CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza 7 gennaio 2014, n. 69

Svolgimento del processo

Il dr. V.R. , giudice presso il Tribunale di Ferrara, è stato incolpato dell’illecito disciplinare di cui agli artt. 1 e 2, comma 1, lett. a, del D.lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, perché, dopo essere già incorso in alcuni gravi e reiterati ritardi nel periodo maggio 2008-maggio 2010, per i quali si era già disposta l’archiviazione del procedimento dal P.G. presso la Corte di Cassazione, in quello successivo dal 1 luglio al 31 dicembre 2010, depositava oltre i termini di legge trenta sentenze civili, di cui ventiquattro con ritardi superiori all’anno (quattordici, con ritardi di oltre 400 giorni, con un massimo di giorni 496, sei, dopo oltre 500 giorni con un massimo di giorni 561 e quattro, oltre i seicento giorni), omettendo anche il deposito di 22 sentenze di lavoro e 15 provvedimenti che si era riservato di decidere, di cui all’elenco allegato alla sentenza della sezione disciplinare del C.S.M. n. 62/2013 del 10 maggio – 12 giugno 2013, oggetto del presente ricorso.
All’incolpato; nel corso del procedimento, erano stati poi contestati altri sedici ritardi nel deposito di sentenze ordinarie e di lavoro, da un minimo di 49 giorni ad un massimo di 348 giorni e due eccedenti l’anno nel periodo dal 31 dicembre 2010 al settembre 2011. La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura (da ora: C.S.M.); con sentenza di cui sopra, ha dichiarato il dr. V. responsabile dell’illecito disciplinare di cui sopra, rilevando che i ritardi contestati all’incolpato eccedevano il triplo dei termini di legge per il deposito e quindi erano, per tale loro durata “gravi”, oltre ad essere ingiustificati, in quanto eccedenti l’anno, cioè la durata ragionevole del giudizio civile di cassazione secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo, non risultando neppure dedotta dal magistrato alcuna causa di giustificazione per tali comportamenti consistiti nei ritardati depositi delle pronunce giurisdizionali di cui era stato estensore (sono citate dal C.S.M., a sostegno dell’affermazione di responsabilità, i precedenti di S.U. 13 settembre 2011 n.ri 18696.18697,18698 e 18699, 17 gennaio 2012 n. 528 e 20 maggio 20012 n. 8409).
Il C.S.M. ha rilevato che, per il periodo di riferimento giugno – dicembre 2010 vi erano stati ritardi di oltre un anno nel deposito di ventiquattro sentenze civili, così come analogo era il pregresso ritardato deposito di altre sei decisioni, anteriori al maggio 2010, per le quali si era già disposta dal P.G. l’archiviazione dell’incolpazione e in altri due casi successivi fino al 16 aprile 2012. Ritenuto inapplicabile l’art. 429, 1 comma, relativo alla materia del lavoro, in cui il giudice può fissare un termine non superiore a sessanta giorni per il deposito dei suoi provvedimenti, con riferimento ai due ultimi ritardi contestati del 2012, in quanto il termine di legge deve nel caso identificarsi con quello indicato dallo stesso giudice chiaramente violato e dovendo di regola applicarsi il termine di deposito di cui all’art. 430 c.p.c., il C.S.M. ha ritenuto che i 28 ritardi eccedenti l’anno nel periodo 2010 – 2012 erano da considerare reiterati e ingiustificati, anche a tener conto della seria patologia che aveva colpito la moglie del magistrato nel 2005, data la buona organizzazione dell’ufficio in cui il dr. V. svolgeva il lavoro. Esclusa l’esimente dell’art. 3 bis del D.Lgs. n.109 del 2006, essendo dato certo che la durata eccessiva del processo danneggia direttamente le parti e che ciò è sufficiente a dar luogo alla compromissione dell’immagine della magistratura, per cui i fatti contestati dovevano considerarsi rilevanti sul piano disciplinare, il C.S.M. ha riconosciuto che la buona professionalità del magistrato sul piano qualitativo evidenziata nei suoi provvedimenti giustificasse la applicazione della sanzione, nella misura minima di legge, della “censura”.
Per la cassazione della sentenza che precede della sezione disciplinare del C.S.M. del 12 giugno 2013, il dr. V.R. ha proposto ricorso di tre motivi.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso il dr. V. denuncia la violazione del principio del ne bis in idem, di cui all’art. 649 c.p.p., e all’art. 16, comma 5 bis, del D.Lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, per avere il P.G. nuovamente proposto l’azione disciplinare, contestando anche alcuni ritardi nel deposito di sentenze per gli anni 2008 e 2009, dopo avere per tali condotte disposto esso stesso decreto di archiviazione del procedimento disciplinare.
Richiamata la giurisprudenza di questa Corte per cui è illegittimo il nuovo avvio delle indagini in ordine a fatti già addebitati ad un magistrato per i quali si sia disposta l’archiviazione dallo stesso P.G., mancando la richiesta del Ministro della giustizia di nuova fissazione dell’udienza di discussione al presidente della sezione disciplinare (si cita S.U. 5 luglio 2011 n. 14664), il ricorrente afferma che, nella fattispecie, mancavano gli elementi nuovi che avrebbero consentito di riavviare le indagini dopo l’archiviazione, costituendo i ritardi contestati fatti diversi rispetto a quelli successivi oggetto del presente giudizio. Nel ricorso si fa presente che la rilevata preclusione della riapertura delle indagini, si riferisce espressamente al caso di assenza di nuovi elementi, che nella fattispecie realmente non vi erano, per cui l’azione disciplinare era improponibile dopo l’archiviazione disposta in precedenza.
1.2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
In ordine al deposito tardivo di sentenze precedenti a quelle del secondo semestre del 2010, le stesse sono infatti richiamate nella incolpazione solo come indizio di una tendenza del magistrato a ritardare il deposito dei provvedimenti giurisdizionali di cui è estensore, già rilevata prima dei fatti di cui alla contestazione per la quale il dr. V. , “nonostante i ripetuti richiami e solleciti del Presidente del Tribunale di (…), ha persistito, anche successivamente, in tale condotta”.
I ritardi nei depositi di sentenze di cui alla contestazione di cui l’incolpato è stato chiamato a rispondere al C.S.M. sono quindi solamente quelli del periodo dal 1 luglio al 31 dicembre 20101 accertati il 15 febbraio 2011 e si sono verificati in rapporto a ventiquattro sentenze, depositate tutte oltre un anno dopo la riserva di decisione in quel periodo, cui si sono aggiunti successivamente altri ritardi di oltre il triplo dei termini di legge per il deposito dopo il 31 dicembre 2010, avutisi nel deposito di altre sedici sentenze, di cui dieci ordinarie civili (due di tali ritardi sono stati ultrannuali: R.G. 2092/02 e 2005/88) e sei in materia di lavoro.
Il limite di un anno per il deposito delle sentenze, che questa Corte ha ritenuto astrattamente massimo per l’applicazione di eventuali esimenti e per la individuazione dall’esterno della astratta fattispecie disciplinare, non esclude che, al fine di valutare i comportamenti del magistrato e la sanzione da irrogare, il C.S.M. possa tenere conto anche degli ulteriori ritardi eccedenti il triplo dei termini di legge nei quali, oltre che nei ventiquattro ultrannuali contestati, è incorso il dr. V. . Pertanto il primo motivo di ricorso è infondato, censurando una pretesa estensione della sentenza disciplinare a ritardi non compresi nella contestazione, dato che il C.S.M. ha soltanto rilevato condotte precedenti analoghe a quelle oggetto di contestazione, senza inserirle nell’incolpazione, nella quale sonno compresi i soli ritardi successivi al 1 luglio 2010, anche se nella valutazione della condotta del magistrato non poteva non darsi rilievo ai precedenti costituiti da comportamenti analoghi, al solo fine di rilevare l’atteggiamento professionale di mancato rispetto dei termini di deposito delle sentenze dall’incolpato, analogo a quello per il quale si è affermata la sua responsabilità (cfr., in questo senso, S.U. 25 gennaio 2013 n. 1769 citata nello stesso ricorso).
2.1. Il secondo motivo di ricorso deduce che il C.S.M. non ha tenuto conto del grave infortunio occorso al magistrato nel 2012 e della operosità dello stesso in materie non omogenee, emergente dalla mancata impugnazione di gran parte dei provvedimenti del ricorrente, del cui tardivo deposito egli è stato ritenuto responsabile.
Lo stesso ricorso deduce che il V. , nel solo secondo semestre del 2010, depositò 24 sentenze del rito ordinario oltre un anno dopo la riserva di decisione, mentre nei due anni successivi soltanto due decisioni all’anno risultano depositate con tale ritardo, quasi vi fosse una presunzione di colpa nella sussistenza di depositi ultra annuali di provvedimenti giurisdizionali, con una scelta ermeneutica del C.S.M. pericolosa, che potrebbe spingere i magistrati a rinviare le riserve per le decisioni.
2.1. Il secondo motivo di ricorso imposta la difesa come se la violazione del termine annuale riguardasse una previsione normativa, che determinasse in tale periodo di tempo il massimo per il deposito delle sentenze previsto nel codice di rito, al primo comma dell’art. 275 c.p.c..
In realtà, tale ultima norma misura i termini di legge per i depositi in “giorni” decorrenti da adempimenti delle parti, mentre nella fattispecie vi sono stati ritardi da commisurare all’anno e oltre tale periodo; nell’assoluta carenza di cause giustificatrici di tali condotte, come già affermato da questa Corte, il ritardo di un anno nel deposito dei provvedimenti certamente integra l’illecito disciplinare contestato che quindi sussiste nella condotta del V. che ha dato luogo a 22 ritardi ultrannuali nell’ultimo semestre del 2010 e ad altri due tardivi depositi di sentenze ultrannuali nell’anno 2011, oltre tutto in un contesto di molteplici violazioni analoghe dei propri doveri professionali dal magistrato; nella tempestività dei depositi prima e dopo quelli di cui alla incolpazione che precede.
Proprio la riduzione rilevante dei ritardi successivamente ai fatti contestati o la limitatezza di quelli precedenti, ha escluso la rilevanza disciplinare di tali condotte, facendo peraltro emergere ancor più la gravità degli ingiustificati ritardi nel deposito delle sentenze di cui alla contestazione, per la quale anche il secondo motivo di ricorso non può che rigettarsi.
Va inoltre considerata comunque la preclusione che può derivare dalla non autosufficienza del ricorso, in ordine ad esimenti connesse a pretesi motivi di salute del dr. V. ostativi ad una tempestiva pubblicazione delle sentenze nel periodo del secondo semestre 2010 di cui alla contestazione.
3. Si lamenta infine, con il terzo motivo di ricorso, la contraddittorietà della motivazione della sentenza del C.S.M. in ordine alla mancata applicazione dell’esimente di cui all’art. 3 bis del D.Lgs. n. 109 del 2006, avendo il C.S.M. escluso che la mancata impugnazione della gran parte delle pronunce di cui alla contestazione e delle altre sentenze redatte dal dr. V. , potesse giustificare l’applicazione della indicata causa di giustificazione, in un contesto nel quale la stessa sentenza del C.S.M. rileva pure la laboriosità e correttezza dell’incolpato nell’esercizio della professione.
3.1. Anche il terzo motivo di ricorso va respinto. Invero, il problema non è quello dell’immagine del singolo magistrato ma della lesività del comportamento di questo per l’immagine o l’onorabilità di tutta la magistratura, spesso criticata dall’opinione pubblica per i ritardi delle decisioni e la lentezza con cui opera.
La condotta del dr. V. concorre a disegnare un’immagine della magistratura poco produttiva e ritardataria nel deposito dei suoi provvedimenti, che non può che integrare la fattispecie disciplinare per cui è stato condannato, con la sanzione minima della censura.
In conclusione, il ricorso deve rigettarsi, per la gravità dei ventidue ritardi ultra annuali nel deposito delle sentenze del secondo semestre 2010 di cui alla contestazione, ritardi per i quali alcuna giustificazione è stata fornita dal V. che, sia prima che dopo tale periodo, ha tenuto comportamenti analoghi di tardivi depositi sia pure inferiori all’anno, che hanno concorso ad escludere ogni esimente per la violazione dell’ordinamento giudiziario di cui è stato incolpato e sanzionato nella misura minima della censura, in ragione della condotta per altri versi ritenuta dal C.S.M. irreprensibile e della professionalità evidenziata dal dr. V. nella stesura degli stessi provvedimenti tardivamente depositati.
4. Nulla per le spese, non essendosi difeso in questa sede il Ministero della giustizia per resistere alla impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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