Cassazione 15

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 9 novembre 2015, n. 44791

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente

Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – rel. Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 538/2015 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del 07/05/2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;

sentite le conclusioni del PG Dott. Selvaggi Eugenio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

 

RITENUTO IN FATTO

 

1. Con ordinanza emessa in data 7 maggio 2015 il Tribunale del riesame di Palermo ha rigettato l’istanza presentata nell’interesse di (OMISSIS), confermando l’ordinanza pronunziata dal G.i.p. presso il Tribunale di Marsala il 10-21 aprile 2015, che applicava nei suoi confronti la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel Comune di residenza, con l’imposizione di ulteriori prescrizioni, in relazione al reato (capo sub 20) di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, avente ad oggetto l’acquisto a fini di spaccio di un chilogrammo di marijuana, commesso in (OMISSIS).

2. Avverso la su indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, che ha dedotto tre motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.

2.1. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, che i Giudici di merito hanno fondato esclusivamente sull’analisi dei “brogliacci” relativi alle operazioni di intercettazione e su precedenti specifici assai risalenti nel tempo: elementi, questi, dai quali nulla si evince in merito al coinvolgimento del ricorrente, avuto altresi’ riguardo all’assenza di ulteriori dati di riscontro indiziario circa la realizzazione di illecite attivita’ in materia di stupefacenti, ed in particolare all’esito negativo della perquisizione domiciliare e veicolare effettuata dai Carabinieri di Salemi a circa un anno e mezzo di distanza dalle predette intercettazioni.

2.2. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c), non essendo emerso alcun elemento idoneo ad evidenziare un’attivita’ di reperimento di sostanze stupefacenti al di fuori del territorio di Salemi, si’ da giustificare un divieto di allontanamento da tale Comune, ovvero che il ricorrente fosse dedito allo smercio di tali sostanze nelle ore serali.

Il Tribunale, peraltro, ha omesso di indicare le ragioni per cui non ha ritenuto applicabile una misura meno afflittiva, a fronte di una specifica doglianza difensiva in merito all’attivita’ lavorativa svolta dal ricorrente.

2.3. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione alla normativa introdotta dalla Legge n. 47 del 2015, essendo l’ordinanza impugnata priva di riferimenti al requisito dell’attualita’ del pericolo di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c), mentre la misura e’ stata fondata esclusivamente sulla base di risalenti precedenti penali a carico dell’indagato.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

1. Il ricorso e’ infondato e va rigettato per le ragioni qui di seguito esposte e precisate.

2. La gravita’ del panorama indiziario evocato a sostegno della misura, e scrutinato in termini di adeguatezza dal Giudice del riesame cautelare, deve ritenersi congruamente sostenuta dall’apparato motivazionale su cui si radica l’impugnato provvedimento, che ha correttamente proceduto ad una valutazione analitica e globale degli elementi indiziari emersi a carico del ricorrente, dando conto, in maniera logica e adeguata, delle ragioni che giustificano l’epilogo del relativo percorso decisorio.

Entro tale prospettiva, deve rilevarsi come l’impugnata ordinanza (v., in particolare, pagg. 3-5) abbia fatto buon governo del quadro dei principii che regolano la materia in esame, puntualmente replicando alle obiezioni difensive e linearmente evidenziando – sulla base delle univoche emergenze investigative ivi compiutamente rappresentate, e in particolare degli esiti delle operazioni di intercettazione – gli elementi indiziari considerati sintomatici della ipotizzata condotta di acquisto a fini di “spaccio” del rilevante quantitativo di stupefacente indicato nel tema d’accusa, ricostruendo tempi, modalita’ e soggetti intervenuti nell’intera vicenda storico-fattuale.

L’impugnata ordinanza, inoltre, ha mostrato di fare buon governo dei consolidati indirizzi esegetici di questa Suprema Corte (Sez. 4, n. 39469 del 26/05/2004, dep. 08/10/2004, Rv. 229570; Sez. 1, n. 16781 del 24/03/2010, dep. 03/05/2010, Rv. 246938), secondo cui la richiesta della misura cautelare puo’ legittimamente essere fondata sull’allegazione delle trascrizioni sommarie del contenuto delle comunicazioni (brogliacci di ascolto), ovvero degli appunti raccolti durante le intercettazioni, senza la necessita’ di allegazione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni medesime.

Resta ferma, evidentemente, la possibilita’ del difensore di formulare una richiesta volta ad accedere, prima del loro deposito ai sensi dell’articolo 268 c.p.p., comma 4, alle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate e sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria nei c.d. brogliacci di ascolto, utilizzati ai fini dell’adozione di un’ordinanza di custodia cautelare, richiesta che deve essere presentata al pubblico ministero e non al giudice per le indagini preliminari che ha emesso il provvedimento cautelare (Sez. Un., n. 20300 del 22/04/2010, dep. 27/05/2010, Rv. 246906).

Va poi ribadito che la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte ha chiarito, da oltre un decennio (cfr. Sez. 5, n. 13614 del 19/01/2001, Primerano, Rv. 218392 e, da ultimo, Sez. 2, n. 4976 del 12/01/2012, Soriano, Rv. 251812), che le dichiarazioni captate nel corso di attivita’ di intercettazione (regolarmente autorizzata, ovviamente), con le quali un soggetto accusa se stesso e/o altri della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria e non necessitano quindi di ulteriori elementi di corroborazione ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. Un., n. 22471 del 26/02/2015, dep. 28/05/2015, Rv. 263714).

Parimenti va richiamata quella giurisprudenza (tra le tante, Sez. 6, n. 17619, del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724) per la quale, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, e’ questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimita’, se la valutazione, come avvenuto nel caso in esame, risulta logicamente illustrata in rapporto alle massime di esperienza utilizzate.

3. Congruamente esaminato, inoltre, risulta il profilo inerente alle esigenze cautelari aventi ad oggetto il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie ed alla proporzionalita’ della misura applicata, avendo il Tribunale motivatamente ritenuto la sussistenza e concretezza del periculum non solo sulla base degli specifici (sia pure risalenti) precedenti a carico, ma anche alla stregua della gravita’ del fatto (relativo ad un consistente quantitativo di droga) e delle connotazioni di non occasionalita’, ma, anzi, di continuita’ della condotta, ritenuta sintomatica, nello specifico contesto territoriale preso in esame, di un rilevante inserimento dell’indagato nel mercato della droga, quale soggetto capace di reperire e “smerciare”, pure in tempi recenti, significative quantita’ di stupefacenti.

Inammissibile deve ritenersi l’ultimo profilo di doglianza, che fa riferimento ad una normativa inapplicabile nel momento della decisione, essendo la novella legislativa del 16 aprile 2015, n. 47, solo successivamente entrata in vigore (ossia, l’8 maggio 2015).

4. In definitiva, a fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento delle emergenze procedimentali, esposto attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, il ricorrente non ha individuato passaggi o punti della decisione tali da inficiare la complessiva tenuta del discorso argomentativo delineato dal Tribunale, ma ha sostanzialmente contrapposto una lettura alternativa delle risultanze investigative, facendo leva sul diverso apprezzamento di profili di merito gia’ puntualmente vagliati in sede di riesame cautelare, e la cui rivisitazione, evidentemente, non e’ sottoponibile al giudizio di questa Suprema Corte.

Al riguardo v’e’ da osservare, peraltro, che l’ordinamento non conferisce a questa Suprema Corte alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende oggetto d’indagine, ne’ la investe di alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive degli indagati, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice cui e’ stata richiesta l’applicazione delle misura cautelare e del tribunale chiamato a pronunciarsi sulle connesse questioni de liberiate. Il controllo di legittimita’, pertanto, e’ circoscritto esclusivamente alla verifica dell’atto impugnato, al fine di stabilire se il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro di carattere negativo, la cui contestuale presenza, come avvenuto nel caso in esame, rende l’atto per cio’ stesso insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza nel testo di illogicita’ evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (da ultimo, v. Sez. F., n. 47748 del 11/08/2014, dep. 19/11/2014, Rv. 261400; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, dep. 18/11/2010, Rv. 248698).

5. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ex articolo 616 c.p.p.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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