Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 22 settembre 2016, n. 18569

Il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo e conseguente possibilita’ per gli interessati di venirne a conoscenza e richiederne copia autentica: da tale momento la sentenza “esiste” a tutti gli effetti e comincia a decorrere il cosiddetto termine lungo per la sua impugnazione.

Nel caso in cui risulti realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione attraverso l’apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, il giudice tenuto a verificare la tempestivita’ dell’impugnazione proposta deve accertare – attraverso un’istruttoria documentale o, in mancanza, il ricorso, se del caso, alla presunzione semplice ovvero, in ultima analisi, alla regola di giudizio di cui all’articolo 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all’impugnante provare la tempestivita’ della propria impugnazione – il momento di decorrenza del termine d’impugnazione, percio’ il momento in cui la sentenza e’ divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria comportante l’inserimento di essa nell’elenco cronologico delle sentenze e l’attribuzione del relativo numero identificativo

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite civili

sentenza 22 settembre 2016, n. 18569

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f.
Dott. PICCININNI Carlo – Presidente Sezione
Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere
Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17641/2009 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che le rappresentano e difendono, per delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI REGGIO CALABRIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO NERI, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 150/2008 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 28/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/04/2016 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

uditi gli avvocati (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS) e (OMISSIS) per l’Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN FATTO

Nel procedimento instaurato dal Ministero delle Finanze nei confronti del Comune di Reggio Calabria per opporsi alla stima dell’indennita’ di esproprio di un’area appartenente alle Stato, (OMISSIS) ha spiegato intervento volontario chiedendo il riconoscimento in suo favore della proprieta’ di parte dell’area suddetta per intervenuta usucapione e aderendo, per il resto, all’opposizione formulata dal Ministero. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, confermando la decisione di primo grado, ha respinto le domande della (OMISSIS).

Per la cassazione di questa sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi di (OMISSIS), hanno proposto ricorso nei confronti del Comune di Reggio Calabria e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il primo dei quali ha resistito con controricorso mentre il secondo ha depositato atto denominato “di costituzione” ai fini della partecipazione all’udienza di discussione. Il Comune e le ricorrenti hanno depositato successive memorie.

Il collegio della seconda sezione civile di questa Corte chiamato a decidere sul ricorso, rilevato che la sentenza impugnata reca una data di deposito nonche’ una diversa e successiva (di sette mesi) data di pubblicazione, entrambe seguite da timbro e firma del cancelliere, e che il ricorso per cassazione risulta spedito per la notifica nell’ultimo giorno utile ai sensi dell’articolo 327 c.p.c., assumendo come dies a quo la seconda delle date suddette, ha rinviato la trattazione della causa in attesa della decisione della Corte costituzionale sulla questione – sollevata da altro collegio della stessa sezione – avente ad oggetto la legittimita’ costituzionale delle norme in materia di pubblicazione della sentenza e di individuazione del dies a quo di decorrenza del cd. “termine lungo” di impugnazione.

Successivamente, con ordinanza interlocutoria n. 19140 del 2015, il collegio, preso atto della decisione della Consulta (escludente, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, l’illegittimita’ dell’articolo 133 c.p.c., commi 1 e 2, e articolo 327 c.p.c., comma 1), ha denunciato il contrasto determinatosi in relazione alla differente lettura (e applicazione) della citata decisione della Corte costituzionale da parte di altri collegi della medesima sezione, in particolare con riguardo alla possibile ampiezza ed agli eventuali limiti del ricorso alla rimessione in termini per l’impugnazione, sollecitando in proposito l’intervento compositivo di queste sezioni unite.

RITENUTO IN DIRITTO

1. E’ prioritaria la verifica della tempestivita’ del ricorso, pertanto va innanzitutto affrontata la questione in ordine alla quale si e’ evidenziato il contrasto che ha determinato l’assegnazione del ricorso a queste sezioni unite.

In proposito occorre precisare: che la sentenza impugnata non risulta notificata; che essa, come sopra evidenziato, reca in calce due annotazioni riportanti ciascuna una data, la prima delle quali (28.10.2007) indicata come data di deposito e l’altra (28 maggio 2008) come data di pubblicazione; che le suddette annotazioni sono entrambe sottoscritte dal cancelliere; che, infine, il ricorso risulta notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze con consegna a mani dell’impiegata incaricata presso l’Avvocatura Generale dello Stato il 13 luglio 2009, e consegnato in pari data all’Ufficio notifiche della Corte d’Appello di Roma per la notifica al Comune di Reggio Calabria, effettuata a mezzo posta.

I dati sopra esposti rendono evidente che nella specie la notifica del ricorso puo’ ritenersi tempestiva, siccome effettuata nell’ultimo giorno utile (anche per il Comune di Reggio Calabria, a differenza di quanto dall’ente sostenuto nei propri scritti difensivi, dovendosi avere riguardo alla data di consegna all’ufficiale giudiziario e non a quella in cui quest’ultimo consegna il plico alla posta), soltanto se si identifica il dies a quo per la decorrenza del termine cd. “lungo” di impugnazione nella seconda delle date suddette (indicata come di “pubblicazione”). Risulta pertanto imprescindibile individuare, tra quelle recate dalla sentenza, la data alla quale fare riferimento per la decorrenza del termine predetto e, ove si individui la prima di tali date (indicata come di “deposito”), stabilire se sia possibile (e, nel caso, eventualmente entro quali limiti) una rimessione in termini delle ricorrenti che abbiano, in ipotesi, senza colpa lasciato decorrere il termine di impugnazione.

2.La questione dell’apposizione di una doppia data alle sentenze civili, con le conseguenti problematiche giuridiche anche sul piano costituzionale, non e’ purtroppo nuova. Essa si e’ posta (e riproposta) frequentemente nel tempo, sotto diversi profili, dando origine ad una copiosa e non univoca giurisprudenza di legittimita’ nonche’ a sospetti di illegittimita’ costituzionale, basti pensare che gia’ negli anni settanta del secolo scorso le sezioni unite, chiamate a pronunciarsi in proposito, con la sentenza n. 3501 del 1979 hanno affermato che il termine per l’impugnazione previsto dall’articolo 327 c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza, cioe’ dal momento del suo deposito in cancelleria, non gia’ dal momento della comunicazione dell’avvenuto deposito alla parte costituita, senza che la citata norma sia per questo sospettabile di illegittimita’ costituzionale.

Molto piu’ recentemente pero’ il continuo riproporsi della sciagurata consuetudine di apporre una doppia data in calce alle sentenze civili ha determinato un articolato intrecciarsi e sovrapporsi di interventi giurisdizionali che non risulta ancora sopito se queste Sezioni unite sono chiamate ancora una volta in pochi anni a pronunciarsi in materia, pur essendosi sulla questione gia’ pronunciato piu’ volte il giudice di legittimita’, anche a sezioni unite, ed il giudice delle leggi. La prima considerazione che il complesso degli autorevolissimi interventi giurisprudenziali sopra sinteticamente richiamato suggerisce attiene al rilievo che le ripetute pronunce sulla questione riguardano tutte ipotesi in cui in calce alla sentenza sono state apposte dal cancelliere due date (individuate rispettivamente come di deposito e di pubblicazione), con un comportamento definito dalla Corte Costituzionale (non mera irregolarita’ bensi’) “patologia procedimentale grave”, ancor piu’ grave se si pensa che tutte le pronunce in argomento, pur divergenti tra loro su aspetti anche non secondari, sono da sempre concordi nello stigmatizzare incondizionatamente tale comportamento non solo per la sua determinante influenza sulle posizioni giuridiche degli interessati ma perche’, ancor prima, introduce dubbi e ambiguita’ in un momento processuale di massimo rilievo, inducendo il fondato sospetto che non sia sufficiente una stigmatizzazione in sede processuale di tale deprecabile consuetudineho’, ma si rendano forse necessari interventi ulteriori, quanto meno di carattere disciplinare.

E’ poi ancora da considerare che il plurimo e complesso quadro giurisprudenziale sopra richiamato, pur a tratti contrastante e per certi versi di non immediata decifrabilita’ (come si avra’ modo di evidenziare piu’ specificamente in prosieguo), trova giustificazione nell’esigenza (non sempre soddisfatta) di ricondurre a razionalita’ ed univocita’ il sistema con riguardo ad una questione di assoluta centralita’, quella dell’individuazione del momento di perfezionamento dell’iter procedimentale che porta al deposito/pubblicazione della sentenza civile (qualunque sia il significato che a tali termini si intende attribuire), cioe’ del momento nel quale la sentenza suddetta diviene perfetta, esistente, efficace ed irretrattabile (quindi insensibile ai mutamenti legislativi ed alle vicende esistenziali del suo “autore”) e a partire dal quale cominciano a decorrere i termini per l’impugnazione nonche’, specularmente, per il relativo passaggio in giudicato, restando la decisione in ordine alla identificazione di tale momento comprensibilmente influenzata dall’esigenza di evitare che sulla durata del procedimento (percio’ sulla legge applicabile e quindi sull’esito della controversia) possano influire i comportamenti di soggetti diversi dal collegio deliberante, al quale solo la decisione dovrebbe essere riferibile anche in termini di responsabilita’. E’ sufficiente in proposito riflettere sul fatto che una parte potrebbe inseguire il riconoscimento del proprio diritto attraverso diversi gradi di giudizio e poi, ad esempio, giunto il momento di chiusura dell’udienza di discussione in cassazione, non sapere se la decisione terra’ conto della legislazione sulla quale il suo difensore ha discusso all’udienza ovvero di una diversa normativa” ancora a venire, che potrebbe pero’ diventare legge regolatrice del rapporto per il combinarsi di una serie di fattori indipendenti o per l’intervento volontario (eventualmente anche doloso) di soggetti che non risultano neppure individuabili come centro cui sia in definitiva imputabile, anche in termini di responsabilita’, l’esito della decisione.

Tanto spiega l’argomentata tenacia con la quale la maggioranza della giurisprudenza di legittimita’ (ivi comprese le Sezioni unite) identifica il “deposito” come il momento di perfezionamento, efficacia, esistenza, irretrattabilita’ della sentenza e quindi il momento in cui cominciano a decorrere i termini per la proposizione di eventuali impugnazioni, trattandosi di un momento in cui e’ determinante l’intervento del giudice, posto che la procedura di deposito prende l’avvio proprio da un atto di volizione al medesimo riferibile, con la conseguenza che la data in cui il cancelliere ne da’ atto deve coincidere con quella dell’effettivo deposito e con l’ulteriore conseguenza che l’eventuale apposizione da parte del cancelliere di una data ulteriore e successiva non potrebbe giammai incidere su di un fatto (l’avvenuto deposito) gia’ verificatosi.

In particolare, nella recente sentenza n. 13794 del 2012, queste Sezioni unite hanno precisato: che le norme che disciplinano il deposito della sentenza attribuiscono al giudice la responsabilita’ di stabilire il momento di compimento dell’attivita’ giurisdizionale e non lasciano al cancelliere alcuna discrezionalita’ in ordine al momento in cui darne atto; che il procedimento di pubblicazione della sentenza si compie con la certificazione del deposito mediante l’apposizione in calce alla sentenza della data di esso e della firma del cancelliere; che le predette devono essere entrambe contemporanee alla data di consegna ufficiale della sentenza al cancelliere da parte del giudice, dovendo percio’ escludersi che il cancelliere possa attestare che una sentenza, gia’ pubblicata per effetto del suo deposito debitamente certificato, venga pubblicata in una data successiva; che, conseguentemente, se sulla sentenza sono apposte due date, delle quali la prima venga indicata come data di deposito (senza indicare che il documento depositato contiene solo la minuta della sentenza), tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono da questa data.

Nella “tensione” esegetica volta apprezzabilmente a preservare il deliberato da qualsivoglia interferenza esterna, la decisione pare lasciare in ombra il profilo della garanzia di effettivita’ del diritto di impugnazione. Dalla lettura coordinata dei vari passaggi della decisione si deduce infatti che ai fini della decorrenza del termine di impugnazione e’ sufficiente il deposito mero della sentenza attestato dal cancelliere, ben potendo ogni ulteriore adempimento intervenire successivamente, considerata la larghezza del termine all’uopo previsto, senza necessita’ che il termine suddetto cominci a decorrere da quando la parte abbia effettiva possibilita’ di conoscenza dell’avvenuto deposito, con l’unico correttivo costituito dalla possibilita’ di ricorso, anche d’ufficio, alla rimessione in termini solo qualora il giudice dell’impugnazione ravvisi “grave difficolta’” per l’esercizio del diritto di difesa determinato dall’avere il cancelliere non reso conoscibile la data di deposito della sentenza prima della successiva data attestante la “pubblicazione” della medesima, avvenuta a notevole distanza di tempo ed in prossimita’ del termine di decadenza per l’impugnazione.

Ed e’ proprio nel cono d’ombra proiettato dalla citata decisione che si inserisce l’ordinanza n. 26251 del 2013 con la quale la seconda sezione civile di questa Corte, pur non condividendo il principio espresso nel citato arresto delle sezioni unite siccome ritenuto frutto di una interpretazione lesiva della pienezza e della certezza del diritto di difesa delle parti costituite, ha tuttavia ritenuto di non investire nuovamente della questione le medesime Sezioni unite (che si erano da poco pronunciate sul punto risolvendo un annoso contrasto in materia processuale) e pertanto, assumendo l’interpretazione da queste fornita come “diritto vivente”, ne ha invocato una verifica sul piano costituzionale chiedendo al giudice delle leggi in particolare di verificare la compatibilita’ dell’approccio ermeneutico sotteso alla suddetta pronuncia delle Sezioni unite con i principi costituzionali in concreto involti dalla questione risolta (articoli 3 e 24 Cost.).

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 3 del 2015, premesso che una norma puo’ essere dichiarata costituzionalmente illegittima soltanto quando non sia possibile attribuirle un significato che la renda conforme a Costituzione, ha ritenuto la questione non fondata. In particolare, rilevato che la separazione temporale dei due passaggi in cui si articola la procedura di pubblicazione della sentenza (deposito da parte del giudice e presa d’atto del cancelliere), comprovata dall’apposizione di date differenti, costituisce una patologia gravemente incidente sulle situazioni giuridiche degli interessati, riflettendo il tardivo adempimento delle operazioni previste dalla pertinente disciplina legislativa e regolamentare (tra le quali, l’inserimento nell’elenco cronologico delle sentenze, con l’attribuzione del relativo numero identificativo), nonche’ dalle disposizioni sul processo telematico, ed evidenziato che solo con il compimento delle operazioni prescritte dalla legge puo’ dirsi realizzata quella pubblicita’ alla quale e’ subordinata la titolarita’ in capo ai potenziali interessati di puntuali situazioni giuridiche, come il potere di prendere visione degli atti pubblicati e di estrarne copia, ha ritenuto, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata del diritto vivente, che “per costituire dies a quo del termine per l’impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilita’ e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzato esclusivamente in corrispondenza di quest’ultima, con la conseguenza che il ritardato adempimento, attestato dalla diversa data di pubblicazione, rende inoperante la dichiarazione dell’intervenuto deposito, pur se formalmente rispondente alla prescrizione normativa”.

La Corte costituzionale ha altresi’ precisato che il ricorso all’istituto della rimessione in termini per causa non imputabile utilizzato dalle Sezioni unite (che pure in situazioni particolari puo’ costituire un utile strumento di chiusura equitativa del sistema) va inteso come doveroso riconoscimento d’ufficio di uno stato di fatto contra legem che, in quanto addebitabile alla sola amministrazione giudiziaria, non puo’ in alcun modo incidere sul fondamentale diritto all’impugnazione, riducendone i termini previsti, talvolta anche in misura significativa.

Con la presente statuizione di non fondatezza “nei termini indicati in motivazione” la decisione della Consulta vincola dunque l’interprete all’adozione di una lettura delle norme in esame che garantisca la conoscibilita’ (dell’esistenza) della sentenza e del suo deposito fin dalla decorrenza del termine per impugnare, e conseguentemente riconosca la decorrenza di detto termine solo a partire dal compimento delle attivita’ (sostanzialmente di inserimento nell’elenco cronologico delle sentenze con attribuzione del relativo numero identificativo) idonee ad assicurare la suddetta conoscibilita’.

3. Cio’ premesso, occorre ora riconsiderare il sistema alla luce del sopra evidenziato vincolo esegetico cercando di conciliare l’interpretazione adeguatrice della Consulta con l’esigenza che il momento in cui la sentenza viene ad esistenza a tutti gli effetti sia riconducibile ad una iniziativa del giudice e non resti nella discrezionalita’ del cancelliere, non essendo questi il soggetto al quale il legislatore attribuisce la titolarita’ – quindi la responsabilita’ – di scelte incidenti sul processo.

Nell’intento di esorcizzare i fraintendimenti che potrebbero annidarsi nel recepimento in concreto del suddetto vincolo esegetico e quindi di scongiurare il rischio di ulteriori interventi giurisprudenziali in materia, sembra opportuno ripercorrere il contenuto, apparentemente scontato, dei primi due commi dell’articolo 133 c.p.c., a norma del quale “La sentenza e’ resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata. Il cancelliere da’ atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma, ed entro cinque giorni, mediante biglietto contenente il dispositivo, ne da’ notizia alle parti che si sono costitute”.

Come e’ evidente, nella norma in esame la pubblicazione non e’ un posterius o comunque un’attivita’ diversa dal deposito, ma si identifica con esso, essendo il deposito l’atto per mezzo del quale la sentenza e’ resa pubblica, ed essendo percio’ logicamente inipotizzabile una pubblicazione come attivita’ autonoma del cancelliere, diversa e successiva rispetto al deposito.

Per altro verso, ai fini della pubblicazione non e’ pero’ necessario che dell’avvenuto deposito si dia notizia alle parti costituite, essendo tale attivita’ espressamente prevista come ulteriore rispetto alla pubblicazione u’ mediante – deposito, siccome da effettuarsi entro un termine ad essa successivo ed evidentemente ordinatorio.

D’altra canto l’identificazione del deposito come atto attraverso il quale si realizza la pubblicazione della sentenza ed a partire dal quale si determinano una serie di importanti conseguenze (tra le quali la decorrenza dei termini di impugnazione e di quelli, speculari, di formazione del giudicato) risulta funzionale alla necessita’ (dianzi ampiamente evidenziata) che tali conseguenze siano collegabili ad un atto di volizione del giudice, il quale, ritenuta la sentenza completa, la rende definitiva ed irretrattabile depositandola in cancelleria (ipotesi da non confondere con quella, peraltro ormai infrequente, di mero deposito in minuta, diversamente regolamentata).

Non resta pertanto che accertare in cosa deve consistere in concreto l’attivita’ di deposito.

A tal fine va considerato che si tratta di un deposito sui generis sia perche’ non serve (solo) a custodire la cosa ma (innanzitutto) ad attuarne la pubblicazione (rappresentando lo strumento individuato a questo scopo dal legislatore) sia perche’ la norma si riferisce chiaramente ad un deposito “in cancelleria” del quale il cancelliere da’ atto in calce alla sentenza, ed e’ evidente che un deposito effettuato presso un ufficio pubblico non puo’ risolversi nella semplice traditio brevi manu della sentenza attestata dal cancelliere, risultando assolutamente indispensabile (in relazione alle conseguenze che debbono trarsene) che esso abbia carattere ufficiale e cioe’ che nel luogo individuato per il deposito (la cancelleria) questo risulti ufficialmente. Ma il “deposito in cancelleria” non puo’ “risultare” ufficialmente se non a seguito dell’inserimento dell’atto oggetto di deposito nell’elenco cronologico delle sentenze esistente presso la suddetta cancelleria, con assegnazione del numero identificativo, non fosse altro perche’ una sentenza non identificabile non puo’ neppure risultare ufficialmente depositata.

E’ pertanto l’inserimento nell’elenco cronologico delle sentenze il “mezzo” attraverso il quale si realizza ufficialmente il “deposito in cancelleria” della sentenza e, al contempo, la pubblicita’ necessaria alla conoscibilita’ della stessa, essendo questo peraltro l’unico modo per attribuire significato ad una norma prevedente un deposito che e’ “strumento” della pubblicazione e al contempo con essa coincide. Questa lettura della previsione in esame e’ peraltro l’unica compatibile con la disciplina dettata dall’articolo 743 c.p.c. e ss.. Se, infatti, a norma del citato articolo 743, qualunque depositario pubblico autorizzato a spedire copia degli atti che detiene deve, a richiesta, rilasciarne copia autentica sotto pena dei danni e delle spese, e’ da ritenersi che fin dal momento del deposito della sentenza in cancelleria il cancelliere ne diviene “depositario pubblico”, percio’ tenuto a rilasciarne copia autentica, il che presuppone quanto meno che il suddetto deposito “risulti” ufficialmente e sia percio’ da subito conoscibile dai soggetti che avrebbero interesse a chiedere copia della sentenza che ne e’ oggetto.

La coincidenza strumentale tra deposito e pubblicazione comporta inoltre la necessita’ che le attivita’ di deposito (consegna della sentenza in cancelleria da parte del giudice e recepimento di essa da parte del cancelliere mediante inserimento nell’elenco cronologico e relativa attestazione) intervengano senza soluzione di continuita’. E se anche situazioni contingenti non lo rendessero talora possibile, le suddette operazioni dovrebbero tuttavia sempre essere completate in breve tempo e comunque in un unico contesto soggettivo-temporale, senza che possa ritenersi esaurito il rapporto tra il giudice depositante, la sentenza depositanda e il cancelliere preposto alle attivita’ di “recepimento” in cancelleria (id est: nell’elenco cronologico esistente presso la stessa) e relativa attestazione, con la conseguenza che il giudice che ha dato impulso al procedimento di deposito non puo’ disinteressarsene finche’ il completamento dello stesso non venga attestato e deve pertanto assicurarsi che tale completamento intervenga al piu’ presto e risulti certificato dall’apposizione della relativa (unica) data in calce alla sentenza, eventualmente, ove il procedimento non si completi entro un tempo ragionevole, segnalando particolari urgenze, denunciando inefficienze o anche sollecitando, attraverso l’intervento del capo dell’ufficio, un maggior controllo e, se del caso, una migliore organizzazione del lavoro e distribuzione del personale, essendo in ogni caso da escludere che il “deposito” possa esaurirsi in una mera attestazione del cancelliere priva di qualunque ufficiale riscontro oggettivo e che l’attivita’ di “pubblicazione”, scissa da quella di deposito, possa proseguire poi esclusivamente ad opera del cancelliere, al di fuori di ogni controllo del giudice, perfezionandosi a volte, come nella specie, dopo molti mesi dal deposito, cosi’ autorizzando, tra ambiguita’ ed incertezze su di un’attivita’ cosi’ delicata, ogni sorta di sospetti.

Una simile interpretazione dell’articolo 133, citato comporta dunque che, a partire dal deposito, sia assicurata (se non la conoscenza, di certo) la conoscibilita’ della sentenza, nel senso che il difensore, con la diligenza dovuta in rebus suis, recandosi periodicamente in cancelleria per informarsi sull’esito di una causa della quale conosce la data di deliberazione, potrebbe, a partire dal momento del deposito, stante l’annotazione nell’elenco cronologico, venirne a conoscenza ed estrarne copia.

Peraltro, la differente filosofia che presiede alla disciplina del termine “lungo” e del termine “breve” per impugnare non puo’ consistere in cio’ che nel primo caso (articolo 327 c.p.c., comma 1) il tempo viene considerato come mera “durata”, avulsa da un qualunque accadimento che colleghi la parte almeno alla possibilita’ di conoscenza dell’atto da impugnare, mentre nel secondo caso (articolo 325 c.p.c., comma 1) viene inteso come “misura” di un intervallo decorrente dalla intervenuta notificazione, posto che il mero trascorrere del tempo non avrebbe di per se’ alcun significato se prescindesse (oltre che dalla conoscenza legale del provvedimento, che si attua con la notifica, anche) dalla possibilita’ di conoscenza: il termine “lungo” infatti, pensato per non lasciare fluttuanti nel tempo situazioni e rapporti assicurando sempre, anche in assenza di notificazione, la possibilita’ del passaggio in giudicato della sentenza, prescinde appunto dalla notificazione (e da qualunque altra forma diretta di comunicazione alla parte) ma non anche dalla possibilita’ che la parte, nel maggior tempo previsto, possa venire comunque a conoscenza della sentenza e del suo deposito usando la dovuta diligenza.

4. Fatta chiarezza su che cosa deve intendersi per deposito della sentenza ed a quali precise attivita’ del giudice e del cancelliere esso deve corrispondere, e’ da ritenersi risolto anche il problema delle conseguenze rivenienti dall’apposizione di una doppia data (di deposito e di pubblicazione) in calce alla sentenza.

Se infatti l’apposizione da parte del cancelliere di un’unica data impone di ritenere fino a querela di falso che la sentenza e’ “venuta ad esistenza” in quella data, con ogni relativo presupposto e conseguenza, l’apposizione di due date comporta la necessita’ di individuare il momento nel quale e’ effettivamente intervenuto il deposito/pubblicazione della sentenza, ma non impone per cio’ solo di ricorrere a presunzioni aprioristiche e generalizzate ovvero ad indiscriminate ed ingiustificate rimessioni in termini.

Infatti, una volta identificate le attivita’ nelle quali si sostanzia il “deposito” della sentenza, per individuare il momento in cui esso e’ avvenuto (quindi il momento dal quale decorre il termine per impugnare) sara’ sufficiente accertare quando le suddette attivita’ sono state poste in essere (in pratica, da quando la sentenza e’ divenuta “conoscibile”).

Primo compito del giudice dell’impugnazione e’ infatti quello di verificare l’ammissibilita’ (percio’ anche la tempestivita’) dell’impugnazione proposta, atteso il dovere di rilevare d’ufficio la formazione di eventuali giudicati. E’ un preliminare accertamento in fatto che compete ad ogni giudice dell’impugnazione, anche a quello di legittimita’, al quale e’ riconosciuta ampia facolta’ di accertamento del fatto processuale, essendo allo scopo anche disciplinati dall’articolo 372 c.p.c., i termini di un’istruttoria documentale, come desumibile dalla prevista possibilita’ di depositare in cassazione documenti riguardanti l’ammissibilita’ del ricorso e del controricorso, anche indipendentemente dal deposito di questi ultimi (salva la necessita’ di notifica alle controparti).

Trattasi di accertamento che va condotto in maniera rigorosa, posto che all’interesse di una parte a veder affermata la tempestivita’ della propria impugnazione corrisponde l’interesse della controparte al rilievo di un eventuale giudicato, soprattutto se si considera che l’apposizione della doppia data e’ sintomatica di una situazione gravemente disfunzionale che, nel migliore dei casi, testimonia disorganizzazione, ignavia ed ignoranza (per aver effettuato le operazioni idonee a rendere conoscibile la sentenza solo dopo l’apposizione della data di deposito, oppure per aver, ad esempio, dopo l’effettuazione di tutte le operazioni suddette in concomitanza col deposito, ritenuto di apporre una ulteriore data di pubblicazione corrispondente, in ipotesi, alla comunicazione dell’avvenuto deposito mediante biglietto di cancelleria prevista dal secondo comma dell’articolo 133 c.p.c.).

D’altro canto la prova del momento a partire dal quale la parte diligente, recandosi in cancelleria, avrebbe potuto venire a conoscenza dell’esistenza della sentenza e del suo deposito e’ certamente agevole, essendo sufficiente richiedere alla cancelleria del giudice a quo un’attestazione della data di iscrizione della sentenza nell’elenco cronologico, e potendo la relativa produzione avvenire sia ad opera dell’impugnante che ha interesse a dimostrare la tempestivita’ della propria impugnazione sia, in ipotesi, ad opera della controparte che abbia interesse al rilievo di un eventuale giudicato.

In difetto di prova documentale -evenienza allo stato verosimile, considerato che, in relazione a sentenza recante una duplice data, negli autorevoli e recenti precedenti citati non si e’ valorizzato l’accertamento dell’ammissibilita’ del ricorso ma si e’ fatto riferimento (da parte di c. cost. n. 3 del 2015) ad una sorta di presunzione aprioristica e generalizzata di rilevanza della seconda data e (da parte di s.u. n. 13794 del 2012) ad una necessita’ logica di prevalenza della prima data, essendo il mero deposito “materiale” della sentenza attestato dal cancelliere gia’ di per se’ idoneo a far decorrere il termine d’impugnazione – sara’ sempre possibile ricorrere ad altri mezzi di prova tra i quali non puo’ annoverarsi la presunzione legale ma puo’ certamente prendersi in considerazione la praesumptio hominis di cui all’articolo 2729 c.c., alla quale il giudice puo’ ricorrere secondo il suo prudente apprezzamento in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti, e puo’ altresi’ in ultima analisi farsi ricorso alla regola di giudizio di cui all’articolo 2697 c.c., spettando all’impugnante provare la tempestivita’ della propria impugnazione.

La ricostruzione che precede non lascia evidentemente spazio alcuno ad una rimessione in termini, tanto meno officiosa ed indiscriminata, e risolve pertanto a priori il contrasto che ha originato la rimessione del presente ricorso a queste Sezioni unite, contrasto che il collegio rimettente ha ravvisato tra Cass. sez. 6-11 nn. 10675 e 11129 del 2015 (secondo le quali l’interpretazione costituzionalmente orientata del giudice delle leggi avrebbe reso vincolante il provvedimento di rimessione in termini che invece nella prospettiva delle sezioni unite restava subordinato al ricorrere di particolari circostanze) e Cass. sez. 2 n. 17612 del 2015 (secondo la quale, invece, l’istituto della rimessione in termini andrebbe ricondotto nell’alveo tradizionale, ricorrendovi solo in caso di verifica della lesione in concreto del diritto di difesa della parte in considerazione del tempo di cui essa ha potuto disporre per impugnare).

Invero, il richiamo alla rimessione in termini nella citata sentenza n. 13794/2012 di queste Sezioni unite ha un significato preciso siccome logicamente collegato all’affermazione secondo la quale ai fini della decorrenza del termine d’impugnazione e’ sufficiente il semplice deposito della sentenza attestato dal cancelliere, senza necessita’ che l’inizio del decorso del termine coincida col momento di effettiva possibilita’ che la parte venga a conoscenza dell’avvenuto deposito, e, alla stregua di tale impostazione, la rimessione costituisce un correttivo per le situazioni-limite nelle quali il giudice dell’impugnazione ravvisa “grave difficolta’” per l’esercizio del diritto di difesa, determinata, come sopra evidenziato, dall’avere il cancelliere non reso conoscibile la data di deposito della sentenza prima della successiva data attestante la “pubblicazione” della medesima, avvenuta a notevole distanza di tempo ed in prossimita’ del termine di decadenza.

Meno immediatamente comprensibile risulta il richiamo alla rimessione in termini operato invece dalla Consulta nella citata sentenza n. 3 del 2015: una volta stabilito che il termine d’impugnazione decorre dal momento in cui la sentenza e’ conoscibile (e per giunta precisato che in ipotesi di doppia data la suddetta conoscibilita’ deve “di regola” ritenersi realizzata a decorrere dalla seconda di esse), non sembra che possano residuare margini di applicabilita’ per alcuna ipotesi di rimessione in termini, onde si e’ indotti a ritenere che il suddetto richiamo ad altro non serva, nell’economia della sentenza della Consulta, che a ricondurre l’argomentare alla decisione delle sezioni unite – che a tale istituto aveva fatto riferimento -, siccome “diritto vivente” oggetto di interpretazione adeguatrice. Nei suddetti limiti il richiamo appare dunque destinato solo a ribadire la necessita’ che fin dal momento di decorrenza del previsto termine d’impugnazione la parte abbia la possibilita’ di venire a conoscenza del deposito della sentenza, onde una rimessione (essendo questo l’istituto al quale le Sezioni unite avevano fatto riferimento) sarebbe ipotizzabile solo se officiosamente ed indiscriminatamente estesa a tutti i casi di sentenze recanti una doppia data cosi’ da divenire strumento idoneo ad evitare che “un errore addebitabile alla sola amministrazione giudiziaria possa incidere sul fondamentale diritto all’impugnazione, riducendone, talvolta anche in misura significativa, i relativi termini”.

Quando tuttavia tale finalita’ (indirettamente perseguita attraverso una impropria e atipica rimessione in termini) sia conseguita attraverso una via piu’ “diretta”, cioe’ facendo decorrere il termine d’impugnazione esattamente dal momento (siccome accertato dal giudice a tale accertamento istituzionalmente preposto) in cui l’impugnanda sentenza e’ divenuta conoscibile (o anche dalla seconda data apposta sulla sentenza, come “di regola” ritenuto dalla Consulta nell’intento di “garantire” cosi’ in ogni caso la pienezza del termine d’impugnazione), non puo’ discendere alcuna decadenza dal fatto che sulla sentenza risultano apposte due date o che comunque dalla data attestante il deposito la sentenza non era ancora oggettivamente conoscibile, e non vi e’ percio’ motivo alcuno di ipotizzare il ricorso ad una rimessione in termini, “tradizionale” o meno.

5. Venendo ora alla decisione del caso sub iudice, occorre rilevare che le ricorrenti non hanno prodotto prova documentale attestante la data di iscrizione della sentenza nell’elenco cronologico, tuttavia nella memoria illustrativa hanno affermato che l’apposizione in calce alla sentenza di due date distanti sette mesi l’una dall’altra e’ dipesa esclusivamente dal ritardato adempimento, da parte della cancelleria, dei “compiti ad essa affidati”, e che esse hanno avuto piena conoscenza della sentenza solo dalla seconda data. Anche il Comune resistente non ha prodotto prova documentale ma nella memoria conclusiva ha affermato che la data di deposito della sentenza “completa di numero di cronologico, numero di sentenza, ecc.” era chiaramente conoscibile da parte delle ricorrenti “alle quali il deposito della sentenza era stato ritualmente comunicato”, e che pertanto le stesse “avevano avuto tutto il tempo necessario per notificare il ricorso”, ma non ha precisato da quale momento e’ effettivamente intervenuta l’iscrizione nell’elenco cronologico e soprattutto, affermando che le parti avevano avuto “tutto il tempo necessario per impugnare” (senza precisare se avevano avuto in ogni caso tutto il “tempo” comunque prescritto), sembra prescindere dalla necessita’ che fin dal momento di decorrenza del termine lungo sia assicurata la conoscibilita’ della sentenza e quindi dalla necessita’ che, sotto questo profilo, il termine previsto risulti “fruibile” per intero. In tali termini le affermazioni delle suddette parti non risultano tra loro incompatibili.

Tanto premesso, il collegio ritiene che nella specie sussistano i presupposti per fare ricorso alla presunzione semplice sulla base sia delle affermazioni delle parti che del lasso di tempo trascorso tra la prima e la seconda data, la cui ampiezza inusitata rende assai inverosimile che in concomitanza col materiale deposito della sentenza e la relativa attestazione siano state compiute le attivita’ di recepimento e riscontro della sentenza, con iscrizione nell’elenco cronologico ed assegnazione del numero identificativo da parte di un ufficio cosi’ oberato o disorganizzato da impiegare poi eventualmente sette mesi solo per dare comunicazione alla parte dell’avvenuto deposito mediante biglietto di cancelleria.

Dall’argomentare che precede deve trarsi il seguente principio di diritto:

“Il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo e conseguente possibilita’ per gli interessati di venirne a conoscenza e richiederne copia autentica: da tale momento la sentenza “esiste” a tutti gli effetti e comincia a decorrere il cosiddetto termine lungo per la sua impugnazione.

Nel caso in cui risulti realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione attraverso l’apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, il giudice tenuto a verificare la tempestivita’ dell’impugnazione proposta deve accertare – attraverso un’istruttoria documentale o, in mancanza, il ricorso, se del caso, alla presunzione semplice ovvero, in ultima analisi, alla regola di giudizio di cui all’articolo 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all’impugnante provare la tempestivita’ della propria impugnazione – il momento di decorrenza del termine d’impugnazione, percio’ il momento in cui la sentenza e’ divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria comportante l’inserimento di essa nell’elenco cronologico delle sentenze e l’attribuzione del relativo numero identificativo”.

In applicazione del sopra esposto principio, il ricorso deve essere dichiarato ammissibile e gli atti devono essere rimessi alla seconda sezione civile per la relativa decisione e la statuizione sulle spese.

P.Q.M.

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