, par. 1).

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32. La sentenza delle SU n. 3033/2013, di recente confermata da S. U. 11799/2017, conferma la correttezza del principio applicato dalla pronuncia in esame, sulla considerazione che nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non può più dirsi un riesame nel merito della decisione impugnata (“novum judicium”), avendo assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata su fatti osservati dal primo giudice, oggetto di pronuncia (“revisio prioris instantiae”). Ne consegue che sull’appellante ricade l’onere di dimostrare la fondatezza dei motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado. Non è pertanto ammissibile, in caso di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado, la mera riproposizione della domanda non esaminata in prime cure, dovendosi censurare l’omissione processuale sul punto, essendo l’appello indirizzato a censurare la sentenza, e non a provocare un riesame della pretesa non accolta (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 10406 del 02/05/2018).

33. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ex articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. violazione e/o falsa applicazione dell’artt. 183 c. 6 n. 1 c.p.c. e nullità della sentenza ex artt. 112 e 161 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello, nell’accogliere l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla società editrice Sa.Do. sarebbe incorsa in un “vizio di ultrapetizione”. Si censura la sentenza nella parte in cui afferma che gli appellanti, avendo attribuito alla Sa.Do. un fatto cui era rimasto estraneo, essi hanno operato una inammissibile mutatio libelli con riguardo agli articoli editi dalla Sa.Do.

34. Osserva questo Collegio che la deduzione è inammissibile perché non è in grado di attingere la ratio decidendi, là dove la Corte d’Appello, pur tenendo conto della correzione in corso di causa dell’errore nell’individuare il soggetto passivo legittimato, ha ritenuto che la domanda formulata nella memoria di cui all’art. 183 comma 6, n. 1 c.p.c. fosse nuova, in quanto riferita a un diverso fatto costitutivo posto a fondamento del diritto fatto valere (un differente articolo pubblicato sul web della testata). Al riguardo va osservato che la memoria successiva all’atto introduttivo del giudizio consente di specificare o emendare la iniziale pretesa, purché tale modifica non muti la situazione sostanziale dedotta in giudizio, non potendo compromettere le potenzialità difensive della controparte, sia anche solo in termini di allungamento dei tempi processuali (Cass. Sez. U. 12310/2015). Inoltre la censura non considera adeguatamente nemmeno la seconda ratio decidendi, inerente al rilievo di mancata impugnazione della ritenuta infondatezza della domanda svolta nei confronti del La.Si. Srl da parte del giudice di prime cure, per il contenuto dello scritto che si atteggia quale legittimo esercizio del diritto di cronaca. Si tratta difatti di una ulteriore considerazione non idonea a mettere in discussione la rilevata carenza di legittimazione passiva della parte chiamata in giudizio in relazione al fatto inizialmente attribuito.

35. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 190 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c, sull’utilizzo da parte del Giudice di prime cure dell’ordinanza di custodia cautelare quale presupposto della decisione senza che si sia tenuto conto della violazione del divieto di pubblicazione dell’ordinanza quale fatto integrante il reato di cui all’art. 684 c.p.c. La Corte di merito ha ritenuto che tale censura, effettuata per la prima volta nella comparsa conclusionale del primo grado di giudizio, non abbia determinato nel giudice alcun dovere di pronunciarsi su di essa, in quanto tardivamente formulata. I ricorrenti contestano che si tratti di una domanda nuova, ritenendola mera argomentazione a sostegno dell’illegittimità dell’operato delle testate giornalistiche, affinché venga presa in considerazione la illecita diffusione del contenuto dell’ordinanza cautelare, pur non potendo tale fatto fondare un’ulteriore pretesa risarcitoria (cfr. Sezioni Unite Sentenza n. 3727 del 25.02.2016). La deduzione è inammissibile, oltre che contradittoria. Difatti se la domanda fosse una ulteriore argomentazione, come sotteso nel motivo, non vi sarebbe stato alcun dovere del giudice di pronunciarsi sulla medesima. Il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l”iter” argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12652 del 25/06/2020;Cass. Sez. 5, Sentenza n. 868 del 20/01/2010).

36. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. 595, 596-bis c.p., 2043 c.c. e nullità della sentenza ex artt. 112 e 161 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c. nella parte in cui ha solo parzialmente accolto il quarto motivo d’appello, stabilendo che le testate giornalistiche hanno diffamato l’avv. Ad.Fr. diffondendo la falsa notizia che la stessa sia stata indagata per concorso esterno in associazione mafiosa. Si assume che la sentenza abbia erroneamente ritenuto coperti dal giudicato interno per difetto di gravame gli ulteriori rilievi sul contenuto degli articoli (ritenuti dai ricorrenti avere superato il limite della continenza espressiva) che, pur contestati dalla Ad.Fr. come lesivi della sua reputazione nel giudizio di primo grado, sono stati ritenuti infondati dal primo giudice dopo averne puntualmente verificato, per ciascuno di essi, il rispetto dei requisiti della verità, della pertinenza e della continenza.

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37. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto non riporta in quale motivo di appello si deduce una specifica censura al riguardo; mentre, di contro, con esso si reiterano argomentazioni in merito alla fondatezza di detti assunti sottoposte al giudice di primo grado e da questi pacificamente rigettate. Nello specifico, avendo la Ad.Fr. indirizzato le sue doglianze in appello solo avverso l’ inveritiero addebito alla sua persona del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, la Corte di merito ha ritenuto che “non residua pertanto per la Corte il potere di riesaminare i rilievi che, pur contestati nel primo grado, sono stati rigettati dal primo giudice”. La censura pertanto non si dimostra utile allo scopo, in quanto si limita a inutilmente rappresentare, pur con dovizia di particolari, il contenuto degli atti processuali del primo grado da cui dovere desumere, in sede d’appello, la fondatezza della domanda volta a quantificare il danno da risarcire tenendo conto di ulteriori fatti diffamatori mossi nei riguardi delle resistenti già condannate (RA. – RA.IT. Spa, GE. – GRUPPO EDITORIALE Spa, IL GIORNALE DI.SI. – Ed. Pol. E IL.SO.) o nei confronti di quelle parti risultate vittoriose su questi fatti, quando in realtà il punto in questione riguarda il contenuto dell’atto di appello, cosi come rilevato carente e insufficiente ad attivare il potere di revisione della sentenza di primo grado su questo specifico punto.

38. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 e 1226 c.c. 595, 596-bis c.p. ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. con riguardo ai danni patrimoniali dedotti (revoca dei mandati professionali da parte della clientela), ritenuti dalla sentenza non provati in quanto direttamente collegati all’ordinanza cautelare di custodia in carcere e non alle errate notizie diffuse dalle testate giornalistiche. La deduzione è inammissibile difettando del requisito di specificità. La sentenza, invero, risulta sorretta da due “rationes decidendi”, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata. La censura in esame, invero, non tiene conto della parte di decisione in cui la Corte, quale secondo motivo (ratio) di rigetto della domanda, indica che la documentazione probatoria offerta è carente, in quanto manca ogni dato contabile o fiscale che attesti un effettivo depauperamento patrimoniale dell’appellante che si ponga in stretta correlazione causale con la condotta posta in essere dalle testate giornalistiche. Sicché l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una delle ragioni del decidere rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, essendosi comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15399 del 13/06/2018; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5102 del 26/02/2024).

39. Con il sesto motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., 595 e 596-bis c.p., 29 e 30 cost. ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. denunciando che, riguardo alla posizione dei figli dell’avv. Ad.Fr., Ca.Mi. e Ca.Gi., la Corte d’Appello ha errato nel ritenere infondato il loro diritto a ottenere il risarcimento. I ricorrenti deducono che in tale caso sarebbe stato sufficiente far riferimento a presunzioni semplici, come è avvenuto per la loro madre, in favore della quale sono state correttamente liquidate delle somme per il danno morale patito in conseguenza della diffamazione a mezzo stampa. Osserva il Collegio che il motivo è, per un verso, inammissibile poiché non prende in considerazione la prima ratio, del tutto autonoma e non intaccata dalla censura, della sentenza ove ha dichiarato prescritto tale diritto sulla base della eccezione del GIORNALE DI.SI.. Per altro verso, la Corte di merito ha ritenuto infondata la domanda nei confronti delle altre testate (che non hanno sollevato l’eccezione di prescrizione), ritenendola non supportata da alcuna idonea allegazione, ritenendo che le pubblicazioni che hanno diffuso l’erronea imputazione dell’Ad.Fr. non possono ritenersi lesive dell’onore e reputazione dei Ca., in quanto prive di qualsiasi riferimento diretto alla loro persona sia nel titolo che nel corpo degli articoli (cfr. Sentenza, p. 37, par. 3). Quanto all’isolamento sociale dedotto quale ulteriore conseguenza delle notizie diffamatorie, la Corte di merito ha ritenuto che detto danno sia stato diretta conseguenza dell’ordinanza di custodia cautelare, fatto di per sé idoneo a creare disdoro nell’esistenza di una persona e dei prossimi congiunti. Si tratta, pertanto, di valutazioni di merito sulla carenza di un nesso causale del tutto incensurabili in quanto strettamente riferite alla valutazione probatoria di fatti e circostanze dedotti che, pertanto, non denotano alcuna violazione in iure delle norme in questione (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9985 del 10/04/2019; Sez. 3, Sentenza del 25/02/2014).

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40. Con il settimo motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1284 comma 4 c.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. nella parte in cui la Corte d’Appello afferma che appare equo liquidare a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, l’importo di Euro 10.000,00, comprensivo di interessi compensativi dall’illecito alla data della decisione, oltre interessi legali fino al saldo effettivo, ponendosi in netto contrasto con la normativa dettata dal novellato art. 1284 comma 4 c.c. Applicando correttamente tale normativa si sarebbe dovuto riconoscere, in tesi, una somma a titolo di interessi compensativi dal fatto illecito alla domanda giudiziale e da quest’ultima in poi gli interessi moratori, posto che il giudizio è stato introdotto con atto di citazione notificato l’11.03.2015, quando la nuova normativa era pienamente efficace. Il motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato. Innanzitutto, il tenore dell’art. 17, 2 co. D.L. 132/2014, invero, non consente di dubitare che la (nuova) previsione del 4 co. dell’art. 1284 c.c. si applica ai procedimenti iniziati a partire dal trentesimo giorno dall’entrata in vigore della legge di conversione e il riferimento all’inizio del procedimento non può che essere inteso come avvio dello stesso in primo grado (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 8402 del 28/03/2024). Purtuttavia, la disposizione in parola riguarda il tasso di interessi per le obbligazioni di valuta traenti titolo dalle “transazioni commerciali”, e non i risarcimenti da obbligazioni extracontrattuali come quella in questione, i cui interessi compensativi sono stati calcolati dal fatto illecito sino alla data della domanda, oltre gli interessi legali decorrenti da tale data in poi, in conformità a un sedimentato principio (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 10376 del 17/04/2024).

41. Con l’ottavo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., indicato come “profondamente ingiusta, oltre che illegittima”, la sentenza impugnata nella parte relativa alla liquidazione delle spese legali, poiché, pur riconoscendo vittoriosa l’avv. Ad.Fr. nei confronti di quattro appellate, non le riconosce alcunché a titolo di spese legali, compensandole, e la condanna a rifonderle nei confronti di cinque appellate dichiarate vittoriose, nella misura di Euro 5.532,00, oltre rimborso spese generali, cpa e iva come per legge dovuti, in solido con Ca.Mi. e Ca.Gi., i quali vengono per di più condannati a rifonderle anche alle appellate soccombenti, rendendo in tal modo la pronuncia sostanzialmente svantaggiosa per gli appellanti, i quali a fronte di Euro 40.000,00 riconosciuti alla Ad.Fr. a titolo di risarcimento del danno e interessi, dovranno pagare la somma lorda di Euro. 72.646,65, per il solo secondo grado di giudizio (8.071,85 per ciascuna parte), di cui 40.359,25 dovranno essere pagate in solido da tutte e tre le parti appellanti. Deducono che le tesi difensive dell’avv. Ad.Fr. sono state parzialmente accolte nei confronti della RA., La Repubblica, IL GIORNALE DI.SI. e Il.So. e, dunque, le appellate dovevano essere condannate a rifondere le spese legali di entrambi i gradi di giudizio in favore dell’appellante vittoriosa, quantomeno in percentuale rispetto alle somme dovute in applicazione delle tabelle professionali. Ancor più incomprensibile per i ricorrenti è la ragione per la quale la Corte d’Appello ha ritenuto che le parti Ma.Mo. ed Ma.Ez. debbano essere tenute distinte in punto di condanna alle spese rispetto ai periodici di cui sono direttori, RA. e La Repubblica. A tal fine si deduce che la responsabilità del direttore della testata opera ex lege, senza che sia necessario per il danneggiato provare il suo omesso controllo sulla testata giornalistica diretta. Ciò renderebbe la condanna alle spese in favore dei direttori del tutto illogica e lo è ancor di più se si considera che il cronista Gi.Ga. viene, invece, considerato unica parte processuale unitamente a LI.IN. in punto di condanna alle spese di lite. Reputano parimenti ingiusta la condanna in solido dell’avv. Ad.Fr. e dei suoi figli nei confronti delle appellate che non hanno diffuso la falsa notizia del suo concorso esterno in associazione mafiosa, posto che non tutte le eccezioni delle appellate sono state accolte dai Giudici d’Appello. Censurano la condanna alle spese di lite di Ca.Mi. e Ca.Gi., i quali sono stati ritenuti totalmente soccombenti, in favore delle testate giornalistiche ritenute responsabili di aver diffamato la loro madre, imponendo di pagare all’avv. Ad.Fr. 10.000,00 Euro a ciascuna testata (comprensive di interessi), mentre i suoi figli devono pagarne 8.071,85 al lordo di iva cpa e spese forfettarie, per il solo grado di appello. L’illogicità di tale statuizione non terrebbe conto del fatto che i medesimi fanno parte dello stesso nucleo familiare e che il loro patrimonio familiare è destinato a confondersi, essendo i figli gli unici e futuri eredi legittimari dell’avv. Ad.Fr. In relazione alle parti che si sono avvalse delle medesime difese tecniche (RA., Ma.Mo., R.C. e IL.SO. – GE. GRUPPO EDITORIALE e Ma.Ez.), infine, ritengono che le spese di lite avrebbero dovuto essere accorpate, nella considerazione che questi hanno condiviso le spese legali per resistere nel giudizio d’appello. Per tutte le suesposte ragioni assumono che la Corte d’Appello abbia errato in punto di condanna alle spese, violando gli art. 91 e 92 c.p.c., per avere da un lato compensato le spese in relazione alla posizione dell’avv. Ad.Fr. e le testate giornalistiche ritenute responsabili, quando invece avrebbe dovuto disporre la condanna alle spese, anche in forma ridotta, delle soccombenti (cfr. Cassazione civile sez. VI, 18/03/2019, n. 7630); e dall’altro per avere condannato l’avv. Ad.Fr. e i propri figli Ca.Mi. e Ca.Gi. a rifondere per intero le spese legali in favore delle altre appellate, nonostante molte delle loro eccezioni fossero state rigettate, e per avere addirittura condannato Ca.Mi. e Ca.Gi. a rifondere le spese per intero nei confronti degli editori che hanno diffamato la loro madre, quando, invece avrebbe dovuto compensarle, in base al principio di diritto espresso dalla stessa Corte a sostegno della compensazione applicata. Il motivo è inammissibile in quanto palesemente infondato.

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42. Osserva il Collegio che le contestazioni in merito ai provvedimenti sulla ripartizione delle spese legali attengono al merito della decisione e non a presunte violazioni delle disposizioni di legge citate che sanciscono il criterio della soccombenza e, più in generale, il principio di causalità nella ripartizione delle spese tra parte vittoriosa e soccombente. Occorre pertanto rilevare la correttezza in iure della sentenza perché, ove vi è stata soccombenza vi è stata liquidazione delle spese a favore delle parti che si sono costituite, ciascuna in considerazione della propria posizione processuale; ove vi è stata soccombenza reciproca, le spese sono state compensate.

43. Va all’uopo rammentato che in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c. (Cass. Sez. U., Sentenza n. 32061 del 31/10/2022 Rv. 666063-01). Sicché la nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92, comma 2, c.p.c.), si verifica – anche in relazione al principio di causalità – nelle ipotesi in cui vi sia una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che siano state cumulate nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero venga accolta parzialmente l’unica domanda proposta, sia essa articolata in un unico capo o in più capi, dei quali siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 20888 del 22/08/2018).

44. Conclusivamente, vanno rigettati i ricorsi incidentali, mentre il ricorso principale va dichiarato inammissibile. Per l’effetto le spese del presente grado sono compensate tra GE. + altri e RA. + altri, da una parte, e i ricorrenti principali, dall’altra; mentre i ricorrenti in via principale sono condannati al pagamento delle spese a favore della Sa.Do., vittoriosa nei loro confronti, e liquidate come di seguito.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta i ricorsi incidentali. Compensa integralmente le spese processuali tra i ricorrenti principali e incidentali. Condanna i ricorrenti in via principale al pagamento, in favore della controricorrente Sa.Do. Spa delle delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento all’ufficio di merito competente, da parte dei ricorrenti in via principale e in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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