La massima

– nel testo sostituito dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 2, comma 4, entrato in vigore il 1 gennaio 2008 (art. 22, comma 1) ed applicabile, ai sensi dell’art. 22, comma 2, dello stesso decreto legislativo, “ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore, nonchè alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in vigore” – deve essere qualificato come termine di natura “dilatoria” e “a decorrenza successiva” e computato, secondo il criterio di cui all’art. 155 c.p.c., comma 1, escludendo il giorno iniziale (data della notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione) e conteggiando quello finale (data dell’udienza di comparizione).

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 1 febbraio 2012, n. 1418

Svolgimento del processo

1. – A seguito di ricorso in data 1 dicembre 2008, presentato al Tribunale di Terni da P.Q., titolare della impresa individuale Cartoplastica P., per la dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione, il Giudice delegato, con decreto del 3 dicembre 2008, tra l’altro, convocò dinanzi a sè la debitrice s.r.l. Exporter, in persona del legale rappresentante pro tempore, ed il creditore istante per l’udienza del 12 gennaio 2009, mandando a tale creditore di notificare il ricorso ed il decreto “entro il termine di 15 giorni prima dell’udienza fissata, con deposito entro l’udienza dell’atto notificato”.

Nell’udienza del 12 gennaio 2009, in assenza della Società debitrice, il difensore del P. fece presente che la notificazione del ricorso e del decreto alla debitrice era stata eseguita presso la sede sociale a mezzo del servizio postale, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3, comma 3, (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali), con spedizione del piego raccomandato con avviso di ricevimento in data 15 dicembre 2008, e che il piego raccomandato, non potuto consegnare per assenza della destinataria, era stato depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna in data 16 dicembre 2008, ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, comma 2, (Notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), con contestuale spedizione dell’avviso di deposito alla stessa Società debitrice, sottolineando altresì che la notificazione si era perfezionata, per compiuta giacenza ai sensi della stessa L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, in data 27 dicembre 2008. Nella stessa udienza del 12 gennaio 2009 il Tribunale – preso atto del ricorso e del decreto così notificati e disposta la riunione di altra istanza per la dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione, presentata dalla s. a. s. Ferramenta Severi di Vecchietti Dante & C. – si riservò di decidere e, con sentenza n. 7 del 30 gennaio 2009, dichiarò il fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione.

2. – A seguito di reclamo di quest’ultima – la quale sosteneva che non era stato rispettato il termine dilatorio di quindici giorni tra la data della notificazione del ricorso e del decreto di convocazione e quella dell’udienza, di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, nel testo sostituito dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 2, comma 4, applicabile ratione temporis -, la Corte d’Appello di Perugia, con sentenza n. 249/09 del 12 giugno 2009, revocò la dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione.

In particolare, la Corte di Perugia ha osservato che: a) la notificazione de qua fu eseguita a mezzo del servizio postale, ai sensi della menzionata L. n. 53 del 1994; b) per l’assenza del destinatario, il piego raccomandato fu depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna in data 16 dicembre 2008; c) “nessuno essendosi presentato a ritirare il plico, la notifica si perfezionò con la giacenza di dieci giorni”; d) “La giacenza si completò il giorno 29 dicembre, poichè i giorni 25 e 26 dicembre sono festivi mentre il giorno 27 era sabato ed il 28 era domenica, quindi nessuno di questi giorni era utile alla scadenza, stante il disposto degli ultimi due commi dell’art. 155 c.p.c. Primo dei quindici giorni del termine dilatorio della L. Fall., art. 15, fu quindi il 30 dicembre.

Ultimo dei quindici giorni liberi era il 13 gennaio, ma l’udienza si tenne, come disposto, lunedì 12 gennaio. All’udienza nessuno comparve per la società debitrice…. Evidente la violazione del contraddittorio, per non essere stato garantito al debitore termine pari a quello previsto dalla norma e dallo stesso decreto di convocazione, deve essere revocata la sentenza dichiarativa di fallimento, affetta da nullità”.

3. – Avverso tale sentenza il Fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura, illustrati con memoria.

Resiste, con controricorso, la s.r.l. Exporter in liquidazione, la quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su un motivo, cui resiste, con controricorso, il Fallimento.

3.1. – Con il primo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di legge, con specifico riferimento al computo dei termini ed alla loro eventuale proroga: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 155 c.p.c., L. n. 890 del 1982, art. 8, nel testo vigente”), e con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di legge, con specifico riferimento al computo dei termini ed alla loro eventuale proroga in caso di scadenza in giorno festivo:

art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 155 c.p.c., L. n. 890 del 1982, art. 8, e relative modifiche”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, il Fallimento ricorrente principale critica la sentenza impugnata, sostenendo che il termine di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, non è qualificabile come “termine processuale”, con la conseguenza che ad esso non si applica la disciplina di cui all’art. 155 c.p.c. Al riguardo, il ricorrente – premesso che per “termini processuali” debbono intendersi “quelli che ineriscono al (e si inseriscono nel) processo” e che “più in particolare il riferimento di cui all’art. 155 c.p.c., è ai termini previsti dal codice di rito” – afferma che il termine di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, oltre ad essere previsto da una legge estranea al codice di rito, non è preordinato allo svolgimento di attività processuali, limitandosi a contenere una “previsione assoluta di conoscenza dell’atto da parte del destinatario della notifica”; sostiene, inoltre, che il termine previsto dall’art. 155 c.p.c. “attiene ad una attività da compiersi da parte di colui a favore del quale quel termine è posto”, vale a dire, con riferimento all’attività di notificazione, “ad un’attività del soggetto notificante”, l’attività processuale del quale “si è esaurita con la richiesta di notifica”; aggiunge, infine, che la proroga del termine che scade in giorno festivo non è prorogabile sempre e comunque ma soltanto in relazione ai termini “acceleratori” e, quindi, soltanto “per coloro che ne sono destinatari”. Nella specie, trattandosi dei termine previsto dalla L. Fall., art. 15, comma 3, cioè di un termine “dilatorio”, la sua scadenza nel giorno di sabato non era prorogabile al giorno del lunedì successivo, con la conseguenza che, nel giorno del 12 gennaio 2009 (celebrazione dell’udienza di convocazione del debitore), il termine dilatorio di quindici giorni, di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, doveva ritenersi pienamente rispettato.

Con il terzo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di legge, con specifico riferimento al regime applicabile al procedimento finalizzato alla dichiarazione di fallimento instauratasi nel dicembre 2008): art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 155 c.p.c., D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 15”), il ricorrente principale critica per altro verso la sentenza impugnata, sostenendo che il termine di quindici giorni di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, non è qualificabile come “termine libero”, con la conseguenza che – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte perugina – il dies a quo non deve essere computato, mentre va computato il dies ad quem, con l’ulteriore conseguenza che l’udienza di convocazione del debitore del 12 gennaio 2009 doveva considerarsi assolutamente valida;

Con il quarto motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di legge, con specifico riferimento al computo dei termini ed alla loro eventuale proroga in caso di scadenza in giorno di sabato: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 155 c.p.c., L. n. 890 del 1982, art. 8, e relative modifiche”), il ricorrente principale critica, infine, la sentenza impugnata, sostenendo che – contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici a quibus -la giornata del sabato deve considerarsi “lavorativa”, in particolare anche quanto all’attività di notificazione degli atti sia per il notificante sia per il notificato.

3.1.1. – La controricorrente eccepisce, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso principale, in quanto il curatore fallimentare non avrebbe nè la legittimazione nè l’interesse a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza impugnata, senza neppure il previo parere del comitato dei creditori.

3.2. – Con l’unico motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di legge, con specifico riferimento al R.D. n. 12 del 1941, art. 47 quinquies, e dell’art. 158 c.p.c.: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, R.D. n. 12 del 1941, art. 47 quinquies, e dell’art. 158 c.p.c.”), la ricorrente incidentale critica la sentenza impugnata, affermando che la Corte d’Appello aveva respinto l’eccezione, dalla stessa sollevata, relativa al vizio di costituzione del collegio giudicante in primo grado ed osservando al riguardo che il Tribunale di Terni era stato presieduto da un giudice anziano e non dal Presidente del Tribunale che, in quanto in servizio, avrebbe dovuto e potuto presiedere il collegio giudicante, con conseguente nullità della sentenza dichiarativa di fallimento per vizio di costituzione del giudice, in quanto la sostituzione del Presidente del Tribunale non risultava dettata nè da previsione tabellare nè da motivato impedimento dello stesso. A conclusione del motivo, la ricorrente incidentale formula il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se sia valida e/o esistente la sentenza dichiarativa di fallimento emessa da un Tribunale in composizione Collegiale e riunito in Camera di Consiglio composto tra gli altri da un Giudice facente funzioni di Presidente anzichè dal Presidente del Tribunale senza previsione tabellare e/o ragioni e motivi di impedimento ovvero se la stessa sia invalida e/o nulla e/o inesistente in quanto tale da violare il R.D. n. 12 del 1941, art. 47 quinquies,… e le prescrizioni in materia tabellare”.

3.2.1. – Il ricorrente principale eccepisce l’inammissibilità del ricorso incidentale, innanzitutto, perchè la sentenza impugnata non si è pronunciata sulla questione; in secondo luogo, perchè il motivo è privo di autosufficienza; in terzo luogo, perchè è stato formulato un quesito di diritto plurimo e tautologico; infine, perchè le tabelle concernenti i collegi giudicanti si riferiscono alle udienze pubbliche e non alle adunanze in camera di consiglio, relativamente alle quali il collegio può essere presieduto sia dai presidente del tribunale sia dal giudice che ne esercita le funzioni sia dal giudice più anziano.

4. – I ricorsi sono stati assegnati alla Prima Sezione civile.

Tale Sezione, con ordinanza interlocutoria n. 5144/11 del 3 marzo 2011, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale rimessione dei ricorsi alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, presentando essi una questione di massima di particolare importanza. Al riguardo, il Collegio rimettente ha osservato: “La questione… riguarda la corretta qualificazione dell’attività che il notificando avrebbe dovuto porre in essere per l’acquisizione dell’atto notificato, dovendosi più precisamente chiarire se l’atto del ritiro della notifica possa essere inteso come atto processuale, e se la coincidenza dell’ultimo giorno fissato per il deposito dell’atto con la giornata di sabato determini o meno la proroga al primo giorno seguente non festivo”.

Tale chiarimento, ad avviso della Prima Sezione, presenta profili di delicatezza in ragione della diversità dei momenti di verificazione degli effetti della notifica per il notificante e per il notificato (Corte costituzionale, sentenza n. 477 del 2002), della decorrenza degli effetti della notifica per il destinatario che abbia ritirato il plico dopo l’ultimo dei prescritti dieci giorni di giacenza (L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, comma 4), della possibilità per il notificando di ritirare comunque il plico anche dopo la scadenza del decimo giorno, fermi gli effetti legali sopra richiamati riconducibili alla scadenza dell’ultimo giorno di giacenza, per la potenziale incidenza della interpretazione data sul punto dal giudice di legittimità su una pluralità di controversie.

5. – Assegnati i ricorsi a queste Sezioni unite, ambedue le parti hanno depositato memorie.

All’odierna udienza di discussione, il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del primo, secondo e quarto motivo del ricorso principale, assorbiti il terzo motivo dello stesso ricorso principale ed il ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1. – Preliminarmente, deve essere disposta la riunione, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., del ricorso principale e di quello incidentale, in quanto entrambi sono stati proposti contro la stessa sentenza.

2. – Sempre in via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione – sollevata dalla controricorrente – di inammissibilità del ricorso principale, in quanto il nominato curatore del Fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione non avrebbe nè la legittimazione nè l’interesse a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia revocato la dichiarazione di fallimento.

L’eccezione non è fondata.

Deve premettersi che la fattispecie di procedura concorsuale de qua ricade interamente sotto la disciplina della legge fallimentare nel testo risultante a seguito dell’entrata in vigore – il 1 gennaio 2008 – del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonchè al D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi della L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, commi 5, 5 bis e 6):

ciò, conformemente a quanto disposto dallo stesso D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 22, comma 2, – secondo cui “Le disposizioni del presente decreto si applicano… alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in vigore” -, in quanto il fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione è stato dichiarato con la sentenza del Tribunale di Terni n. 7 del 30 gennaio 2009.

Tanto premesso, la L. Fall., art. 18, comma 12, – nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 2, comma 7, testo sostanzialmente identico a quello precedentemente sostituito dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 16, – stabilisce che “La sentenza che revoca il fallimento è notificata, a cura della cancelleria, al curatore, al creditore che ha chiesto il fallimento e al debitore, se non reclamante, e deve essere pubblicata a norma dell’art. 17″. Lo stesso art. 18, comma 14, fissa il termine di trenta giorni dalla notificazione per proporre il ricorso per cassazione ed il successivo comma 15, dispone che, 2Se il fallimento è revocato, restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura”.

Queste essendo le disposizioni immediatamente rilevanti per decidere la questione se il curatore fallimentare, nel caso in cui la dichiarazione di fallimento sia stata revocata in sede di reclamo, sia legittimato o no a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di revoca, va sottolineato che la Prima Sezione Civile ha enunciato il principio per il quale deve ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione proposto dal curatore avverso la sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento, in quanto il fallimento viene meno, con la conseguente decadenza dei suoi organi, soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza di revoca, salva la verifica nel singolo caso, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., dell’esistenza dell’interesse dello stesso curatore ad agire o a contraddire (cfr., le sentenze nn. 4632 del 2009 e 4707 del 2011, ambedue pronunciate in fattispecie assoggettate alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006).

Tale principio, condiviso peraltro dalla prevalente dottrina, deve essere qui ribadito.

In primo luogo, perchè – come già esattamente e sostanzialmente osservato con la citata sentenza n. 4632 del 2009 – la L. Fall., art. 18, menzionati commi 12 e 14, prevedendo rispettivamente che la sentenza di revoca del fallimento deve essere notificata (anche) al curatore e che avverso tale sentenza può essere proposto ricorso per cassazione, mostrano che il legislatore della riforma – come, del resto, già l’originario testo dell’art. 19, comma 1, – ha inteso far decorrere la decadenza degli organi preposti al fallimento a far tempo dal passaggio in giudicato della sentenza di revoca, restando altrimenti senza plausibile ragione la previsione della notificazione di tale sentenza (anche) al curatore.

In secondo luogo, e soprattutto, perchè l’esigenza di certezza giuridica espressa nel generale principio di conservazione degli effetti degli atti legalmente compiuti nelle procedure concorsuali – ricavabile dagli artt. 21, primo comma, della legge fallimentare, nel testo originario (riprodotto nel vigente art. 18, comma 15, nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 2, comma 7), D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 10, comma 2, e art. 33, (per l’amministrazione straordinaria) e D.L. n. 347 del 2003, art. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 39 del 2004 -, comporta che, in relazione alla costituzione dei rapporti processuali attinenti ai soggetti sottoposti a tali procedure concorsuali, l’apertura delle stesse, con la nomina dei loro organi sulla base di un provvedimento formalmente idoneo e la immissione degli stessi nel possesso e nella gestione del patrimonio, costituisce un “fatto giuridico” di per sè idoneo a radicare la legittimazione processuale, attiva e passiva, di detti organi in relazione ai rapporti giuridici che ne formano oggetto, a prescindere dalla validità intrinseca del predetto provvedimento e finchè questo non venga rimosso, annullato, dichiarato nullo o giuridicamente inesistente con pronuncia giurisdizionale passata in giudicato, la quale renda non più proseguibile la procedura con efficacia ex nunc (cfr. la sentenza n. 27346 del 2009, pronunciata a sezioni unite).

Ciò vale tanto più nel caso, quale quello di specie, in cui la revoca della dichiarazione di fallimento sia stata determinata non già dall’insussistenza dei presupposti soggettivi e/o oggettivi necessari per tale dichiarazione, bensì dall’invalidità – sia pur cagionata dalla denunciata violazione di diritti fondamentali del debitore – di un atto del procedimento per la dichiarazione di fallimento.

3. – La singolare fattispecie sottostante ai ricorso principale è la seguente: a) il giudice delegato del Tribunale (fallimentare) di Perugia, con decreto del 3 dicembre 2008, emesso ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 3, – nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 3, comma 4, – convoca la debitrice s.r.l. Explorer in liquidazione per l’udienza del 12 gennaio 2009, mandando al creditore P. di notificare il ricorso ed il decreto “entro il termine di 15 giorni prima dell’udienza”; b) il creditore esegue la notifica, a mezzo del servizio postale, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3, comma 3, (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali), spedendo il piego raccomandato con avviso di ricevimento in data 15 dicembre 2008; c) tale piego, non consegnato per temporanea assenza della destinataria, viene depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna in data 16 dicembre 2008, ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, comma 2, (Notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari); d) nella stessa data del 16 dicembre 2008, l’agente postale compie le formalità, di cui alla stessa L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, e spedisce alla Società Explorer l’avviso ivi previsto; e) all’udienza del 12 gennaio 2009, la Società debitrice non compare e, con sentenza n. 7 del 30 gennaio 2009, il Tribunale di Perugia ne dichiara il fallimento.

A fronte di tale fattispecie, la ratio deciderteli della sentenza impugnata, di revoca della dichiarazione di fallimento della s.r.l.

Explorer in liquidazione per nullità (derivata) della sentenza di primo grado, sta nei seguenti passaggi argomentativi: a) la notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione alla Società debitrice, non essendo stato da questa ritirato il relativo piego raccomandato, deve intendersi perfezionata “per compiuta giacenza”, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, in data 29 dicembre 2008, perchè il decimo giorno successivo al 16 dicembre 2008 (data di spedizione della lettera raccomandata contenente l’avviso di deposito) – coincidente con il 26 dicembre 2008, giorno festivo ai sensi della L. 27 maggio 1949, n. 260, art. 2, e seguito da un sabato (27 dicembre) e da una domenica (28 dicembre) – deve intendersi prorogato appunto al 29 dicembre, in forza del combinato disposto dei commi quinto e quarto dell’art. 155 c.p.c.; b) posto che i quindici giorni tra la data della notificazione del ricorso e del decreto di convocazione e la data dell’udienza, di cui al termine stabilito dalla L. Fall., art. 15, comma 3, debbono qualificarsi come “liberi”, e che il dies a quo di tale termine coincide, per le anzidette ragioni, con la data del 30 dicembre 2008, il dies ad quem dello stesso termine cade nella data del 13 gennaio 2009, giorno seguente a quello fissato per l’udienza di comparizione delle parti, con la conseguenza che, essendo stato violato il contraddittorio, “per non essere stato garantito al debitore termine pari a quello previsto dalla norma e dallo stesso decreto di convocazione”, la sentenza dichiarativa di fallimento è affetta da nullità.

3.1. – La su descritta fattispecie, la ratio decidendo della sentenza impugnata e le censure formulate dal ricorrente principale pongono, pertanto, due distinte, anche se connesse, questioni di diritto: a) se – nel caso in cui: il debitore sia stato convocato per l’udienza di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 3, comma 4, la notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione sia stata eseguita a mezzo del servizio postale, la consegna del piego raccomandato non sia stata effettuata per temporanea assenza del notificato, tale piego sia stato depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna ed il termine di dieci giorni, di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, cada in giorno festivo, seguito da un sabato e da una domenica – la scadenza di tale termine debba, o no, essere prorogata di diritto, ai sensi del combinato disposto dei commi quinto e quarto dell’art. 155 c.p.c., al primo giorno seguente non festivo; e se, previamente e più in generale, il termine medesimo, previsto per il compimento della cosiddetta “compiuta giacenza” e quindi per il perfezionamento della notificazione eseguita a mezzo del servizio postale, sia qualificabile, o no, come termine “per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza” ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 5, con la conseguenza, in caso di risposta affermativa, che il termine medesimo, ove cadente nella giornata del sabato, deve essere prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo; b) come, nella stessa fattispecie, debba essere qualificato, anche ai fini del suo computo, il termine “non inferiore a quindici giorni”, che “deve intercorrere” tra la data della notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione del debitore e quella dell’udienza, di cui al più volte citata L. Fall., art. 15, comma 3.

3.1.1. – Ad avviso di queste sezioni unite, le risposte al primo quesito non possono che essere affermative.

3.1.2. – Al riguardo, il quadro normativo rilevante è costituito dalle seguenti disposizioni.

A) L’art. 149 c.p.c., comma 3, – aggiunto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. e), entrato in vigore il 1 marzo 2006 ed applicabile alla specie ratione temporis -, nel disciplinare la notificazione a mezzo del servizio postale, dispone: “La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto”.

Tale disposizione – la cui aggiunta è stata determinata dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale “del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c., e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3…, nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anzichè a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario” (Corte costituzionale, sentenza n. 477 del 2002) – codifica innanzitutto il principio di scissione fra i due momenti di perfezionamento della notificazione, conformemente a quanto più volte affermato dalla Corte costituzionale: “… risulta ormai presente nell’ordinamento processuale civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il principio secondo il quale – relativamente alla funzione che sul piano processuale, cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione è destinata a svolgere per il notificante – il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il medesimo deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario; pur restando fermo che la produzione degli effetti che alla notificazione stessa sono ricollegati è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario e che, ove a favore o a carico di costui la legge preveda termini o adempimenti o comunque conseguenze dalla notificazione decorrenti, gli stessi debbano comunque calcolarsi o correlarsi al momento in cui la notifica si perfeziona nei suoi confronti” (così la sentenza n. 28 del 2004, n. 4, del Considerato in diritto; cfr. anche le ordinanze nn. 97, 132 e 153 del 2004, nonchè la sentenza n. 3 del 2010).

La stessa disposizione, inoltre – nella parte in cui stabilisce che la notifica si perfeziona per il destinatario dal momento in cui questo “ha la legale conoscenza dell’atto” -, tiene conto, per ragioni di coerenza sistematica, proprio del fatto che nella notificazione a mezzo del servizio postale il perfezionamento della notifica non sempre coincide con il materiale recapito o ritiro del piego raccomandato da parte del notificato, potendo invece coincidere, come nella specie, con l’inutile spirare del termine di “compiuta giacenza”, di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4. B) La L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, – nel testo sostituito dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 4, lett. c), n. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 1, entrato in vigore il 17 marzo 2005 ed applicabile alla specie ratione temporis -, stabilisce: “La notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore”.

Tale disposizione realizza – contemperandoli – due diversi e contrapposti interessi: quello del notificante, anche sia comunque assicurato un termine finale per il perfezionamento del procedimento di notificazione dallo stesso promosso, spirato il quale, appunto, “la notificazione si ha per eseguita” anche in mancanza di ritiro del piego depositato da parte del destinatario, che pertanto, da tale momento, “ha la legale conoscenza dell’atto”; quello del notificato – nei casi, di cui allo stesso art. 8, comma 2, di mancato recapito del piego – a disporre di un termine ragionevole per il ritiro dello stesso presso l’ufficio postale preposto alla consegna, dal momento che la previsione di tale termine risponde al “fondamentale diritto del destinatario della notificazione ad essere posto in condizione di conoscere, con l’ordinaria diligenza e senza necessità di effettuare ricerche di particolare complessità, il contenuto dell’atto e l’oggetto della procedura instaurata nei suoi confronti, non potendo ridursi il diritto di difesa del destinatario medesimo ad una garanzia di conoscibilità puramente teorica dell’atto notificatogli” (così la sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 1998, n. 5.2. del Considerato in diritto).

C) L’art. 155 cod. proc. civ., sul computo dei termini, dispone, ai comma 4, che, “se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”, e, ai commi quinto e sesto – aggiunti dalla citata L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. f), entrati in vigore il 1 marzo 2006, applicabili anche ai processi pendenti a tale data (L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 3: cfr. le ordinanze nn. 7841 del 2011, 454 del 2010, 15636 del 2009 e la sentenza n. 6212 del 2010) ed applicabili alla specie ratione temporis -, che: “La proroga prevista dal comma 4, si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato (comma 5). Resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari, nella giornata del sabato, che ad ogni effetto è considerata lavorativa (comma 6)”.

Tali commi aggiunti – inseriti frettolosamente e senza particolari approfondimenti dal legislatore nel corpo dell’art. 155, come emerge dall’esame dei lavori preparatori -, per un verso (quinto comma), assimilano il giorno del sabato a quello festivo, limitatamente però “ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato”, per l’altro (comma 6), puntualizzano tuttavia che in tale giornata – “ad ogni effetto considerata lavorativa” – “resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari”.

In mancanza di elementi desumibili dai lavori preparatori, la ratio sottesa all’art. 155, comma 5, sembra stare nella generica agevolazione al rispetto dei termini che scadono nella giornata del sabato da parte dei soggetti partecipanti al processo, per il compimento di quegli atti processuali che devono necessariamente effettuarsi al di fuori dell’udienza, ciò coerentemente con il progressivo tendenziale riconoscimento, da parte del legislatore, della “diversità” della giornata del sabato – nella cultura sempre più diffusa, prima ancora che sul piano giuridico – rispetto agli altri giorni della settimana.

Nell’evidente difficoltà di prefigurare una casistica al riguardo, quel che pare certo, tuttavia, è che per “atti processuali”, di cui al comma 5, in esame, devono intendersi quelli che, sebbene svolti fuori dell’udienza, hanno rilevanza, diretta o indiretta, nel processo, nel senso che il rispetto o no dei termini correlati al loro compimento può determinare, o concorrere a determinare, una decisione giurisdizionale favorevole o sfavorevole per la parte che li compie.

3.1.3. – Questo essendo il quadro normativo di riferimento, si tratta innanzitutto di stabilire se il termine previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, debba, o no, essere qualificato “a decorrenza successiva” e computato, conseguentemente, secondo il normale criterio “in avanti”.

Ciò, perchè è noto il costante orientamento di questa Corte, anche anteriore all’entrata in vigore dell’art. 155 c.p.c., comma 5, secondo il quale tale disposizione, diretta a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada nella giornata del sabato, opera con esclusivo riguardo ai termini a decorrenza successiva e non anche per quelli che si computano “a ritroso” con l’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività, in quanto, altrimenti, si determinerebbe l’effetto contrario dell’abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio delle esigenze garantite con la previsione del termine medesimo (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n. 182 del 2011 e la sentenza n. 11163 del 2008).

Al riguardo, non può esservi dubbio che sia la struttura linguistica della disposizione in esame sia la sua stessa ratio depongono nel senso della qualificazione del termine de quo come “a decorrenza successiva”.

Infatti, quanto alla struttura linguistica, il legislatore prefigura la fattispecie – perfezionamento della notificazione eseguita a mezzo posta, nel caso di deposito presso l’ufficio postale preposto alla consegna del piego raccomandato e di mancato ritiro di quest’ultimo – prevedendo un termine iniziale, coincidente con la data di spedizione della lettera raccomandata con avviso di ricevimento contenente la notizia del deposito, ed un termine finale esplicitamente considerato successivo rispetto a detta data (“decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2”), data che costituisce appunto il dies a quo per il computo “in avanti” del termine di dieci giorni. Del resto, già il primo periodo della stessa L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 3, nel testo sostituito dal menzionato D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 4, lett. c), n. 2, convenuto, con modificazioni dalla L. n. 80 del 2005 – nello stabilire che “Trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2 senza che il destinatario o un suo incaricato ne abbia curato il ritiro, l’avviso di ricevimento è immediatamente restituito al mittente in raccomandazione con annotazione in calce, sottoscritta dall’agente postale, della data dell’avvenuto deposito e dei motivi che l’hanno determinato, dell’indicazione atto non ritirato entro il termine di dieci giorni e della data di restituzione” -, conferma all’evidenza, sia pure ad altri fini (restituzione al mittente dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente l’avviso di deposito), la natura “a decorrenza successiva” del termine in esame.

Tale conclusione è confermata dalla su indicata ratio della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, (cfr., supra, n. 3.1.2., lettera B):

la realizzazione dei contrapposti interessi del notificante – al perfezionamento del procedimento di notificazione – e del notificato – alla conoscibilità effettiva dell’atto – richiede che per quest’ultimo “trascorrano” o “decorrano”, appunto, dieci giorni dal momento in cui lo stesso, con la spedizione dell’avviso di deposito, è stato posto in condizione di conoscere effettivamente il contenuto dell’atto.

Conseguentemente, questo termine deve essere computato secondo i normali criteri, escludendo il giorno iniziale e conteggiando quello finale (art. 155 c.p.c., comma 1).

3.1.4. – In secondo luogo, si tratta di stabilire se quello previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, sia, o no, termine previsto “per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza” (art. 155 c.p.c., comma 5), con la conseguenza – in caso di risposta affermativa – che esso, se scadente nella giornata del sabato, è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo (art. 155 c.p.c., comma 4).

Al riguardo – tenute presenti tutte le considerazioni che precedono e, in particolare, il rilievo che per “atti processuali”, di cui all’ora menzionato art. 155, comma 5, devono intendersi quelli che hanno rilevanza, diretta o indiretta, nel processo (cfr., supra, n. 3.1.2., lett. C) – è agevole rilevare che l’intero (tradizionale) procedimento di notificazione di atti inerenti al processo – sia esso promosso ed eseguito dall’avvocato ai sensi della citata L. n. 53 del 1994 (come nella specie), ovvero eseguito dall’ufficiale giudiziario, previa consegna a quest’ultimo dell’atto da notificare – si svolge necessariamente “fuori dell’udienza” fino al suo compimento, come ovviamente fuori dell’udienza si effettua in particolare, nelle notificazioni a mezzo del servizio postale, anche l’eventuale “ritiro” del piego depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna da parte del notificato. “Ritiro” che, d’altro canto, è certamente qualificabile come “atto processuale” ai sensi del menzionato art. 155, comma 5, costituendo esso, se anteriore al compimento del periodo di “giacenza” di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, l’altra forma di perfezionamento del procedimento di notificazione eseguito a mezzo del servizio postale, nei casi di mancata consegna del piego al destinatario o alle persone abilitate a riceverlo di cui allo stesso art. 8, comma 2 (“Resta… fermo, per il destinatario, il principio del perfezionamento della notificazione solo alla data di ricezione dell’atto, attestata dall’avviso di ricevimento, con la conseguente decorrenza da quella stessa data di qualsiasi termine imposto al destinatario medesimo”: così la citata sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, n. 3.2. del Considerato in diritto).

Pertanto, non può esservi dubbio che, nel caso in cui il termine di dieci giorni, di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, scada della giornata del sabato, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155 c.p.c., commi 4 e 5.

3.1.5. – All’esito dell’analisi che precede, possono essere perciò enunciati i seguenti principi di diritto: a) il termine di dieci giorni di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, comma 4, (Notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), nel testo sostituito dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 4, lett. c), n. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 1, entrato in vigore il 17 marzo 2005 – secondo il quale, nel caso (quale quello di specie), in cui il piego raccomandato depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna non sia stato ritirato dal destinatario, “La notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2…” – deve essere qualificato come termine “a decorrenza successiva” e computato, secondo il criterio di cui all’art. 155 c.p.c., comma 1, escludendo il giorno iniziale (data di spedizione della lettera raccomandata di cui allo stesso art. 8, comma 2) e conteggiando quello finale; b) lo stesso termine – essendo stabilito nell’ambito de procedimento preordinato alla notificazione di atti inerenti al processo (anche) civile (nella specie: notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione del debitore, di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3) – deve intendersi compreso fra i “termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza”, di cui all’art. 155 c.p.c., comma 5, aggiunto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. f), entrato in vigore il 1 marzo 2006, con la conseguenza che il dies ad quem del termine medesimo, ove scadente nella giornata del sabato, è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo, ai sensi del combinato disposto del quinto e dello stesso art. 155 c.p.c., comma 4. 3.1.6. – Applicando tali principi alla fattispecie in esame, è del tutto evidente la correttezza delle argomentazioni svolte dai Giudici a quibus e, per contro, l’infondatezza dei motivi primo, secondo e quarto del ricorso principale.

Nella specie, infatti, è certo e, comunque, incontestato tra le parti che la lettera raccomandata con avviso di ricevimento, di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, è stata spedita alla s.r.l. Exporter in liquidazione in data 16 dicembre 2008, cioè nello stesso giorno del deposito del piego raccomandato presso l’ufficio postale preposto alla consegna. Computando dal 17 dicembre 2008 i dieci giorni necessari per il perfezionamento della notificazione, di cui alla stessa L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, il dies ad quem di tale termine di dieci giorni scadeva il 26 dicembre 2008, giorno festivo ai sensi della L. 27 maggio 1949, n. 260, art. 2, seguito da un sabato (27 dicembre) e da una domenica (28 dicembre), con la conseguenza che esso – come esattamente affermato dalla Corte di Perugia – deve intendersi prorogato di diritto, in forza del combinato disposto dell’art. 155 c.p.c., commi 4 e 5, al giorno 29 dicembre 2008 (lunedì), con l’ulteriore conseguenza che in questa data, realizzatasi la cosiddetta “compiuta giacenza”, si è perfezionata la notificazione del ricorso introduttivo per la dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione e del decreto di convocazione della debitrice, in ragione della “legale conoscenza2 di tale atto da parte di quest’ultima (art. 149 c.p.c., comma 3).

3.1.7. – Deve essere ora esaminata l’altra questione posta dalla su descritta fattispecie, vale a dire come debba essere qualificato, anche ai fini del suo computo, il termine non inferiore a quindici giorni, che deve intercorrere tra la data della notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione del debitore e quella dell’udienza, di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3 (cfr., supra, n. 3.1., lett. b).

Anche per risolvere tale questione, è utile premettere il quadro normativo di riferimento.

A) Il testo originario della L. Fall., art. 15, disponeva: “Il tribunale, prima di dichiarare il fallimento, può ordinare la comparizione del debitore in camera di consiglio e sentirlo anche in confronto dei creditori istanti”.

Di questa disposizione, com’è noto, fu dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 24 Cost., “nella parte in cui (…) non prevede l’obbligo del tribunale di disporre la comparizione dell’imprenditore in camera di consiglio per l’esercizio del diritto di difesa nei limiti compatibili con la natura di tale procedimento” (Corte costituzionale, sentenza n. 141 del 1970; cfr. anche le successive ordinanze n. 171 del 1970 e n. 59 del 1971). A sostegno della dichiarazione di incostituzionalità, la Corte affermò, tra l’altro, che: “Per la più ampia tutela del debitore sono preveduti, è vero, rimedi, ed in primo luogo l’opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, improntati al principio del contraddittorio e diretti, mediante piena cognizione, a verificare la legittimità della sentenza medesima. Tuttavia la gravità delle conseguenze di questa pone l’indefettibile esigenza che il debitore, già nella prima fase processuale in camera di consiglio, informato della iniziativa in corso, possa contrastare, anche in confronto di creditori istanti, con deduzioni di fatto ed argomentazioni tecnico- giuridiche e con l’eventuale ausilio di difensori, la veridicità dell’asserito stato di dissesto e la di lui assoggettabilità alla esecuzione fallimentare”; e che: “Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 15 in esame, che con sostanziale pregiudizio del diritto di difesa, non statuisce l’obbligo del tribunale di disporre la comparizione del debitore.

Ovviamente tale disposizione, con l’eventuale successiva audizione del debitore e con la possibilità di sue deduzioni e difese, anche in confronto dei creditori istanti, non senza assistenza tecnica, deve essere inquadrata e contenuta nella vigente normativa circa il procedimento di cognizione sommaria, nell’ambito delle finalità e delle speciali ragioni di urgenza e tempestività anche allo scopo della conservazione del patrimonio del debitore, cui è informata la disciplina della dichiarazione di fallimento. A questo conseguentemente si attaglia il carattere della speditezza dei provvedimenti, svincolati da speciali forme procedurali e dal rispetto di termini non espressamente stabiliti dalla legge; il tutto rimesso invece al prudente apprezzamento degli organi giudiziari competenti” (n. 4. dei Considerato in diritto).

B) L’art. 15 della legge fallimentare – nel testo sostituito dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 13, entrato in vigore il 16 luglio 2006 (art. 153) ed applicabile, ai sensi dell’art. 150 dello stesso decreto legislativo, ai “ricorsi per la dichiarazione di fallimento e alle domande di concordato fallimentare depositate” successivamente all’entrata in vigore del decreto – dispone(va), al primo periodo del comma 2, che “Il Tribunale convoca, con decreto apposto in calce al ricorso, il debitore ed i creditori istanti per il fallimento” e, al secondo periodo del comma 3, che “Tra la data della notificazione, a cura di parte, del decreto di convocazione e del ricorso, e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni liberi”. C) La L. Fall., art. 15 – nel testo sostituito dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 2, comma 4, entrato in vigore il 1 gennaio 2008 (art. 22, comma 1) ed applicabile, ai sensi dell’art. 22, comma 2, dello stesso decreto legislativo, “ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore, nonchè alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in vigore” – riproduce, al primo periodo del comma 2, e al secondo periodo del comma 3, il medesimo testo introdotto precedentemente. L’unica modificazione rispetto a tale testo sta nella soppressione della qualificazione – come “liberi” – dei quindici giorni che devono intercorrere tra la data della notificazione del ricorso e del decreto di convocazione e quella dell’udienza.

Questo essendo il quadro normativo di riferimento, deve immediatamente rilevarsi che tale termine di quindici giorni è stabilito nell’interesse del debitore, essendo chiaramente volto – come già rilevato in modo puntuale nei su riportati brani della sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 1970 – a consentire allo stesso, entro un periodo di tempo da ritenersi ragionevole tenuto conto delle esigenze di speditezza del procedimento di istruttoria prefallimentare, il pieno esercizio del proprio diritto di difesa in contraddittorio con i creditori istanti per il fallimento. Di qui l’ovvia conseguenza della natura “dilatoria” del termine de quo, come del resto riconosciuto dalla dottrina pressochè unanime e già affermato da alcuni specifici precedenti di questa Corte (cfr., tra le ultime, le sentenze nn. 1098 e 16757 del 2010).

Del resto, ad esempio, parimenti di natura “dilatoria” è stato costantemente ritenuto il termine previsto dall’art. 415 c.p.c., comma 5, (si veda anche il comma 6), il quale contiene, nel rito del lavoro, una disposizione strutturata in modo dei tutto analogo a quella di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, stabilendo che “Tra la data di notificazione al convenuto del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione dell’udienza e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni” (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 16851 del 2011 e 1717 del 1978).

Ancora a titolo di esempio di termine di natura dilatoria può essere menzionato, sempre per l’analoga strutturazione, l’art. 318 c.p.c., comma 2, in tema di procedimento davanti al giudice di pace, il quale dispone: “Tra il giorno della notificazione di cui all’art. 316 notificazione della citazione a comparire a udienza fissa e quello della comparizione devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti dall’art. 163 bis, ridotti alla metà”.

Deve poi osservarsi che la soppressione dell’aggettivo “liberi” ad opera del decreto “correttivo” n. 169 del 2007, riferita a detto termine dei quindici giorni intermedi, determina necessariamente il passaggio dal criterio di computo pertinente ai termini “liberi”, per il quale non si calcolano nè dies a quo nè dies ad quem, a quello generale fissato dall’art. 155 c.p.c., comma 1, per il quale soltanto dies a quo non computatur in termino.

Tale conclusione è supportata dai seguenti rilievi: a) il legislatore delegato del decreto “correttivo” non da ragione specifica di detta soppressione nell’art. 15, comma 3, essendosi limitato ad osservare genericamente, nella relazione governativa, che “L’art. 2, comma 4, riformula ex novo l’art. 15, per emendarlo di alcune improprietà”, sicchè nessun ausilio ermeneutico è apportato dai lavori preparatori; b) il verbo “intercorrere” – che allude ad un tempo che “corre” appunto tra due estremi di cui non deve tenersi conto e che, quindi, potrebbe far ipotizzare che la soppressione dell’aggettivo “liberi” nel caso de quo è stata operata per meri motivi pleonastici – è, in realtà, utilizzato dal legislatore del codice di rito per indicare sia termini “liberi” (L. Fall., art. 163 bis, comma 1, art. 318, comma 2, art. 15, comma 3, nella versione introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2006) sia termini che non sono esplicitamente qualificati come tali (L. Fall., art. 415, comma 5, art. 15, comma 3, nella versione vigente), sicchè la previsione o la soppressione dell’aggettivo “liberi” associata ad un termine assume un autonomo significato sul piano giuridico, quanto al criterio applicabile per il computo del termine stesso; c) questa Corte ha più volte enunciato il condivisibile principio per il quale, in tema di computo dei termini processuali, qualora la legge non preveda espressamente che si tratti di un termine libero, opera il criterio generale di cui all’art. 155 c.p.c., secondo il quale non devono essere conteggiati i giorni e l’ora iniziali computandosi invece quelli finali (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 11302 del 2011, 6263 del 2006 e 10797 del 1997); d) la prevalente dottrina è concorde nel ritenere che, a seguito di detta soppressione dell’aggettivo “liberi”, nel computo del termine in questione deve applicarsi la regola generale dettata dall’art. 155 c.p.c., comma 1, per la quale dies a quo non computatur in termino.

Deve aggiungersi che la disposizione transitoria di cui allo stesso D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 22, comma 2, – in forza del quale “Le disposizioni del presente decreto si applicano ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore 1 gennaio 2008” – fa sì che il testo dell’art. 15, comma 3, introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 13, è applicabile unicamente ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento promossi a far data dal 16 luglio 2006 e conclusisi (ivi comprese le eventuali fasi del reclamo e/o del regolamento di competenza) entro il 31 dicembre 2007. E’, quindi, del tutto evidente che l’applicabilità di tale testo è meramente teorica, non essendo immaginabili ipotesi in cui sia ancora deducibile, nonostante l’intervenuta definitività della sentenza dichiarativa di fallimento, l’eventuale omesso rispetto del criterio di computo con riferimento ai quindici giorni “liberi”.

Inoltre, non può esservi dubbio che il termine in esame sia annoverabile tra quelli “a decorrenza successiva” e, dunque, da computare “in avanti” e non “a ritroso”. Depongono in tal senso i concorrenti rilievi che si tratta di termine: a) stabilito dalla legge nell’esclusivo interesse del debitore per l’esercizio del proprio diritto di difesa; b) da calcolare non come un prima rispetto alla data dell’udienza di convocazione, al fine di consentire alle controparti di conoscere il contenuto di un certo atto, bensì corrente da un determinato atto (notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione) in vista dell’udienza, la quale non deve svolgersi prima che sia decorso quel termine, appunto a garanzia del diritto di difesa del debitore; c) diverso, ad esempio, da quello previsto dal primo periodo del quarto comma dello stesso art. 15 – secondo il quale, tra l’altro, “Il decreto… fissa un termine non inferiore a sette giorni prima dell’udienza per la presentazione di memorie e il deposito di documenti e relazioni tecniche2 – termine che, essendo invece destinato a consentire al debitore la conoscenza e lo spatium deliberandi rispetto agli scritti difensivi ed ai documenti contro di lui prodotti, è tipico termine da computare “a ritroso”, a partire dal giorno fissato per l’udienza di convocazione.

Conclusivamente, il termine di quindici giorni cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, essendo di natura “dilatoria” e “a decorrenza successiva”, deve essere computato secondo i normali criteri, escludendo il giorno iniziale e conteggiando quello finale (art. 155 c.p.c., comma 1).

3.1.8. – All’esito dell’analisi che precede, può essere perciò enunciato il seguente principio di diritto: il termine di quindici giorni di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, – nel testo sostituito dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 2, comma 4, entrato in vigore il 1 gennaio 2008 (art. 22, comma 1) ed applicabile, ai sensi dell’art. 22, comma 2, dello stesso decreto legislativo, “ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore, nonchè alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in vigore” – deve essere qualificato come termine di natura “dilatoria” e “a decorrenza successiva” e computato, secondo il criterio di cui all’art. 155 c.p.c., comma 1, escludendo il giorno iniziale (data della notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione) e conteggiando quello finale (data dell’udienza di comparizione).

3.1.9. – Applicando tale principio alla fattispecie in esame, deve affermarsi, in primo luogo, che il terzo motivo del ricorso principale è privo di fondamento – perchè basato su premesse interpretative contrarie allo stesso principio – e, in secondo luogo, che, pur essendo i dispositivo della sentenza impugnata – di revoca della sentenza de Tribunale di Terni, dichiarativa del fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione, n. 7 del 30 gennaio 2009 – conforme al diritto, la stessa sentenza è tuttavia erroneamente motivata in diritto, con la conseguenza che queste Sezioni Unite possono limitarsi a correggere la motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

Infatti, la Corte perugina ha così argomentato: posto che i quindici giorni tra la data della notificazione del ricorso e del decreto di convocazione e la data dell’udienza, di cui al termine stabilito dalla L. Fall., art. 15, comma 3, debbono qualificarsi come “liberi”, e che il primo giorno computabile di tale termine coincide con la data del 30 dicembre 2008, il dies ad quem dello stesso termine cade nella data del 13 gennaio 2009, giorno successivo a quello stabilito per l’udienza di convocazione, con la conseguenza che, essendo stata tenuta l’udienza di comparizione nel giorno 12 gennaio 2009 ed essendo stato perciò violato il contraddittorio, “per non essere stato garantito al debitore termine pari a quello previsto dalla norma e dallo stesso decreto di convocazione”, la sentenza dichiarativa di fallimento è affetta da nullità.

Ribadita la correttezza di tale conclusione – la quale, peraltro, non è stata investita da specifiche censure -, l’errore in cui sono incorsi i Giudici a quibus sta nell’aver qualificato come “liberi” i giorni previsti dal termine in questione: infatti, come già dianzi rilevato (cfr., supra, n. 2.), la fattispecie di procedura concorsuale de qua ricade interamente sotto la disciplina della legge fallimentare nel testo risultante a seguito dell’entrata in vigore – il 1 gennaio 2008 – del D.Lgs. “correttivo” n. 169 del 2007 e, quindi, dell’art. 15, terzo comma, nel testo sostituito dall’art. 2, comma 4, di tale decreto legislativo, il quale ha soppresso detta qualificazione (cfr., supra, n. 3.1.7., lettera C). Ciò, a prescindere dall’ulteriore rilievo che tale erronea qualificazione avrebbe in ogni caso comportato l’esclusione da computo anche del giorno 13 gennaio 2009 (quindicesimo giorno “libero”) e l’individuazione del primo giorno utile per la tenuta dell’udienza di comparizione in quello successivo del 14 gennaio 2009.

Conforme al su enunciato principio di diritto è, invece, l’individuazione del dies a quo dello stesso termine nel giorno 29 dicembre 2008 e del dies ad quem nel giorno 13 gennaio 2009: infatti, come già dianzi rilevato (cfr., supra, n. 3.1.6), la notificazione del ricorso introduttivo per la dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione e del decreto di convocazione della debitrice si è perfezionata, appunto, nel giorno 29 dicembre 2008 (lunedì) per l’intervenuta “compiuta giacenza” del piego raccomandato depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna, con la conseguenza che – secondo la lettera dello stesso art. 15, comma 3 – nel computo del termine dilatorio di quindici giorni doveva essere escluso i giorno iniziale del 29 dicembre 2008 (data del perfezionamento detla notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione) e conteggiato quello finale del 13 gennaio 2009 (martedì), giorno in cui avrebbe dovuto tenersi tale udienza nel rispetto di tale termine, udienza che – invece – era stata fissata e tenuta il giorno precedente 12 gennaio 2009, in contumacia della Società Exporter.

4. – Il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale, da ritenersi di natura necessariamente condizionata in quanto proposto dalla parte, s.r.l. Exporter in liquidazione, risultata totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, con la revoca della sentenza dichiarativa del proprio fallimento (cfr. le sentenze delle sezioni unite nn. 23318 e 5456 del 2009 e 23019 del 2007).

5. – La sostanziale novità delle questioni trattate giustifica la compensazione integrale delle spese del presente grado del giudizio.

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