Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 22 marzo 2017, n. 7294

Allorquando il giudice di primo grado abbia deciso su pretese che suppongono la validita’ ed efficacia di un rapporto contrattuale oggetto delle allegazioni introdotte nella controversia, senza che ne’ le parti abbiano discusso ne’ lo stesso giudice abbia prospettato ed esaminato la questione relativa a quella validita’ ed efficacia, si deve ritenere che la proposizione dell’appello sul riconoscimento della pretesa, poiche’ tra i fatti costitutivi della stessa per come riconosciuta da primo giudice vi e’ il contratto, implichi che la questione della sua nullita’ sia soggetta al potere di rilevazione d’ufficio del giudice, integrando un’eccezione c.d. in senso lato, relativa ad un fatto gia’ allegato in primo grado. Cio’, risultava e risulta giustificato, in ognuno dei regimi dell’articolo 345 c.p.c. succedutisi nella storia del codice di rito, dalla previsione, sempre rimasta vigente, del potere di rilevazione d’ufficio delle eccezioni soggette a rilievo officios

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite civili

sentenza 22 marzo 2017, n. 7294

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f.

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez.

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente di Sez.

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez.

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sez.

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 968-2015 proposto da:

(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/12/2013;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/01/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso chiedendo il rigetto del secondo motivo del ricorso ed accoglimento del primo.

FATTI DELLA CAUSA

1. La s.r.l. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione contro (OMISSIS) avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 13 dicembre 2013, che ha parzialmente riformato la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Napoli nel gennaio 2004, con cui era stata parzialmente accolta la domanda, proposta da essa ricorrente nel maggio del 1994 contro il (OMISSIS), riguardo al pagamento del residuo corrispettivo, per l’esecuzione di lavori edili a titolo di appalto, e nel contempo era stata parzialmente accolta per l’importo di Euro 57.016,68 la domanda riconvenzionale, avanzata dal (OMISSIS) a titolo di risarcimento di danni derivanti dall’esistenza di vizi nell’opera oggetto dell’appalto.

2. Con la sentenza qui impugnata, la corte territoriale, investita dell’appello principale proposto dal (OMISSIS) e di quello incidentale della qui ricorrente, ha – in asserito accoglimento parziale dell’appello principale e sul rilievo che nessun corrispettivo poteva riconoscersi alla ricorrente, ai sensi della L. n. 47 del 1985, articolo 6, per essere stata l’opera eseguita in totale difformita’ dalla concessione edilizia rigettato integralmente la domanda di pagamento del corrispettivo dell’appalto, mentre ha – in asserito accoglimento parziale dell’appello incidentale – rigettato la domanda riconvenzionale del (OMISSIS).

3. Al ricorso, che prospetta tre motivi, di cui il secondo relativo, almeno in thesi, alla giurisdizione, non v’e’ stata resistenza dell’intimato.

4. La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c. – error in procedendo (articolo 360 c.p.c., n. 4). Falsa applicazione degli articoli 1418 e 1421 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3)”.

Vi si sostiene, da un lato che con l’appello principale contro la statuizione in suo danno il (OMISSIS) aveva prospettato l’esistenza di un inadempimento contrattuale e, quindi, non aveva inteso muovere alcun rilievo, rispetto all’implicita pronuncia di validita’ del contratto, resa dal Tribunale in primo grado, dall’altro che, nel formulare il suo appello incidentale, la qui ricorrente a sua volta aveva del pari invocato l’accoglimento totale della domanda principale, il che supponeva sempre la validita’ del contratto.

Se ne desume che, poiche’ entrambe le parti avevano prestato assenso alla pronuncia implicita di validita’ del contratto ravvisabile nella decisione di primo grado, il rilievo d’ufficio della nullita’ del contrato di appalto per violazione di norme imperative, effettuato d’ufficio dalla corte territoriale, si doveva ritenere avvenuto in violazione del detto giudicato.

A sostegno della prospettazione viene invocata innanzitutto Cass. n. 6191 del 2004 e, quindi, Cass. n. 9642 del 2006, n. 18540 del 2009 e 23235 del 2013.

1.1. Il motivo non e’ fondato.

In tanto e’ da rilevare che e’ pertinente rispetto alla prospettazione soltanto Cass. n. 6191 del 2004, di cui viene invocata la seguente parte di motivazione. “Nel giudizio di impugnazione l’ambito dei poteri cognitivi del giudice del gravame e’ delimitato dai motivi prospettati dalla parte nell’atto di impugnazione, che devono esser correlati alle statuizioni impugnate. Per il giudizio di appello tale principio (tantum devolutum quantum appellatum) e’ codificato negli articoli 342 e 346 cod. proc. civ. Pertanto la regola della rilevabilita’ d’ufficio della nullita’ del negozio giuridico in ogni stato e grado del giudizio, statuita dall’articolo 1421 cod. civ., va coordinata sia con il carattere dispositivo del gravame, sia con il principio di disponibilita’ della prova, sia con la regola della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, (articoli 99 e 112 cod. proc. civ.). Ne deriva che il giudice del gravame non puo’ di sua iniziativa dichiarare la nullita’ di un atto negoziale per un motivo basato su fatti diversi e nuovi rispetto a quelli dedotti da colui che ha proposto impugnazione e percio’ estraneo alla materia del contendere. Questo limite al potere del giudice di secondo grado di esaminare la validita’ del contratto d’ufficio, a fronte di motivi di appello concernenti l’efficacia di esso, incontra poi un’ulteriore preclusione nell’ipotesi in cui la sentenza di primo grado abbia accolto l’azione di condanna esercitata ponendo a fondamento di essa il contratto medesimo, cosi’ implicitamente affermandone la validita’.”.

Cass. n. 9642 del 2006, invece, concerne un caso di attribuzione ad una decisione di primo grado – che aveva dichiarato risolto il contratto, mentre in appello se ne era sostenuta la nullita’ – del valore preclusivo di tale possibilita’.

Cass. n. 18540 del 2009, a sua volta, ritenne precluso al giudice di appello di rilevare d’ufficio la nullita’, in presenza di decisione di primo grado dichiarativa della risoluzione del contratto, a motivo della formazione del giudicato implicito, per non essersi alcuna delle parti doluta in appello al riguardo.

Cass. n. 14535 del 2012 ebbe ad affermare che: “Il giudicato, formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre il dedotto ed il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e cioe’ non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili sia in via di azione, sia in via di eccezione, le quali, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia” (e, in applicazione del suddetto principio, ritenne l’eccezione di nullita’ di un contratto di associazione in partecipazione preclusa dal giudicato, avendo il riconoscimento dell’esistenza di un valido contratto ex articolo 2549 cod. civ., costituito il presupposto logico-giuridico della decisione).

Cass. n. 23235 del 2013, in fine, ritenne che il rilievo d’ufficio della nullita’ del contratto e’ precluso al giudice quando sulla validita’ del rapporto si sia formato il giudicato, anche implicito, come allorche’ il giudice di primo grado, accogliendo una domanda, abbia dimostrato di ritenere valido il contratto, e le parti, in sede di appello, non abbiano mosso alcuna censura inerente la sua validita’.

Il principio, tuttavia, venne affermato in una situazione in cui non vi era stato appello sull’accoglimento di detta domanda, inerente a rendiconto ex articolo 2552 cod. civ. e si ritenne preclusa la questione sulla validita’ del contratto di associazione in partecipazione, perche’ la mancata impugnazione di quell’accoglimento, supponente la validita’ del contratto comportava che essa fosse stata accertata.

1.2. La giurisprudenza evocata con il motivo, a parte ogni considerazione sulla sua pertinenza e sulla palese discutibilita’ del precedente del 2004, e’ inidonea a giustificare l’accoglimento del motivo, avuto riguardo al principio di diritto espressis verbis ribadito da Cass., Sez. Un., n. 26242 del 2014, nel senso che “Nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullita’ contrattuale, ha sempre facolta’ di procedere ad un siffatto rilievo”.

Nel caso in esame il rilievo officioso da parte del giudice d’appello, poiche’ il decisum di primo grado, sebbene basato sulla mancanza di rilevazione della nullita’, era stato posto in discussione dai reciproci appelli delle parti, ognuno dei quali implicava comunque la necessita’ della cognizione del giudice d’appello riguardo al suo modo di essere, era giustificato dalla sua inerenza alla rilevazione di un’eccezione rilevabile d’ufficio sulla base dei fatti di causa oggetto della decisione di primo grado e, per effetto delle impugnazioni, oggetto della devoluzione a quello stesso giudice. Detti fatti, nella prospettazione dell’appellante principale, giustificavano il rigetto della domanda principale, originante dal contratto e relativa al pagamento del corrispettivo, senza mettere in discussione la sua validita’, cosi’ come non era stata messa in discussione nel giudizi di primo grado, ma, poiche’ il loro accertamento implicava sempre la valutazione del modo di essere del contratto, la devoluzione di essa al giudice d’appello e, quindi, la possibilita’ del medesimo, all’esito di essa, di rilevare la nullita’, risultava giustificata proprio dall’appello stesso.

Analogamente, poiche’ l’appello incidentale concernente l’accoglimento della riconvenzionale, a sua volta implicava necessariamente la valutazione del modo di essere del contratto, in relazione al quale doveva essere considerata l’esistenza dei vizi invocati, il giudice d’appello, nel procedervi, ha correttamente esercitato il potere officioso di rilevazione della nullita’.

Mette conto, in sostanza, di osservare che, allorquando il giudice di primo grado abbia deciso su pretese che suppongono la validita’ ed efficacia di un rapporto contrattuale oggetto delle allegazioni introdotte nella controversia, senza che ne’ le parti abbiano discusso ne’ lo stesso giudice abbia prospettato ed esaminato la questione relativa a quella validita’ ed efficacia, si deve ritenere che la proposizione dell’appello sul riconoscimento della pretesa, poiche’ tra i fatti costitutivi della stessa per come riconosciuta da primo giudice vi e’ il contratto, implichi che la questione della sua nullita’ sia soggetta al potere di rilevazione d’ufficio del giudice, integrando un’eccezione c.d. in senso lato, relativa ad un fatto gia’ allegato in primo grado. Cio’, risultava e risulta giustificato, in ognuno dei regimi dell’articolo 345 c.p.c. succedutisi nella storia del codice di rito, dalla previsione, sempre rimasta vigente, del potere di rilevazione d’ufficio delle eccezioni soggette a rilievo officioso.

Il motivo e’, pertanto, rigettato.

2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione dell’articolo 7 del codice amministrativo. Difetto di giurisdizione (n. 1 articolo 360 c.p.c.). Falsa applicazione della L. n. 47 del 1985 nonche’ dell’articolo 1418 c.c. (articolo 36 c.p.c., n. 3)”.

2.1. La censura relativa alla giurisdizione concerne l’affermazione fatta dalla corte territoriale, riguardo all’assoluta irregolarita’ della concessione edilizia n. (OMISSIS), in forza della quale era stato assentito il progetto di sopraelevazione dell’immobile gia’ abusivo, per la cui esecuzione era stato stipulato il contratto di appalto. L’affermazione e’ stata fatta dalla sentenza impugnata quale passaggio argomentativo per giustificare la conclusione circa la nullita’ del contratto di appalto, in funzione dell’accoglimento dell’appello principale del (OMISSIS).

La censura si concreta nella sola affermazione che “in concreto la Corte di Appello ha sindacato, di ufficio, l’esercizio del potere discrezionale del Comune nell’emissione di un atto amministrativo (conc. Ed. n. (OMISSIS)) deducendone l’illegittimita’ in evidente difetto di giurisdizione”.

L’assoluta genericita’ della censura ne giustificherebbe la valutazione di inammissibilita’ per di difetto del requisito di specificita’, che riguarda anche il motivo di ricorso per cassazione (ex multis, Cass. n. 4741 del 2005).

2.1.2. Peraltro, il motivo appare manifestamente infondato, in quanto la scarna deduzione su cui si fonda non pone un problema di giurisdizione.

Infatti, e’ principio consolidato quello secondo cui: “Quando in una controversia tra privati, attinente a diritti soggettivi, il giudice debba vagliare situazioni presentanti aspetti di pubblico interesse o possa trovarsi a scrutinare la legittimita’ di provvedimenti amministrativi, le questioni che insorgono circa i confini dei poteri al riguardo del giudice ordinario attengono, data l’estraneita’ della pubblica amministrazione al giudizio, al merito e non alla giurisdizione, investendo l’individuazione dei limiti interni posti dall’ordinamento alle attribuzioni del giudice ordinario (divieto di annullare, modificare o revocare il provvedimento amministrativo, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, articolo 4, all. E). (ex multis, Cass. sez. un. n. 6887 del 2003; anteriormente Cass. sez. un. n. 99 del 2000).

Nella specie la corte territoriale, nell’esprimere la valutazione sulla citata concessione, poiche’ lo ha fatto solo per individuare se la stipulazione del contratto di appalto vertente fra i litiganti, soggetti privati, era valida oppure no, ha compiuto una valutazione che non si e’ in alcun modo risolta in una invasione della giurisdizione amministrativa.

Ne’, sebbene il problema attenga al merito ed al di la’ che non vi sarebbe stata censura in proposito, la corte territoriale – lo si osserva per completezza – ha esercitato poteri in violazione dell’articolo 4 della legge abolitiva, essendosi limitata a desumere dalla valutazione della invalidita’ della concessione solo conseguenze sul negozio fra i privati e non sull’efficacia del provvedimento amministrativo.

2.2. La censura di violazione della L. n. 47 del 1985 e, quindi, dell’articolo 1418 c.c. e’ sostenuta adducendo che essa non conterrebbe “alcun divieto di eseguire opere in sopraelevazione di un immobile per il quale e’ in corso di rilascio la concessione in sanatoria” e, quindi, argomentando a conferma di tale assunto dalla previsione dell’articolo 35 della legge, la’ dove consentiva di eseguire il completamento dell’opera oggetto di richiesta di sanatoria decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda di sanatoria e, comunque, dopo il versamento della prima rata di oblazione: tanto farebbe ragionevolmente ritenere che, nel rispetto della normativa locale (riguardo alla quale la corte territoriale non aveva dubbi sul fatto che ostacolassero il rilascio della concessione), il comune avrebbe potuto autorizzare la sopraelevazione dell’opera, “se per questa e’ da prefigurarsi quasi certamente il rilascio della concessione in sanatoria”.

Sulla base di tali deduzioni si sostiene che l’affermazione della sentenza impugnata che “l’immobile non puo’ che ritenersi urbanisticamente illegittimo se l’iter non si conclude con esito positivo con il rilascio del provvedimento finale”, si sarebbe basata sul rilievo di un vizio urbanistico inesistente.

2.2.1. La censura non puo’ essere accolta.

In tanto, essa si fonda su un assunto, quello che l’esecuzione delle opere oggetto dell’appalto fosse avvenuta “in corso di rilascio della concessione in sanatoria”, poi effettivamente rilasciata il 10 aprile 2003, per come dice la sentenza.

Senonche’, riguardo a tale assunto non fornice alcuna indicazione di dove e come sarebbe emerso nel corso del giudizio di merito, con la conseguenza che appare inutile verificare se la prospettazione svolta nel motivo sia corretta in iure.

Peraltro, poiche’ la sentenza impugnata – evocando, con il riportane il principio di diritto, espressamente Cass. n. 3913 del 2009 (secondo cui: “L’illiceita’ del contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia sussiste solo qualora l’appalto sia eseguito in carenza di concessione, e non anche nel caso in cui la concessione sia rilasciata dopo la data di stipula ma, comunque, prima della realizzazione dell’opera, non essendo conforme alla “mens legis” la sanzione di nullita’ comminata ad un contratto il cui adempimento, in ossequio al precetto normativo, sia stato intenzionalmente posposto al previo ottenimento della concessione o autorizzazione richiesta, e potendosi tale contratto considerare sospensivamente condizionato, in forza di presupposizione, al previo ottenimento dell’atto amministrativo mancante al momento della stipulazione”) ha poi soggiunto che “allorquando nel 2003 e’ intervenuta la sanatoria per l’originaria edificazione dell’immobile (sul quale erano stati poi autorizzati i successivi lavori di cui alla concessione n. (OMISSIS)) l’appalto aveva ormai avuto integrale esecuzione, onde permane l’illiceita’ del contratto di appalto”.

La corte, dunque, non ha ignorato il valore della sopravvenienza della concessione in sanatoria, ma – senza che le sue affermazioni siano state sottoposte a critica dalla ricorrente – ha affermato che un valore di elisione della illiceita’ urbanistica della concessione, i cui lavori vennero eseguiti con l’appalto, non si poteva configurare perche’ la sopravvenienza era intervenuta quando l’esecuzione dell’appalto era ormai conclusa e da tanto ne ha desunto l’ininfluenza.

La censura svolta dalla ricorrente risulta, dunque, anche priva di rilievo perche’ inidonea a scalfire tale motivazione, che andava criticata.

3. Con il terzo motivo si prospetta “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggeto di discussone tra le parti (articolo 360 c.p.c., n. 5). Violazione dell’articolo 1419 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3)”.

Il preteso fatto decisivo, di cui si assume omesso l’esame viene identificato, evocando due brevi periodi dell’atto di appello del (OMISSIS), nella circostanza che con quest’ultimo il medesimo imputando “alla societa’ appaltatrice la modifica degli interni e la destinazione ad abitazione del sottotetto, riconoscendo la legittimita’ della restante opera, chiedeva l’eliminazione di quanto risultava in contrasto con la concessione edilizia”.

La decisivita’ di tale “fatto” viene prospettata nel senso che, se la corte territoriale l’avesse considerato avrebbe dovuto “concludere che l’originario contratto e le opere eseguite in virtu’ dello stesso dovevano considerarsi intangibili; nel senso che non poteva configurasi alcuna nullita’ del contratto de quo, per cui l’appaltatrice aveva diritto al pagamento delle opere legittimamente eseguite”. Con la conseguenza che, per i lavori riconosciuti eseguiti correttamente nel verbale del 4 agosto 1993 dal (OMISSIS), il corrispettivo si sarebbe dovuto ritenere dovuto e semmai, avrebbe potuto rilevarsi una nullita’ ai sensi dell’articolo 1419 c.c. solo riguardo ai patti successivi, per tali dovendosi intendere solo “le variazioni interne nel primo piano e nel sottotetto”, mentre sarebbero rimaste “fuori le opere eseguite per il completamento del paino terra, consentite dalla L. n. 47 del 1985, articolo 35, nonche’ quella del piazzale, indicata nel verbale del 4.9.93, per i quali non era prevista la concessione edilizia”.

Dopo tali asserti, si dice testualmente – ed in modo anodino – che “cosi’ delineati i fatti decisivi, si osserva che circa l’applicazione della sanzione di nullita’ per tali patti si e’ usato il condizionale”. E, quindi, si riporta il contenuto di una non meglio identificata memoria difensiva per quattro pagine. In essa risultano evocate una perizia di parte del (OMISSIS) ed alcune convenzioni. Dopo la riproduzione della memoria si dice che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto di rilievi della memoria in relazione all’articolo 1419 c.c., che si dicono “richiamati e ribaditi anche per evidenziare che, alla luce della normativa suindicata, e’ da escludere quella “totale difformita’” affermata dalla sentenza impugnata.”.

3.1. Il motivo presenta nella prima parte una prospettazione, con cui si vorrebbe desumere che la corte territoriale non avrebbe potuto dichiarare la nullita’ del contratto di appalto nella sua interezza, in ragione del tenore dell’appello svolto dal (OMISSIS).

Senonche’, l’assunto e’ del tutto incompatibile con il potere di rilevazione della nullita’ del contratto per violazione di norme imperative che ha esercitato quella corte, per un verso – con una prima motivazione – in ragione della invalidita’ della concessione n. (OMISSIS) e della irrilevanza della sanatoria del 10 aprile 2003 e, per altro verso in ragione del rilievo, aggiuntivo e, quindi, integrante una motivazione alternativa, con cui ha osservato (a partire dal 19 rigo della pagina 4) che la difformita’ di quanto in concreto era stato realizzato “rispetto alle licenze e concessioni rilasciate” ridondava nella fattispecie della totale difformita’ e per questo determinava la nullita’ dell’appalto, che ha affermato evocando Cass. n. 2187 del 2011.

Non e’ dato invero comprendere come il potere di rilevazione della nullita’ dell’intero contratto di appalto, affidato ex officio al giudice, potesse risentire del tenore dell’appello e, quindi, della prospettazione del (OMISSIS).

L’assunto si risolve in una surrettizia riproposizione della tesi svolta nel primo motivo, che e’ gia’ stata disattesa.

Ne segue l’assoluta irrilevanza di quanto poi argomentato, non senza che debba rilevarsi che: a) si evoca direttamene il verbale del 4 agosto 1993 ed altri atti nominati nella memoria riprodotta, senza fornirne la localizzazione in funzione dell’indicazione specifica di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6; b) la stessa memoria non solo non viene localizzata, ma, a non ne viene identificata la collocazione temporale nello svolgimento processuale; c) non si spiega che cosa in essa sarebbe stato funzionale alla limitazione del potere di dichiarazione della nullita’, sicche’ l’assunto risulta anche del tutto privo di attivita’ dimostrativa.

4. Il ricorso e’, conclusivamente, rigettato.

5. Non e’ luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato articolo 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato articolo 13.

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