Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza 29 settembre 2014, n. 20451

Fatto e diritto

La Corte di Appello di Roma pronunciando sulla domanda di P.M.F. e F.A.L. proposta, in proprio e quali eredi di F.A. , nei confronti dell’Enea, di cui il loro dante causa era stato dipendente sino al 23 dicembre 1994, avente ad oggetto la condanna, del predetto Ente, alle somme specificate in ricorso a titolo di risarcimento dei danni ingiusti riportati da F.A. in conseguenza della violazione dell’art. 2087 cc e delle specifiche norme antinfortunistiche, dichiarava la giurisdizione del Giudice ordinario in relazione alle domande azionate iure proprio e quella, così riformando la sentenza del Tribunale di Velletri, del Giudice amministrativo in riferimento alle domande avanzate iure hereditatis.
A base del decisum, e per quello che interessa in questa sede, la Corte del merito quanto alla declinatoria, in relazione alla predetta domanda iure hereditatis, della propria giurisdizione in favore di quella del Giudice amministrativo poneva il fondante rilievo che, nella specie, l’azione esercitata era di natura contrattuale stante l’esplicito richiamo al CCNL, alla responsabilità ex art. 2087 cc del datore di lavoro, al DPR n.303 del 1956 e al DPR n. 186 del 1964 con la conseguenza che, trattandosi di rapporto di lavoro cessato in epoca antecedente al 30 giugno 1998, la giurisdizione apparteneva al Giudice amministrativo. Avverso questa sentenza F.A.L. , nella qualità di erede di F.A. e P.M.F. , ricorre in cassazione sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria. Resiste con controricorso l’Ente intimato.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo la ricorrente deducendo, ex art. 360 n. 1 cpc, violazione e falsa applicazione degli artt. 63, comma 1, e 69, comma 7, del DL.gs n. 165 del 2001, sostiene, richiamando il principio della effettività della tutela, che la Corte del merito ha omesso di considerare che la diagnosi della malattia del dante causa di essa ricorrente è datata 19 ottobre 1999 e, quindi, da tale momento il F. ha avuto la percezione del danno subito a cagione della violazione, da parte dell’ENEA, dell’obbligo imposto dall’art. 2087 cc. Pertanto, secondo la ricorrente,solo dalla suddetta data era esercitabile di fatto l’azione sicché in base al principio tempus regit actum la giurisdizione appartiene al giudice ordinario ex artt. 63, comma 1, e 69, comma 7, del DL.gs n. 165 del 2001.
La questione di giurisdizione in ordine alla domanda azionata iure hereditatis relativa il risarcimento dei danni subiti dal dipendente pubblico il cui rapporto di lavoro, come nella specie, sia cessato anteriormente al discrimine temporale del 30 giugno 1998 di cui all’art. 69, comma settimo, del DLgs. n. 165 del 2001 – come anche a quella di un dipendente comunque in regime di diritto pubblico – va risolta in base al principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo, se si fa valere la responsabilità contrattuale dell’ente datore di lavoro, mentre appartiene al giudice ordinario nel caso in cui si tratti di azione che trova titolo in un illecito (V., per tutte, Cass. S.U. 4 marzo 2008 n. 5785, relativamente ad una azione proposta da un dipendente con rapporto a regime di diritto pubblico e Cass. S.U. 6 marzo 2009 n. 5468 e 27 gennaio 2011 n. 1875 con riguardo ad azioni per il risarcimento danni da lesioni patite prima del 1 luglio 1998 dal dipendente privatizzato nonché Cass. S.U. 27 febbraio 2013 n. 4850 afferente una fattispecie in cui l’evento lesivo si era manifestato dopo il 1 luglio 1998 e Cass. S.U. 17 maggio 2013 n. 12103 con riferimento ad una condotta tenuta dall’amministrazione in epoca antecedente la data del 30 giugno 1998).
Corollario della richiamata regula iuris è che l’accertamento circa la natura del titolo della responsabilità azionato prescinde dalle qualificazioni operate dall’attore anche attraverso il richiamo strumentale a disposizioni di legge, come ad es. l’art. 2087 c.c. o l’art. 2043 c.c., mentre assume valore decisivo la verifica dei tratti propri dell’elemento materiale dell’illecito e, quindi, l’accertamento se il fatto denunciato violi il generale divieto di neminem ledere e attenga, pertanto, a condotte la cui idoneità lesiva si può esplicare indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini e conseguentemente anche nei confronti dei dipendenti ovvero derivi dalla violazione di obblighi specifici che trovano la loro ragion d’essere nel rapporto di lavoro.
Nella specie la Corte di appello si è attenuta ai richiamati principi in quanto ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo – ossia di quello proprio del rapporto di lavoro trattandosi di dipendente cessato dal servizio prima del predetto discrimine temporale del 30 giugno 1998 – sulla base della considerazione che l’illecito fatto valere, riguardando l’inosservanza da parte del datore di lavoro di obblighi nascenti, sia dalla disciplina di cui all’art. 2087 cc, sia dalla normativa per l’igiene del lavoro di cui al DPR n. 303 del 1956 e per la sicurezza dei lavoratori ex DPR n.185 del 1964 e, quindi, di obblighi strettamente correlati allo svolgimento del rapporto di lavoro, attiene ad una condotta dell’amministrazione la cui idoneità lesiva può esplicarsi esclusivamente nei confronti dei propri dipendenti con conseguente qualificazione della responsabilità azionata in termini di responsabilità contrattuale. Né il principio di effettività della tutela giurisdizionale può indurre a diverse conclusioni trattandosi di rapporto cessato prima del 30 giugno 1998.
Il ricorso va, conseguentemente, respinto e va dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo.
Le spese del presente giudizio vanno compensate in ragione della materia trattata non senza considerare l’evoluzione, in tema di riparto della giurisdizione, della giurisprudenza di queste Sezioni Unite Si da atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115 del 2002 introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. n.228 del 2012.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115 del 2002 introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. n.228 del 2012 si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *