Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza del 30 ottobre 2012, n. 42177

Ragioni della decisione

1. H.G. e M.L. erano imputati rispettivamente di abuso d’ufficio continuato e peculato continuato, sino al luglio 2006. Secondo le contestazioni, il primo, nella qualità di comandante della polizia provinciale di (…), aveva omesso di adottare i dovuti provvedimenti per evitare che il M. , ed altri due dipendenti della polizia provinciale, utilizzassero le autovetture di servizio per gli spostamenti da e verso le proprie abitazioni; il secondo (dal 19 febbraio 2004 capo del nucleo di polizia stradale della polizia provinciale) utilizzava i due veicoli dell’Amministrazione, di cui aveva la disponibilità per esigenze di servizio, per scopi privati, in particolare per i tragitti personali verso e da l’abitazione privata (sita nel comune di … nella provincia di…).
Il GUP di Brescia li condannava entrambi alle pene di giustizia, con sentenza del 30.10.2009.
La Corte d’appello di Brescia con sentenza del 16.12.2010-25.1.2011 assolveva l’H. perché il fatto non costituisce reato, giudicando mancante la prova che questo imputato avesse omesso di agire con lo specifico intento di favorire il M. , piuttosto che con la volontà di non voler affrontare la situazione per ignavia. Confermava l’affermazione di responsabilità del M. , tuttavia riqualificando il fatto ai sensi dell’art. 323 c.p. (in ragione degli insegnamenti di Sez. 6, sent 25537/2009 e 14978/2009 in tema di uso di autovetture per scopi estranei alle ragioni di servizio) rideterminando conseguentemente la pena principale e le statuizioni accessorie.
La Corte distrettuale giudicava che la condotta dell’imputato doveva considerarsi penalmente irrilevante fino alla delibera 398 del 13 settembre 2005, con la quale la Giunta provinciale aveva abrogato la norma del precedente regolamento del 1997 (esso pure adottato con specifica delibera della medesima Giunta) che consentiva a guardacaccia e personale stradale il ricovero del veicolo di servizio presso l’abitazione personale; sussisteva infatti il dubbio che effettivamente la disposizione precedente potesse applicarsi estensivamente a tutto il personale della polizia provinciale. Per il periodo successivo, invece, l’imputato era consapevole della nuova delibera e della ragione della stessa, ed avrebbe dovuto darvi attuazione senza protrarre la propria condotta nell’attesa di un eventuale regolamento attuativo e della risoluzione di controversie sindacali pendenti sul punto. Tant’è che effettivamente aveva cessato quella condotta, utilizzando i mezzi di trasporto pubblici, dopo che il Segretario generale della Provincia aveva formalmente richiesto, in due missive del 5 e 6 luglio, la seconda diretta specificamente all’…, poi sottoposto a procedura disciplinare, l’adempimento della nuova delibera, e questi aveva adottato un provvedimento formale. Quanto al dolo, la Corte d’appello evidenziava che proprio il fatto che M. corrispondesse di tasca propria i pedaggi autostradali dei suoi tragitti da e verso casa, lungi dall’attestarne la buona fede ne comprovava la consapevolezza dell’uso improprio in atto del veicolo di servizio.
2. Due i ricorsi proposti nell’interesse del M.
2.1 Il ricorso presentato dall’avv. Mo. enuncia due motivi di violazione di legge e vizi della motivazione.
Con il primo, si deduce che il ricorrente avrebbe cessato il ricovero del mezzo di servizio presso la propria abitazione nel luglio del 2006, appena avuta per la prima volta la formale disposizione relativa al rimessaggio dei veicoli presso gli uffici, da parte del comandante H. Né la delibera sarebbe stata immediatamente efficace, essendo sorta controversia sindacale su altri suoi punti relativi alle modalità del rilievo delle presenze, ancora pendente nel luglio del 2006, Contraddittoria sarebbe pertanto la decisione della Corte distrettuale, che lascia immune il comandante che non da attuazione alla nuova disciplina e sanziona il sottoposto da cui pretenderebbe l’autonoma efficace applicazione.
Con il secondo si censura motivazione apparente per la mancata concessione del beneficio della non menzione.
2.2 Il ricorso presentato dall’avv. Moc. enuncia due motivi, il secondo omogeneo al secondo motivo del ricorso del codifensore.
Il primo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 323 c.p. e motivazione illogica e mancante, sui punti dell’elemento soggettivo e dell’asserita violazione del regolamento.
Quanto al primo punto, la Corte avrebbe erroneamente interpretato il dato probatorio costituito dalla denuncia del furto dell’autoradio sulla macchina di servizio, subito presso la propria abitazione: l’inequivoca e chiara comunicazione del luogo dove il furto era avvenuto avrebbe dovuto essere ritenuta sintomatica della buona fede dell’imputato; la situazione di incertezza quanto al tema dei ricoveri delle autovetture di servizio “ben poteva aver indotto” l’imputato a non dare esecuzione alla delibera, in particolare l’omissione del comandante H. e l’assenza di rilievi del servizio Economato rilevando anche ai sensi dell’art. 47 c.p.
Quanto al secondo punto, la delibera della Giunta provinciale non costituirebbe poi “regolamento” utile all’applicazione dell’art. 323 c.p., la sua violazione rilevando al più solo a livello disciplinare.
2.2.1 L’avv. Moc. ha depositato memoria a sostegno della tesi di insussistenza dell’elemento oggettivo del reato, in relazione al principio di dipendenza gerarchica, in applicazione del quale solo la circolare del comandante H. in data 11.7.2006 avrebbe reso esecutiva la delibera della Giunta, ed alla negata natura regolamentare di tale delibera.
3. Il ricorso è fondato, nei termini che seguono.
3.1 Va preliminarmente rilevata l’infondatezza della deduzione (in ipotesi assorbente) sulla natura non regolamentare della delibera che si assume violata. La Giunta provinciale ha infatti esercitato il tipico e proprio potere di adozione di regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, attribuitole dal terzo comma dell’art. 48 del d. lgs. 267/2000, la cui violazione integra il presupposto richiesto dall’art. 323 c.p. (Sez.6, sent 26175/2009; Sez.6, sent. 5540/2000), tra l’altro modificando precedente statuizione di analoga esplicita definizione regolamentare.
3.2 Risulta dalle sentenze e dai ricorsi che la delibera 398/2005 aveva disciplinato diversamente, oltre al rimessaggio dei veicoli di servizio, anche altre materie tra cui le modalità di documentazione della presenza in ufficio e che su entrambe le questioni vi era stata una reazione sindacale che aveva condotto a “trattative” in corso (un tavolo tecnico, p. 5 ric. Avv. M. in relazione ai punti 6.2 e 7.5 della sentenza d’appello). È altresì pacifico che il 6 luglio 2006 (quindi dopo circa dieci mesi dalla data di adozione della delibera) il segretario generale della Provincia aveva intimato all’… di far applicare la deliberazione, cosa avvenuta con espressa disposizione cui il personale, e, per quanto qui rileva, il M. , si era subito adeguato.
La Corte distrettuale ha escluso la responsabilità del comandante H. giudicando carente la prova che la sua permanente omissione nel dare attuazione alla deliberazione di Giunta, relativa alla necessità che gli automezzi a disposizione del personale per esigenze di servizio fossero ricoverati presso le sedi istituzionali e non più presso le rispettive dimore (con ciò non legittimando più l’uso del veicolo dell’amministrazione per i tragitti dall’abitazione privata – luogo di ricovero – alla sede di lavoro), fosse determinata dalla specifica volontà di favorire i dipendenti piuttosto che dalla mera ignavia, in un contesto nel quale la delibera in questione aveva introdotto, come visto, anche altre disposizioni di apparente sfavore per i dipendenti, rispetto alle “libertà” precedenti. Quanto a M. , invece, ha giudicato assente ogni giustificazione per l’omessa immediata ed autonoma adesione alla delibera (tenuto anche conto della qualifica di comandante della sezione di polizia stradale, e quindi del ruolo “apicale” rivestito, che, va fin d’ora osservato, tuttavia il capo di imputazione invece non pare valorizzare, indicando il M. come mero sottoposto, capo A, e dipendente della polizia provinciale e pubblico ufficiale, capo B).
Osserva questa Corte suprema come la derubricazione del reato contestato a M. abbia condotto ad una ricostruzione della vicenda in termini di sostanziale concorso di persone nel medesimo reato. Infatti: c’è un abuso d’ufficio per l’uso improprio di veicoli di servizio, non accompagnato da alcuna volontà di appropriazione anche solo temporanea; l’uso è improprio perché si è in presenza di una delibera regolamentare che lo vieta e tale delibera è immediatamente efficace; i due soggetti sono coinvolti nella vicenda, l’uno perché ha il potere dovere di far eseguire la delibera e, recita il capo di imputazione, è nel frattempo “a conoscenza dell’illecito utilizzo da parte dei suoi sottoposti”, l’altro perché è uno dei sottoposti che concretizza quell’uso illecito.
Per come risulta da sentenze e ricorsi la condotta del primo è poi, in concreto, la ragione del protrarsi degli usi illeciti, nel senso che appena il primo agisce secondo il proprio ruolo dirigente e da disposizioni perché la tipologia di utilizzazione impropria di cui si discute cessi, questa effettivamente viene meno (ancorché il secondo, osservava la Corte bresciana, avrebbe anche autonomamente potuto far cessare l’illecito, senza attendere provvedimenti formali).
In tale peculiare contesto la Corte d’appello, che muoveva dal presupposto dell’immediata esecutività della delibera, ha scisso le due posizioni sostanzialmente in relazione al dolo, individuato nel voler specificamente procurare vantaggio patrimoniale. Lo ha ritenuto non provato con certezza per l’H. , valorizzando l’ipotesi dell’attribuzione dell’inerzia all’intento di “non avere seccature” con i dipendenti; lo ha ritenuto provato per il M. , in relazione ai benefici economici immediati che lo stesso continuava ad avere (disponibilità di autovettura, benzina, in definitiva niente costi propri per i tragitti casa/lavoro, il personale pagamento, senza richiesta di rimborso, dei pedaggi autostradali dovendo essere attribuito alla consapevolezza dell’irregolarità del contesto).
Ma tale differenziazione appare al Collegio intrinsecamente e non superabilmente contraddittoria. La Corte d’appello, infatti, a p.15 assolvendo H. afferma che lo stesso ha accettato il rischio che la condotta del M. non fosse lecita. In realtà aveva prima motivato la ragione dell’illiceità della condotta di M. con riferimenti a dati oggettivi (la delibera, il suo contenuto innovativo su questione nota, la sua esecutività immediata e l’assenza di giustificazione per non adeguarvicisi immediatamente) che erano tutti innanzitutto evidenti all’H. il quale, secondo l’imputazione non contraddetta sul punto dai Giudici del merito, era consapevole del protrarsi dell’uso e delle conseguenze che questo comportava (in particolare i vantaggi economici proprio connessi ai costi dei trasferimenti casa/ufficio). Sul piano logico, pertanto, si impone la conclusione che H. fosse nella stessa condizione oggettiva e soggettiva dei “sottoposti”, la sua condotta “di lasciare che le cose corressero” risolvendosi nel consapevole contributo al protrarsi di usi impropri che recavano benefici ai dipendenti.
Ed allora, se H. viene assolto sul presupposto della compatibilità (o meglio della non certa escludibilità) di una ragione dell’inottemperanza diversa dallo specifico intento di procurare un vantaggio indebito (in particolare perché la peculiarità della situazione, per le ragioni che hanno condotto la Corte distrettuale all’assoluzione implicita per i comportamenti relativi al periodo precedente la delibera e per le discussioni in corso, potevano spiegare alternativamente l’inerzia), alla medesima conclusione deve pervenirsi per il sottoposto, atteso che la ragione della differenza (il certo vantaggio economico personale) è ben nota anche dall’H. e si concretizza ulteriormente con la sua implicita ma certa e determinante condotta omissiva, sicché anche per il sottoposto può concorrere invece con l’alternativa spiegazione ritenuta per il comandante. Né può assumere rilievo logicamente idoneo a giustificare la differente soluzione il ritenuto ruolo apicale del M. ritenuto in sentenza ma non nell’imputazione e non sorretto da approfondimento probatorio e di motivazione, posto che la Corte distrettuale non riferisce se al M. fosse attribuito il ruolo di dirigente, cioè dei soggetti cui, per esempio, direttamente era stato inviata la sollecitazione del giorno 5 luglio, precedente quella, inviata al solo H. , del giorno 6 (ed anzi pare il contrario, stante la successione degli eventi come descritta: è H. che delibera per tutti i sottoposti della polizia provinciale nei diversi servizi, anche della polizia stradale) o la sua mancata attivazione per chiarimenti (che, certo, è rimprovero che non potrebbe non essere indirizzato anche, se non prima di tutti, al comandante assolto).
Consegue pertanto l’annullamento della sentenza impugnata, che deve essere senza rinvio. La ricostruzione in fatto è pacifica ed esauriente; il ragionamento della Corte distrettuale che ha condotto al proscioglimento del comandante H. , non impugnato, è manifestazione inequivoca di un apprezzamento di merito che non compete a questa Corte ridiscutere; si tratta quindi solo di superare il vizio di contraddittorietà intrinseca della decisione portandola a razionalità con la conclusione che pertanto risulta obbligata, non sul piano del merito ma, appunto, sul piano logico.
L’assoluzione è come da dispositivo, con la medesima formula definita per l’H. .

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

Depositata in Cancelleria il 30.10.2012

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