In tema di reati concernenti l’inosservanza dei provvedimenti del questore che impongono il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive

Corte di Cassazione,sezione terza penale, sentenza 15 marzo 2018, n. 11923.

In tema di reati concernenti l’inosservanza dei provvedimenti del questore che impongono il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive o l’obbligo di comparizione presso un ufficio di polizia durante il loro svolgimento, il controllo giurisdizionale di legalita’ sui presupposti dell’azione amministrativa si esaurisce nella fase della convalida dinanzi al G.i.p., sicche’ l’omessa deduzione, in tale sede, delle relative eccezioni o il rigetto di esse da parte del giudice e, poi, eventualmente, della Corte di Cassazione conferiscono al provvedimento amministrativo convalidato una forza corrispondente a quella del giudicato interno, preclusiva di ulteriore censurabilita’ in sede cognitiva.

Sentenza 15 marzo 2018, n. 11923
Data udienza 31 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – rel. Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 14/09/2017 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa DI STASI Antonella;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PERELLI Simone, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso;

udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), quale sostituto processuale dell’avv. (OMISSIS) che ha concluso riportandosi ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14/09/2017, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del 10.10.2014 del Tribunale di Milano, con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, (OMISSIS) era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’articolo 6, comma 6 Decreto Legislativo – perche’ non si presentava presso l’Ufficio Ricezione Denunce della Questura di Milano trenta minuti dopo l’inizio e trenta minuti prima della fine di ogni incontro di calcio disputato dalla squadra dell’ (OMISSIS), come da ordinanza n. 5/2012 emessa in data 1.2.2012 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli e notificatagli in data 8.2.2012 – e condannato alla pena di anni due di reclusione ed Euro 20.000 di multa.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, articolando cinque motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Con il primo motivo deduce errata applicazione della L. n. 401 del 1989, articolo 6, comma 3 e nullita’ dell’ordinanza n. 5/12 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano per violazione del diritto di difesa.

Argomenta che l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, aveva convalido l’obbligo di comparizione, provvedimento restrittivo della liberta’ personale, in un termine inferiore alle 48 decorrenti dalla richiesta di convalida del PM; deduce che l’eccezione viene sollevata per la prima volta in sede di legittimita’ trattandosi di eccezione ex articolo 178 c.p.p., lettera c) e, ove non accolta, dichiara di sollevare questione di legittimita’ costituzionale della L. n. 401 del 1989, articolo 6, comma 3 per violazione degli articoli 3, 13, 24 Cost. nella parte in cui prevede che l’ordinanza di convalida del Giudice per le indagini preliminari sia emessa in un termine inferiore a 48, decorrente dalla richiesta di convalida del P.M..

Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilita’, censurando le argomentazioni della Corte territoriale nella parte in cui avevano ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato e respinto il motivo di gravame che contestava la sussistenza di tale elemento per le scarse capacita’ cognitive dell’imputato che aveva dichiarato di non aver compreso il contenuto del provvedimento “daspo” notificatogli.

Con il terzo motivo deduce violazione dell’articolo 133 cod. pen. e correlato vizio di motivazione in relazione alla pena inflitta, lamentando che la Corte territoriale non aveva considerato le circostanze allegate dall’imputato per giustificare una pena prossima al minimo edittale, ma solo i precedenti penali.

Con il quarto motivo deduce violazione dell’articolo 62 bis cod. pen. e correlato vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale aveva confermato il diniego delle circostanze attenuanti generiche per i suoi numerosi precedenti penali, senza confutare nel merito le argomentazioni formulate dalla difesa dell’imputato.

Con il quinto deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’applicazione della misura di sicurezza della liberta’ vigilata, lamentando che, nonostante specifico motivo di appello che rilevava l’assenza di motivazione sul punto da parte del Tribunale, anche la Corte territoriale ometteva la motivazione sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente pone sostanzialmente in discussione la legittimita’ del provvedimento questorile, e’ inammissibile.

Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, in tema di reati concernenti l’inosservanza dei provvedimenti del questore che impongono il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive o l’obbligo di comparizione presso un ufficio di polizia durante il loro svolgimento, il controllo giurisdizionale di legalita’ sui presupposti dell’azione amministrativa si esaurisce nella fase della convalida dinanzi al G.i.p., sicche’ l’omessa deduzione, in tale sede, delle relative eccezioni o il rigetto di esse da parte del giudice e, poi, eventualmente, della Corte di Cassazione conferiscono al provvedimento amministrativo convalidato una forza corrispondente a quella del giudicato interno, preclusiva di ulteriore censurabilita’ in sede cognitiva (Sez. 3, n. 39408 del 26/9/2007, Rv. 238022; Sez. 3, n. 4949 del 17/12/2014, dep. 03/02/2015, Rv. 262477; Sez. 3, n. 6779 del 11/06/2015, dep. 22/02/2016 Rv. 266777).

A tanto consegue anche l’irrilevanza della questione di legittimita’ sollevata, in quanto relativa a norma che non ha rilievo applicativo nel presente procedimento.

2. Il secondo motivo di ricorso e’ infondato.

L’accertamento del dolo, quale prova della coscienza e volonta’ del fatto, costituisce un accertamento di fatto volto a conoscere e ricostruire il fatto storico e deve fondarsi sulla considerazione di tutte le circostanze esteriori dello stesso.

Nella specie, la motivazione offerta dai Giudici di merito a fondamento dell’accertamento dell’elemento psicologico ha tenuto conto di tutti gli elementi fattuali rilevanti, e si connota come adeguata e priva di vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimita’.

Il ricorrente, peraltro, attraverso una formale denuncia di vizi di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.

3. Il terzo motivo di ricorso e’ infondato.

Costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base (ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) e’ necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale, ipotesi che non ricorre nella specie.

Fuori di questo caso anche l’uso di espressioni come “pena congrua”, “pena adeguata” (come nella specie), “pena equa”, “congrua riduzione”, “congruo aumento” o il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere dell’imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’articolo 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al “quantum” della pena (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009 Rv. 245596; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Rv. 256197).

4. Il quarto motivo di ricorso e’ infondato.

Secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione, individuando, tra gli elementi di cui all’art.133 c.p., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalita’ dell’imputato (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244; sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv. 230691).

Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche a cagione dei precedenti penali, ritenendo assolutamente prevalente il richiamo, alla personalita’ negativa dell’imputato, quale emergente dal certificato penale, per negare l’invocato beneficio (cfr in merito alla sufficienza dei precedenti penali dell’imputato quale elemento preponderante ostativo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826; Sez. 1, n. 12787 del 05/12/1995, Rv. 203146).

5. Il quinto motivo di ricorso e’ fondato.

La L. n. 401 del 1989, articolo 6, comma 7 prevede che con la sentenza di condanna per i reati di cui al comma 6, il giudice puo’ disporre la pena accessoria di cui al Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 1, comma 1 bis, lettera a) conv. nella L. 25 giugno 1993, n. 256 e, cioe’, l’obbligo di prestare un’attivita’ non retribuita a favore della collettivita’ per finalita’ sociali o di pubblica utilita’; nella specie, e’ stata invece erroneamente applicata, quale pena accessoria, “l’obbligo di rientrare quotidianamente nella propria abitazione entro le ore 20 e di non uscirne prima delle ore 7 per un periodo di anni uno”, pena accessoria non prevista dalla legge.

6. La sentenza, pertanto, va annullata senza rinvio sul punto, con eliminazione della pena accessoria illegalmente irrogata.

Il ricorso va, invece, rigettato in relazione agli altri motivi proposti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla irrogazione della pena accessoria di cui al Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 1, comma 1 bis, lettera a) conv. nella L. 25 giugno 1993, n. 256, che elimina; rigetta nel resto il ricorso.

Motivazione semplificata.

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