Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza 5 gennaio 2016, n. 29

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f.

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente di Sez.

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5659-2013 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BAGNOLO SAN VITO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6/2013 del TRIBUNALE di Brescia – Sezione distaccata di BRENO, depositata il 16/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/2014 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per la dichiarazione, d’ufficio, del difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – In data 7-8 giugno 2012, il Comune di Bagnolo San Vito (MN) notifico’ ad (OMISSIS) ingiunzione fiscale n. (OMISSIS) prot. – emessa ai sensi del Regio Decreto 14 aprile 1910, n. 639, articolo 2 sulla base di due avvisi di accertamento, n. 224 del 3 dicembre 2009 e n. 149 del 2 novembre 2010, nonche’ della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Mantova n. 181/02/11 del 19 maggio 2011 -, intimandole il pagamento della somma di euro 127.846,00, a titolo di imposta comunale sugli immobili (I.C.I.) per gli anni 2006 e 2007, oltre interessi e spese, dalla stessa dovuta in relazioni a terreni di sua proprieta’ siti in detto Comune.

Successivamente, in data 28-29 giugno 2012, il Comune di Bagnolo San Vito notifico’ ad (OMISSIS) altra ingiunzione fiscale n. (OMISSIS) prot. – emessa ai sensi del Regio Decreto n. 639 del 1910, articolo 2 sulla base dell’avviso di accertamento n. 66 del 4 febbraio 2011, nonche’ della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Mantova n. 21/01/12 del 16 febbraio 2012 -, intimandole il pagamento della somma di euro 62.930,00, a titolo di imposta comunale sugli immobili (I.C.I.) per l’anno 2008, oltre interessi e spese, dalla stessa dovuta in relazioni ai medesimi terreni di sua proprieta’ siti in detto Comune.

1.1. – Con citazione del 5 luglio 2012, la (OMISSIS) propose opposizione – ai sensi del citato Regio Decreto n. 639 del 1910, dell’articolo 3 – avverso dette ingiunzioni, convenendo dinanzi al Tribunale ordinario di Brescia, sezione distaccata di Breno, il Comune di Bagnolo San Vito, per ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni: “In via preliminare: sospendere, Decreto Legislativo n. 150 del 2011, ex articoli 32 e 5 l’efficacia esecutiva delle ingiunzioni fiscali n. (OMISSIS) prot. e (OMISSIS) prot. ….. Nel merito: dichiarare l’inesistenza e/o l’inammissibilita’ e/o la nullita’ e/o l’annullamento e comunque l’inefficacia, per i motivi dedotti in narrativa, delle ingiunzioni fiscali n. (OMISSIS) prot. e (OMISSIS) prot. …. per tutti i motivi dedotti. ….”.

Costituitosi, il Comune convenuto eccepi’ il difetto di giurisdizione del Tribunale ordinario adito, essendo la giurisdizione nella materia oggetto del giudizio attribuita al Giudice tributario, e concluse chiedendo: “In via principale e nel merito: dichiarare inammissibile il ricorso per difetto di competenza recte: giurisdizione, ai sensi e per gli effetti di cui al Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 5 indicando quale Commissione Tributaria Provinciale competente quella di Mantova, essendo l’atto impugnato emesso dal Comune di Bagnolo San Vito (MN) ….”

Il Tribunale adito, con la sentenza n. 6/2013 del 16 gennaio 2013, pronunciata ai sensi dell’articolo 281-sexies cod. proc. civ., ha cosi’, tra l’altro, provveduto: “Dichiara la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere del presente giudizio di opposizione a ingiunzione fiscale Regio Decreto n. 639 del 1910, ex articolo 3 ….; dichiara l’incompetenza per territorio del Tribunale adito a conoscere e decidere del presente giudizio, competente essendo il Tribunale di Mantova ….”.

In particolare, per cio’ che in questa sede ancora rileva, il Tribunale ha cosi’ motivato la decisione:

A) “Il recente Decreto Legislativo n. 150 del 2011 …. prevede, invero, all’articolo 32 che “le controversie in materia di opposizione all’ingiunzione per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti pubblici di cui al …. Regio Decreto 14 aprile 1910, n. 639, articolo 3 sono regolate dal rito ordinario di cognizione”. Il successivo articolo 36, inoltre, stabilisce che le norme del suddetto decreto si applichino ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. Ne deriva che, avendo il giudizio, come detto, l’impugnazione di un’ordinanza ingiunzione emessa dal comune per il recupero di un’imposta comunale ed essendo stata la causa incardinata con citazione notificata al Comune di Bagnolo San Vito nell’aprile 2012, successivamente all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, e’ corretto affermare la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere del presente giudizio sulla base del menzionato articolo 32 con superamento di tutte le questioni sollevate sul punto dalla difesa della parte convenuta, fondate su disposizioni di legge tutte antecedenti le piu’ recenti modifiche normative in tema di semplificazione dei procedimenti civili”.

B) “Va, peraltro, dichiarata la incompetenza per territorio del Tribunale adito a decidere del presente giudizio, competente essendo il foro di Mantova ove si trova il Comune di Bagnolo San Vito autore dell’ingiunzione fiscale. L’eccezione di incompetenza territoriale, invero, e’ da ritenersi insita nella stessa difesa del convenuto che ha indicato la Commissione Tributaria Provinciale di Mantova quale giudice ritenuto territorialmente competente essendo stato l’atto impugnato emesso dal Comune di Bagnolo San Vito (MN). La competenza territoriale del foro di Mantova trova riscontro nella espressa previsione da parte del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 32, comma 2, della competenza del giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto”.

2. – Avverso tale sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso con istanza di regolamento di competenza, deducendo tre motivi di censura, illustrati con memoria, e chiedendo, tra l’altro, alla Corte di cassazione di “annullare la sentenza n. 6/13 …., con la quale il predetto Tribunale ha declinato la propria competenza a conoscere dell’opposizione a ingiunzione fiscale ….; per l’effetto, dichiarare competente lo stesso Tribunale di Brescia, sezione distaccata di Breno, a decidere della causa sopra descritta.

Il Comune di Bagnolo San Vito, benche’ ritualmente intimato, non si e’ costituito ne’ ha svolto attivita’ difensiva.

3. – Assegnato il ricorso alla Sezione 6, sottosezione 1, questa, con ordinanza interlocutoria n. 5434 del 7 marzo 2014, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Il Collegio – riassunta la predetta fattispecie sostanziale e processuale – ha, in particolare, osservato quanto segue:

“Cosi’ richiamati i fatti di causa, si osserva che appare rilevante, ai fini del decidere, il riesame del dibattuto rapporto di pregiudizialita’ tra la questione di giurisdizione e quella di competenza. Ad avviso di questo Collegio, sembra condivisibile l’opinione risalente, un tempo maggioritaria, che la competenza rivesta carattere prioritario: giacche’ l’accertamento della spettanza della giurisdizione – o anche, in radice, dell’esistenza stessa della giurisdizione, in ipotesi di assoluta carenza di azione – non puo’ che essere decisa dal giudice in astratto competente per materia, valore e territorio a conoscere della controversia, sulla base della prospettazione della domanda. In virtu’ del principio che ogni giudice e’ competente a decidere della propria competenza, sembra evidente che tale accertamento sia pregiudiziale rispetto a qualunque altra questione, di rito o di merito, costituendo un riflesso del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (articolo 25 Cost.): tanto piu’, rispetto a questioni, come quella della giurisdizione, suscettibili di pronuncia con attitudine a preclusione pro judicato (Cass., sez. unite, 17 dicembre 2007 n. 26483). Che l’esistenza, o no, della potestas judicandi nel caso concreto possa essere accertata da un giudice potestativa mente individuato dalla parte – eventualmente in violazione di tutti i criteri di radicamento della competenza – appare, infatti, tesi del tutto eccentrica ai principi generali che informano il processo; e certo, non assimilabile all’evenienza, tutt’altro che rara, di statuizione sulla giurisdizione emessa da giudice ritenutosi erroneamente competente: non inficiata, a differenza della prima, da incompatibilita’ di decisum, e dunque intimamente coerente, restando solo soggetta ad un fisiologico sindacato nella naturale sede di impugnazione. Ne’ si puo’ sostenere, sotto altro profilo, che l’accertamento sulla sussistenza della giurisdizione resti salvo all’esito di translatio iudicii al giudice competente. La conservazione degli effetti processuali (oltre che sostanziali, come l’interruzione-sospensione della prescrizione, l’efficacia della trascrizione, l’impedimento di decadenze, ecc.) e’ preservata in ordine ai soli atti istruttori – e cioe’, tipicamente, le prove assunte: che non degradano ad argomenti sussidiari di prova ex articolo 116, secondo comma, cod. proc. civile, come invece nella trasmigrazione tra giurisdizioni diverse (Legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 59, comma 5) – ed eventualmente cautelari (principio affermato, sia pure con efficacia interinale, dall’articolo 15 c.p.a., comma 7 e dall’articolo 27 cod. proc. pen.). Ma non certo per le sentenze, che vengono, per definizione, travolte ex post dall’accoglimento del regolamento di competenza, necessario, facoltativo o d’ufficio: e che dunque nascerebbero inutiliter datae nell’ipotesi speculare di un’incompetenza dichiarata ex ante. Con l’unica eccezione, senza dubbio vistosa, della sentenza dichiarativa di fallimento pronunziata dal giudice incompetente: fatta salva dalla norma – di natura speciale, se non eccezionale – di cui al novellato articolo 9-bis, L.F.. Nell’ottica della ricostruzione dogmatica condivisa da questo Collegio appare dunque oggettivamente contraddittorio il provvedimento del Tribunale di Brescia – sezione distaccata di Breno che afferma la giurisdizione del giudice ordinario in una controversia della quale si dichiara contestualmente incompetente, per territorio, a conoscere. Con l’ulteriore corollario che tale accertamento positivo resta tamquam non esset; onde questa Corte, investita di un regolamento – definibile, per l’effetto, incontestabilmente necessario – potrebbe rilevare d’ufficio la carenza di giurisdizione del giudice ordinario in ordine ad una controversia di natura tributaria (in tema di I.C.I.), rimessa alla cognizione delle commissioni tributarie: in conformita’ con l’indirizzo assolutamente costante secondo cui il fatto che l’opposizione ad ingiunzione prevista dal Regio Decreto 14 aprile 1910, n. 639, articolo 3, dia luogo ad un ordinario processo di cognizione – in cui e’ assicurata al privato destinatario la possibilita’ di contestare e, ricorrendone gli estremi, di far cadere la pretesa fatta valere in ingiunzione, mediante l’accertamento negativo della sussistenza dei presupposti di legge cui viene rapportata l’obbligazione – non e’ rilevante ai fini della soluzione della questione di giurisdizione: in quanto la norma in esame non reca deroga all’ordinario riparto di giurisdizione nel vigente ordinamento giuridico e pertanto non puo’ essere invocata per ricondurre nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice ordinario vertenze che, con riguardo alla natura dei rapporti in esse dedotti, debbano essere riservate alla cognizione di altro giudice (Cass., sez. un., 08/02/2013, n. 3043; Cass., sez. un., 18/12/2008, n. 29529; Cass. sez. un. 1232/2002). Per pervenire ex officio a tale riaffermazione di principio non sarebbe necessario, in ultima analisi, procedere al revirement (sollecitato nelle conclusioni dei P.G.) della giurisprudenza di legittimita’, preclusiva, per contro, del rilievo officioso nell’ambito di un regolamento facoltativo di competenza (Cass., sez. 3, 12 novembre 1999 n. 12566; Cass., sez. unite 23 giugno 1995 n. 7086); pur se condivisibili, al riguardo, appaiono le argomentazioni dell’organo requirente. La dizione testuale dell’articolo 37 cod. proc. civ. (“Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali e’ rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”), sembra infatti prescindere – fuori dell’ipotesi di un giudicato, anche implicito – dal limite, connaturale al principio devolutivo, dell’articolazione di un motivo ad hoc. Questo collegio deve peraltro prendere atto che la ricostruzione dogmatica suesposta, recepita, in passato, dalla giurisprudenza di legittimita’ e da autorevole seppur risalente dottrina – anche sulla base dell’argomento sussidiario (per la verita’, di piu’ dubbia consistenza) che la questione di giurisdizione abbia natura di merito – e’ stata contraddetta in taluni precedenti di questa Corte, ove si assegna, invece, alla giurisdizione una posizione gradatamente prioritaria, sotto il profilo logico, rispetto alla questione di competenza (Cass., sez. unite 26483/2007 cit.; Cass., sez. unite 22 aprile 1999 n. 248, nessuna delle quali, peraltro, emessa a composizione di un contrasto giurisprudenziale). Si palesa dunque necessario rimettere di nuovo la problematica alle sezioni unite per un’eventuale rivisitazione critica dell’indirizzo piu’ recente: muovendo dal rilievo che la questione della giurisdizione, pur se in astratto preliminare in rapporto alla competenza, che ne rappresenta una frazione – principio richiamato nella ratio decidendi riprodotta nelle relative massime e su cui si dovrebbe consentire, ove a decidere fosse ab initio la Corte di legittimita’, deputata a dirimere in via definitiva il riparto di giurisdizione e di competenza – non si traduce in pregiudizialita’ giuridica qualora sia invece il giudice di primo grado (potestativamente adito dalla parte attrice) ad esaminarla; e che dovrebbe invece astenersene, ove riconosca di non essere stato correttamente individuato: riservandone la cognizione, unitamente al merito, al diverso giudice da lui ritenuto competente”.

4. – Assegnato il ricorso all’udienza pubblica delle Sezioni Unite, all’esito dell’odierna udienza di discussione, il Procuratore generale ha concluso, chiedendo, in via principale, di dichiarare d’ufficio il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario e, in subordine, il rigetto del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo (con cui deduce: “La corretta qualifica dell’eccezione preliminare sollevata dal Comune di Bagnolo San Vito in termini di eccezione di giurisdizione”), con il secondo (con cui deduce: “La competenza territoriale in materia di opposizione ad ingiunzione fiscale. La rilevabilita’ di ufficio dell’eccezione di incompetenza”) e con il terzo motivo (con cui deduce: “La tempestivita’ del rilievo d’ufficio dell’incompetenza territoriale”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, la ricorrente critica la sentenza impugnata, e – premesso, in primo luogo, che e’ condivisibile l’affermazione del Giudice a quo, di sussistenza della giurisdizione del Giudice ordinario in forza del combinato disposto delDecreto Legislativo n. 150 del 2011, articoli 32 e 36 e, in secondo luogo, che il Comune convenuto, con la comparsa di costituzione e risposta, aveva sollevato esclusivamente un’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice ordinario adito a conoscere la controversia promossa dalla stessa ricorrente – sostiene che il Giudice a quo ha erroneamente: a) “…. pronunciato sull’incompetenza territoriale del giudice di primo grado adito, pur non essendo stata formulata ritualmente un’eccezione in tal senso ….”; b) “…. ritenuto che tale eccezione possa desumersi per implicito dalle difese del convenuto ….”; c) “…. ritenuto ritualmente formulata un’eccezione di incompetenza in cui il giudice che il convenuto riteneva, in ipotesi, territorialmente competente, e’ stato indicato in modo errato (il Comune indicava infatti come competente la Commissione Tributaria di Mantova, non il Tribunale di Mantova), in spregio a quanto previsto dall’articolo 38 c.p.c.”; d) “…. rilevato d’ufficio la propria incompetenza territoriale, pur non prevedendo la legge (Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 32) per le opposizioni alle ingiunzioni fiscali un foro funzionale e inderogabile”; e) “non rilevato la propria incompetenza territoriale in favore del giudice funzionalmente competente alla prima udienza ex articolo 183 c.p.c.”.

2. – La fattispecie alla base del ricorso in esame sta in cio’:

a) che il Tribunale ordinario di Brescia – investito da un’opposizione ad ingiunzione in materia di I.C.I., promossa ai sensi del Regio Decreto 14 aprile 1910, n. 639, articolo 3 (Testo unico delle disposizioni di legge relative alla procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici, dei proventi di demanio pubblico e di pubblici servizi e delle tasse sugli affari), ed a fronte dell’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice adito in favore del Giudice tributario sollevata dal Comune impositore convenuto – ha, in primo luogo, affermato la giurisdizione del Giudice ordinario a conoscere la controversia in forza del Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, articolo 32 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi della Legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 54), e, in secondo luogo, ha dichiarato la propria incompetenza per territorio, indicando come competente il Tribunale ordinario di Mantova, “essendo stato l’atto impugnato emesso dal Comune di Bagnolo San Vito (MN)”;

b) che, avverso tale pronuncia, l’opponente – la quale condivide l’affermata giurisdizione del Giudice ordinario a conoscere la controversia – ha proposto regolamento di competenza, chiedendo di “annullare la sentenza …., con la quale il predetto Tribunale ha declinato la propria competenza a conoscere dell’opposizione a ingiunzione fiscale ….; per l’effetto, dichiarare competente lo stesso Tribunale di Brescia – sezione distaccata di Breno a decidere della causa sopra descritta ….”.

3. – L’ora descritta fattispecie processuale pone dunque, alla luce delle considerazioni svolte dalla su riprodotta ordinanza di rimessione a queste Sezioni Unite, la seguente specifica questione:

– se, qualora avverso una sentenza di primo grado – con la quale il giudice ordinario adito abbia esaminato e deciso sia una questione di giurisdizione, dichiarando esplicitamente la giurisdizione del giudice ordinario, sia una questione di competenza, dichiarando la propria incompetenza per territorio ed indicando il diverso giudice ritenuto territorialmente competente – sia stato proposto regolamento di competenza, la Corte di cassazione possa o no, in tale sede, rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione del giudice ordinario originariamente adito.

4. – L’ordinanza di rimessione a queste Sezioni Unite sollecita opportunamente – ai sensi dell’articolo 374 c.p.c., comma 2, in presenza di non univoci orientamenti della Corte, come si vedra’ -, “il riesame del dibattuto rapporto di pregiudizialita’ tra la questione di giurisdizione e quella di competenza sembrando condivisibile l’opinione risalente, un tempo maggioritaria, che la competenza rivesta carattere prioritario: giacche’ l’accertamento della spettanza della giurisdizione – o anche, in radice, dell’esistenza stessa della giurisdizione, in ipotesi di assoluta carenza di azione – non puo’ che essere decisa dal giudice in astratto competente per materia, valore e territorio a conoscere della controversia, sulla base della prospettazione della domanda. In virtu’ del principio che ogni giudice e’ competente a decidere della propria competenza, sembra evidente che tale accertamento sia pregiudiziale rispetto a qualunque altra questione, di rito o di merito, costituendo un riflesso del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (articolo 25 Cost.)”, sollecitando altresi’, in particolare, “un’eventuale rivisitazione critica dell’indirizzo piu’ recente: muovendo dal rilievo che la questione della giurisdizione, pur se in astratto preliminare in rapporto alla competenza, che ne rappresenta una frazione – principio richiamato nella ratio decidendi riprodotta nelle relative massime e su cui si dovrebbe consentire, ove a decidere fosse ab initio la Corte di legittimita’, deputata a dirimere in via definitiva il riparto di giurisdizione e di competenza – non si traduce in pregiudizialita’ giuridica qualora sia invece il giudice di primo grado (potestativamente adito dalla parte attrice) ad esaminarla; e che dovrebbe invece astenersene, ove riconosca di non essere stato correttamente individuato: riservandone la cognizione, unitamente al merito, al diverso giudice da lui ritenuto competente”.

4.1. – L’affermazione – secondo cui la questione di competenza, intesa quale “frazione o misura della giurisdizione”, sta, sul piano logico-giuridico, in posizione successiva e conseguente a quella di giurisdizione e presuppone, quindi, che sia stata preventivamente risolta in senso affermativo tale ultima questione, cioe’ che sia divenuta certa e definitiva l’attribuzione al giudice ordinario della potestas judicandi in ordine alla controversia in atto – e’ risalente e prevalente nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 22776 del 2012, 3328 del 1994, 248 del 1999, 261 del 2003; ma cfr., precedentemente, le sentenze nn. 4682 del 1980 e 5291 del 1985).

L’argomento che la sorregge consiste nel rilievo che “il problema della competenza, come frazione o misura della giurisdizione, sorge come questione logicamente successiva e conseguente da affrontare solo dopo che sia stato risolto affermativamente il quesito sulla giurisdizione, in quanto il problema della competenza presuppone che sia divenuto certa e definitiva l’attribuzione a decidere quella determinata controversia al giudice ordinario, in quanto appartenente a quest’ultimo e non al giudice amministrativo. In realta’, la questione della competenza comporta un problema di distribuzione o di ripartizione del potere di decidere tra i diversi giudici ordinari, sicche’ non puo’ che porsi su di un piano ulteriore e logicamente successivo rispetto al problema di giurisdizione” (cosi’ la motivazione della sentenza n. 3328 del 1994 cit.).

Si tratta – com’e’ evidente – di un tradizionale argomento di carattere logico-giuridico, fondato prevalentemente sulla definizione della competenza come “frazione o misura della giurisdizione”. Tale argomento tuttavia, ad avviso del Collegio, richiede un piu’ solido fondamento, basato prevalentemente, se non esclusivamente, sull’analisi dell’ordinamento giurisdizionale positivo, quale emerge innanzitutto dal disegno costituzionale.

Occorre percio’ riesaminare il problema del rapporto di pregiudizialita’ tra questione di giurisdizione e questione di competenza – la soluzione del quale rileva indubbiamente per la soluzione della piu’ specifica questione posta dalla su descritta fattispecie processuale (cfr., supra, n. 3.) – alla luce della disciplina (non soltanto ordinaria, ma) soprattutto costituzionale: l’attribuzione della potestas judicandi a diversi ordini giurisdizionali di magistrati e della potestas decidendi ai diversi magistrati appartenenti ad un medesimo ordine e’ infatti, come si vedra’ in dettaglio, tema squisitamente costituzionale, concernendo la stessa configurazione del potere giudiziario delineata dalla Costituzione (“La Magistratura”, di cui al Titolo 4 della Parte seconda, intitolata “Ordinamento della Repubblica”) in rapporto sia con gli altri poteri dello Stato (rapporto relativamente al quale rileva il principio della “riserva di giurisdizione” che, “non enunciato esplicitamente da una singola norma costituzionale, ma chiaramente desumibile in via sistematica da tutto il Titolo 4 della Parte 2 della Costituzione …. consiste nella esclusiva competenza dei giudici – ordinar e speciali – a definire con una pronuncia secondo diritto le controversie, che coinvolgano diritti soggettivi o interessi legittimi, loro sottoposte secondo le modalita’ previste dall’ordinamento per l’accesso alle diverse giurisdizioni”: cosi’ la Corte costituzionale nella sentenza n. 85 del 2013, n. 12.5. del Considerato in diritto), sia con tutti coloro che “accedono alla giustizia”.

Al riguardo, appaiono indispensabili alcune precisazioni ed esplicitazioni preliminari: sia sull’oggetto della garanzia del “giudice naturale”, di cui all’articolo 25 Cost., comma 1, (“Nessuno puo’ essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”) – richiamato nell’ordinanza di rimessione a queste Sezioni Unite ad evidente supporto della tesi della “pregiudizialita’”, quantomeno in determinate fattispecie processuali quale quella in esame, della questione di competenza rispetto a quella di giurisdizione -, sia, piu’ in generale, sulla disciplina costituzionale concernente l'”Ordinamento giurisdizionale” della Repubblica (Sezione prima del Titolo 4 della Costituzione) e l’attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario, al giudice amministrativo e ad altri giudici speciali.

La dottrina prevalente e la giurisprudenza costituzionale concordano sulla ratio della garanzia del “giudice naturale” prevista dall’articolo 25 Cost., comma 1, propria dello Stato costituzionale di diritto: l’affermazione di tale garanzia – corollario, fra i tanti, del piu’ generale principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, di portata “assolutamente generale” (Corte costituzionale, sentenza n. 82 del 1971) applicandosi a tutti gli organi giurisdizionali, la cui attuazione e’ assistita da riserva (tendenzialmente) assoluta di legge mediante norme generali ed astratte, dettate preventivamente -, da un lato, mira ad assicurare a tutti coloro che esercitano il diritto alla tutela giurisdizionale (articolo 24 Cost., comma 1) “il diritto alla certezza che a giudicare non sara’ un giudice creato a posteriori in relazione a un fatto gia’ verificatosi” (cfr., per tutte, Corte costituzionale, sentenza n. 88 del 1962, n. 4 del Considerato in diritto), dall’altro e al contempo, pone una fondamentale regola di organizzazione istituzionale del potere giurisdizionale, volta ad assicurare l’indipendenza e l’imparzialita’ di ogni giudice, anche rispetto alla singola regiudicanda (articolo 111 Cost., commi 1 e 2).

Va immediatamente sottolineato che questa garanzia pertiene non soltanto alla “competenza in senso stretto” – come invece non infrequentemente si mostra di ritenere (pure nell’ordinanza di rimessione) – ma anche, e ancor prima, alla “giurisdizione” (o “competenza giurisdizionale”) a conoscere una determinata controversia.

Cio’ e’ proprio quanto emerge in modo molto chiaro dalla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale: “…. il principio della precostituzione per legge del giudice naturale e’ leso soltanto quando il giudice e’ designato in modo arbitrario e a posteriori, oppure direttamente dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali, ovvero attraverso atti di soggetti ai quali sia attribuito il relativo potere in violazione della riserva assoluta di legge stabilita dall’articolo 25 Cost., comma 1, ma non anche qualora l’identificazione del giudice competente sia operata dalla legge sulla scorta di criteri dettati preventivamente, oppure con riferimento ad elementi oggettivi capaci di costituire un discrimen della competenza o della giurisdizione dei diversi organi giudicanti ….” (cosi’, sinteticamente, l’ordinanza n. 176 del 1998; cfr., nello stesso senso, l’ordinanza n. 343 del 2001, nonche’, ex plurimis, le sentenze nn. 182 del 2014, 30 del 2011, 237 e 77 del 2007, 204 del 2004, 452 del 1997, 217 del 1993, 269 del 1992, 88 del 1962 cit.).

Del resto, anche le principali carte internazionali dei diritti, nel garantire ad ogni persona il cosiddetto diritto di “accesso alla giustizia”, affermano che tale diritto deve essere esercitato dinanzi al giudice – lato sensu – “competente” secondo le leggi nazionali (cfr., ad esempio, l’articolo 8 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Ogni individuo ha diritto ad una effettiva possibilita’ di ricorso ai competenti tribunali nazionali ….”; l’articolo 14, prf. 1, secondo periodo, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881: “Ogni individuo ha diritto ad un’equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale stabilito dalla legge ….”; l’articolo 6, prf. 1, della CEDU: “Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza …. davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge ….”; l’articolo 47, prf. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente …. da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge”). Ferma dunque la garanzia della precostituzione per legge di qualsiasi giudice rispetto alla singola regiudicanda, l’utilizzazione, in sede internazionale, del generico termine “competente” dipende dall’ovvia considerazione che l’ordinamento giurisdizionale degli Stati contraenti puo’ differire, tra l’altro, anche a seconda che sia stabilito un sistema di organizzazione della giustizia “monistico”, ovvero “pluralistico” come certamente in Italia.

La precedente sottolineatura – che la garanzia del “giudice naturale” deve essere riferita sia alla giurisdizione sia alla competenza in senso stretto – si giustifica con il piano rilievo che le norme sulla giurisdizione vanno considerate nel nostro piu’ ampio contesto costituzionale, nel quale l'”Ordinamento giurisdizionale” della “Magistratura” (Titolo 4, Sezione prima, Cost.) e’ connotato dalla attribuzione della giurisdizione sia a magistrati “ordinari”, anche “specializzati” in ragione della materia oggetto di giudizio (articolo 102, commi 1 e 2) – ai quali e’ riservata giurisdizione tendenzialmente “generale” per la tutela dei diritti soggettivi (cfr., ad esempio, il Regio Decreto n. 30 gennaio 1941, n. 12, articolo 1 sull’ordinamento giudiziario, articolo 1 cod. proc. civ., articolo 1 cod. proc. pen. e articolo 96 Cost.) -, sia a magistrati amministrativi (Consiglio di Stato ed “altri organi di giustizia amministrativa”) “per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” (articolo 103, comma 1 e articolo 125, comma 2), sia alla Corte dei conti “nelle materie di contabilita’ pubblica e nelle altre specificate dalla legge” (articolo 103, comma 2), sia ai tribunali militari in tempo di guerra e in tempo di pace (articolo 103, comma 3), sia infine ad altri, “revisionandi” “organi speciali di giurisdizione” (esistenti alla data del 1 gennaio 1948: articolo 6 disp. trans. e finali, comma 1), a ciascuno dei quali e’ attribuita giurisdizione in ragione o della situazione giuridica soggettiva sostanziale fatta valere in giudizio (per i giudici amministrativi: interessi legittimi e, “in particolari materie indicate dalla legge”, diritti soggettivi) e/o di determinate materie oggetto di giudizio, indicate direttamente dalla Costituzione e/o dalle leggi istitutive di detti “organi speciali di giurisdizione” (articolo 103 Cost., commi 2 e 3 e articolo 6 disp. trans e fin.).

Deve aggiungersi che, come per la giurisdizione ordinaria (cfr., in generale, articoli da 7 a 36, 39 e 40, nonche’ articoli da 42 a 50 cod. proc. civ.), cosi’ anche per la giurisdizione amministrativa e per ciascuna altra giurisdizione “speciale” – non la Costituzione, che non detta disposizioni sulla “competenza in senso stretto”, ma – la legge ordinaria non soltanto distingue nettamente “giurisdizione” e “competenza” (come, del resto, fa l’articolo 117 Cost., comma 2, lettera l, che riserva allo Stato la legislazione esclusiva nelle materie “giurisdizione e norme processuali”), ma detta proprie e specifiche regole processuali, che stabiliscono sia criteri per la distribuzione delle controversie tra i vari organi appartenenti a ciascuna giurisdizione (competenza in senso stretto, appunto), sia forme e modi per il promovimento e per la risoluzione delle questioni e dei conflitti concernenti l’applicazione di detti criteri (cfr., ad esempio: per la giurisdizione amministrativa, gli articoli 4, da 7 a 12, da 13 a 16 cod. proc. amm., il quale ultimo articolo ha introdotto anche nella giustizia amministrativa l’istituto del regolamento di competenza, deciso dal Consiglio di Stato; per la giurisdizione della Corte dei conti, il Decreto Legge 15 novembre 1993, n. 453, articolo 1, comma 7 convertito in legge, con modificazioni, dalla Legge 14 gennaio 1994, n. 19, articolo 1, comma 1, che attribuisce alle sezioni riunite della Corte, tra l’altro, la decisione sui “conflitti di competenza”; per la giurisdizione tributaria, il Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni, articoli da 2 a 5).

E’ dunque evidente che – diversamente dalle differenti discipline aventi ad oggetto l’ordinamento processuale di ciascuna giurisdizione e, quindi, anche la competenza in senso stretto, stabilite con legge ordinaria – e’ la stessaCostituzione che, in coerenza con l’articolo 24, comma 1, articolo 25, comma 1, e con i principi del “giusto processo” (articolo 111, comma 1), individua “ogni magistratura” (ordinaria, amministrativa, speciali), stabilisce i principali criteri di attribuzione della giurisdizione a ciascuna di esse (articolo 102, commi 1 e 2, articolo 103 e articolo 6 disp. trans. e fin.), ed istituisce la Corte di cassazione quale unico giudice legittimato a dirimere in via definitiva questioni e conflitti di giurisdizione (articolo 111 Cost., comma 8), sicche’ le norme costituzionali ora richiamate – oltre ad aver costituito i principali parametri del sindacato di costituzionalita’ di norme ordinarie sulla giurisdizione (emblematica, in tal senso, e’ la nota sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004 che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale di alcune disposizioni del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80, per violazione dell’articolo 103 Cost., comma 1) – costituiscono anche il reale fondamento della “pregiudizialita’” della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza.

Infatti, in un ordinamento giurisdizionale connotato da piu’ giurisdizioni – ciascuna, come detto, con proprie e specifiche attribuzioni giurisdizionali -, il diritto alla tutela giurisdizionale, la garanzia del “giudice naturale” e gli stessi principi del “giusto processo”, da svolgersi secondo il canone della “ragionevole durata” (articolo 111, commi 1 e 2), per risultare pienamente ed effettivamente realizzati, esigono la massima certezza quanto all’individuazione del giudice legittimato alla cognizione della controversia relativamente alla quale si chiede tutela: innanzitutto, del giudice – ordinario, amministrativo, speciale appunto – al quale e’ attribuita, secondo Costituzione, tale cognizione (potestas judicandi) e, soltanto in seconda e definitiva approssimazione, del giudice al quale e’ concretamente attribuita, secondo l’ordinamento processuale di ciascun ordine giurisdizionale stabilito con legge ordinaria, la cognizione medesima (potestas decidendi).

E detta certezza e’ costituzionalmente assicurata dalla Corte di cassazione, alla quale, appunto, “la Costituzione (articolo 111) e l’ordinamento processuale attribuiscono la funzione di giudice ultimo della legittimita’ (sent. n. 50 in pari data) ed, in particolare, come questa Corte ha affermato in altre sue precedenti pronunzie (sent. n. 50 e 109 del 1963), la funzione regolatrice della giurisdizione nonche’ delle competenze degli organi giudiziari” (cosi’ laCorte costituzionale nella sentenza n. 51 del 1970, n. 3. del Considerato in diritto; cfr. anche, ex plurimis, la sentenza n. 59 del 1993, n. 3. del Considerato in diritto, laddove si afferma che “le norme sui conflitti di giurisdizione servono proprio a stabilire quale sia il giudice naturale e se, in particolare, vi sia o meno giurisdizione ….”, nonche’ la sentenza n. 86 del 1982, n. 6. del Considerato in diritto, laddove si afferma, tra l’altro, che “le leggi ordinarie non possono …. disporre delle funzioni costituzionalmente riservate alla Corte di cassazione (in base all’articolo 111, commi 2 e 3) ora commi 7 e 8”).

Letta in tale contesto, la disciplina dettata dall’articolo 37 cod. proc. civ. – “Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali e’ rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo” – e dal successivo articolo 38 e’ perfettamente coerente con il delineato assetto costituzionale. Come del tutto coerenti con tale assetto sono le norme sul regolamento preventivo di giurisdizione (articolo 41, sia pure con il temperamento di cui all’articolo 367 c.p.c., comma 1), le norme dettate dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 59(Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’ nonche’ in materia di processo civile) in materia di decisione delle questioni di giurisdizione e della cosiddetta translatio judicii, e anche la “norma di chiusura” di cui all’articolo 382, comma 1, cit. codice di rito (che reca la rubrica : “Decisione delle questioni di giurisdizione e di competenza”), secondo cui “La Corte, quando decide una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando, quando occorre, il giudice competente”: norma quest’ultima che conferma chiaramente (insieme a tante altre del codice di rito), ai fini che qui esclusivamente rilevano, non solo l’ordine di priorita’ tra le due questioni ma anche che una questione di competenza puo’ porsi unicamente nell’ambito di un medesimo ordine giurisdizionale previamente individuato (nel caso contemplato da questa disposizione, ovviamente, l’autorita’ giudiziaria ordinaria).

Puo’ inoltre incidentalmente osservarsi, alla luce delle considerazioni che precedono, che, se il “giudice naturale precostituito per legge” e’ il giudice cui e’ attribuita sia la giurisdizione sia la competenza a conoscere una determinata controversia, la nota formula “ogni giudice e’ giudice della propria competenza”, risultando in detto contesto costituzionale fortemente riduttiva – o quantomeno ambigua -, va esplicitata in quella secondo cui “ogni giudice e’ giudice della propria giurisdizione e della propria competenza cosi’, esplicitamente, queste Sezioni Unite nella sentenza n. 4109 del 2007”: infatti, anche il giudice che, in ipotesi, si ritiene privo di competenza fa parte, per definizione, del medesimo ordine giurisdizionale cui appartiene quello ritenuto competente e, dunque, puo’ e deve rilevare, anche d’ufficio, il proprio eventuale difetto di giurisdizione.

Pertanto, tutte le osservazioni che precedono conducono univocamente alla conclusione che ogni giudice adito, anche nei casi in cui egli stesso – o la parte – dubiti della sua competenza, deve sempre verificare innanzitutto, anche d’ufficio (previa eventuale sollecitazione del contraddittorio sul punto ai sensi dell’articolo 101 c.p.c., comma 2), in conformita’ con le richiamate norme costituzionali e con l’articolo 37 cod. proc. civ., la sussistenza della propria giurisdizione (il cui esito – e’ utile sottolineare – sarebbe sempre opportuno esplicitare chiaramente, ai fini dell’eventuale accertamento circa la formazione del giudicato sulla giurisdizione), e solo successivamente, in caso affermativo, della propria competenza, nel rispetto delle regole poste dall’articolo 38 cit. codice di rito.

A definitiva riprova che quello affermato e’ il giusto ordine delle predette questioni, sta il decisivo rilievo che, contrariamente opinando, la previa decisione della questione di competenza potrebbe risultare del tutto inutiliter data – e, quindi, collidente, tra l’altro, con i principi di economia processuale, del “giusto processo” e della sua “ragionevole durata” – ove il giudice adito fosse poi – com’e’ possibile in determinate fattispecie processuali, quali quella di specie (cfr. in particolare, infra, n. 5., lettera E) – dichiarato privo di giurisdizione.

4.2. – Dal momento che l’attribuzione e il riparto della giurisdizione tra i molteplici ordini giurisdizionali sono stabiliti da norme costituzionali e/o da norme ordinarie ad essa immediatamente riconducibili (ma pur sempre sindacabili per eventuale contrasto con le prime), la affermata “pregiudizialita’” della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza – e, quindi, il correlativo dovere di esame prioritario della prima ai sensi dell’articolo 37 cod. proc. civ. – puo’ essere derogata soltanto in forza di norme o principi della Costituzione o, comunque, espressivi di interessi o di valori di sicuro rilievo costituzionale.

Tale deroghe ricorrono, a ben vedere, in due soli casi:

a) per cosi’ dire, “a monte”, in ragione della mancanza delle condizioni minime di legalita’ costituzionale quanto all’instaurazione del “giusto processo”, come ad esempio per la violazione del diritto di difesa della parte (articolo 24 Cost., commi 2 e 3) o per l’omessa promozione di un contraddittorio effettivo (articolo 111 Cost., commi 1 e 2: cfr. al riguardo, ex plurimis, le sentenze di queste Sezioni Unite nn. 22776 e 5873 del 2012 cit. e n. 26019 del 2008);

b) oppure “a valle”, per la formazione del giudicato – esplicito o implicito – sulla giurisdizione: il giudicato, infatti, risponde all'”esigenza di definitivita’ e certezza” delle situazioni giuridiche controverse, che “costituisce un valore costituzionalmente protetto, in quanto ricollegabile sia al diritto alla tutela giurisdizionale (articolo 24 Cost.), …. sia al principio della ragionevole durata del processo, ora assunto a rango di precetto costituzionale alla luce dell’articolo 111 Cost., comma 2 come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, articolo 1” (cosi’, sinteticamente, la Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 501 del 2000; v. anche, ex plurimis, le sentenze nn. 224 del 1996 e 129 del 2008).

Anche in forza di tale valore costituzionalmente protetto, queste Sezioni Unite hanno condivisibilmente affermato, tra l’altro, che l’interpretazione dell’articolo37 cod. proc. civ. deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, quest’ultimo quale “asse portante della nuova lettura della norma”, nonche’ dell’idea di giurisdizione intesa come servizio reso alla collettivita’ con effettivita’ e tempestivita’, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli, e che il giudicato implicito sulla giurisdizione puo’ formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito (sentenza n. 24883 del 2008, e successive conformi: cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 2067 del 2011 e 5704 del 2012).

4.3. – Puo’, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto:

“La pregiudizialita’ della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza – in quanto fondata sulle norme costituzionali relative al diritto alla tutela giurisdizionale (articolo 24, comma 1), alla garanzia del giudice naturale precostituito per legge (articolo 25, comma 1), ai principi del “giusto processo” (articolo 111, commi 1 e 2), alla attribuzione della giurisdizione a giudici ordinari, amministrativi e speciali ed al suo riparto tra questi secondo criteri predeterminati (articolo 102, commi 1 e 2, articolo 103, articolo 6 disp. trans. e fin.) – puo’ essere derogata soltanto in forza di norme o principi della Costituzione o espressivi di interessi o di valori di rilievo costituzionale, come, ad esempio, nei casi di mancanza delle condizioni minime di legalita’ costituzionale nell’instaurazione del “giusto processo”, oppure della formazione del giudicato, esplicito o implicito, sulla giurisdizione”.

5. – Le considerazioni sulla affermata pregiudizialita’ della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza e sulle sue deroghe, nonche’ l’adesione al “diritto vivente” formatosi a seguito della menzionata sentenza di queste Sezioni Unite n. 24883 del 2008 consentono ora di rispondere allo specifico quesito posto dalla fattispecie processuale in esame (cfr., supra, n. 3.: “se, qualora avverso una sentenza di primo grado – con la quale il giudice ordinario adito abbia esaminato e deciso sia una questione di giurisdizione, dichiarando esplicitamente la giurisdizione del giudice ordinario, sia una questione di competenza, dichiarando la propria incompetenza per territorio ed indicando il diverso giudice ritenuto territorialmente competente – sia stato proposto regolamento di competenza, la Corte di cassazione possa o no, in tale sede, rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione del giudice ordinario originariamente adito”).

Il Collegio ritiene che, in tale fattispecie – non operando la preclusione pro judicato sulla dichiarazione di giurisdizione del giudice ordinario pronunciata dal giudice a quo, e neppure l’espressa adesione della ricorrente a questa pronuncia – l’applicazione dell’articolo 37 cod. proc. civ. consente di (ri)esaminare, d’ufficio, la questione di giurisdizione.

Cio’, attraverso i seguenti passaggi argomentativi:

A) Preliminarmente, non e’ inutile ribadire: che il diritto alla tutela giurisdizionale, di cui all’articolo 24 Cost., comma 1, include anche il diritto ad ottenere una decisione di merito (“il giusto processo civile vien celebrato non gia’ per sfociare in pronunce procedurali che non coinvolgono i rapporti sostanziali delle parti che vi partecipano – siano esse attori o convenuti – ma per rendere pronuncia di merito rescrivendo chi ha ragione e chi ha torto: il processo civile deve avere per oggetto la verifica della sussistenza detrazione in senso sostanziale di chiovendiana memoria, ne’ deve, nei limiti del possibile, esaurirsi nella discettazione sui presupposti processuali, e per evitare che cio’ si verifichi si deve adoperare il giudice”: Corte costituzionale, sentenza n. 220 del 1986, n. 7.2. del Considerato in diritto; cfr. anche, ex plurimis, le sentenze n. 123 del 1987 e n. 579 del 1990); e che a questo fine deve essere orientata l’interpretazione delle norme processuali in generale e di quelle volte all’individuazione del giudice munito di giurisdizione e di competenza: “Al principio per cui le disposizioni processuali non sono fine a se stesse, ma funzionali alla miglior qualita’ della decisione di merito, si ispira pressoche’ costantemente – nel regolare questioni di rito – il vigente codice di procedura civile, ed in particolare vi si ispira la disciplina che all’individuazione del giudice competente – volta ad assicurare, da un lato, il rispetto della garanzia costituzionale del giudice naturale e, dall’altro lato, l’idoneita’ (nella valutazione del legislatore) a rendere la migliore decisione di merito – non sacrifica il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al “bene della vita” oggetto della loro contesa”: Corte costituzionale, sentenza n. 77 del 2007 cit., n. 5. del Considerato in diritto; tali affermazioni sono del resto costanti anche nella giurisprudenza di legittimita’: cfr., ex plurimis, la sentenza di queste Sezioni Unite n. 4109 del 2007 cit., nonche’, ex plurimis, la sentenza n. 25735 del 2013).

B) Cio’ premesso, il regolamento di competenza proposto dalla ricorrente deve qualificarsi come “facoltativo”, dal momento che, con la sentenza impugnata, il Giudice a quo ha pronunciato, non sulla sola competenza ma – peraltro del tutto correttamente alla luce delle considerazioni che precedono -, prima sulla propria giurisdizione, affermandola, e poi sulla propria competenza (territoriale), negandola. Al riguardo, e’ ormai diritto vivente che, in fattispecie identiche o analoghe, il regolamento di competenza deve qualificarsi, appunto, come “facoltativo”, per decisione sul “merito” dovendo intendersi, ai fini di detta qualificazione, non soltanto una pronunzia sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio, bensi’ anche la risoluzione di questioni diverse, siano esse di carattere processuale o sostanziale, pregiudiziali di rito o preliminari di merito, ivi compresa la questione di giurisdizione (cfr. le sentenze di queste Sezioni Unite nn. 3092 del 1985 e 7086 del 1995, nonche’, ex plurimis, le sentenze nn. 9799 del 2004, 22948 e 24285 del 2007).

C) Conseguentemente, si rende applicabile la disciplina dettata dall’articolo 43 cod. proc. civ. che, com’e’ noto – nel prevedere che “Il provvedimento che ha pronunciato sulla competenza insieme col merito puo’ essere impugnato con l’istanza di regolamento di competenza oppure nei modi ordinari quando insieme con la pronuncia sulla competenza si impugna quella sul merito” (comma 1), e che “La proposizione dell’impugnazione ordinaria non toglie alle altre parti la facolta’ di proporre l’istanza di regolamento” (comma 2) -, nel comma 3, stabilisce in particolare che “Se l’istanza di regolamento e’ proposta prima dell’impugnazione ordinaria, i termini per la proposizione di questa riprendono a decorrere dalla comunicazione dell’ordinanza che regola la competenza; se e’ proposta dopo, si applica la disposizione dell’articolo 48 sospensione dei processi relativamente ai quali e’ chiesto il regolamento di competenza”. Una volta assimilata alla pronuncia sul merito la pronuncia sulla giurisdizione – si ribadisce, ai soli fini della qualificazione del regolamento di competenza siccome “necessario” o “facoltativo” e della conseguente applicazione della rispettiva disciplina (articoli 42 o 43 cod. proc. civ.) -, la regola dettata dall’ora riprodotto articolo 43 mostra con evidenza che, nella fattispecie in esame, cui si applica il primo periodo del terzo comma, non si e’ formato il giudicato sulla giurisdizione, essendo “sospeso” (e non “interrotto” cfr., ex plurimis, la sentenza n. 9350 del 1990) il termine per la proposizione dell’impugnazione ordinaria (da promuoversi con l’appello: cfr., ex plurimis, le sentenze delle Sezioni Unite n. 2067 del 2011 e 5704 del 2012 citt.) da parte del Comune di Bagnolo San Vito, soccombente sulla questione di giurisdizione.

D) Alla soluzione dianzi preannunciata osterebbe un precedente specifico di queste stesse Sezioni Unite, secondo il quale il principio – applicabile anche in sede di regolamento di competenza -, per cui il difetto di giurisdizione puo’ e deve essere rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, va contemperato con quello in base al quale i vizi della sentenza suscettibile di appello e di ricorso per cassazione possono farsi valere soltanto nei limiti e secondo le regole propri di tali mezzi d’impugnazione, con la conseguenza che, qualora avverso una sentenza di primo grado, che abbia esaminato e deciso esplicitamente sia una questione di giurisdizione sia una questione di competenza, venga proposto unicamente regolamento facoltativo di competenza, la Corte di Cassazione, nell’ambito di tale regolamento, non puo’ esaminare d’ufficio la questione di giurisdizione – essendo la stessa (ri)esaminabile solo a seguito di appello avverso la sentenza medesima, il termine per la proposizione del quale e’ sospeso a norma dell’articolo 43 c.p.c., comma 3, – e deve decidere la questione di competenza sul presupposto della sussistenza della giurisdizione affermata con la predetta sentenza (sentenza n. 7086 del 1995, seguita dalla conforme sentenza n. 12566 del 1999).

In particolare, tale principio di diritto e’ stato cosi’ testualmente argomentato: “…. la funzione propria del regolamento di competenza, che e’ quella di provocare una decisione definitiva sulla questione di competenza, non esclude, in linea di principio, che in sede di decisione del regolamento la Corte possa esaminare anche una questione di giurisdizione: il difetto di giurisdizione e’ infatti rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo (articolo 37 cod. proc. civ.) – in questo senso, Sez. Un. 18.7.1980 n. 4682; Sez. Un. 19.2.1982 n. 1050; 8.8.1991 n. 8644 -. Si deve tuttavia osservare che l’applicazione della regola per cui il difetto di giurisdizione puo’ e deve essere rilevato di ufficio in ogni stato e grado del giudizio trova contemperamento in quella per cui la nullita’ delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione puo’ essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione (articolo 161 c.p.c., comma 1). Anche rispetto alla questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo, com’e’ quella di giurisdizione; se la questione sia stata gia’ espressamente decisa con la sentenza della cui impugnazione si discute, il contemperamento opera nel senso di richiedere un’espressa impugnazione anche di quel capo di sentenza, perche’ il giudice del gravame possa tornare ad esaminare la questione (Sez. Un. 24.11.1992 n. 12518). La conclusione e’ quella preannunziata: pur astrattamente esaminabile, perche’ non coperta da giudicato, la questione di giurisdizione non puo’ essere presa in esame di ufficio dalla Corte e la questione di competenza deve essere esaminata sul presupposto che la giurisdizione sulla domanda di condanna proposta con il ricorso per decreto di ingiunzione spetti al giudice ordinario ….”.

Com’e’ evidente, in questo caso – pur riconoscendosi in tale precedente che “…. la funzione propria del regolamento di competenza, che e’ quella di provocare una decisione definitiva sulla questione di competenza, non esclude, in linea di principio, che in sede di decisione del regolamento la Corte possa esaminare anche una questione di giurisdizione: il difetto di giurisdizione e’ infatti rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo (articolo 37 cod. proc. civ.) ….”, e che “pur astrattamente esaminabile, perche’ non coperta da giudicato, la questione di giurisdizione non puo’ essere presa in esame di ufficio dalla Corte” -, i punti di divergenza dalla soluzione adottata nella presente fattispecie sono costituiti: 1) dal limite alla pregiudizialita’ della questione di giurisdizione – e, quindi, all’applicabilita’ dell’articolo 37 cod. proc. civ. -, che e’ stato allora individuato nella regola processuale posta dall’articolo 161 c.p.c., comma 1, secondo cui “La nullita’ delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione puo’ esser fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione” (cosiddetta “conversione dei motivi di nullita’ della sentenza in motivi di impugnazione”); 2) dall’affermazione per la quale “la questione di competenza deve essere esaminata sul presupposto che la giurisdizione sulla domanda …. spetti al giudice ordinario ….”.

E’ agevole rilevare al riguardo: quanto al primo punto, che, alla luce di tutte le ragioni dianzi esposte (cfr. in particolare, supra, n. 4.2.), detto limite (di limite in sostanza si tratta e non di “contemperamento”) – ancorche’ desunto da un principio generale dell’ordinamento processuale – non e’ idoneo, in mancanza della formazione del giudicato sulla giurisdizione, a derogare alla regola della necessaria pregiudizialita’ della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza; quanto al secondo punto, che la soluzione adottata, per un verso, si risolve addirittura nella radicale negazione di detta pregiudizialita’ e, per l’altro, che l’interpretazione delle pertinenti norme processuali allora operata comporta un irragionevole sacrificio del “diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al “bene della vita” oggetto della loro contesa” (cfr., supra, lettera A).

E) Infatti – e sono gli argomenti conclusivi -, nella fattispecie in esame, come in quella alla base dell’ora ricordato precedente specifico, la “scissione” tra la questione di competenza – esaminata e decisa nell’ambito del regolamento facoltativo – e la questione di giurisdizione – da esaminare e decidere nell’ambito dell’eventuale giudizio d’appello promosso dalla parte soccombente su tale questione -, oltre a sovvertire il giusto ordine di priorita’ tra le due questioni, condurrebbe ad un esito “paradossale” e al contempo immediatamente lesivo dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo: ove invero, in sede di impugnazione della pronuncia sulla giurisdizione, il giudice d’appello e/o le sezioni unite della Corte di cassazione negassero la giurisdizione del giudice ordinario affermata dal giudice di primo grado dichiaratosi incompetente, ne conseguirebbe il travolgimento non soltanto della pronuncia sulla competenza (percio’ inutiliter data) ma dell’intero il processo, sia pure con la salvezza, ove concretamente applicabile, della disciplina relativa alla cosiddetta translatio judicii di cui alla citata Legge n. 69 del 2009, articolo 59. Infine, in assenza di un giudicato sulla giurisdizione, una soluzione diversa da quella qui adottata implicherebbe anche la sostanziale elusione della gia’ menzionata funzione costituzionalmente attribuita alle sezioni unite della Corte di cassazione, cioe’ “la funzione regolatrice della giurisdizione …. degli organi giudiziari” (cfr., supra, n. 4.1.).

5.1. – Puo’, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto:

“Nel caso in cui avverso una sentenza (di primo grado) – con la quale il giudice ordinario adito abbia esaminato e deciso sia una questione di giurisdizione, dichiarando espressamente la giurisdizione del giudice ordinario, sia una questione di competenza, declinando la propria competenza ed indicando il diverso giudice ritenuto competente – sia stato proposto regolamento di competenza, da qualificarsi come “facoltativo”, la Corte di cassazione, non essendosi formato il giudicato sulla giurisdizione secondo il disposto di cui all’articolo 43 c.p.c., comma 3, primo periodo, puo’ rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito ai sensi dell’articolo 37 cod. proc. civ., in forza dei concorrenti principi di pregiudizialita’ della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza, di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di attribuzione costituzionalmente riservata alla Corte di cassazione di tutte le questioni di giurisdizione e di competenza, nonche’ del rilievo che la statuizione sulla sola questione di competenza potrebbe risultare inutiliter data a seguito di un esito del processo d’impugnazione sulla questione di giurisdizione nel senso del difetto di giurisdizione del giudice ordinario”.

6. – Pronunciando, quindi, sul ricorso, deve dichiararsi la giurisdizione del Giudice tributario a conoscere la controversia oggetto del giudizio a quo.

6.1. – Preliminarmente, deve osservarsi che il Giudice a quo ha fondato l’affermazione della propria giurisdizione sulle disposizioni di cui al citatoDecreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 32 recante la rubrica “Dell’opposizione a procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici”, secondo il quale “1. Le controversie in materia di opposizione all’ingiunzione per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti pubblici di cui al testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici approvato con Regio Decreto 14 aprile 1910, n. 639, articolo 3 sono regolate dal rito ordinario di cognizione. 2. E’ competente il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto. 3. L’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato puo’ essere sospesa secondo quanto previsto dall’articolo 5” (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 1.1.).

Cosi’ facendo, tuttavia, tale Giudice ha dato in realta’ per presupposta l’affermata giurisdizione del giudice ordinario, omettendo sostanzialmente di motivare al riguardo e, prima ancora, di interpretare la disposizione applicata, dettata da un Decreto Legislativo delegato, alla luce della legge di delegazione (secondo il noto procedimento ermeneutico costantemente seguito dalla Corte costituzionale per l’applicazione dei parametri di cui all’articolo 76 Cost. e articolo 77 Cost., comma 1: cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 425 del 2000 e 341 del 2007) e, in particolare, della gia’ menzionata Legge n. 69 del 2009, articolo 54, comma 1, che, definendo l’oggetto della delega, cosi’ dispone: “1. Il Governo e’ delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu’ decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale”.

E’, quindi, evidente che il Giudice a quo ha desunto la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario nella controversia in questione dai soli fatti che il legislatore delegato, con il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, citato articolo 32, ha legiferato in materia di opposizione alla procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici di cui al Regio Decreto n. 639 del 1910, articolo 3 riconducendo le relative controversie al rito ordinario di cognizione, e che la controversia medesima e’ stata promossa ai sensi del Regio Decreto n. 639 del 1910, articolo 3.

L’oggetto della delega lascia, invece, impregiudicata – quanto, in particolare, alle controversie introdotte con l’opposizione avverso il polivalente strumento dell’ingiunzione fiscale – l’attribuzione della giurisdizione a giudici diversi da quello ordinario: infatti, come risulta dalla relazione illustrativa del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, tale decreto delegato “realizza …. la riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale, riconducendoli ai tre modelli previsti dal codice di procedura civile, individuati, rispettivamente, nel rito ordinario di cognizione, nel rito che disciplina le controversie in materia di rapporti di lavoro, e nel rito sommario di cognizione (introdotto dalla medesima legge n. 69 del 2009)”. La Legge n. 69 del 2009, articolo 54, comma 1 in altri termini, limita l’oggetto della delega ai soli procedimenti civili di cognizione che, disciplinati da leggi speciali, sono attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario in ragione della tutela di diritti soggettivi che con essi sono fatti normalmente valere – come emerge chiaramente dall’esame delle controversie disciplinate dal Decreto Legislativo delegato n. 150 del 2011 -, ma non esclude che la singola controversia, ancorche’ introdotta con uno dei tre predetti riti civili, possa risultare attribuita invece alla giurisdizione di un giudice diverso da quello ordinario, in ragione della natura del rapporto dedotto in giudizio, della relativa disciplina sostanziale e della tutela concretamente richiesta.

In definitiva e in generale, le disposizioni del Decreto Legislativo n. 150 del 2011 sono dettate sul presupposto della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie ivi previste e (ri)disciplinate – come dimostra chiaramente anche il rilievo che tali disposizioni contengono spesso norme sulla competenza – e non introducono deroghe alle norme attributive della giurisdizione, sicche’ detta sussistenza deve essere attentamente verificata caso per caso, in ragione appunto della natura del rapporto dedotto in giudizio, della relativa disciplina sostanziale e della tutela concretamente richiesta.

In particolare e conseguentemente, per quanto rileva nella specie, queste Sezioni Unite hanno piu’ volte affermato che, in materia di opposizione all’ingiunzione per la riscossione di entrate patrimoniali dello Stato, la disposizione di cui al Regio Decreto n. 639 del 1910, articolo 3 non deroga alle norme regolatrici della giurisdizione nel vigente ordinamento giuridico e, pertanto, non puo’ essere invocata per ricondurre nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice ordinario controversie che, con riguardo alla natura dei rapporti dedotti ed alla disciplina ad essi relativa, debbano ritenersi attribuite alla giurisdizione di altro giudice, amministrativo, contabile o speciale (sentenza n. 1238 del 2002, ed ivi il richiamo dei precedenti; cfr. altresi’, ex plurimis, le sentenze nn. 22904 del 2005, 15611 del 2006, 5430 e 29529 del 2008).

Le medesime considerazioni valgono – ovviamente – ad escludere che la mera sostituzione del Regio Decreto n. 639 del 1910, articolo 3 ad opera del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 34, comma 40, – il quale dispone che “Avverso l’ingiunzione prevista dal comma 2 si puo’ proporre opposizione davanti all’autorita’ giudiziaria ordinaria. L’opposizione e’ disciplinata dalDecreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, articolo 32” – sia idonea, di per se sola, ad attribuire alla giurisdizione del Giudice ordinario tutte le controversie introdotte con l’opposizione ad ingiunzione fiscale.

6.2. – La giurisdizione a conoscere la controversia oggetto del giudizio a quo, in materia di imposta comunale sugli immobili (I.C.I.), e’ attribuita al Giudice tributario.

Com’e’ noto, del gia’ menzionato Decreto Legislativo n. 546 del 1992, l’articolo 2, comma 1, primo periodo, stabilisce, tra l’altro, che “Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali ….”.

Non puo’ poi dubitarsi, ai fini della statuizione sulla giurisdizione, della natura tributaria dell’imposta in questione, istituita e disciplinata dal Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma della Legge 23 ottobre 1992, n. 421, articolo 4): la complessiva disciplina risponde, infatti, a tutti gli elementi di identificazione dei tributi, quali enucleati dalla giurisprudenza costituzionale (“…. l’irrilevanza del nomen juris usato dal legislatore, “occorrendo riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in presenza di un tributo” (sentenze n. 141 del 2009, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005); la matrice legislativa della prestazione imposta, in quanto il tributo nasce “direttamente in forza della legge” (sentenza n. 141 del 2009), risultando irrilevante l’autonomia contrattuale (sentenza n. 73 del 2005); la doverosita’ della prestazione (sentenze n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del 2005), che comporta una ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico (sentenze n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995 e n. 26 del 1982); il nesso con la spesa pubblica, dovendo sussistere un collegamento della prestazione alla pubblica spesa “in relazione a un presupposto economicamente rilevante” (sentenza n. 141 del 2009), nel senso che la prestazione stessa e’ destinata allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario dell’ente impositore (sentenze n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995, n. 26 del 1982)”: cosi’, ex plurimis, la sentenza n. 58 del 2015, n. 4.1. del Considerato in diritto) ed esclude, percio’, che si tratti di un’entrata patrimoniale pubblica extratributaria.

Deve aggiungersi, in particolare, che il Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 15 il quale disciplina appunto il “Contenzioso” in materia di I.C.I., dispone: “Contro l’avviso di liquidazione, l’avviso di accertamento, il provvedimento che irroga ie sanzioni, il ruolo, il provvedimento che respinge l’istanza di rimborso puo’ essere proposto ricorso secondo le disposizioni delDecreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636, e successive modificazioni, intendendosi sostituito all’ufficio tributario il comune nei cui confronti il ricorso e’ proposto”: il richiamo dell’abrogato Decreto del Presidente della Repubblica n. 636 del 1972, contenente la precedente disciplina del contenzioso tributario, mostra con evidenza che si tratta di norma sulla giurisdizione, attributiva percio’ della giurisdizione delle controversie ivi previste al Giudice tributario.

Va precisato che tale disposizione deve ritenersi attualmente in vigore. Infatti: a) il Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n. 23, articolo 9, comma 7 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale) – il cui articolo 8, comma 1, ha istituito l'”imposta municipale propria” (I.M.U.), sostitutiva, per la componente immobiliare, dell’I.C.I. – ha stabilito, tra l’altro, che “7. Per l’accertamento, la riscossione coattiva, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi ed il contenzioso si applicano del citato Decreto Legislativo n. 504 del 1992, l’articolo 10, comma 6 e l’articolo 11, commi 3, 4 e 5, 12, 14 e 15….”; b) il Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, articolo 13, comma 13, primo periodo, (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214, articolo 1, comma 1, nel disciplinare l’anticipazione sperimentale dell’imposta municipale propria (I.M.U.), ha disposto, tra l’altro, che “Restano ferme le disposizioni del Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n. 23, articolo 9 ….”; c) successivamente, al riguardo, nulla e’ stato innovato a seguito della istituzione dell’imposta unica comunale (I.U.C.) ad opera della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilita’ 2014), che anzi, all’articolo 1, comma 703, stabilisce che “L’istituzione della IUC lascia salva la disciplina per l’applicazione della IMU”.

Ne’ lo strumento giuridico nella specie utilizzato dal Comune di Bagnolo San Vito per la riscossione dell’I.C.I. – l’ingiunzione fiscale di cui al citato Regio Decreto n. 639 del 1910, appunto -, in pendenza del giudizio tributario avente ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di accertamento dell’imposta, come consentito dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992 e successive modificazioni, articolo 68 e’ idoneo ad incidere sulla affermata giurisdizione del Giudice tributario.

Infatti: a) il citato Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 12 (che reca la rubrica: “Riscossione coattiva”) stabilisce che “1. Le somme liquidate dal comune per imposta, sanzioni ed interessi, se non versate, con le modalita’ indicate nell’articolo 10, comma 3 entro il termine di 60 giorni dalla notificazione dell’avviso di liquidazione o dell’avviso di accertamento, sono riscosse …. coattivamente mediante ruolo ….”; b) il Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70, articolo 7, comma 2, lettera gg-quater), n. 1, (Semestre europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito in legge, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio 2011, n. 106 e successive modificazioni, articolo 1, comma 1, tra l’altro, ha disposto che “…. I comuni effettuano …. la riscossione coattiva delle proprie entrate, anche tributarie: 1) sulla base dell’ingiunzione prevista dal testo unico di cui al Regio Decreto 14 aprile 1910, n. 639, che costituisce titolo esecutivo, nonche’ secondo le disposizioni del titolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 ….”; tale disposizione – applicabile alla fattispecie ratione temporis – ha dunque reintrodotto l’uso di detto strumento giuridico, gia’ previsto dal Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, articolo 52, comma 6 e successivamente abrogato dalla Legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1, comma 224, lettera b).

E’ dunque evidente che, nella specie – in cui, si ribadisce, l’ingiunzione fiscale e’ stata emessa in pendenza del giudizio tributario promosso avverso l’avviso di accertamento, ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, menzionato articolo 68 -, tale ingiunzione fiscale e’ sostanzialmente equivalente all’iscrizione dell’imposta nel ruolo, notificata al contribuente. Ne consegue che il giudizio di opposizione all’ingiunzione medesima, promosso sensi del Regio Decreto n. 639 del 1910, articolo 3 e’ assimilabile alla controversia avente ad oggetto l’impugnazione del ruolo, controversia che, alla luce del combinato disposto del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 2, comma 1, primo periodo, e articolo 19, comma 1, lettera d) e del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 15 e’ indiscutibilmente attribuito alla giurisdizione del Giudice tributario (cfr. al riguardo, ex plurimis, le sentenze delle Sezioni Unite nn. 10952 del 2004, 10598 del 2005, 14386 del 2007, 8273 e 8279 del 2008).

6.3. – Puo’, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto:

“In materia di imposta comunale sugli immobili (I.C.I.), istituita e disciplinata dal Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 e successive modificazioni, imposta da qualificarsi come tributo e non come entrata patrimoniale pubblica extratributaria, la controversia promossa dal contribuente – ai sensi del Regio Decreto 14 aprile 1910, n. 639, articolo 3 nel testo sostituito dal Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, articolo 34, comma 40, e disciplinata dallo stesso Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 32 – avverso l’ingiunzione fiscale, emessa dal comune in pendenza del giudizio tributario promosso contro l’avviso di accertamento ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 68 e quindi sostanzialmente equivalente all’iscrizione dell’imposta nel ruolo notificata al contribuente, e’ assimilabile alla controversia avente ad oggetto l’impugnazione del ruolo, con la conseguenza che la controversia medesima, alla luce del combinato disposto del Decreto Legislativo 546 del 1992, articolo 2, comma 1, primo periodo e articolo 19, comma 1, lettera d) e del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 15 e’ attribuita alla giurisdizione del Giudice tributario”.

7. – Dichiarata la giurisdizione del Giudice tributario, le parti vanno rimesse dinanzi a tale Giudice, competente per territorio.

8. – Non sussistono i presupposti, in mancanza di costituzione del Comune intimato, per pronunciare sulle spese del presente giudizio.

Il Collegio da atto – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, (comma inserito dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17) – che non sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo ivi previsto.

P.Q.M.

Pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione del Giudice tributario, dinanzi al quale rimette le parti.

Da’ atto della insussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.

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