Corte di Cassazione, sezioni unite penali, Sentenza 9 maggio 2018, n. 20569
La massima estrapolata
Non è abnorme, e quindi non è ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di emissione del decreto penale di condanna, restituisca gli atti al pubblico ministero perché valuti la possibilità di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto ex articolo 131-bis del Cp. Con la restituzione degli atti al pubblico ministero, infatti, non si realizza un indebito ritorno a una fase del procedimento già esaurita e conclusa, né una paralisi irrimediabile del suo corso: il pubblico ministero è nuovamente titolare degli originari poteri di iniziativa e di impulso processuale, che può esercitare, sia ripresentando la richiesta di emissione del decreto penale di condanna emendata dagli eventuali errori segnalati, sia procedendo con altro rito, sia, infine, mediante richiesta di archiviazione del procedimento
Sentenza 9 maggio 2018, n. 20569
Data udienza 18 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMO Maurizio – Presidente
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Consigliere
Dott. LAPALORCIA Grazia – Consigliere
Dott. GALLO Domenico – Consigliere
Dott. IZZO Fausto – Consigliere
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere
Dott. BONI Monica – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso il provvedimento del 20/06/2017 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DE NARDO Marilia, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio del provvedimento;
sentita la relazione svolta dal componente Monica Boni.
RITENUTO IN FATTO
1. In data 15 febbraio 2017 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, richiedeva decreto penale di condanna nei confronti di (OMISSIS) in ordine al delitto di cui all’articolo 624 c.p., contestatogli per avere compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi della somma di Euro 4,60 e di due pacchetti di sigarette, introducendosi in un furgone in sosta lasciato aperto dal suo proprietario, senza riuscire a portare a compimento l’azione perche’ fermato da una pattuglia delle forze dell’ordine (fatto commesso in (OMISSIS)).
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, senza respingere formalmente la richiesta di emissione del decreto penale di condanna, restituiva gli atti al pubblico ministero, invitandolo a valutare, dopo avere acquisito il certificato penale dell’imputato, se chiedere l’archiviazione del procedimento ai sensi dell’articolo 131 bis c.p..
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna per denunciarne, con unico motivo, l’abnormita’. Richiamata la nozione di atto abnorme, come elaborata dalla giurisprudenza di legittimita’, il ricorrente ha censurato l’indebito superamento da parte del giudice delle indagini preliminari dei limiti che l’ordinamento processuale gli impone nell’esercizio della funzione di controllo sulle determinazioni del pubblico ministero in tema di esercizio dell’azione penale.
Ha evidenziato che: a) a norma dell’articolo 459 c.p.p., comma 3, il giudice delle indagini preliminari che sia investito della richiesta di emissione del decreto penale di condanna, qualora non rinvenga i presupposti per pronunciare il proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., puo’ respingere la richiesta, restituendo gli atti al pubblico ministero, soltanto per ragioni attinenti alla legittima introduzione del rito, alla qualificazione giuridica del fatto, oppure all’idoneita’ ed adeguatezza della pena in riferimento al caso concreto; b) nel procedimento per decreto non e’ consentito al giudice respingere la richiesta del pubblico ministero per mere ragioni di opportunita’, per cui, l’unica alternativa possibile alla pronuncia della sentenza di proscioglimento dell’imputato, ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., e’ costituita dall’emissione del decreto di condanna; c) il provvedimento di restituzione degli atti per valutare l’ipotetica applicabilita’ dell’articolo 131 bis c.p., e’ abnorme, perche’ non consentito, tenuto conto, inoltre, che nel procedimento per decreto non potrebbe essere applicata la causa di non punibilita’ per particolare tenuita’, che presuppone la previa instaurazione del contraddittorio con l’imputato e determina l’effetto pregiudizievole dell’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale, in quanto il procedimento monitorio e’ caratterizzato dall’assenza di contraddittorio, sicche’ non vi sarebbe spazio per una sentenza di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p..
Ha quindi chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato con la conseguente restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna perche’ provveda sulla richiesta di emissione di decreto penale di condanna.
3. La Quarta Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite, rilevando un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimita’.
Ha segnalato un primo orientamento, al quale si e’ richiamato anche il Procuratore della Repubblica ricorrente, che assume l’abnormita’ dell’atto di restituzione al pubblico ministero quando non ricorrano questioni sui presupposti di ammissibilita’ del rito, di qualificazione giuridica del fatto o di idoneita’ ed adeguatezza della pena rispetto al caso concreto, poiche’, una volta esercitata l’azione penale con la richiesta di decreto penale di condanna, al giudice non sarebbe consentita nessuna discrezionalita’ (Sez. 1, n. 15272 del 21/12/2016, Allocco, Rv. 269464).
Ha, quindi, manifestato adesione ad un diverso indirizzo interpretativo, secondo il quale non e’ abnorme il provvedimento di restituzione degli atti del giudice per le indagini preliminari, con il quale si rigetta la richiesta di emissione del decreto penale di condanna, quando non sia motivato esclusivamente su ragioni di opportunita’ (Sez. 4, n. 48888 del 25/10/2016, Bouraya; Sez. 4, n. 48886 del 25/10/2016, Gagliardi; Sez. 4, n. 10209 del 04/02/2016, Parola, Rv, 271362; Sez. 6, n. 36216 del 27/06/2013, Galati, Rv. 256331; Sez. 4, n. 40513 del 06/10/2010, Sabatino, Rv. 248857; Sez. 6, n. 45290 del 11/11/2008, Esposito, Rv. 242377).
4. Con decreto in data 11 dicembre 2017, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione in camera di consiglio l’odierna udienza.
5. Con memoria depositata in data 3 gennaio 2018 il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha illustrato le proprie conclusioni, chiedendo l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato con restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna. Il requirente ha infatti condiviso la linea interpretativa secondo la quale il provvedimento di rigetto della richiesta di emissione del decreto penale di condanna e restituzione degli atti al pubblico ministero, con invito a prendere in considerazione la possibilita’ di chiedere l’archiviazione per speciale tenuita’ del fatto, costituisce sviamento dell’esercizio di un potere dallo scopo per il quale l’ordinamento lo attribuisce, perche’ incide sulle scelte gia’ operate dal pubblico ministero all’atto di esercitare l’azione penale, con la implicita esclusione anche della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le Sezioni Unite sono chiamate a risolvere la seguente questione di diritto: “se sia qualificabile come abnorme e, pertanto, ricorribile per cassazione, il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero, affinche’ questi valuti la possibilita’ di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuita’ del fatto, ex articolo 131 bis c.p.”.
2. Come anticipato, in ordine alla legittimita’ della determinazione del giudice di non dare corso alla richiesta del pubblico ministero e di rimettergli gli atti per formulare eventuale richiesta di archiviazione del procedimento per particolare tenuita’ del fatto di reato, e’ rinvenibile un contrasto di opinioni nella giurisprudenza di legittimita’.
2.1. Un primo orientamento, al quale si richiama anche l’ordinanza di rimessione, esclude l’abnormita’ del provvedimento di restituzione degli atti al pubblico ministero, con riferimento a fattispecie concrete talvolta del tutto corrispondenti al caso in esame (Sez. 4, n. 10209 del 04/02/2016, Parola, Rv. 271362), talaltra in fattispecie diverse, in cui il giudice si e’ espresso, in difformita’ dalla richiesta, sulla congruita’ della pena o sulla sostituzione di quella detentiva con la corrispondente sanzione pecuniaria (Sez. 4, n. 48886 del 25/10/2016, Gagliardi; Sez. 4, n. 48888 del 25/10/2016, Bouraya; Sez. 6, n. 6663 del 01/12/2015, dep. 2016, R., Rv. 266111), ma accomunate dal rilievo assegnato alla funzione di controllo demandata al giudice delle indagini preliminari rispetto alle determinazioni assunte dal pubblico ministero all’atto dell’esercizio dell’azione penale. Premesso che, per il principio di tassativita’ dei mezzi d’impugnazione di cui all’articolo 568 c.p.p., il provvedimento di restituzione degli atti al pubblico ministero va considerato inoppugnabile, si e’ ritenuto che la sua contestazione mediante ricorso per cassazione non sia consentita nemmeno mediante il richiamo alla nozione di abnormita’ dell’atto giudiziario, ravvisabile soltanto quando siano riscontrabili anomalie genetiche o funzionali cosi’ radicali da porre il provvedimento al di fuori dello schema legale delineato dall’ordinamento e da rivelare l’assenza del potere decisorio. Si e’ osservato che la restituzione degli atti al pubblico ministero rientra nei poteri conferiti al giudice dall’articolo 459 c.p.p., comma 3; essa invero non impone adempimento dal quale discenda la pronuncia di un atto nullo, apprezzabile come tale nel corso del futuro svolgimento del rapporto processuale, e non comporta lo sviamento, rispetto allo scopo stabilito, della funzione di controllo assegnata al giudice per le indagini preliminari quando sia richiesto dell’emissione del decreto penale di condanna. Nella restituzione degli atti, conseguente all’esercizio dei poteri di verifica spettanti al giudice per le indagini preliminari, in coerenza col dettato normativo, si ravvisa un mero invito ad assumere una diversa determinazione, non un’indebita interferenza con le prerogative del pubblico ministero, rimaste impregiudicate anche nelle valutazioni da esprimere nel prosieguo, e nemmeno un differente apprezzamento circa l’opportunita’ di introdurre il rito speciale.
La soluzione cosi’ riassunta si avvale dell’apparato argomentativo di precedenti pronunce che, seppur riguardanti situazioni di mancata emissione del decreto penale di condanna con restituzione degli atti al pubblico ministero, giustificata dal dissenso del giudice sulla possibilita’ di definire il procedimento in assenza di ulteriori accertamenti istruttori, nell’escludere l’abnormita’ della determinazione assunta dal giudice, ne hanno innanzitutto segnalato la natura interlocutoria e non definitiva, valorizzando l’estensione dell’attivita’ di controllo giudiziale, non soltanto ai presupposti di ammissibilita’ ed alla congruita’ sanzionatoria della richiesta, ma anche ad ogni risultanza utile. Tali pronunce hanno poi escluso che il provvedimento in questione determinasse una condizione di stallo processuale, attesa la perdurante possibilita’ del pubblico ministero di reiterare la propria richiesta, oppure di promuovere l’azione penale nelle forme ordinarie.
Su posizioni analoghe si sono attestate altre recenti pronunce (Sez. 6, n. 23829 del 12/05/2016, C., Rv. 267272; Sez. 6, n. 6663 del 01/12/2015, R., Rv. 266111; Sez. 4, n. 45683 del 18/09/2014, Mirra, Rv. 261063), che hanno negato l’abnormita’ dell’ordinanza di rigetto della richiesta di emissione di decreto penale di condanna e di restituzione degli atti al pubblico ministero, giustificata da una difforme valutazione sull’adeguatezza del trattamento punitivo e sulla specie della pena da irrogare quando la richiesta implichi la sostituzione della detenzione con pena pecuniaria a fronte della prevedibile inadempienza dell’imputato, gia’ sottrattosi ad obblighi di contenuto patrimoniale. In tale determinazione si e’ ravvisato il legittimo esercizio del potere di controllo del giudice e di apprezzamento della fattispecie nei suoi aspetti fattuali e si e’ esclusa un’indebita invasione di prerogative spettanti alla sola parte pubblica del processo.
Allo stesso contesto interpretativo va ascritta anche Sez. 6, n. 36216 del 27/06/2013, Galati, Rv. 256331, che ha negato qualsiasi profilo di abnormita’ nel provvedimento di diniego del decreto penale con restituzione degli atti al pubblico ministero, ravvisando la necessita’ di approfondimenti istruttori, siccome estrinsecazione del potere di verifica giudiziale, non circoscritto alle condizioni di ammissibilita’ del rito ed alla congruita’ della pena, ma esteso alla valutazione di merito sulla consistenza degli elementi di prova addotti a sostegno della richiesta, da enunciare in ottemperanza a quanto prescritto dall’articolo 460 c.p.p., comma 1, lettera c).
2.2. A tale maggioritaria linea esegetica si contrappone altro indirizzo, per il quale il provvedimento del giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, col quale si disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero per verificare l’applicabilita’ della causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 131 bis c.p., e’ affetto da abnormita’ strutturale per carenza di potere giurisdizionale, tenuto conto che la restituzione prevista dall’articolo 459 c.p.p., comma 3, si inserisce in una situazione diversa e quindi non risponde al modello legale (Sez. 1, n. 15272 del 21/12/2016, Allocco, Rv. 269464). A sostegno di tale soluzione si e’ evidenziato che:
– il rifiuto di emettere il decreto penale di condanna e’ consentito dall’articolo 459 c.p.p., comma 3, soltanto per ragioni attinenti alla legittimita’ del rito, alla definizione giuridica del fatto ed all’adeguatezza della pena, non per altri profili oggetto di apprezzamento discrezionale, quali l’indicazione della possibile archiviazione del procedimento;
– la decisione interviene dopo il gia’ avvenuto esercizio dell’azione penale nelle forme previste dall’articolo 459 c.p.p., comma 1, a fronte del quale al giudice e’ consentito pronunciare il decreto di condanna, o, in alternativa, emettere sentenza di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p.;
– il rito monitorio, caratterizzato da finalita’ premiali e dall’assenza di contraddittorio, e’ inconciliabile con la previsione dell’articolo 131 bis c.p., disciplinante una causa di non punibilita’ del fatto di reato accertato come sussistente e riferibile alla persona dell’imputato e non introduttiva di un ostacolo alla procedibilita’ dell’azione penale;
– la mancanza del contraddittorio nel rito monitorio preclude la possibilita’ del passaggio, grazie alla sollecitazione del giudice per le indagini preliminari, ad un diverso tipo di giudizio che pretende la partecipazione effettiva delle parti, sicche’ l’applicazione dell’istituto di cui all’articolo 131 bis c.p., nell’ambito del procedimento per decreto di condanna e’ ammissibile soltanto nella fase giudiziale a contraddittorio pieno, introdotta dalla proposizione dell’opposizione al decreto gia’ emesso.
3. Le Sezioni Unite ritengono di dover aderire all’orientamento maggioritario.
3.1. Come correttamente segnalato dalla sezione rimettente, la soluzione del quesito giuridico prospettato dal ricorrente impone il richiamo e l’individuazione della nozione di abnormita’. Invero, soltanto a condizione del riconoscimento come abnorme del provvedimento oggetto del presente ricorso (in se’ non contestabile con nessuno dei mezzi di gravame consentiti dalla disciplina processuale) la sua impugnazione puo’ dirsi ammissibile e valutabile nel merito.
3.2. L’abnormita’ costituisce, come e’ noto, una forma di patologia dell’atto giudiziario priva di riconoscimento testuale in un’esplicita disposizione normativa, ma frutto di elaborazione da parte della dottrina e della giurisprudenza, tramite cui si e’ inteso porre rimedio, attraverso l’intervento del giudice di legittimita’, agli effetti pregiudizievoli derivanti da provvedimenti non previsti nominatim come impugnabili, ma affetti da tali anomalie genetiche o funzionali, che li rendono difformi ed eccentrici rispetto al sistema processuale e con esso radicalmente incompatibili.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590, hanno offerto una rigorosa e puntuale delimitazione dell’area dell’abnormita’, ricorribile per cassazione, la cui duplice accezione, strutturale e funzionale, ha ricondotto ad un fenomeno unitario, caratterizzato dallo sviamento della funzione giurisdizionale, inteso non tanto quale vizio dell’atto, che si aggiunge a quelli tassativamente stabiliti dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, quanto come esercizio di un potere in difformita’ dal modello descritto dalla legge. Nello specifico settore dei rapporti tra giudice e pubblico ministero, l’abnormita’ strutturale e’ riconoscibile soltanto nel “caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto), ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioe’ completamente al di fuori dei casi consentiti, perche’ al di la’ di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto). L’abnormita’ funzionale, riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilita’ di proseguirlo, va limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo”.
3.3. Ebbene, si ritiene debba darsi seguito a questa linea interpretativa: la categoria dell’abnormita’ cosi’ elaborata presenta carattere eccezionale e derogatorio al principio di tassativita’ dei mezzi d’impugnazione, sancito dall’articolo 568 c.p.p., mantenuto inalterato nel suo testo anche dopo la riforma introdotta con la L. 23 giugno 2017, n. 103, ed al numero chiuso delle nullita’ deducibili secondo la previsione dell’articolo 177 c.p.p.. E’, dunque, riferibile alle sole situazioni in cui l’ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti.
La sua eccezionalita’ e residualita’ nel panorama delle forme di tutela accessibili impone di distinguerne l’ambito concettuale, da un lato, dalle anomalie dell’atto irrilevanti perche’ innocue, dall’altro, dalle situazioni di contrasto del pronunciamento giudiziale con singole norme processuali, la cui violazione sia rinforzata dalla previsione della nullita’. Sotto il primo profilo, e’ ininfluente e non riconducibile all’abnormita’ quell’atto, pur compiuto al di fuori degli schemi legali o per finalita’ diverse da quelle che legittimano l’esercizio della funzione, che sia superabile da una successiva corretta determinazione giudiziale che dia corretto impulso al processo o dalla sopravvenienza di una situazione tale da averne annullato gli effetti, averlo privato di rilevanza ed avere eliminato l’interesse alla sua rimozione. Quanto al secondo aspetto, l’incompatibilita’ della decisione con una o piu’ disposizioni di legge processuale vizia l’atto per mancata applicazione o errata interpretazione del referente normativo e ne determina l’illegittimita’, che, se cio’ sia prescritto, viene sanzionata in termini di nullita’. In questa situazione la violazione sussistente non travalica nell’abnormita’ se l’atto non sia totalmente avulso dal sistema processuale e non determini una stasi irrimediabile del procedimento. Resta dunque escluso che, come precisato anche dalla dottrina, possa invocarsi la categoria dell’abnormita’ per giustificare la ricorribilita’ immediata per cassazione di atti illegittimi, affetti soltanto da nullita’ o comunque sgraditi e non condivisi (Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, Boniotti), perche’ tanto si tradurrebbe nella non consentita elusione del regime di tassativita’ dei casi di impugnazione e dei mezzi esperibili, stabilito dall’articolo 568 c.p.p., comma 1.
4. Il raffronto tra i principi oggetto della riflessione ermeneutica come sopra riassunta e la specifica tipologia di provvedimento giudiziale adottato dal giudice per le indagini preliminari che, senza denegare esplicitamente l’emissione del decreto penale di condanna, rimandi gli atti del procedimento al pubblico ministero istante per una valutazione sulla possibile archiviazione del procedimento per essere l’imputato non punibile ai sensi dell’articolo 131 bis c.p.p., convince della non rapportabilita’ dell’atto decisorio alla categoria dell’abnormita’ in nessuna delle sue possibili manifestazioni.
4.1. Quanto a struttura, l’ordinanza in questione costituisce espressione del legittimo esercizio del potere cognitivo conferito al giudice per le indagini preliminari dall’articolo 459 c.p.p., comma 3, che, al di fuori di qualsiasi automatismo decisorio ed in coerenza col ruolo funzionale di quel giudice, gli riconosce la possibilita’ di un ampio sindacato sul merito dell’istanza.
La disposizione stabilisce, infatti, che il pubblico ministero procedente in ordine a specifiche tipologie di reati, quando ritiene sia applicabile soltanto una pena pecuniaria, anche se in sostituzione di pena detentiva, puo’ presentare al giudice per le indagini preliminari, entro il termine di sei mesi dall’iscrizione nel registro degli indagati del nominativo del soggetto cui il reato e’ ascritto e previa trasmissione del fascicolo processuale, richiesta motivata di emissione del decreto penale di condanna con indicazione della misura della pena, eventualmente diminuita sino alla soglia limite della meta’ rispetto al minimo stabilito dal legislatore.
La previsione testuale dell’articolo 459 c.p.p., comma 3, consente di escludere che la presentazione della richiesta operi con effetti vincolanti per il giudice cui sia rivolta, perche’ ammette espressamente plurimi esiti decisori alternativi, rimessi alla sua valutazione discrezionale, in termini di accoglimento dell’istanza con emissione del decreto, di rigetto per la contestuale pronuncia di sentenza di proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., e, al di fuori di quest’ultima ipotesi, di sostanziale rigetto tramite restituzione degli atti al pubblico ministero. Con specifico riferimento a quest’ultima ipotesi non e’ dato rinvenire nella formulazione testuale della disposizione nessuna indicazione sull’ambito in cui deve svolgersi il sindacato del giudice e soccorre al riguardo l’interpretazione offertane dalla giurisprudenza di legittimita’ e dalla dottrina.
E’ concorde negli interpreti l’opinione favorevole a non circoscrivere l’area delle verifiche giudiziali sulla domanda di emissione del decreto penale al solo profilo della applicabilita’ al caso specifico della pena pecuniaria e della sua misura, quindi ai soli aspetti attinenti alla legalita’ della sanzione in concreto irrogabile rispetto agli estremi edittali ed alla diminuzione prevista in relazione alla natura speciale del rito e ad estenderla anche agli altri presupposti condizionanti l’ammissibilita’ dell’introduzione del rito stesso, quali la tipologia di reato ed il momento di formulazione della richiesta nonche’ alla qualificazione giuridica del fatto di reato ed alla congruita’ della pena (Sez. 1, n. 1426 del 24/03/1994, Nastri, Rv. 198289).
Al contempo la giurisprudenza di legittimita’ ha qualificato come abnorme il provvedimento di restituzione degli atti, motivato da ragioni di mera opportunita’, che si traduca in una manifestazione di dissenso rispetto alla scelta, di esclusiva pertinenza dell’organo dell’accusa, di introdurre il procedimento monitorio ed in un’arbitraria usurpazione da parte del giudice di facolta’, riservate dall’ordinamento alla parte pubblica, in conseguenza della difforme considerazione sull’utilita’ del rito e sui suoi futuri sviluppi.
Le pronunce della Corte di cassazione rivelano come l’ambito dell’affermata abnormita’ in tali situazioni sia limitato ai casi di diniego di emissione del decreto per le seguenti ragioni:
– ritenuta immotivata inopportunita’ del diniego (Sez. 1, n. 1426 del 24/03/1994, Nastri, Rv. 198289);
– prevedibile opposizione da parte dell’imputato con conseguente verifica dibattimentale per la gravita’ dell’addebito (Sez. 6, n. 38370 del 12/06/2014, Mancrasso, Rv. 260177);
– mancato accesso da parte dell’imputato alla possibilita’ di definire in via amministrativa l’illecito contestato, quale manifestazione della volonta’ di accedere al rito dibattimentale con conseguente inutilita’ del decreto di condanna, fonte di inutile dispendio di attivita’ giurisdizionale (Sez. 3, n. 8288 del 25/11/2009, dep. 2010, Russo, Rv. 246333);
– applicabilita’ della continuazione con altri reati, contestati allo stesso imputato in separato procedimento, per il quale era stata formulata richiesta di emissione di altro decreto penale di condanna a carico dello stesso imputato (Sez. 3, n. 44296 del 03/10/2013, Giovannini, Rv. 257373);
– proposizione della richiesta nei confronti di un solo imputato previa separazione della sua posizione personale da quella degli altri indagati (Sez. 3, n. 16826 del 20/03/2007, Alicata, Rv. 236810);
– formulata prognosi negativa circa l’adempimento da parte dell’imputato dell’obbligo di pagamento della pena pecuniaria (Sez. 6, n. 17702 del 01/04/2016, C.M., Rv. 266741).
In tutti i casi risolti da tali pronunce e’ costante l’affermazione per cui l’apprezzamento discrezionale del giudice sulla richiesta di introduzione del rito monitorio, pur riconosciutogli dall’articolo 459 c.p.p., comma 3, non puo’ estendersi sino ad interferire con le attribuzioni istituzionali della pubblica accusa circa le modalita’ di esercizio dell’azione penale e di strutturazione dell’imputazione ed a negare il provvedimento richiesto in forza di un personale criterio di opportunita’, stimato preferibile rispetto alle valutazioni del pubblico ministero. Una decisione che comportasse tali effetti stravolgerebbe la ripartizione delle funzioni nel sistema processuale e, pur rientrando nell’esercizio di un potere astrattamente attribuito al giudice dall’ordinamento, sarebbe affetta da abnormita’ perche’ al di fuori della previsione normativa per il suo contenuto eccentrico e singolare e per gli effetti prodotti di indebita regressione del procedimento.
Tale indebita usurpazione di competenze e’ stata, al contrario, esclusa in casi in cui il disaccordo tra istante e decidente verta: a) sulla qualificazione giuridica da assegnare al reato, perche’, pur accertato nella sua materialita’, e’ ritenuto rientrare in una diversa fattispecie astratta (Sez. 5, n. 2982 del 15/12/2011, dep. 2012, Jiansheng, Rv. 251940; Sez. 1, n. 47515 del 29/10/2003, Cerasa, Rv. 226468; Sez. 2, n. 4339 del 06/11/1996, Arcidiacono, Rv. 206287; Sez. 3, n. 13998 del 28/02/2002, Faini, Rv. 221783); b) sull’insufficienza delle acquisizioni probatorie, da approfondire ulteriormente anche per l’eventuale riscontro dell’estinzione del reato per prescrizione (Sez. 6, n. 36216 del 27/06/2013, Galati, Rv. 256331); c) sulla necessita’ di imporre la confisca di beni, non adottabile col decreto penale di condanna, specie se il pubblico ministero ne chieda il dissequestro (Sez. 3, n. 4545 del 04/12/2007, dep. 2008, Pennino, Rv. 238853); d) sull’insussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria (Sez. 6, n. 6663 del 01/12/2015, dep. 2016, R., Rv. 266111), o sul giudizio di incongruita’ della pena da irrogare rispetto alla gravita’ della violazione accertata (Sez. 4, n. 45683 del 18/09/2014, Mirra, Rv. 261063); e) sull’inidoneita’ dell’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio da parte di cittadino extracomunitario privo di fissa dimora (Sez. 1, n. 13592 del 26/02/2009, Batista Mariano Da Silva, Rv. 243557; Sez. 1, n. 6614 del 17/01/2008, Bondari, Rv. 239360; Sez. 5, n. 8463 del 24/01/2005, Singh, Rv. 230884).
4.2. La correttezza della linea interpretativa che attribuisce al giudice per le indagini preliminari la possibilita’ di sindacare l’istanza proposta ai sensi dell’articolo 459 c.p.p., utilizzando ogni risultanza processuale, con l’unico limite di non invadere la sfera di competenza del pubblico ministero richiedente, e’ corroborata dalle chiare indicazioni esegetiche, rinvenibili nella sentenza della Corte costituzionale n. 447 del 1990. Chiamata a scrutinare la conformita’ alla Costituzione dell’articolo 460 c.p.p., comma 2, nella parte in cui preclude al giudice l’applicazione della pena in una misura diversa da quella richiesta dal pubblico ministero – limitazione ritenuta dal giudice rimettente non ovviabile mediante il rigetto della richiesta e la restituzione degli atti al pubblico ministero per essere consentita tale possibilita’ dall’articolo 459 c.p.p., comma 3, per motivi attinenti unicamente al rito – la Consulta ha disatteso tale lettura limitativa della norma in quanto erronea e non autorizzata dal suo testo e dalla considerazione sistematica della disciplina del procedimento per decreto. In particolare, ha affermato che l’articolo 459, comma 3, attribuisce al giudice un potere di controllo completo, nel rito e nel merito, sulla richiesta del pubblico ministero, che puo’ respingere anche nel caso non ritenga adeguata la misura della pena in essa indicata, senza che la restituzione degli atti comporti effetti vincolanti e limitativi dei poteri spettanti al pubblico ministero, cui resta consentito reiterare una richiesta di contenuto adeguato ai rilievi critici del giudice, instaurare altri riti semplificati o procedere nelle forme ordinarie.
4.3. Proseguendo nell’analisi del provvedimento di restituzione degli atti al pubblico ministero ex articolo 459 c.p.p., comma 3, sul piano della struttura e della sua coerenza con i tipi legali di decisione adottabile, le conclusioni esposte non mutano quando il provvedimento sia motivato dalla necessita’ di verificare se sussista o meno la causa di non punibilita’ della particolare tenuita’ del fatto, che, in aderenza ai principi sopra esposti, non si esaurisce in una valutazione di inopportunita’ dell’introduzione del procedimento monitorio ed esula quindi dalla nozione di abnormita’ come elaborata dalle Sezioni Unite e qui ribadita.
A ben vedere il riscontro sulla lesivita’ dell’illecito contestato nell’imputazione, al fine di un’eventuale archiviazione del procedimento, non gia’ individuata in termini conclusivi e certi come di minima entita’, ma rimessa ad un’ulteriore successiva delibazione, non implica alcuna invasione delle attribuzioni dell’organo requirente, ma appartiene all’attivita’ di qualificazione giuridica del fatto di reato, nel senso che, una volta condotta la ricognizione degli elementi costitutivi della fattispecie tipica, nel caso concreto perfettamente integrata e riferibile al comportamento dell’imputato, il giudice procede alla considerazione dell’effettivo disvalore del comportamento antigiuridico, presupposto di applicabilita’ della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p.. In altri termini, come si e’ gia’ avuto modo di affermare, il giudizio sulla tenuita’ offensiva della condotta antigiuridica non riguarda la ricostruzione della dimensione storico-naturalistica e l’identificazione della sua componente materiale, ma la valutazione del grado maggiore o minore di aggressione del bene giuridico protetto e della complessiva manifestazione dell’attivita’ criminosa al fine di riscontrare se, attraverso una “ponderazione quantitativa rapportata al disvalore di azione, a quello di evento, nonche’ al grado di colpevolezza”, l’incidenza lesiva, insita nel fatto rientrante nel tipo legale di illecito, sia talmente esigua da non meritare punizione (cfr., Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Per tali ragioni non e’ condivisibile l’obiezione critica mossa dalla sentenza Sez. 1, n. 15272 del 21/12/2016, Allocco, Rv. 269464, che, in dissonanza rispetto all’indirizzo maggioritario di questa Corte, colloca nell’ambito del giudizio di mera inopportunita’ dell’emissione del decreto di condanna la sollecitazione rivolta al pubblico ministero a considerare l’ipotesi di archiviazione ai sensi dell’articolo 411 c.p.p., comma 1 bis, del fatto di speciale tenuita’ e vi individua un caso di “carenza di potere in concreto” per la diversita’ delle situazioni che consentirebbero l’esercizio del potere di restituzione degli atti.
Se, per la disciplina processuale, la proposizione dell’istanza devolve al giudice uno spazio di discrezionalita’ valutativa, non confinato alla verifica della legittimita’ del rito ed alla legalita’ e congruita’ della pena da applicare nel caso specifico, oltre che alla sussistenza di eventuali cause di proscioglimento ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., non sussistono ostacoli, testuali e di sistema, a ricomprendere nella definizione giuridica anche l’apprezzamento dell’effettivo e reale disvalore del fatto, per il quale si chiede la condanna dell’imputato nella forma del decreto. Questo intervento, non dissimile da quello richiesto per riscontrare la sussistenza di una circostanza aggravante ragguagliata all’entita’ della lesione, rientra nel modello legale di attivita’ del giudice per le indagini preliminari, come delineato dall’articolo 459 c.p.p., comma 3, giudice che e’ chiamato a delibare discrezionalmente l’istanza di emissione del provvedimento monitorio mediante un’indagine ad ampio spettro su tutti gli elementi integrativi della fattispecie e sull’entita’ dell’offesa arrecata nei limiti dettati dal legislatore all’articolo 131 bis c.p.. E non e’ nemmeno espressione di un potere adoperato oltre i limiti fissati dal legislatore, o in contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico. Come riconosciuto anche dalla sentenza Allocco citata, il potere di qualificazione giuridica del fatto e’ “connaturale all’esercizio della giurisdizione”, e’ prerogativa che compete al giudice in tutte le fasi ed in tutti i gradi del processo, e, quale controllo di legalita’ sui risultati delle indagini nella loro totalita’, non puo’ intendersi in senso restrittivo come individuazione del solo corretto nomen iuris da attribuire al fatto, ma investe anche gli elementi accidentali e la concreta punibilita’ del soggetto imputato.
Del resto sulla scorta delle medesime considerazioni si e’ affermato il principio di diritto, che riconosce, in presenza di un ricorso ammissibile, la possibilita’ di rilevare anche nel giudizio di legittimita’ e d’ufficio la particolare tenuita’ del fatto col conseguente annullamento senza rinvio della sentenza di condanna quando dalla analisi della vicenda giudicata siano deducibili, immediatamente e senza ricorso ad ulteriori accertamenti fattuali, i presupposti richiesti dall’articolo 131 bis c.p.. A giustificazione di tale assunto si e’ rilevato che il sindacato conducibile al riguardo da parte della Suprema Corte “attiene, alla corrispondenza del fatto, nel suo minimo di tipicita’, al modello legale di una fattispecie incriminatrice” (Sez. 1, n. 27752 del 09/05/2017, Menegotti, Rv. 270271; Sez. 6, n. 7606 del 16/12/2016, Curia, Rv. 269164; Sez. 5, n. 5800 del 02/07/2015, dep. 2016, Markikou, Rv. 267989).
4.4. Resta altresi’ escluso che possa ravvisarsi l’abnormita’ del provvedimento per il fatto che la restituzione degli atti intervenga ad esercizio dell’azione penale gia’ avvenuto mediante la formulazione della richiesta di emissione del decreto di condanna, caratterizzato dall’assenza di qualsiasi interlocuzione preliminare con la difesa. L’indirizzo interpretativo sostenuto dalla sentenza Allotta postula che, a fronte della riscontrata particolare tenuita’ del fatto di reato, perfetto in tutti i suoi tratti costitutivi, al giudice per le indagini preliminari sia consentito approdare ad un solo epilogo decisorio, ovvero emettere il decreto di condanna ed affidare all’eventuale opposizione dell’interessato la possibilita’ del rilievo giudiziale della causa di esenzione da punizione.
L’articolo 131 bis c.p., ha effettivamente configurato l’istituto quale causa speciale di non punibilita’ dell’autore del reato e quindi rientrante nell’ambito del diritto sostanziale, e non come condizione di procedibilita’ dell’azione penale (Sez. U., Tushaj). Dunque esso pretende per la sua applicazione la previa instaurazione del contraddittorio tra l’accusa, la difesa e persino la persona offesa, se esistente, perche’ implica l’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceita’ e della riferibilita’ all’imputato; esso comporta peraltro effetti non integralmente liberatori per l’imputato e la necessita’ di assicurare tale garanzia viene riconosciuta anche nella fase dell’archiviazione del procedimento dall’articolo 411 c.p.p., comma 1 bis. Pertanto, e’ corretto ritenere che sia preclusa al giudice, richiesto di emettere decreto penale di condanna, la possibilita’ di prosciogliere l’imputato ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., a ragione della minima offensivita’ del comportamento illecito per l’ostacolo procedurale rappresentato dalla connotazione del rito monitorio, che, per perseguire finalita’ deflattive e di accelerazione nella trattazione del processo, viene attivato dall’accusa in assenza di qualunque tipo di confronto preventivo con l’imputato e la sua difesa.
Dunque, ad avviso delle Sezioni Unite, in adesione all’impostazione offerta dalla sezione rimettente, la segnalata problematica trova soluzione nella facolta’ di restituzione degli atti al pubblico ministero, espressamente contemplata dal sistema e niente affatto eccentrica alla sfera di controllo assegnata al giudice.
5. Appurato che il rigetto della richiesta del decreto penale di condanna, con restituzione degli atti, non giustificato da valutazioni opinabili sull’opportunita’ dell’introduzione del rito, costituisce determinazione assunta, non in carenza di potere, ma rientrante nella tipologia di decisione che il giudice puo’ assumere secondo previsione normativa, si pone l’ulteriore verifica circa la eventuale configurabilita’ dell’anomalia funzionale, secondo le categorie definitorie dell’abnormita’, delineate dalle Sezioni Unite.
5.1. Al riguardo l’ordinanza di remissione ben evidenzia come nessuna condizione di irrimediabile stallo processuale discenda da siffatto provvedimento. La tematica, seppure non trattata in tale ordinanza, e’ condizionata dal pregiudiziale riconoscimento del carattere di irretrattabilita’ o meno dell’azione penale e ha ricevuto opposte soluzioni, sia in giurisprudenza, che in dottrina.
Una pronuncia isolata nel panorama della giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 1, n. 35185 del 23/06/2009, Gontar, Rv. 245373) sostiene che la restituzione degli atti al pubblico ministero in seguito al rigetto della richiesta non accolta di decreto penale non consente la proposizione della richiesta di archiviazione, perche’ vi osta il gia’ avvenuto esercizio della azione penale, che, in ossequio al principio di obbligatorieta’ dell’azione penale sancito dall’articolo 112 Cost., e’ irretrattabile e non puo’ essere posto nel nulla da opposta determinazione, sicche’, riottenuti gli atti, il pubblico ministero deve coltivare nelle forme del rito ordinario l’azione gia’ esercitata.
Vi si contrappongono plurime decisioni di segno opposto (Sez. 2, n. 13680 del 20/03/2009, Siddi, Rv. 244052; Sez. 5, n. 5659 del 14/02/2005, Pellegrin, Rv. 231208; Sez. 5, n. 26480 del 25/03/2003, Taronna, Rv. 226119; Sez. 5, n. 4883 del 27/11/2002, D’Elia, Rv. 224700; Sez. 6, n. 19128 del 14/02/2001, Zekri, Rv. 219873), che propugnano la piena riespansione dei poteri del pubblico ministero a seguito della restituzione degli atti da parte del giudice per le indagini preliminari e ne rinvengono il fondamento normativo nella previsione dell’articolo 459 c.p.p., comma 3, per la quale la regressione del procedimento e’ effetto legittimo delle determinazioni assunte dal giudice di non dare corso al rito monitorio. Una volta esclusa l’operativita’ della richiesta di emissione del decreto penale perche’ non accolta e venuta meno la sua funzione propulsiva dell’ulteriore corso del procedimento, il pubblico ministero viene reintegrato nella totalita’ dei poteri, conferitigli dall’articolo 405 c.p.p. e ss., quanto all’esercizio dell’azione penale ed alle sue modalita’. Per questo indirizzo interpretativo, anzi sono affette da abnormita’ la declaratoria d’inammissibilita’ della richiesta di archiviazione o la pronuncia di proscioglimento dell’imputato, intervenute dopo la restituzione degli atti al pubblico ministero, motivate a ragione dell’irretrattabilita’ dell’azione penale, che e’ posta nel nulla dalla mancata emissione del decreto penale di condanna.
5.2. Quest’ultimo orientamento convince della sua correttezza.
In primo luogo, sul piano strettamente testuale l’articolo 459 c.p.p., comma 3, non contiene previsioni sulla conduzione del procedimento dal momento della restituzione degli atti al pubblico ministero in poi, ne’ pone limiti espressi alle iniziative che l’organo dell’accusa puo’ assumere, con cio’ lasciando praticabile ogni possibile soluzione consentita dal sistema processuale per la fase delle indagini preliminari. Come segnalato anche dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 447 del 1990, assume significato a conferma di tale assunto quanto esposto nella Relazione al progetto preliminare del codice, ossia che, diversamente da quanto stabilito nel Progetto preliminare del 1978, non e’ stato volutamente previsto che il giudice, nel rifiutare il decreto di condanna, possa contestualmente adottare il decreto di citazione per procedere al giudizio dibattimentale. Il legislatore ha inteso, anche in termini lessicali, favorire indirettamente l’instaurazione di altri riti differenziati da quello monitorio.
Dal punto di vista sistematico poi deve osservarsi che la regressione dalla fase del processo a quella procedimentale costituisce situazione contemplata da altre norme che rimettono al vaglio giudiziale la scelta del rito speciale, operata dalla pubblica accusa. In tal senso va recepita la segnalazione operata da Sez. 6, n. 2389 del 12/05/2016, C., Rv. 267272, circa la similitudine con il giudizio immediato, accomunato al rito monitorio da analoghe esigenze di celerita’ ed economia processuale, che viene introdotto con apposita richiesta dall’organo dell’accusa sul presupposto dell’evidenza della prova ed entro termini precisi, la cui effettiva sussistenza quale condizione di ammissione del rito e’ oggetto di verifica giudiziale e che, se negata, comporta il rigetto della richiesta e la restituzione degli atti alla parte pubblica con regresso alle fase delle indagini preliminari. Tanto non comporta, da un lato, che l’apprezzamento negativo sia contestabile mediante impugnazione, dall’altro, che nel prosieguo residuino vincoli alle modalita’ di esercizio dell’azione penale nelle forme ordinarie (Sez. 2, n. 33737 del 06/05/2014, F., Rv. 259818; Sez. 1, n. 42295 del 09/10/2007, Giorgini, Rv. 238119; Sez. 6, n. 10109 del 16/02/2005, Moccia, Rv. 231191; Sez. 2, n. 40093 del 02/10/2001, Kiciu, rv. 220322).
5.3. Dalle superiori considerazioni puo’ trarsi la conclusione che con la restituzione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’articolo 459 c.p.p., non si realizza ne’ un indebito ritorno ad una fase del procedimento gia’ esaurita e conclusa, ne’ una paralisi irrimediabile del suo corso. Il pubblico ministero e’ nuovamente titolare degli originari poteri di iniziativa e di impulso processuale, che puo’ esercitare, sia ripresentando la richiesta di emissione del decreto penale di condanna emendata dagli eventuali errori segnalati, sia procedendo con altro rito e, infine, mediante richiesta di archiviazione del procedimento. In tal senso si e’ espressa anche la giurisprudenza costituzionale nei termini gia’ citati (sentenza n. 447 del 1990).
5.4. Inoltre, anche le determinazioni che potranno essere successivamente assunte dalla parte pubblica non contrastano con alcuna disposizione di legge e non sono affette da nullita’ per il solo fatto di essere adottate dopo la restituzione degli atti ex articolo 459 c.p.p.: la possibilita’ di disporre l’archiviazione della notitia criminis per particolare tenuita’ del fatto e’ disciplinata dall’articolo 411 c.p.p., comma 1 bis, ed e’ dunque coerente col modello procedimentale che la ammette quale conclusione alternativa delle indagini rispetto all’esercizio dell’azione penale.
6. In definitiva, la considerazione del provvedimento in esame in riferimento alla nozione di abnormita’ dettata dalle Sezioni Unite induce ad escludere sotto ogni profilo esaminato che esso presenti cosi’ marcate anomalie da porsi al di fuori dell’ordinamento.
Va dunque formulato il seguente principio di diritto: “non e’ abnorme, e quindi non e’ ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, restituisca gli atti al pubblico ministero perche’ valuti la possibilita’ di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuita’ del fatto, ex articolo 131 bis c.p.”.
7. I rilievi sopra svolti inducono ad escludere che il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna sia ammissibile; esso infatti e’ rivolto contro ordinanza non affetta da abnormita’, ne’ strutturale, ne’ funzionale. Si tratta invero di provvedimento giustificato sia dall’esigenza di un completamento istruttorio da condursi mediante acquisizione del certificato del casellario giudiziale dell’imputato, sia dalla necessita’ di un ripensamento del livello concreto di offensivita’ della condotta in funzione della possibile definizione del procedimento attraverso l’archiviazione, in ordine alla quale opzione il giudicante non ha espresso valutazioni ne’ conclusive ne’ vincolanti per l’organo dell’accusa.
Va dunque dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
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