Corte di Cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 17 marzo 2017, n. 6967

Nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati, la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare definite dalla legge mediante una clausola generale (abusi o mancanze nell’esercizio della professione o comunque fatti non conformi alla dignita’ e al decoro professionale) e’ rimessa all’Ordine professionale, ed il controllo di legittimita’ sull’applicazione di tali norme non consente alla Corte di cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nell’enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, che attiene non alla congruita’ della motivazione, ma all’individuazione del precetto e rileva, quindi, ex articolo 360 c.p.c., n. 3

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite civili

ordinanza 17 marzo 2017, n. 6967

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f.

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente di Sezione

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione

Dott. DI IASILLO Adriano – Presidente di Sezione

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente di Sezione

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al R.G. 21828/2016 proposto da:

(OMISSIS), rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI LECCO, in persona del legale rappresentante pro tempore;

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

per la cassazione della sentenza del Consiglio Nazionale Forense resa nel giudizio n. 65/2014, depositata il 25 luglio 2016;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 gennaio 2017 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

lette le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, il quale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilita’ dell’istanza di sospensione e, in subordine, il rigetto;

letta la memoria depositata dal ricorrente in data 18 gennaio 2017.

FATTI DI CAUSA

1. – Nei confronti dell’Avvocato (OMISSIS) il COA di Lecco ha applicato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per tre mesi in relazione alla sua accertata responsabilita’ in ordine all’illecito di cui agli articoli 5, 6 e 14 del codice deontologico per avere, dopo la conclusione della assunzione di un testimone in un procedimento civile dal medesimo verbalizzata, integrato il verbale con una frase non dettata dal giudice.

2. – Il ricorso proposto dal (OMISSIS) al Consiglio nazionale forense e’ stato rigettato.

3. La cassazione della sentenza del CNF e’ chiesta dall’Avvocato (OMISSIS) sulla base di quattro motivi.

3.1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla mancata audizione a discolpa del sig. (OMISSIS) e del sig. (OMISSIS), e in ogni caso violazione dell’articolo 14 del codice deontologico forense e degli articoli 3, 4, 24 e 111 Cost., sul giusto processo ed eccesso di potere, sostenendo che il CNF avrebbe errato nel non ammettere le prove testimoniali che egli aveva richiesto, del tutto pertinenti rispetto all’oggetto dell’accertamento e all’ammissione delle quali egli aveva diritto, anche perche’ il sig. (OMISSIS) aveva rilasciato una dichiarazione scritta, prodotta in giudizio, della quale il CNF non ha minimamente tenuto conto, in contrasto con quanto stabilito dall’articolo 23 del regolamento disciplinare n. 2/14 adottato dallo stesso CNF, in vigore dal 1 gennaio 2015, che espressamente prevede l’utilizzabilita’, come prova, dei documenti provenienti dall’incolpato. L’articolo 22 del medesimo regolamento, inoltre, prevede che debbano essere ascoltati i testimoni indicati dall’incolpato.

3.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 247 del 2012, articolo 65, il quale prevede l’applicazione retroattiva delle norme del codice deontologico piu’ favorevoli di quelle applicabili ratione temporis. In particolare, il ricorrente, premesso che il COA aveva ritenuto che anche ove si fosse considerata come unica violazione quella dell’articolo 6 del codice deontologico, comunque la sanzione applicabile sarebbe stata quella della sospensione dall’esercizio della professione, sostiene che il CNF avrebbe dovuto verificare se la sussunzione della condotta nell’ambito della violazione dell’articolo 6 potesse consentire di contenere la sanzione, anche alla luce del criterio per cui, ai sensi della citata L. n. 247 del 2012, articolo 53, si deve applicare la censura quando la gravita’ dell’infrazione, il grado di responsabilita’, i precedenti dell’incolpato e il suo comportamento successivo al fatto inducano a ritenere che egli non incorrera’ in un’altra infrazione.

3.3. – Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’articolo 21, comma 3, in relazione all’articolo 22, del nuovo codice deontologico forense in relazione alla L. n. 247 del 2012, articolo 53, dolendosi del fatto che il CNF non abbia motivato in ordine alle ragioni per le quali non ha applicato la censura, tenendo conto della sua storia professionale, della non gravita’ del fatto e della insussistenza di un pregiudizio accertato.

3.4. – Con il quarto motivo – rubricato “motivazione totalmente omessa in ordine alla possibilita’ di ricondurre il comportamento dell’avvocato alla violazione colposa dell’articolo 6 C.D. con insussistenza degli articoli 5 e 13 C.D. ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, e comunque ex articolo 360, n. 4, in relazione all’articolo 132 c.p.c.” – il ricorrente si duole del fatto che, pur essendo del tutto rilevante alla luce della motivazione della decisione del COA, il CNF non abbia in alcun modo considerato il motivo di impugnazione con il quale egli aveva richiesto che venisse considerata la sola violazione dell’articolo 6 C.D., con conseguente applicazione di una sanzione inferiore.

4. – Con il medesimo ricorso il ricorrente ha sollecitato la sospensione della esecutorieta’ della sentenza impugnata, ritenendo sussistenti sia il fumus boni iuris che il periculum in mora.

5. – La trattazione della istanza di sospensione e’ stata fissata per l’adunanza camerale del 24 gennaio 2017, ai sensi dell’articolo 380 ter c.p.c., come sostituito dal Decreto Legge n. 97 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 168 del 2016, e quindi in camera di consiglio non partecipata, in vista della quale il ricorrente ha tempestivamente depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Deve essere preliminarmente affermata l’ammissibilita’ della richiesta di sospensiva.

Il Collegio ritiene infatti che non possa essere condiviso il principio affermato da Cass., S.U., n. 4112 del 2007 e ribadito recentemente da Cass., S.U., n. 3734 del 2016, a tenore della quale “in tema di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza d’appello resa dai giudici speciali, impugnata con ricorso alle sezioni Unite della Corte di Cassazione, deve ritenersi applicabile, salvo che sia diversamente disposto da specifiche disposizioni, la disciplina di cui all’articolo 373 c.p.c., poiche’ nulla prevede al riguardo l’articolo 111 Cost., sul ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, con la conseguenza che e inammissibile un’istanza “cautelare” contenuta nel ricorso per cassazione”.

Invero, la L. n. 247 del 2012, articolo 36, comma 6, stabilisce che il ricorso per cassazione non ha effetto sospensivo delle decisioni del Consiglio nazionale forense; tuttavia, “l’esecuzione puo’ essere sospesa dalle sezioni unite della Corte di cassazione in camera di consiglio su istanza del ricorrente”.

E’ sufficiente, dunque, tale riferimento normativo (peraltro, preceduto dalla corrispondente previsione di cui al R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 56, comma 4) per escludere che la richiesta di sospensione della esecutorieta’ delle decisioni adottata dal CNF debba essere richiesta allo stesso CNF; mentre in alcun modo puo’ desumersi dalla citata disposizione che la istanza di sospensione debba essere proposta in via autonoma rispetto al ricorso e non possa invece essere in esso contenuta, sempre che, ovviamente, la detta istanza abbia una sua autonoma motivazione e sia riconoscibile, come nel caso di specie, quale istanza cautelare.

2. – La richiesta cautelare, pur se ammissibile, non puo’ essere accolta difettando, nella specie, il requisito del fumus boni iuris.

2.1. – Il primo e il quarto motivo denunciano nella sostanza un vizio di motivazione. Premesso che la sentenza impugnata e’ stata depositata dopo l’11 settembre 2012 e che, quindi, l’articolo 360 c.p.c., n. 5, si applica nella formulazione scaturita dalla novella introdotta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, deve rilevarsi, come esattamente evidenziato dal P.M. nelle sue conclusioni scritte, che in forza dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, e’ oggi deducibile per cassazione esclusivamente l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”; disposizione, questa, che deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimita’. Sicche’ l’anomalia motivazione denunciabile in sede di legittimita’ e’ solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in se’, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (sul punto, da ultimo, Sez. Un., 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2015, n. 21948); fermo restando, da un lato, che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053); dall’altro, che “in tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, il Consiglio dell’ordine ha il potere di valutare la convenienza a procedere all’esame di tutti o di parte dei testimoni ammessi, e, quindi, di revocare l’ordinanza ammissiva e di dichiarare chiusa la prova, quando ritenga superflua la loro ulteriore assunzione perche’ in possesso, attraverso la valutazione delle risultanze acquisite, di elementi sufficienti a determinare l’accertamento completo dei fatti da giudicare” (Cass., Sez. Un., n. 21948 del 2015, cit.).

Orbene, i motivi in esame all’evidenza non denunciano un vizio riconducibile alla nuova formulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, atteso che la sentenza impugnata ha preso in considerazione l’istanza istruttoria della cui mancata ammissione si duole il ricorrente, motivatamente rigettandola (v. pag. 6).

2.2. – Il secondo e il terzo motivo solo apparentemente denunciano una violazione di legge, atteso che, nella sostanza, si risolvono in una censura dell’apprezzamento della gravita’ del fatto contestato e della condotta addebitata al ricorrente.

Quest’ultimo si duole infatti, ma infondatamente, che il CNF abbia ritenuto giustificata l’applicazione della sanzione della sospensione dall’esercizio della professione. Invero, il codice deontologico forense all’articolo 22, da ritenersi applicabile nel caso di specie per l’efficacia retroattiva delle nuove disposizioni, se piu’ favorevoli, prevede che la sospensione dall’esercizio della professione si applica “per infrazioni consistenti in comportamenti e in responsabilita’ gravi o quando non sussistono le condizioni per irrogare la sola sanzione della censura”.

Nella specie, la sospensione ben poteva essere applicata dagli organismi disciplinari, perche’, come si desume dalla sentenza impugnata, la reiezione del motivo di ricorso da parte del CNF e’ stata accompagnata da una specifica valutazione in ordine alla gravita’ del fatto e alla adeguatezza della sanzione della sospensione alla gravita’ stessa.

Del resto, “nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati, la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare definite dalla legge mediante una clausola generale (abusi o mancanze nell’esercizio della professione o comunque fatti non conformi alla dignita’ e al decoro professionale) e’ rimessa all’Ordine professionale, ed il controllo di legittimita’ sull’applicazione di tali norme non consente alla Corte di cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nell’enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, che attiene non alla congruita’ della motivazione, ma all’individuazione del precetto e rileva, quindi, ex articolo 360 c.p.c., n. 3” (Cass. n. 19075 del 2012).

3. – In conclusione, non apparendo sussistente il fumus boni iuris in ordine alla prevedibile fondatezza delle censure proposte, l’istanza di sospensione della esecutorieta’ della sentenza impugnata deve essere disattesa.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta l’istanza di sospensione della esecuzione della sentenza impugnata

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *