Equa_Riparazione

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza 18 settembre 2014, n. 19663

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f.
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente di sez.
Dott. RORDORF Renato – Presidente di sez.
Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3120-2011 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), per delega a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TORINO depositato il 26/07/2010 v.g. 1547/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/09/2013 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) dell’Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RILEVATO IN FATTO
1. – Con decreto del 26 luglio 2010, la Corte di appello di Torino accolse solo in parte la domanda di equa riparazione ex Legge n. 89 del 2001 avanzata da (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidando la somma di euro 4.416,66 in favore del primo e di euro 2.666,65 in favore della seconda, per aver sofferto una durata processuale eccedente quella ragionevole rispettivamente di cinque anni e mesi due e di anni tre e mesi cinque.
La Corte territoriale evidenzio’ che il ristoro richiesto spettava ai predetti solo dal momento in cui essi avevano assunto la qualita’ di parte del processo presupposto, rispettivamente dal 15 ottobre 2003 e dal 12 luglio 2005, mentre, per il periodo precedente, essendo stato detto processo – avente ad oggetto un’azione di danno temuto per il pericolo incombente sull’edificio del quale i ricorrenti erano condomini – intentato, con ricorso dell’11 ottobre 1989, dal Condominio di (OMISSIS), in persona del suo amministratore, soltanto costui avrebbe potuto richiedere il danno non patrimoniale per la durata irragionevole del processo, previa autorizzazione dell’assemblea condominiale, cosi come riconosciuto anche da talune pronunce di legittimita’ (Cass. n. 3396 del 2005 e Cass. n. 25981 del 2009, nonche’, analogicamente, Cass. n. 17111 del 2005). La Corte rigetto’, invece, le domande di equa riparazione proposte da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) quali eredi di (OMISSIS) e dalla prima in proprio. Costoro, in qualita’ di eredi di (OMISSIS), non avevano diritto, secondo il giudice di merito, ad alcun indennizzo, essendo il dante causa deceduto appena quattro giorni dopo il suo intervento nel giudizio presupposto, mentre nulla spettava a (OMISSIS) in proprio non essendo mai la stessa divenuta parte del giudizio presupposto, intentato, come chiarito, dal Condominio.
3. – Per la cassazione di tale decreto hanno proposto ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), affidando le sorti dell’impugnazione ad un unico motivo di censura, illustrato da memoria.
Con detto motivo e’ denunciata violazione e/o falsa applicazione della Legge n. 89 del 2001, articolo 2 dell’articolo 12 preleggi, comma 1, degli articoli 1117 e 1131 cod. civ., singolarmente e/o in combinato disposto con l’articolo 6 CEDU e articoli 10 e 117 Cost., in quanto la Corte territoriale avrebbe errato nel non considerare parti del processo presupposto i ricorrenti, in proprio o iure successionis, sul presupposto che lo stesso era stato intentato da Condominio di cui essi stessi erano condomini, cosi interpretando il citato Legge n. 89 del 2001, articolo 2 in modo illegittimamente riduttivo, nel senso di dar rilievo soltanto alla parte formale e non gia’ a quella sostanziale, come era da considerarsi il condomino rispetto al Condominio, privo di soggettivita’ giuridica e soltanto ente di gestione delle cose comuni.
Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
4. – La Sezione Sesta – 1 civile della Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 21062 depositata il 27 novembre 2012, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per la eventuale assegnazione del ricorso a queste Sezioni Unite. Il Primo Presidente ha disposto in tal senso. Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Il ricorso pone la questione relativa alla legittimazione dei singoli condomini ad agire in giudizio per far valere il diritto alla equa riparazione per la durata irragionevole del processo presupposto intentato dal Condominio, in persona dell’amministratore, del quale i condomini stessi non siano stati parti.
1.1. – Al riguardo, l’ordinanza interlocutoria n. 21062/2012 rileva che questa Corte, con sentenze della Prima sezione civile n. 22558 del 23 ottobre 2009, n. 21322 del 14 ottobre 2011 e n. 21461 del 17 ottobre 2011, nell’affermare il difetto di potere rappresentativo in capo all’amministratore del condominio in ordine al diritto fatto valere in giudizio concernente l’equo indennizzo ai sensi della Legge n. 89 del 2001, ha osservato, anzitutto, che il condominio e’ privo di personalita’ giuridica in quanto unicamente ente di gestione delle cose comuni e l’amministratore puo’ agire in virtu’ della sola Delib. assembleare anche non totalitaria a tutela della gestione delle stesse mentre, per quanto concerne i diritti che i condomini vantano unicamente uti singuli, e’ necessario lo specifico mandato da parte di tutti i condomini (mandato che, nella fattispecie oggetto dell’allora cognizione, e’ risultato essere insussistente).
In base a siffatta premessa si e’ quindi ritenuto non esservi dubbio sul fatto che il diritto all’equo indennizzo per la irragionevole durata di un processo non spetti all’ente condominiale, che e’ preposto unicamente alla gestione della cosa comune, in quanto l’eventuale patema d’animo conseguente alla pendenza del processo incide unicamente sui condomini che quindi sono titolari uti singuli del diritto a risarcimento.
1.2. – Si tratta di indirizzo che, al fondo, e’ permeato dei contenuti di quella giurisprudenza che ha avuto modo di affermare che nel condominio di edifici, che costituisce un ente di gestione sfornito di personalita’ distinta da quella dei suoi partecipanti, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, ne’, quindi, del potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio (v., tra le altre, Cass., 4 luglio 2001, n. 9033; si veda anche Cass., 16 maggio 2002, n. 7119, per cui il singolo condomino deve sempre considerarsi parte nella controversia tra il Condominio e altri soggetti, anche se rappresentato ex mandato dell’amministratore: principio, codesto, enunciato, significativamente, in una controversia tra un Condominio ed un soggetto che asseriva di aver svolto attivita’ di portiere, essendosi riconosciuto, ai fini della competenza territoriale ex articolo 30-bis cod. proc. civ., come “parte” nel processo un giudice condomino del suddetto Condominio).
Tuttavia, precisa la predetta ordinanza interlocutoria, detto orientamento trova specificazione nella posizione, anch’essa fatta propria da una consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., 4 maggio 2005, n. 9213; Cass., 19 ottobre 2010, n. 21444; Cass., 21 settembre 2011, n. 19223), secondo cui il principio di diritto anzidetto non trova applicazione relativamente alle controversie che, avendo ad oggetto non diritti su un servizio comune ma la sua gestione, sono intese a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunita’ condominiale o l’esazione delle somme dovute in relazione a tale gestione da ciascun condomino; pertanto, poiche’ in tali controversie non vi e’ correlazione immediata con l’interesse esclusivo di uno o piu’ partecipanti, bensi’ con un interesse direttamente collettivo e solo mediatamente individuale a funzionamento e al finanziamento corretti dei servizi stessi, la legittimazione ad agire e ad impugnare spetta esclusivamente all’amministratore, sicche’ la mancata impugnazione della sentenza da parte di quest’ultimo esclude la possibilita’ per il condomino di impugnarla.
1.3. – L’enunciato principio di esclusivita’ della titolarita’ del diritto all’equa riparazione in capo ai condomini uti singoli e’ contrastato da altro indirizzo, che invece ammette la legittimazione del Condominio ad agire in base alla Legge n. 89 del 2001. Di siffatto ultimo indirizzo (in relazione alla fattispecie propria del Condominio) sono espressione, segnatamente, Cass., 18 febbraio 2005, n. 3396, Cass., 24 novembre 2005, n. 24841 e Cass., 17 aprile 2008, n. 10084, le quali adducono a sostegno della propria tesi la posizione assunta dalla giurisprudenza della Corte EDU (si veda, in particolare, sebbene in dette pronuncia non sia esplicitamente citata, la sentenza Comingersoll SA c. Portugal, del 6 aprile 2000, secondo cui anche per le persone giuridiche (e, piu’ in generale, per i soggetti collettivi) il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, e’ …, e non diversamente da quanto avviene per gli individui persone fisiche, conseguenza normale, ancorche’ non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri. La richiamata ordinanza interlocutoria precisa, peraltro, che la citata Cass. n. 10084 del 2008 (seguita poi da Cass., 11 dicembre 2009, n. 25981) esclude che in capo all’amministratore del Condominio, in difetto di mandato assembleare, sussista il potere di intraprendere azioni non conservative quale quella relativa al diritto all’equa riparazione di cui alla Legge n. 89 del 2001, il quale e’ ancorato all’accertamento della violazione dell’articolo 6 della Convenzione CEDU, e cioe’ di un evento autonomo e diverso da quello oggetto del giudizio presupposto, ex se lesivo di un diritto della persona alla definizione di detti procedimenti in una durata ragionevole, ed avente per oggetto un indennizzo per il pregiudizio sofferto dal soggetto per il periodo eccedente tale durata.
1.4. – Il principio della spettanza ai soggetti collettivi del danno non patrimoniale da durata irragionevole del giudizio si e’ andato consolidando nella giurisprudenza di questa Corte con specifico riferimento alle societa’, sia di capitali (Cass., 22 dicembre 2004, n. 23789; Cass., 23 agosto 2005, n. 17111; Cass., 12 luglio 2011, n. 15250; Cass., 8 maggio 2012, n. 7024), che di persone (Cass., 10 aprile 2003, n. 5664; Cass. 30 settembre 2004, n. 19647; Cass., 16 febbraio 2005, n. 3118; Cass., 2 febbraio 2007, n. 2246; Cass., 14 maggio 2010, n. 11761). La medesima giurisprudenza appena richiamata ha, peraltro, puntualizzato che il diritto alla trattazione delle cause entro un termine ragionevole e’ riconosciuto dall’articolo 6, p. 1, della Convenzione, specificamente richiamato dalla Legge n. 89 del 2001, articolo 2 solo con riferimento alle cause “proprie” e, quindi, esclusivamente in favore delle “parti” della causa nel cui ambito si assume avvenuta la violazione e non anche di soggetti che siano ad essa rimasti estranei, essendo irrilevante, ai fini della legittimazione, che questi ultimi possano aver patito indirettamente dei danni dal protrarsi del processo; cio’ al fine di escludere detto diritto in capo ai soci che non siano stati parti del giudizio al quale abbia partecipato soltanto la societa’ (di capitali o di persone).
1.5. – Analoga affermazione di principio ha regolato fattispecie diverse dalle anzidette, ma che presentavano la comune peculiarita’ della richiesta del danno non patrimoniale da parte di soggetto non altrimenti partecipe al giudizio presupposto; trattasi, segnatamente, del caso dell’erede che voglia far valere iure proprio il diritto all’indennizzo per irragionevole durata del giudizio presupposto intentato dal dante causa, che puo’ conseguire soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualita’ di parte; non assume, infatti, alcun rilievo, a tal fine, la continuita’ della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’articolo 110 cod. proc. civ., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla Legge n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparazione a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida condusione (Cass., 23 giugno 2011, n. 13803; Cass., 4 novembre 2009, n. 23416; Cass., 7 febbraio 2008, n. 2983; Cass., 13 dicembre 2006, n. 26686). Analogamente e’ da dirsi quanto alla posizione della persona offesa dal reato, che al fine di conseguire il risarcimento del danno, si sia costituita parte civile nel processo penale, ha diritto alla ragionevole durata del processo, con le connesse conseguenze indennitarie in caso di violazione, soltanto dal momento di detta costituzione, mentre non rileva la precedente durata del procedimento (Cass., 3 aprile 2012, n. 5294; Cass., 29 aprile 2010, n. 10303; Cass., 10 febbraio 2006, n. 2969; Cass., 29 settembre 2005, n. 19032). Nella stessa ottica si colloca anche la posizione del minorenne, al quale spetta il danno non patrimoniale ex lege per la sua partecipazione al processo presupposto debitamente rappresentato, fino al momento della maggiore eta’, al raggiungimento della quale, avendo acquistato il libero esercizio dei propri diritti ed avendo la facolta’ di costituirsi nel processo quale parte autonoma, lo stesso soggetto perde da tale momento detto diritto, ove a cio’ non abbia provveduto (Cass., 23 maggio 2011, n. 11338).
2.1. – Secondo la concezione tradizionale, per condominio negli edifici dovrebbe intendersi sic et simpliciter la “proprieta’ comune” di alcune parti dell’edificio, poste a servizio di altre parti dell’edificio (i piani o le porzioni di piano: ossia, normalmente, gli appartamenti) e a queste ultime legate da un rapporto necessario e perpetuo di accessorieta’ e di complementarieta’ a senso unico.
Cosi’ configurato, il condominio si risolve in una comunione meramente strumentale rispetto all’esercizio dei singoli diritti di proprieta’ esclusiva sui diversi appartamenti: i quali, dal canto loro, seguirebbero “un proprio destino individuale e autonomo”, al di fuori della disciplina speciale del condominio e in armonia con la definizione generale della proprieta’ come diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo (articolo 832 cod. civ.).
In dottrina pero’ si e’ delineata anche un’altra definizione, piu’ ampia, di condominio negli edifici come “situazione mista, di comproprieta’ e di concorso di proprieta’ solitarie”: l’una legata alle altre da un intimo nesso di reciproca complementarieta’ e funzionalita’. Con lo straordinario diffondersi dei fenomeno, e’ emerso sempre piu’ chiaramente che, se la comproprieta’ delle parti comuni dell’edificio e’ funzionale alle proprieta’ solitarie degli appartamenti, queste ultime a loro volta vanno incontro, nel loro esercizio da parte dei singoli condomini, a una serie di limiti diversi da quelli ricordati in termini generali dall’articolo 832 cod. civ. e desumibili, direttamente o indirettamente, dai principi espressi dalla normativa speciale sul condominio: limiti che, cosi’ come sono stati enucleati in concreto dalla giurisprudenza, rispondono all’esigenza di rendere funzionale l’esercizio della proprieta’ sui singoli appartamenti con la destinazione delle parti comuni dell’edificio a una utilizzazione collettiva e conforme alle caratteristiche naturali dell’edificio stesso. Pertanto, secondo una parte della dottrina, il condominio si configura come una struttura organizzativa che riproduce, sia pure in embrione, il modello tipico delle associazioni, provvedendo a un’attivita’ di gestione che, in quanto affidata a organi dotati ex lege di poteri essenzialmente inderogabili (articolo 1138 c.c., comma 4), tende ad attribuire all’interesse del condominio una rilevanza oggettiva, distinguendolo dagli interessi soggettivi dei singoli condomini.
2.2. – Per evidenziare la tendenziale “oggettivizzazione” di un interesse proprio del condominio, la giurisprudenza suole definire quest’ultimo come “ente di gestione”, sfornito di personalita’ giuridica distinta da quella dei singoli partecipanti. La definizione, pur efficace, rischia pero’ di ingenerare equivoci circa la possibilita’ di attribuire al condominio una soggettivita’ paragonabile a quella correttamente ricollegata agli enti collettivi non riconosciuti come persone giuridiche. Un indirizzo minoritario della dottrina riconosce al condominio la personalita’ giuridica riconducendo il rapporto anzidetto nell’ambito del rapporto organico, e qualificando l’amministratore come un organo della collettivita’, munito di un potere di rappresentanza che discende dalla specifica funzione della quale e’ investito. Alla stregua di tale concezione l’ufficio dell’amministratore avrebbe carattere necessario con estensione della rappresentanza anche ai condomini dissenzienti e con facolta’ di agire contro il mandante.
Tale indirizzo ha ricevuto nuova linfa dalla legge di riforma del condominio (Legge 11 dicembre 2012, n. 220, recante Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici). Infatti, se e’ pur vero che nel corso dei lavori preparatori di tale legge si era tentato senza successo di introdurre la previsione espressa del riconoscimento della personalita’ giuridica del condominio, e che l’articolo 1139 cod. civ. rinvia, per quanto non espressamente previsto, alle norme in tema di comunione, per contro, e’ da sottolineare l’obbligo dell’amministratore, posto dall’articolo 1129, comma 12, n. 4, nella formulazione risultante dalle modifiche apportate dalla citata Legge n. 220 del 2012, articolo 9 di tenere distinta la gestione del patrimonio del condominio e il patrimonio personale suo o di altri condomini, cosi’ come la costituzione di un fondo speciale, prevista dall’articolo 1135 c.c., n. 4, come sostituito dall’articolo 13 della cit. legge, e, soprattutto, la previsione, di cui all’articolo 2659 cod. civ., comma 1 come riformulato dall’articolo 17 della cit. stessa, in tema di note di trascrizione, secondo la quale, per i condomini e’ necessario indicare l’eventuale denominazione, l’ubicazione e il codice fiscale.
Ebbene, se pure non e’ sufficiente che una pluralita’ di persone sia contitolare di beni destinati ad uno scopo perche’ sia configurabile la personalita’ giuridica (si pensi al patrimonio familiare o alla comunione tra coniugi), e se dalle altre disposizioni in tema di condominio non e’ desumibile il riconoscimento della personalita’ giuridica in favore dello stesso, riconoscimento dapprima voluto ma poi escluso in sede di stesura finale della Legge n. 220 del 2012, tuttavia non possono ignorarsi gli elementi sopra indicati, che vanno nella direzione della progressiva configurabilita’ in capo al condominio di una sia pure attenuata personalita’ giuridica, e comunque sicuramente, in atto, di una soggettivita’ giuridica autonoma.
3. – Dalla concezione del condominio come ente sprovvisto di personalita’ giuridica, discende la qualificazione dell’amministratore come mandatario, con conseguente configurabilita’ nel rapporto tra lo stesso ed i condomini di una rappresentanza volontaria conseguente ad un mandato collettivo. Nei limiti di tali attribuzioni, o dei maggiori poteri eventualmente conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, egli ha la “rappresentanza” dei condomini e puo’ stare in giudizio sia per essi contro terzi sia contro alcuno di essi per tutti gli altri (articolo 1131, commi 1 e 2).
3.1. – Ma la giurisprudenza di legittimita’ ha ritenuto che il singolo condomino debba sempre considerarsi parte nella controversia tra i condominio e altri soggetti, anche se rappresentato ex mandato dell’amministratore: cio’ proprio nella prospettazione della mancanza di soggettivita’ del condominio. Cosi’, in una controversia tra un condominio ed un soggetto che asseriva di aver svolto attivita’ di portiere, la Corte ha ritenuto, ai fini della competenza territoriale ex articolo 30-bis cod. proc. civ., “parte” nel processo un giudice condomino del suddetto condominio (Cass., sent. n. 7119 del o 2002).
Si legge nella motivazione di Cass. sent. n. 9213 del 2005 che, essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalita’ distinta da quella dei suoi partecipanti, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa dei diritti connessi alla detta partecipazione, ne’, quindi, del potere di intervenire nel giudizio per il quale tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti dell’amministratore stesso che non l’abbia impugnata.
Tale principio, affermato in materia di controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota di ciascun condomino in ordine alle parti comuni, o lato sensu tali, od esclusivo sulla singola unita’ immobiliare, o anche personali, ove incidenti in maniera immediata e diretti sui loro diritti, non trova applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto non i diritti su di un servizio comune, bensi’ la gestione di esso, ed intese, dunque, a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunita’ condominiale, o l’esazione delle somme dovute in relazione a tale gestione da ciascun condomino, nelle quali non vi e’ correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o piu’ partecipanti, bensi’ con un interesse direttamente collettivo e solo mediamente individuale al funzionamento ed al finanziamento corretti dei servizi stessi, onde in tali controversie la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore, la mancata impugnazione della sentenza da parte del quale esclude la possibilita’ d’impugnazione da parte del singolo condomino (cfr. Cass. civ., Sez. 2, n. 6480 del 3 luglio 1998; n. 8257 del 29 agosto 1997).
3.2. – La predetta impostazione, che considera il condomino sempre parte nella controversia tra il condominio e gli altri soggetti entra in crisi ove ci soffermi sulla autonomia del condominio come centro di imputazione di interessi, di diritti e doveri, cui corrisponde una piena capacita’ processuale. In tal caso, infatti, se il condominio – e cioe’ l’amministratore sulla base della Delib. autorizzativa dell’assemblea salvo che si tratti di azione collegata al potere del primo di esercitare gli atti conservativi sui beni di proprieta’ comune del condominio – il singolo condomino puo’ essere considerato “parte” in quel processo solo se vi intervenga.
4. – Per quanto concerne, poi, specificamente le controversie Legge n. 89 del 2001, articolo 2 deve aggiungersi che il diritto alla trattazione delle cause entro un termine ragionevole e’ riconosciuto dall’articolo 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, specificatamente richiamato dalla Legge n. 89 del 2001, articolo 2 solo in relazione alle cause proprie e quindi esclusivamente in favore delle parti della causa nel cui ambito si assume avvenuta la violazione e non anche in favore dei soggetti che siano ad essa rimasti estranei (v. Cass., sent. n. 23173 del 2012). Al riguardo, si e’ sottolineato che il pregiudizio risarcibile si ricollega non alla situazione soggettiva che costituisce l’oggetto del processo presupposto, ma alle sofferenze correlate alla protrazione ingiustificata dello stesso; in tale ambito appare imprescindibile la partecipazione a tale causa, che, per altro, soprattutto nel giudizio civile, e’ sempre sorretta da un interesse non di mero fatto, ma giuridico, che sussiste anche in relazione al c.d. intervento adesivo o dipendente (Cass., sent. n. 23173, cit.).
Secondo la dottrina la risarcibilita’ del danno morale resta ancorata saldamente alla qualita’ di parte processuale, pena la possibile duplicazione dei risarcimenti, come ritenuto da quella giurisprudenza che giudica irrilevante il disagio patito dai soci o dall’amministratore della societa’, anche se ai limitati effetti dell’accoglimento della ulteriore pretesa di indennizzo da questi azionata in proprio. Il che deve naturalmente valere anche per i soci delle societa’ di persone le quali, pur essendo prive di personalita’ giuridica, costituiscono un autonomo centro di imputazione soggettiva di rapporti giuridici, anche agli effetti della Legge Pinto (v. Cass., sent. n. 3118 del 2005).
4.1.- Ne consegue che il singolo condominio non puo’ essere ritenuto parte qualora sia rappresentato dall’amministratore. Sicche’, posto che comunque, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi della Legge n. 89 del 2001, articolo 2 anche per le persone giuridiche e i soggetti collettivi il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, e’, non diversamente da quanto avviene per gli individui persone fisiche, conseguenza normale, ancorche’ non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’articolo 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri (v., ex plurimis, Cass., sent. n. 13986 del 2013), deve, percio’, da un lato, ammettersi la legittimazione del condominio ad agire in base alla legge, sia pure solo in presenza di mandato assembleare, non sussistendo in capo all’amministratore il potere di intraprendere azioni non conservative quale quella relativa al diritto all’equa riparazione di cui alla Legge n. 89 del 2001.
4.2. – Per altro verso, ed in particolare per cio’ che maggiormente rileva ai fini della soluzione della presente controversia, deve escludersi che il singolo condominio che non sia stato parte in senso formale nei processo presupposto sia legittimato ad agire per la equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo ex Legge n. 89 del 2001.
Siffatta soluzione e’, del resto, coerente – come segnalato anche nella ordinanza interlocutoria n. 21062 del 2012 – con gli approdi cui e’ pervenuta la giurisprudenza di legittimita’ con riferimento al caso dell’erede che voglia far valere iure proprio il diritto all’indennizzo, in relazione al quale si e’ affermato che cio’ puo’ avvenire solo per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, quegli abbia assunto a sua volta la qualita’ di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuita’ della stessa posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’articolo 110 cod. proc. civ., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla Legge n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo ha ricevuto danni patrimoniali e non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione in relazione al concreto patema subito, che presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione (v. Cass.; sent. n. 13803 del 2011). Analogo discorso deve farsi anche con riferimento alla posizione della persona offesa dal reato, che, al fine di conseguire il risarcimento del danno, si sia costituita parte civile nel processo penale, e che ha diritto alla equa riparazione soltanto dal momento di detta costituzione, mentre non rileva la precedente durata del procedimento (Cass., sent. n. 5294 del 2012).
Parimenti, al minorenne spetta il danno non patrimoniale ex lege per la sua partecipazione al processo presupposto “debitamente rappresentato, fino al momento della maggiore eta’, al raggiungimento della quale, avendo acquistato il libero esercizio dei propri diritti ed avendo la facolta’ di costituirsi nel processo quale parte autonoma, lo stesso soggetto perde detto diritto, ove a cio’ non abbia provveduto” (Cass., sent. n. 11338 del 2011).
4.3. – Mette conto, infine, richiamare sul punto, ad ulteriore suffragio della tesi qui accolta, la sentenza di queste Sezioni Unite n. 6072 del 2013, con la quale e’ stata risolta in senso negativo la questione della legittimazione degli ex soci di societa’ che, parte in un giudizio di durata irragionevole, volontariamente si sia cancellata dal registro delle imprese senza aver agito per l’accertamento e la liquidazione del diritto all’equo indennizzo, a succedere alla societa’ estinta nella titolarita’ del credito indennitario. In tale pronuncia si e’ rilevato che il credito oggetto del processo presupposto, sorto originariamente in capo alla societa’, che era parte di detto giudizio lungamente protrattosi, risultava controverso e percio’ richiedeva l’accertamento e la liquidazione nel momento in cui la societa’ aveva deciso di farsi cancellare dal registro delle imprese: siffatta scelta aveva implicato la tacita rinuncia della societa’ al credito in questione, manifestandosi incompatibile con la volonta’ di pervenire al concreto accertamento ed alla liquidazione del credito stesso, per poter poi provvedere all’eventuale ripartizione del ricavato tra i soci.
5. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, alla luce del seguente principio di diritto: Nel caso di giudizio intentato dal Condominio e del quale, pur trattandosi di diritti connessi alla partecipazione di singoli condomini al condominio, costoro non siano stati parti, spetta esclusivamente al Condominio, in persona del suo amministratore, a cio’ autorizzato da Delib. assembleare, far valere il diritto alla equa riparazione per la durata irragionevole di detto giudizio.
Nella novita’ e complessita’ della questione le ragioni della compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Dispone la compensazione integrale tra le parti delle spese del presente giudizio.

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