Corte di Cassazione, sezioni unite penali, sentenza 17 marzo 2017, n. 13199

E’ ammessa a favore del condannato la richiesta ex articolo 625-bis del cpp per la correzione dell’errore di fatto contenuto nella sentenza con cui la Cassazione abbia dichiarato inammissibile o rigettato il suo ricorso contro la decisione negativa della corte di appello pronunciata in sede di revisione

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite penali

sentenza 17 marzo 2017, n. 13199

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente

Dott. SIOTTO Maria C. – Consigliere

Dott. CONTI Giovanni – Consigliere

Dott. CAMMINO Matilde – Consigliere

Dott. BONITO F. M. S. – Consigliere

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere

Dott. VESSICHELLI Maria – Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia – Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgi – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso straordinario proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 21/01/2015 della Corte di Cassazione;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal componente Dott. Giorgio Fidelbo;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale ROSSI Agnello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), quest’ultima sostituto processuale dell’avvocato (OMISSIS), che hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14 novembre 1996 la Corte di assise di Napoli condannava (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS), alla pena dell’ergastolo, con isolamento diurno, perche’ ritenuti responsabili del tentativo di rapina, avvenuto il (OMISSIS), per impossessarsi del carico di un autoarticolato condotto da (OMISSIS), nonche’ dell’omicidio di quest’ultimo, che nel corso dell’azione delittuosa veniva raggiunto da un colpo di pistola.

La condanna veniva confermata in appello.

I tre imputati ricorrevano in Cassazione che annullava con rinvio la condanna nei confronti dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), successivamente assolti per non aver commesso il fatto, mentre respingeva il ricorso del (OMISSIS), rendendo definitiva la sua condanna.

Il (OMISSIS) proponeva una prima istanza di revisione alla Corte d’appello di Roma, dichiarata inammissibile de plano con ordinanza del 18 luglio 2011, ordinanza che, su ricorso del condannato, veniva annullata senza rinvio dalla Corte di cassazione, che disponeva la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Perugia, individuata ai sensi dell’articolo 634 c.p.p., comma 2, per il giudizio di revisione.

La Corte di appello di Perugia rigettava l’istanza di revisione. Seguiva l’impugnazione davanti alla Corte di cassazione che, con sentenza del 21 gennaio 2015, ha confermato la decisione della Corte territoriale, rigettando il ricorso del condannato.

2. Contro questa sentenza i difensori del (OMISSIS), avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno proposto due distinti ricorsi ai sensi dell’articolo 625-bis c.p.p., deducendo una duplice serie di errori di fatto.

Il primo errore di fatto, dedotto in entrambi i ricorsi, riguarda la collocazione nel tempo della confessione stragiudiziale resa dal (OMISSIS) a (OMISSIS): quest’ultimo avrebbe riferito che “pochi giorni dopo i fatti” – fine (OMISSIS) – (OMISSIS) gli aveva riferito della sua partecipazione alla rapina e all’omicidio, ma, si assume nel ricorso, i giudici di legittimita’ hanno collocato tale confessione, anziche’ nell’ottobre 1991, nel mese di gennaio 1994, cioe’ nel periodo di comune detenzione dei due. Errore rilevante e determinante, poiche’ nell’affrontare il tema, ritenuto centrale, della attendibilita’ delle dichiarazioni accusatorie dell’ (OMISSIS), la Corte di cassazione ha posto a fondamento della sua decisione proprio la circostanza – materialmente erronea – che il (OMISSIS) avesse confessato il proprio crimine al coindagato durante la comune detenzione in carcere, nella prospettiva di elaborare una strategia difensiva; invece, se la confessione del (OMISSIS) fosse stata collocata esattamente nel tempo, le sue dichiarazioni avrebbero potuto trovare una diversa spiegazione, per esempio all’interno dei rapporti malavitosi intercorrenti fra i due, ed in particolare nell’esigenza del (OMISSIS) di “accreditarsi” con la vanteria di un omicidio, in realta’ mai commesso, di fronte all’ (OMISSIS), personaggio in quel momento di maggiore spessore criminale.

Il secondo errore percettivo riguarderebbe l’estrema importanza annessa alle dichiarazioni rese da (OMISSIS), importanza giustificata dalla Corte di cassazione per un dettaglio peculiare della informazione che avrebbe ricevuto dal (OMISSIS), e cioe’ che il (OMISSIS), il conducente dell’autoarticolato, era stato ucciso perche’ aveva tentato di buttare fuori strada i rapinatori, circostanza indicativa di una sintomatica e assai sospetta conoscenza dei fatti, giustificabile solo con una diretta partecipazione agli stessi.

Al riguardo, la difesa denuncia che questo particolare, come emerge pacificamente per tabulas, non fu riferito dal (OMISSIS), bensi’ dall’ (OMISSIS), che lo colloca all’interno della asserita confessione stragiudiziale resagli dal (OMISSIS). Secondo il ricorrente, dunque, lo scambio fra i soggetti che attribuiscono al (OMISSIS) la diffusione del particolare, avrebbe prodotto conseguenze determinanti per la decisione della Corte, laddove in un contesto in cui si era ritenuta la necessita’ di rinvenire conferme esterne o, comunque, autonome alle propalazioni dell’ (OMISSIS), queste erano state appunto erroneamente individuate nelle propalazioni del (OMISSIS).

Inoltre, collocando correttamente la presunta rivelazione fatta (non al (OMISSIS), ma) all’ (OMISSIS), nel diverso contesto temporale da quest’ultimo riferito, – cioe’ “quattro/cinque giorni dopo i fatti” – ecco che la circostanza confidata dal (OMISSIS) circa la manovra disperata del conducente perde ogni significato probatorio, essendo stato dimostrato che gia’ dopo due giorni dal fatto ogni particolare del crimine era gia’ ampiamente di dominio pubblico.

In altri termini, se si fosse esattamente individuato nell’ (OMISSIS) la fonte di prova in base alla quale era stato attribuito al (OMISSIS) la diffusione del particolare che cosi’ grande importanza ha avuto nell’economia del giudizio, il valore di riscontro sarebbe venuto meno.

3. Cio’ posto, entrambi i difensori insistono perche’ venga riconosciuta l’ammissibilita’ del ricorso straordinario per errore di fatto avverso la sentenza della Cassazione resa nell’ambito del procedimento di revisione.

Sottolineano infatti che, superando un orientamento consolidato, un recente indirizzo ritiene ammissibile il rimedio straordinario anche in materia di revisione, posto che nella categoria del “condannato”, legittimato a proporre il ricorso ai sensi della disposizione codicistica, rientra anche il soggetto che ha proposto la domanda di revisione poi rigettata.

4. Con ordinanza del 30 maggio 2016, la Quinta Sezione ha rimesso la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza del denunciato contrasto interpretativo, tra un orientamento secondo cui e’ inammissibile il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto avverso una ordinanza della Corte di cassazione che abbia dichiarato l’inammissibilita’ di un ricorso proposto contro un provvedimento di rigetto di una richiesta di revisione, sul presupposto che la disposizione di cui all’articolo 625-bis circoscrive l’esperibilita’ del gravame esclusivamente alle sentenze della Corte per effetto delle quali diviene definitiva una sentenza di condanna, e un piu’ recente indirizzo che, in questi casi, ammette il ricorso straordinario, rilevando che per “condannato”, a favore del quale e’ ammessa la richiesta ex articolo 625-bis c.p.p., si deve intendere anche il soggetto titolare della facolta’ di introdurre il procedimento di revisione.

Il Collegio rimettente osserva che decisiva appare l’accezione e l’estensione da attribuire alla parola “condannato”: se si intende tale termine in senso storico – nel senso che “condannato” e’ “colui che fu condannato” – ne deriva che il ricorso straordinario puo’ essere esperito solo contro la sentenza della Corte di legittimita’ che, rigettando o dichiarando inammissibile il ricorso dell’imputato, rende definitiva tale condanna; se, viceversa, il termine e’ da interpretarsi come espressivo di uno status – lo status di condannato, appunto, in una sorta di accettazione del principio di semel “condannato”, semper “condannato” – allora non vi sarebbe ragione di escludere l’applicabilita’ della procedura ex articolo 625-bis c.p.p. anche con riferimento alla sentenza di legittimita’ che concluda un giudizio di revisione.

5. Il Primo Presidente, preso atto dell’esistenza del contrasto, con decreto del 31 maggio 2016 ha assegnato, ai sensi dell’articolo 610 c.p.p., comma 3, il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione in camera di consiglio, ex articolo 127 c.p.p., l’odierna udienza.

6. In data 1 luglio 2016 e’ pervenuta una memoria difensiva, con allegata produzione documentale, relativa alla sentenza con la quale la Corte di appello di Roma, a seguito di ulteriore istanza di revisione, su concorde richiesta del Procuratore generale, ha revocato la decisione della Corte di assise di Napoli del 14 novembre 1996, esecutiva nei confronti del (OMISSIS), e lo ha assolto, ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, dai reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto, disponendo la restituzione delle somme pagate per le spese processuali, di mantenimento in carcere e per il risarcimento dei danni in favore delle parti civili; ordinando altresi’ l’immediata liberazione del (OMISSIS) se non detenuto per altro motivo.

La Corte di appello di Roma ha riconosciuto la decisivita’ delle nuove dichiarazioni rese da (OMISSIS) nell’ambito dell’incidente probatorio svolto, dove ha riferito circostanze che fanno anticipare il colloquio avuto con il (OMISSIS) al giorno (OMISSIS), cioe’ due giorni dopo l’accaduto criminoso, di modo che la conoscenza che il (OMISSIS) dimostrava dell’accaduto – al di la’ del particolare relativo alla manovra disperata della vittima (oggetto della denuncia del secondo errore di fatto), del quale la Corte perugina non sembra fare menzione – “subisce un’evidente flessione in punto di efficacia dimostrativa della sua responsabilita’”, perche’ quel giorno i giornali erano regolarmente in edicola e la notizia dell’uccisione del (OMISSIS) aveva avuto evidente risalto, sia presso le testate giornalistiche, sia nello stesso ambiente dei camionisti (cui anche il (OMISSIS) apparteneva).

Nella memoria difensiva si insiste per l’accoglimento del ricorso straordinario proposto avverso la sentenza di legittimita’ che ha respinto il ricorso avverso la sentenza di rigetto della prima richiesta di revisione, riproponendo il tema preliminare dell’ammissibilita’ dello strumento impugnatorio in sede di revisione, sottolineando che permane l’interesse a coltivare il ricorso straordinario, poiche’ la sentenza della Corte di appello di Roma, che ha accolto la seconda istanza di revisione e ha assolto il (OMISSIS), non e’ ancora irrevocabile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione rimessa alle Sezioni Unite e’ la seguente:

“Se sia ammissibile il ricorso straordinario ai sensi dell’articolo 625-bis c.p.p. avverso la sentenza o l’ordinanza della Corte di cassazione che rigetta o dichiara inammissibile il ricorso del condannato contro la decisione della corte d’appello che ha respinto ovvero dichiarato inammissibile la richiesta di revisione”.

2. Preliminarmente deve verificarsi la sussistenza dell’interesse del ricorrente al ricorso, dal momento che, come documentato dalla stessa difesa, la Corte di appello di Roma, accogliendo un’ulteriore istanza di revisione, ha revocato la sentenza di condanna della Corte di assise di Napoli e ha assolto (OMISSIS) dai reati ascrittigli per non aver commesso il fatto, ordinando la sua immediata liberazione se non detenuto per altra causa.

Ritiene il Collegio che l’interesse sia tuttora persistente.

Innanzitutto, deve considerarsi che la sentenza di revisione non risulta sia divenuta irrevocabile, sicche’ non puo’ negarsi l’interesse attuale del (OMISSIS) a coltivare il ricorso straordinario.

Inoltre, ai fini della riparazione di cui all’articolo 643 c.p.p., collegata alla decisione della Corte di appello di Roma che ha accolto l’istanza di revisione, la dimostrazione di un eventuale errore di fatto, in cui sia incorsa la sentenza impugnata, escluderebbe che l’errore giudiziario sia dipeso da dolo o da colpa grave del ricorrente. Anche sotto questo profilo deve ritenersi sussistente l’interesse al ricorso del (OMISSIS).

3. Passando all’esame della questione, si osserva che il contrasto interpretativo, correttamente rilevato dall’ordinanza di rimessione, sia sorto tra un indirizzo maggioritario, che nega la proponibilita’ del ricorso straordinario nei confronti di pronunce della Corte di cassazione emesse nel giudizio di revisione, e una recente sentenza che, invece, lo ammette.

Il primo orientamento, che allo stato appare consolidato, sostiene che possono costituire oggetto dell’impugnazione straordinaria esclusivamente quei provvedimenti della Corte di cassazione che rendono definitiva una sentenza di condanna, di modo che il ricorso ex articolo 625-bis c.p.p. non e’ ammissibile contro la sentenza della Corte che disattenda il ricorso proposto contro un’ordinanza dichiarativa d’inammissibilita’ di una richiesta di revisione (Sez. 5, n. 44897 del 09/11/2004, Asciutto); la disposizione di cui all’articolo 625-bis c.p.p. ha carattere tassativo e non e’ suscettibile di interpretazione analogica, sicche’ l’esperibilita’ del gravame deve essere limitata esclusivamente alle sentenze della Corte per effetto delle quali diviene definitiva una sentenza di condanna (Sez. 3, n. 43697 del 10/11/2011, V., Rv. 251411). In altri termini, si assume che il rimedio straordinario e’ utilizzabile contro una decisione della Corte di cassazione solo quando questa, rigettando o dichiarando inammissibile il ricorso, “renda definitiva una sentenza di condanna” (Sez. 6, n. 91 del 22/10/2013, dep. 2014, Fredesvinda, Rv. 258453) o “trasformi la condizione giuridica dell’imputato in quella di condannato” (Sez. 6, n. 46066 del 17/09/2014, Zambon, Rv. 260820), attitudine che manca al provvedimento che definisce il giudizio di revisione, che non e’ collegato in modo “diretto” con la pronuncia definitiva di condanna (cfr., Sez. 1, n. 9072 del 10/01/2011, Fabbrocino; Sez. 6, n. 4124 del 17/01/2007, Rossi, Rv. 235612; Sez. 5, n. 30373 del 16/06/2006, Nappi, Rv. 235323).

3.1. A contrastare questo indirizzo interpretativo e’ la sentenza di Sez. 1, n. 1776 del 29/09/2014, dep. 2015, Narcisio, Rv. 261781, che ha sancito per la prima volta l’ammissibilita’ del ricorso straordinario per errore materiale o di fatto contro le decisioni della Corte di cassazione conclusive di un giudizio di revisione.

Secondo tale pronuncia l’orientamento che afferma l’estraneita’ del ricorso straordinario alle decisioni della Corte conclusive di un giudizio di revisione – sul presupposto che lo stesso risulterebbe azionabile solo in rapporto a sentenze per effetto delle quali diviene definitiva una sentenza di condanna – non puo’ essere condiviso, non trovando solida e convincente saldatura con il dato normativo espresso. Infatti, se e’ vero che nel corpo della disposizione dell’articolo 625-bis c.p.p. si fa riferimento al “condannato” per delimitare l’area del soggetto legittimato alla proposizione dell’istanza – il che coerentemente esclude dal rimedio in parola le decisioni incidentali emesse in sede cautelare – cio’ non significa che i provvedimenti emessi dalla Corte di cassazione assoggettabili al ricorso straordinario siano esclusivamente quelli da cui deriva, per la prima volta, il consolidamento di tale condizione giuridica, cioe’ solo le decisioni di inammissibilita’ o rigetto di ricorsi proposti avverso sentenze di merito con cui si e’ affermata la penale responsabilita’ del ricorrente. Una lettura della disposizione in questo senso finirebbe con il ricavare (in malam partem) una norma in realta’ non scritta, posto che il “condannato” e’ anche il soggetto titolare della facolta’ di introdurre il giudizio di revisione (articolo 632 c.p.p., comma 1, lettera a) nel cui ambito, in caso di rigetto della domanda, si approda allo scrutinio di legittimita’, con l’emissione di un provvedimento decisorio che – in caso di rigetto del ricorso – conferma la condizione giuridica di partenza.

3.2. Dai termini del contrasto, cosi’ come sintetizzati, emerge che la questione investe il tema dell’individuazione dei provvedimenti impugnabili con il ricorso straordinario, dovendo in particolare stabilirsi se per “condannato” si debba comprendere chi diventi tale a seguito di una decisione che operi la trasformazione della precedente condizione giuridica di imputato ovvero se possa riferirsi anche a colui che lo e’ gia’ o lo rimane per effetto di una decisione negativa della Corte di cassazione, con conseguenze rilevanti sull’ambito applicativo dell’istituto previsto dall’articolo 625-bis c.p.p..

4. Il ricorso straordinario per errore di fatto, quale mezzo straordinario di impugnazione, costituisce un’eccezione all’inoppugnabilita’ delle decisioni della Corte di cassazione, principio, dunque, non piu’ assoluto, ma ritenuto comunque un canone fondamentale del sistema processuale, con un evidente nesso logico con il giudicato. Quest’ultimo costituisce ancora un valore essenziale per l’ordinamento e rappresenta uno dei principali scopi dell’attivita’ giurisdizionale svolta dalla Corte di cassazione, che attraverso la sua opera di autointegrazione dell’ordinamento realizza la sua funzione nomofilattica.

Peraltro, la deroga al principio dell’irrevocabilita’ delle decisioni della Corte di cassazione si innesta su altre significative brecce scavate nel muro del giudicato penale dal codice del 1988 e rappresentate, oltre che dal tradizionale istituto della revisione, dalla innovativa previsione dell’applicazione in sede esecutiva del concorso formale e del reato continuato (articolo 671 c.p.p.) nonche’ dalla revoca della sentenza per abolizione del reato (articolo 673 c.p.p.), istituti che hanno contribuito a rendere il giudicato sempre piu’ flessibile e sensibile alle esigenze di giustizia sostanziale, al fine di ridurre il danno di una decisione iniqua.

E’ questa una linea di tendenza che ha trovato pieno riscontro nella piu’ recente giurisprudenza di legittimita’ che ha contribuito alla progressiva erosione del giudicato, individuando un reticolo di rimedi all’irrevocabilita’ delle decisioni penali per garantire, ad esempio, la legalita’ della pena (Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, Ercolano; Sez. U, n. 32 del 22/11/2014, Gatto; Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon).

4.1. La giurisprudenza di legittimita’, pur consapevole della inscindibilita’ tra l’inoppugnabilita’ delle sentenze di legittimita’ e il valore del giudicato, ha tracciato l’ambito applicativo della nuova impugnazione innanzitutto evidenziandone la straordinarieta’ e, quindi, l’eccezionalita’.

Nella specie, lo sforzo interpretativo si e’ concentrato nell’individuazione dell’esatta perimetrazione del termine “condannato”, cui si riferisce l’articolo 625-bis c.p.p., sottolineando che ammettere la possibilita’ di impugnare per errore di fatto tutti i provvedimenti pronunciati dalla Cassazione sarebbe in contrasto con la natura straordinaria del mezzo. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, non ha mai messo in dubbio che si tratti di un mezzo straordinario in senso stretto, tanto da evidenziare che l’istituto si rifa’ al modello della disciplina della revisione (cosi’, Sez. U, n. 16104 del 27/03/2002, De Lorenzo).

Insistendo sul carattere straordinario e valorizzando il fatto che l’impugnazione puo’ operare a senso unico, cioe’ a favore del condannato, la giurisprudenza ha circoscritto, in via tendenziale, il ricorso per errore di fatto a quelle decisioni che consentono il passaggio in giudicato della sentenza o del decreto penale di condanna.

Conseguentemente, sin dalle prime decisioni sui limiti di applicazione dell’articolo 625-bis c.p.p. la Corte di cassazione ha affermato che le disposizioni di cui all’articolo 625-bis c.p.p. non sono suscettibili di applicazione analogica e non possono essere estese ai casi non espressamente previsti dalla legge (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile; Sez. U, n. 16104 del 27/03/2002, De Lorenzo). In questo modo, insistendo sulla natura derogatoria della nuova normativa e sul suo carattere tassativo, si e’ escluso che il ricorso straordinario per errore di fatto sia proponibile contro le decisioni adottate nei procedimenti incidentali de libertate, in cui non si pronuncia alcuna condanna, che e’ la situazione assunta a presupposto dall’articolo 625-bis c.p.p. Si e’, quindi, affermato che il ricorso straordinario puo’ avere ad oggetto soltanto le sentenze di condanna e che l’estensione a provvedimenti emessi all’esito di procedimenti incidentali e’ preclusa dal divieto di interpretazione analogica, precisando, in particolare, che le decisioni con cui la Cassazione definisce le procedure incidentali costituiscono giudicato allo stato degli atti e, come tali, non sono munite del carattere dell’irrevocabilita’ (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221281; Sez. 2, n. 11741 del 19/02/2008, Testa, Rv. 239743; Sez. 4, n. 22497 del 03/05/2007, Cinelli, Rv. 237015; Sez. 1, n. 35614 del 25/09/2002, Calone, Rv. 222328).

Si tratta di decisioni attente a non dilatare eccessivamente una impugnazione straordinaria, in grado di mettere in crisi il tradizionale principio dell’irrevocabilita’ delle decisioni di legittimita’. L’ambito applicativo del ricorso ex articolo 625-bis c.p.p. e’ stato, quindi, immediatamente delimitato, indicando che solo i provvedimenti che rendono definitiva una sentenza di condanna sono suscettibili di essere impugnati, dovendo intendersi per sentenze di condanna, tenuto conto che si tratta di pronunce del giudice di legittimita’, quelle di rigetto o che dichiarano l’inammissibilita’ di ricorsi proposti contro sentenze di condanna.

Presupposto imprescindibile per la legittimazione ad esperire l’impugnazione straordinaria e’ lo status di condannato, inteso come il soggetto che ha esaurito tutti i gradi del sistema delle impugnazioni ordinarie e rispetto al quale si e’ formato il giudicato in ordine alla decisione che lo riguarda.

4.2 In applicazione di questi principi la giurisprudenza di legittimita’ ha negato la ricorribilita’ straordinaria per errore di fatto, oltre che ai provvedimenti emessi in fase cautelare, alle decisioni in materia di misure di prevenzione (Sez. 6, n. 2430 del 08/10/2009, dep. 2010, Cacucci, Rv. 245772) e di confisca (Sez. 5, n. 43416 del 17/07/2009, Seidita, Rv. 245090), nonche’ a quelli che dichiarano inammissibile una istanza di rimessione del processo (Sez. 6, n. 9015 del 18/02/2010, Derlinati, Rv. 246030); alle decisioni di consegna per un mandato di arresto Europeo e in genere ai provvedimenti in materia di estradizione (Sez. F, n. 34819 del 02/09/2008, Mandaglio, Rv. 240717).

Nei casi esemplificati, caratterizzati dal fatto che si tratta di procedimenti ante iudicatum, l’inapplicabilita’ del rimedio straordinario e’ stato giustificato, evidentemente, in base alla mera constatazione che si tratta di tipologie di decisioni che non hanno come destinatario un condannato.

Tuttavia, la stessa giurisprudenza ha negato il ricorso straordinario anche in relazione a pronunce emesse dopo che la sentenza di cognizione e’ divenuta irrevocabile: cosi’, in materia di indennizzo per ingiusta detenzione (Sez. 3, n. 6835 del 28/01/2004, Mongiardo, Rv. 228495; Sez. 3, n. 1265 del 11/12/2008, Gulli’, Rv. 242164), di riabilitazione (Sez. 4, n. 42725 del 03/10/2007, Mediati, Rv. 238302) e, soprattutto, in materia di esecuzione (Sez. 5, n. 48103 del 22/10/2010, Sarno, Rv. 245385; Sez. 5, n. 2727 del 12/11/2009, Baiguini, Rv. 245923). Qui l’argomento letterale non poteva essere utilizzato, in quanto formalmente esiste un condannato legittimato a proporre il ricorso: ed infatti, l’esclusione dall’ambito di applicazione del ricorso straordinario viene giustificata considerando che in tali ipotesi la decisione della Corte di cassazione non perfeziona alcuna fattispecie di giudicato. In alcune decisioni, relative a provvedimenti emessi in sede esecutiva, si insiste sulla straordinarieta’ del mezzo d’impugnazione, facendone derivare la conseguenza per cui le disposizioni che lo regolano non sono suscettibili di applicazione analogica in forza del divieto sancito dall’articolo 14 preleggi e si conclude ribadendo che con il termine “condanna” si deve intendere l’applicazione di una sanzione penale, secondo l’interpretazione logico-sistematica della norma, introdotta dal legislatore proprio al fine di eliminare errori di fatto verificatisi nel corso del giudizio di legittimita’ in danno del condannato. Ne consegue che l’istituto puo’ trovare applicazione soltanto all’esito del procedimento di cognizione e non anche nei procedimenti in fase di esecuzione o in quelli di sorveglianza (cosi’, Sez. 5, n. 45937 del 08/11/2005, Ierino’, Rv. 233218).

5. Rispetto a questo indirizzo rigoroso nell’interpretare gli ambiti applicativi dell’istituto introdotto con l’articolo 625-bis c.p.p., deve riconoscersi come sia presente, nella giurisprudenza piu’ recente, anche una forte tendenza ad allargare i confini del ricorso straordinario.

Tale tendenza si e’ manifestata innanzitutto con la decisione Sez. U, n. 28719 del 21/06/2012, Marani, Rv. 252695. Le Sezioni Unite, superando un contrasto giurisprudenziale, hanno riconosciuto la legittimazione a proporre il ricorso straordinario anche per il condannato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, che prospetti un errore di fatto nella decisione della Corte di cassazione relativa a tale capo.

In questa sentenza si e’ messo in risalto che la soluzione tendente a limitare il ricorso straordinario alla sola condanna per il capo penale, sarebbe “palesemente eccentrica rispetto al diritto del condannato, anche soltanto per il capo civile, a fruire di un giudizio di legittimita’ non compromesso dall’errore di fatto”, precisando che la locuzione “condannato”, che indica l’ambito applicativo del rimedio straordinario, “non puo’ arbitrariamente scandirsi in ragione del tipo di condanna in capo al soggetto che sia stato sottoposto, come imputato, al processo penale, giacche’ l’essere stato costui evocato in giudizio tanto sulla base dell’azione penale quanto in forza dell’azione civile esercitata nel processo penale, non puo’ che comportare una ontologica identita’ di diritti processuali, a meno che la legge espressamente non distingua i due profili”, cosa di cui non v’e’ traccia nel testo della disposizione.

5.1. La locuzione “condannato” e’ stata oggetto di un’altra questione, a lungo dibattuta in giurisprudenza, attinente alla possibilita’ di rilevare con il rimedio straordinario l’errore di fatto contenuto in una sentenza di annullamento (totale) con rinvio e di annullamento parziale con o senza rinvio.

In questo caso, il problema interpretativo ruotava attorno alla determinazione del momento in cui insorge lo status di condannato e possa dirsi intervenuto il passaggio in giudicato della statuizione di condanna.

Anche qui si e’ reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite che hanno affermato che la legittimazione alla proposizione del ricorso straordinario spetta anche alla persona condannata nei confronti della quale sia stata pronunciata sentenza di annullamento con rinvio limitatamente a profili che attengono alla determinazione del trattamento sanzionatorio (Sez. U, n. 28717 del 21/06/2012, Brunetto, Rv. 252935). Secondo questa decisione il riconoscimento dell’autorita’ di cosa giudicata, enunciato, in tema di annullamento parziale, dall’articolo 624 c.p.p. con riferimento alle parti della sentenza che non hanno connessione essenziale con la parte annullata, non si riferisce ne’ al giudicato cosiddetto sostanziale, ne’ alla intrinseca idoneita’ della decisione ad essere posta in esecuzione, ma soltanto “all’esaurimento del potere decisorio del giudice della cognizione”.

Dunque, nel caso in cui, divenendo irrevocabile l’affermazione della responsabilita’ penale in ordine ad una determinata ipotesi di reato, il giudizio debba proseguire in sede di rinvio solo agli effetti della determinazione della pena, deve ritenersi ontologicamente venuta meno la presunzione di non colpevolezza, essendo stata quest’ultima accertata con sentenza ormai divenuta definitiva sul punto, di modo che risulta trasformata la posizione dell’imputato in quella di “condannato”, anche se a pena ancora da determinare in via definitiva. Ne deriva l’immediata ricorribilita’ per errore di fatto della pronuncia di annullamento parziale che abbia reso intangibile il riconoscimento della responsabilita’ penale, proprio perche’ si tratta di una sentenza che, “cristallizzando” il giudizio di responsabilita’ in termini irrevocabili, muta necessariamente lo status del soggetto, oramai definitivamente dichiarato colpevole e dunque non piu’ semplicemente imputato, anche se ancora parzialmente sub iudice.

E’ stato cosi’ superato l’orientamento che, invece, riteneva inammissibile il ricorso straordinario avverso una sentenza di annullamento parziale con rinvio di una sentenza di condanna, nel caso in cui al giudice di rinvio fosse devoluta la determinazione della pena, sul presupposto che l’irrevocabilita’ della sentenza penale di condanna debba necessariamente riguardare anche l’entita’ della pena irrogata, in quanto la realizzabilita’ della pretesa punitiva dello Stato richiede la formazione di un giudicato di condanna che sia incompatibile con il permanere della qualifica di imputato in capo al soggetto (Sez. 1, n. 24659 del 15/06/2007, Metelli, Rv. 239463; Sez. 1, n. 16692 del 28/01/2009, Mancuso, Rv. 243551).

5.2. Si deve, inoltre, sottolineare che la Corte di cassazione ha avuto modo di affermare la praticabilita’ dello strumento del ricorso straordinario anche a favore di soggetto “gia’” definitivamente condannato e lo ha fatto muovendosi all’interno di un orizzonte del tutto peculiare, quale quello della attuazione delle sentenze CEDU che accertino la violazione di diritti dell’uomo avvenuta nell’ambito di una pronuncia di legittimita’.

Il riferimento e’ alle sentenze Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008, Drassich, Rv. 241753 e Sez. 5, n. 16507 del 11/02/2010, Scoppola, Rv. 247244, in cui la Corte, in assenza di un istituto che consentisse di rimuovere il giudicato interno a fronte della dichiarazione di iniquita’ formulata dal giudice convenzionale dei diritti dell’uomo, ha ritenuto di poter utilizzare all’uopo lo strumento previsto dall’articolo 625-bis c.p.p. in casi non finalizzati alla rimozione di un errore di fatto. Con la sentenza Drassich, la Corte ha statuito che puo’ farsi ricorso alla procedura straordinaria di cui all’articolo 625-bis c.p.p. per dare esecuzione ad una sentenza della Corte EDU che abbia rilevato una violazione del diritto di difesa occorsa nel giudizio di legittimita’ e che abbia resa iniqua la sentenza della Corte di cassazione, indicando nella riapertura del procedimento, su richiesta dell’interessato, la misura interna per porre rimedio alla violazione contestata; con la pronuncia Scoppola ha affermato che e’ ammissibile il ricorso straordinario preordinato ad ottenere, in esecuzione di una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo – che abbia accertato la non equita’ del trattamento sanzionatorio determinato, con sentenza definitiva, in violazione degli articolo 6 e 7 CEDU – la sostituzione della pena inflitta con quella ritenuta equa dalla Corte Europea.

Ai fini che qui interessano, si vuole sottolineare come la Corte, da un lato, abbia negato che la disposizione di cui all’articolo 625-bis, sebbene realizzata per colmare vuoti di tutela definiti e tassativi, incorra in un divieto di applicazione analogica, in quanto non si tratta di norma penale incriminatrice (ma anzi di norma conducente ad effetti in bonam partem), ne’ di norma caratterizzata per eccezionalita’ rispetto al sistema processuale (Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008, Drassich), dall’altro, si sia disinteressata del presupposto soggettivo richiesto dall’articolo 625-bis per la legittimazione al ricorso straordinario, ritenendo ammissibile il ricorso straordinario promosso dal “condannato”, inteso nel significato di persona “gia’” condannata e non di persona che tale e’ diventata per effetto della sentenza della Corte oggetto di ricorso (Sez. 5, n. 16507 del 11/02/2010, Scoppola).

5.3. Nei casi indicati si assiste ad un progressivo allentamento del rapporto funzionale tra decisione della Corte di cassazione e giudicato e il riferimento al “condannato”, almeno riguardo all’ultimo esempio, assume una portata piu’ ampia.

Pertanto, e’ vero che, come sottolineato da una attenta dottrina, il richiamo al “condannato” sta a significare che possono essere impugnate con il ricorso straordinario le decisioni della Corte di cassazione che rendano “incontrovertibile l’accertamento del dovere di punire”, essendo evidente il collegamento con il giudicato sostanziale. Tuttavia, si tratta di verificare se i provvedimenti della Cassazione suscettibili di essere impugnati ai sensi dell’articolo 625-bis c.p.p. sono solo quelli in grado di determinare il passaggio in giudicato della sentenza di condanna ovvero se sia sufficiente un altro tipo di nesso con il giudicato sostanziale.

6. A questi fini la decisione di inammissibilita’ o di rigetto pronunciata dalla Corte di cassazione avverso il ricorso proposto dal condannato contro l’ordinanza della corte di appello che abbia dichiarato inammissibile l’istanza di revisione rappresenta un caso paradigmatico, in quanto non vi e’ dubbio che il destinatario della pronuncia della Cassazione debba essere qualificato come “condannato”: lo e’ in senso tecnico, dal momento che con la revisione intende ottenere un nuovo giudizio avente ad oggetto l’accertamento della sua responsabilita’ penale.

Si e’ gia’ visto come la tesi che nega la possibilita’ di proporre il ricorso straordinario in questa materia insista sulla circostanza che mancherebbe il nesso funzionale tra la decisione della Cassazione e il giudicato, in quanto la decisione negativa assunta ai sensi dell’articolo 634 c.p.p., comma 2, non determina la formazione del giudicato, gia’ formatosi in precedenza. In altri termini, si assume che la pronuncia resa dalla Corte di cassazione non rende definitiva la sentenza di condanna, ma e’ solo collegata in maniera indiretta con il giudicato.

Si osserva che, se e’ vero che la natura straordinaria del ricorso in esame determina la necessita’ di ricercare un legame funzionale tra decisione della Cassazione e giudicato, tuttavia cio’ non vuol dire che l’istituto disciplinato dall’articolo 625-bis c.p.p. debba trovare applicazione solo in presenza di una sentenza di legittimita’ da cui derivi, “per la prima volta”, l’effetto del giudicato. Di un tale requisito non vi e’ traccia nella legge. La sentenza n. 1776 del 2014 (ric. Narciso) ha rilevato come limitare il ricorso straordinario alle sole decisioni della Cassazione di inammissibilita’ o di rigetto dei ricorsi avverso sentenze di merito, con cui si e’ affermata la responsabilita’ penale dell’imputato, si fonda su una interpretazione che non trova riscontro nella lettura della norma e non considera che, con riferimento alla revisione, il “condannato” e’ il soggetto titolare della facolta’ di introdurre il giudizio di revisione nel cui ambito, in caso di rigetto della domanda, si approda allo scrutinio di legittimita’, che puo’ concludersi con un provvedimento negativo, di rigetto o di inammissibilita’, che conferma la condizione giuridica di partenza, cioe’ il giudizio di responsabilita’ penale del ricorrente-condannato.

In realta’, ne’ la disposizione in questione, ne’ la stessa giurisprudenza di legittimita’ che, come si e’ visto, ha progressivamente allargato i confini del ricorso straordinario, autorizzano a ritenere che il nesso funzionale tra decisione della Corte di cassazione e giudicato debba essere immediato e diretto. Cio’ che rileva, infatti, e’ che la decisione della Cassazione contribuisca alla “stabilizzazione” del giudicato, a prescindere dal momento in cui si sia formato. Deve trattarsi di un provvedimento che, collocandosi nel cono d’ombra dell’accertamento della responsabilita’ penale (o anche civile) della persona interessata, riaffermi comunque l’ambito del giudicato stesso. E’ in questo senso che deve essere inteso lo status di condannato cui si riferisce l’articolo 625-bis c.p.p..

Nel caso della revisione la sentenza della Cassazione, che rigetti o dichiari inammissibile il ricorso del condannato contro la decisione negativa della Corte d’appello, conferma il giudicato di condanna, che altrimenti avrebbe potuto essere infranto da un giudizio di revisione con esito favorevole. La decisione della Cassazione non determina “per la prima volta” la formazione del giudicato penale, ma sicuramente contribuisce a determinarlo e, comunque, lo conferma in presenza di una richiesta del condannato finalizzata a superare proprio il giudicato di condanna.

Del resto l’istituto della revisione si inserisce nel sistema delle impugnazioni come un mezzo straordinario di difesa del condannato, per porre rimedio agli errori giudiziari, eliminando le condanne che siano riconosciute ingiuste, attraverso un giudizio che segue alla formazione del giudicato, la cui base giustificativa e’ di ordine prevalentemente pratico, tanto che l’ordinamento, sulla base di scelte di politica legislativa, sacrifica “il valore (…) del giudicato in nome di esigenze che rappresentano l’espressione di valori superiori”. Tra i valori fondamentali a cui la legge attribuisce priorita’, rispetto alla regola della intangibilita’ del giudicato, vi e’ la “necessita’ dell’eliminazione dell’errore giudiziario, dato che corrisponde alle piu’ profonde radici etiche di qualsiasi societa’ civile il principio del favor innocentiae, da cui deriva a corollario che non vale invocare alcuna esigenza pratica – quali che siano le ragioni di opportunita’ e di utilita’ sociale ad essa sottostanti – per impedire la riapertura del processo allorche’ sia riscontrata la presenza di specifiche situazioni ritenute dalla legge sintomatiche della probabilita’ di errore giudiziario” (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, Pisano).

All’istituto della revisione e’, quindi, attribuita la funzione di rispondere “all’esigenza, di altissimo valore etico e sociale, di assicurare, senza limiti di tempo ed anche quando la pena sia stata espiata o sia estinta, la tutela dell’innocente, nell’ambito della piu’ generale garanzia, di espresso rilievo costituzionale, accordata ai diritti inviolabili della personalita’” (Corte cost., sent. n. 28 del 1969).

E’ evidente come sia la giurisprudenza costituzionale sia quella di legittimita’ facciano derivare la scelta del favor revisionis dalla finalita’ di garantire i diritti inviolabili della persona, sacrificando il rigore delle forme alle esigenze insopprimibili della “verita’ e della giustizia reale” (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, Pisano).

Si tratta della stessa esigenza che ha portato alla crisi dell’intangibilita’ del giudicato anche con riferimento a situazioni diverse dalla revisione (il riferimento e’ alla giurisprudenza della Corte di cassazione sopra ricordata: Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, Ercolano; Sez. U, n. 32 del 22/11/2014, Gatto; Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon) e che ha giustificato il tendenziale allargamento degli spazi riconosciuti al ricorso straordinario per errore di fatto.

Proprio in considerazione di tali esigenze, poste a tutela di diritti inviolabili della persona, appare poco comprensibile che il condannato sia legittimato a chiedere la revisione, a partecipare al relativo giudizio, a ricevere la notifica della dichiarazione di inammissibilita’ dell’istanza, a ricorrere per cassazione contro la decisione della corte di appello, ma poi non possa impugnare, ai sensi dell’articolo 625-bis c.p.p., la sentenza della Corte di cassazione affetta da errore di fatto. Situazione questa che deriverebbe dal fatto che per “condannato” viene inteso solo il soggetto raggiunto dalla prima pronuncia di legittimita’ che renda definitiva la sua condanna.

L’effetto paradossale e’ che lo status di condannato legittima la richiesta di revisione, ma la stessa condizione non legittimerebbe il ricorso ex articolo 625-bis nell’ambito della medesima procedura, con la conseguenza che nel giudizio di legittimita’, comunque funzionale a stabilizzare e a ribadire il giudicato di condanna, non sarebbe azionabile alcun rimedio contro l’errore di fatto.

Si deve considerare che la sentenza della Cassazione pronunciata nel giudizio di revisione, sebbene non intervenga nella fase processuale destinata all’accertamento del fatto, tuttavia verifica, sulla base dei motivi dedotti, la rispondenza al modello normativo suo proprio del processo di revisione, instaurato ai sensi dell’articolo 630 c.p.p., e nel caso in cui definisca la procedura con un provvedimento di rigetto o di inammissibilita’ completa il giudicato di condanna, cioe’ partecipa al suo consolidamento. Il giudizio di revisione, a differenza delle procedure incidentali o di quelle esecutive, si caratterizza come lo strumento generale, ancorche’ straordinario, di rimozione degli effetti di una decisione irrevocabile erronea, sicche’ la decisione della Corte di cassazione che definisce la procedura, si pone in una condizione assai simile a quelle terminative del giudizio di cognizione, per le quali il ricorso straordinario ex articolo 625-bis e’ pacificamente ammesso (in questo senso, Sez. 1, n. 1776/2015, Narciso).

In questo caso, negare il rimedio straordinario per errore di fatto equivale a non assicurare la effettivita’ del giudizio di legittimita’, quell’effettivita’ che la Corte costituzionale indico’ come obiettivo da raggiungere attraverso la previsione di meccanismi in grado di rimediare agli errori della Cassazione (Corte cost., sent. n. 395 del 2000). In questa sentenza, che ha indotto il legislatore ad introdurre l’articolo 625-bis, la Corte costituzionale ha sottolineato come la mancanza nell’ordinamento processuale di un rimedio agli errori di fatto della Cassazione si pone in contrasto non solo con l’articolo 3 Cost., ma soprattutto con l’articolo 24 Cost., in quanto non garantisce il diritto al processo in cassazione, che e’ costituzionalmente imposto dall’articolo 111 Cost. per assicurare il controllo di legalita’ dei giudizi.

Non appare rilevante a questi fini la circostanza che la richiesta di revisione sia riproponibile, in quanto la riproponibilita’ dell’istanza ai sensi dell’articolo 641 c.p.p. e’ basata sulla condizione essenziale della “novita’” degli elementi legittimanti la rinnovata richiesta di revisione, mentre il rimedio straordinario e’ attivabile solo se la decisione sia irrimediabilmente viziata da uno “sviamento percettivo” del giudizio.

Del resto, se la ratio del rimedio straordinario risiede nell’irrimediabilita’ del pregiudizio, che consegue al carattere irrevocabile della sentenza conclusiva del giudizio di cognizione, non vi e’ situazione piu’ irrimediabile di quella che consegue alla decisione della Corte di cassazione che rigetti il ricorso avverso una pronuncia che abbia respinto una richiesta di revisione di un giudicato di condanna.

La soluzione individuata dal legislatore con l’introduzione dell’articolo 625-bis rappresenta una scelta imposta dalla Costituzione, nel rispetto del principio di uguaglianza, di quello di effettivita’ della difesa in ogni stato e grado, del diritto alla riparazione degli errori giudiziari e, infine, di quello diretto ad assicurare il controllo effettivo di tutte le sentenze in sede di legittimita’ (cosi’, Sez. U, n. 28719 del 21/06/2012, Marani).

Sono questi principi costituzionali a pretendere l’eliminazione dell’errore giudiziario, obiettivo a cui tendono, in maniera convergente, sia la revisione che il ricorso straordinario per errore di fatto.

Negare quest’ultimo rimedio proprio alle sentenze della Cassazione emesse nella procedura di revisione, che e’ volta, in presenza di presupposti predeterminati, a rivalutare il giudicato per assicurare certezza alla posizione del condannato, appare in contrasto con la lettera e con la finalita’ della legge: si accetterebbe il rischio della ineliminabilita’ degli errori di fatto in queste decisioni, limitando il diritto del condannato che abbia richiesto la revisione di ottenere il “giusto processo” in cassazione.

7. Pertanto, con riferimento alla questione oggetto del ricorso, deve essere enunciato il seguente principio di diritto:

“E’ ammessa, a favore del condannato, la richiesta, ex articolo 625-bis c.p.p., per la correzione dell’errore di fatto contenuto nella sentenza con cui la Corte di cassazione abbia dichiarato inammissibile o rigettato il suo ricorso contro la decisione negativa della corte di appello pronunciata in sede di revisione”.

8. L’accoglimento di una nozione di “condannato” piu’ ampia di quella fino ad ora utilizzata dalla giurisprudenza in questa materia, che cioe’ superi il riferimento oggettivo ai soli provvedimenti della Cassazione che determinino, per la “prima volta”, la formazione del giudicato, non e’ destinata a realizzare una applicazione indiscriminata del ricorso straordinario per errore di fatto. Il rimedio deve rimanere limitato ai casi in cui la decisione della Corte di cassazione interviene a stabilizzare il giudicato, anche se formatosi anteriormente.

Ne consegue che per tutte le decisioni della Corte di cassazione che intervengano in procedimenti ante iudicatum, come ad esempio i provvedimenti emessi in fase cautelare, le decisioni in materia di misure di prevenzione, quelle in materia di rimessione del processo, nonche’ le decisioni processuali in materia di estradizione o di mandato di arresto Europeo, continuera’ a non esservi spazio per la correzione dell’errore di fatto, in quanto si tratta di decisioni che non hanno come destinatario un condannato.

Allo stesso modo si deve escludere che il ricorso straordinario possa riferirsi alle decisioni della Corte di cassazione che comunque si riferiscano al “condannato”, in antitesi allo status di imputato: se cosi’ fosse qualunque provvedimento di cassazione, purche’ riguardante un condannato, sarebbe impugnabile ai sensi dell’articolo 625-bis c.p.p.. In questo senso, come gia’ sostenuto dalla giurisprudenza, si dovra’ negare il ricorso straordinario in relazione a pronunce emesse dopo che la sentenza di cognizione e’ divenuta irrevocabile: il riferimento, ad esempio, e’ alle decisioni in materia di indennizzo per ingiusta detenzione o per riabilitazione. In questi casi, la pronuncia della Cassazione puo’ avere come presupposto il giudicato, ma non e’ destinata ad incidere in alcun modo sull’accertamento della responsabilita’.

Piu’ complesso il caso dei provvedimenti emessi nella fase dell’esecuzione.

Si e’ accennato sopra alle ragioni utilizzate dalla giurisprudenza prevalente per escludere il rimedio del ricorso straordinario per le decisioni in materia esecutiva: l’istituto puo’ trovare applicazione soltanto all’esito del procedimento di cognizione e non anche nei procedimenti in fase di esecuzione o in quelli di sorveglianza (cosi’, Sez. 5, n. 45937 del 08/11/2005, Ierino’), in quanto in tali ipotesi la decisione della Corte di cassazione non perfeziona alcuna fattispecie di giudicato, aggiungendosi che con il termine “condanna” si deve intendere l’applicazione di una sanzione penale, secondo l’interpretazione logico-sistematica della norma, introdotta dal legislatore proprio al fine di eliminare errori di fatto verificatisi nel corso del giudizio di legittimita’ in danno del condannato.

Tuttavia, come per la revisione, anche nella fase dell’esecuzione la decisione della Cassazione puo’ intervenire a stabilizzare il giudicato, sicche’, sotto questo profilo, non vi sarebbe ragione per impedire l’applicabilita’ dell’istituto di cui all’articolo 625-bis, almeno nei casi in cui la decisione della Cassazione e’ in grado di determinare l’irrimediabilita’ del pregiudizio derivante dall’errore di fatto.

Si pensi, ad esempio, oltre alle ipotesi in cui il giudizio di legittimita’ abbia ad oggetto le procedure di cui agli articoli 671 e 673 c.p.p., al caso di una decisione in cui la Cassazione dichiari inammissibile o rigetti il ricorso avverso l’ordinanza negativa del giudice dell’esecuzione chiamato a decidere, ex articolo 670 c.p.p., una questione riguardante la validita’ della notifica della sentenza di condanna di merito, ovvero al caso in cui la Cassazione decida in termini negativi un ricorso contro l’ordinanza che respinga una richiesta di restituzione nel termine per impugnare una sentenza di condanna. Con riferimento agli articoli 671 e 673 cit., la Corte di cassazione interviene direttamente sul giudicato, “manipolandolo”, negli altri esempi, invece, come sottolineato da un’attenta dottrina, viene in discussione “lo stesso perfezionamento della fattispecie del giudicato”, tenuto conto che il rimedio dell’errore di fatto qui e’ diretto a recuperare il processo di cui il condannato e’ stato privato.

Negli esempi indicati e’ difficile negare che vi sia un nesso funzionale tra decisione della Corte di cassazione e giudicato, sicche’ deve ammettersi il ricorso straordinario in caso di errore di fatto.

9. Una volta ritenuti ammissibili i ricorsi proposti nell’interesse del (OMISSIS) avverso la decisione della Corte di cassazione che ha definito il procedimento di revisione e venendosi a trattare il merito delle doglianze proposte, deve escludersi che l’errore di fatto denunciato sussista.

9.1. Invero si tratta di due distinti errori di fatto dedotti nei ricorsi.

Come si e’ visto, il primo riguarda l’errata individuazione dell’epoca in cui (OMISSIS) racconto’ ad (OMISSIS) della rapina, rendendo cosi’ una sorta di confessione stragiudiziale posta a base della condanna: tale dichiarazione sarebbe stata collocata, erroneamente, nel gennaio del 1994, durante la loro comune detenzione, mentre in realta’ sarebbe avvenuta nell'(OMISSIS), cioe’ dopo pochi giorni dalla rapina al camion condotto da (OMISSIS), che in quell’occasione venne ucciso, circostanza temporale che viene ritenuta rilevante, in quanto giustificherebbe la tesi difensiva secondo cui (OMISSIS), nell’attribuirsi la partecipazione alla rapina, avrebbe fatto una “vanteria”, allo scopo di valorizzare la sua “caratura delinquenziale” agli occhi del suo interlocutore.

Il secondo errore dedotto consiste nel rilievo dato dai giudici alle dichiarazioni di (OMISSIS): in sentenza si e’ ritenuto che (OMISSIS) aveva riferito che (OMISSIS) gli racconto’ dettagli della rapina, che solo chi vi aveva partecipato poteva conoscere, ma in realta’, a riferire tali particolari – cioe’ che (OMISSIS) avrebbe reagito all’aggressione tentando di buttare fuori strada i rapinatori – non sarebbe stato (OMISSIS), ma (OMISSIS), che li apprese nelle stesse circostanze di tempo in cui ricevette la c.d. confessione dal (OMISSIS). In questo caso, secondo la difesa, se si fosse correttamente ritenuto che la rivelazione venne fatta dal (OMISSIS) all’ (OMISSIS) qualche giorno dopo i fatti, la circostanza confidata circa la manovra disperata del conducente avrebbe perso ogni significato probatorio, dal momento che gia’ dopo due giorni dalla rapina la stampa e le televisioni locali avevano diffuso ogni particolare del crimine, che era divenuto di dominio pubblico.

9.2. Entrambi i presunti errori denunciati non rientrano nella categoria degli errori di fatto cui si riferisce l’articolo 625-bis c.p.p..

Questa Corte ha avuto modo di precisare che nella procedura prevista dall’articolo 625-bis l’errore che puo’ rilevare e’ solo quello percettivo, cioe’ quello causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione e’ incorsa nella lettura degli atti e che abbia determinato una influenza sul processo formativo della volonta’, che risulta viziata da tale inesatta percezione, tanto da condurre ad una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata in assenza dell’errore (cosi’, Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile).

Inoltre, secondo questa giurisprudenza l’errore di fatto deve essere non solo decisivo con riferimento all’influenza esercitata sulla volonta’ del giudice, tale cioe’ da risultare determinante nella soluzione adottata, ma deve possedere anche caratteristiche di “oggettiva ed immediata rilevabilita’”, dovendo cioe’ risultare evidente dagli atti, ictu oculi, che la decisione e’ stata condizionata dall’inesatta percezione.

Diretta conseguenza della dimensione meramente percettiva dell’errore di fatto e’ che dal suo ambito applicativo resta esclusa “qualsiasi implicazione valutativa dei fatti sui quali la Corte di cassazione e’ chiamata a pronunciare”: con la conseguenza che, qualora l’errore non derivi da una fuorviata rappresentazione percettiva, ma presenti “un qualsiasi contenuto valutativo”, si deve escludere la proponibilita’ del ricorso straordinario ex articolo 625-bis, in quanto non di errore di fatto si tratta, bensi’ di errore di giudizio (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile).

Nel caso di specie, facendo applicazione dei menzionati criteri interpretativi, risulta evidente come ai presunti errori denunciati nei ricorsi facciano difetto le due ultime condizioni per essere qualificati come “errori di fatto”: innanzitutto, si tratta di “errori” a cui manca il carattere della immediata rilevabilita’, ma soprattutto sono errori che hanno un prevalente contenuto valutativo, non percettivo. La presunta fuorviata rappresentazione, a fondamento della decisione contenuta nella sentenza n. 24868 del 2015 della Corte di cassazione, che ha rigettato il ricorso del (OMISSIS) contro la pronuncia della Corte di appello di Perugia, si e’ formata sulla base di una complessiva valutazione delle prove, costituite dalle dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); anche a voler riconoscere la fondatezza sia della ricostruzione temporale delle dichiarazioni che (OMISSIS) avrebbe reso ad (OMISSIS), sia della attribuibilita’ del racconto a quest’ultimo e non al (OMISSIS), deve escludersi che possa trattarsi di errore percettivo, in quanto la motivazione dei giudici si e’ formata attraverso una implicazione valutativa delle prove dichiarative riguardanti i fatti sui quali erano chiamati a decidere.

La prospettazione degli errori contenuta nei ricorsi in realta’ denuncia una sorta di travisamento della prova, cioe’ un vizio di motivazione che, semmai, andava fatto valere nel processo di cognizione principale e che, comunque, risulta in qualche modo essere stato oggetto del ricorso contro la decisione della Corte di appello di Perugia che ha rigettato la richiesta di revisione, quindi esaminato e valutato dai giudici della Prima Sezione della Corte di cassazione.

Che non si sia trattato di un errore percettivo lo dimostra la circostanza che la stessa ricostruzione dei fatti offerta dalla difesa non emerge in maniera oggettiva ed immediata dal controllo degli atti, ma necessita di un approccio che implica una valutazione delle stesse prove dichiarative, il che esclude la natura dell’errore di fatto.

Infine, difetta anche la decisivita’ dell’errore, in quanto non puo’ ritenersi dimostrato che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa, e cio’ perche’ le conclusioni cui giunge la difesa nei suoi ricorsi presuppongono, come si e’ detto, un approccio valutativo e critico del materiale probatorio.

10. In conclusione, deve ritenersi l’infondatezza dei motivi dedotti, con la conseguenza che il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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