Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 9 dicembre 2014, n. 25935

Svolgimento del processo

1. C.B., nel 2003, convenne in giudizio le Poste Italiane spa; assumendo la responsabilità della convenuta, ai sensi e dell’art. 2043 e dell’art. 2051 cod. civ., ne chiese la condanna al risarcimento dei danni, subiti per effetto della scivolata dalla scalinata esterna all’edificio delle Poste, dove si era recata per effettuare un versamento. Il Tribunale di Verona rigettò la domanda.
La Corte di appello di Venezia accolse l’impugnazione della soccombente e condannò le Poste al pagamento di oltre euro 14 mila e accessori (sentenza del 16 novembre 2012).
Avverso la suddetta sentenza, Poste Italiane spa ricorre per cassazione con quattro motivi.
La B. resiste con controricorso; chiede, ai sensi dell’art. 89 cod. proc. civ., la cancellazione di una frase del ricorso assunta come arbitraria e gravemente offensiva.

Entrambe le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

1. La Corte di merito ha ritenuto provato, ex art. 2051 cod. civ. a carico dell’attrice, il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, per essere stata la caduta la conseguenza normale della particolare usura dei gradini. A fondamento della decisione ha richiamato: la testimonianza (Rossi) in ordine alle modalità della caduta; la consulenza tecnica, secondo la quale la scala, nella parte centrale normalmente usata per l’accesso all’ufficio, era usurata per essere venuta meno coi tempo la bocciardatura e la zigrinatura. Quindi, ha preso le distanze dalle argomentazioni della decisione di primo grado, che aveva ritenuto il sinistro imputabile all’attrice per mancanza di diligenza, per non aver la danneggiata utilizzato la parte laterale con i corrimano e per non aver considerato, come avrebbe dovuto, la scivolosità e l’usura dei gradini. Invece, la Corte di merito ha escluso che il comportamento dell’attrice potesse integrare il fortuito, idoneo ad esonerare da responsabilità la custode della cosa in mancanza di imprevedibilità ed eccezionalità dello stesso, atteso che la conformazione della scala era tale da essere normale l’utilizzo centrale per l’accesso degli utenti. Ha aggiunto che il custode avrebbe dovuto ripristinare i dispositivi antisdrucciolo usurati e segnalare il pericolo nei giorni di pioggia.
2. Con il primo motivo, la società ricorrente deduce omessa, oltre che errata, contraddittoria e insufficiente valutazione delle risultante processuali (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) in riferimento all’onere della prova gravante sull’attore, in ordine all’accadimento dei fatti.
Con il secondo e terzo motivo, strettamente collegati, si denuncia omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), in riferimento alla condotta della danneggiata (secondo) e in relazione allo stato dei luoghi (terzo).
3. Alla sentenza impugnata (depositata il 16 novembre 2012) è applicabile ratione temporis la nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
Di recente, le Sez. Un. hanno affermato: – a) che la riformulazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., secondo cui è deducibile esclusivamente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, deve essere interpretata come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile; – b) che il nuovo testo del n. 5 dell’art. 360 introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); – c) che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Hanno, inoltre, precisato che la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso (Sez. Un. 7 aprile 2014, n. 8053).
3.1. Alla luce degli stretti limiti cui è sotto posto il vizio di motivazione, tutti e tre i motivi di censura sono inammissibili.
3.2. Quanto al primo motivo.
Va in primo luogo escluso ogni rilievo alla solo dedotta contraddittorietà e insufficienza.

In riferimento alla omessa considerazione delle contestazioni, ribadite con la comparsa di appello dalle Poste, circa il reale accadimento dei fatti causativi del danno, la censura manca di decisività.
E’ vero che, erroneamente, la Corte di merito ha affermato essere non contestata la ricostruzione del fatto riferita dalla figlia della danneggiata, presente sul luogo del sinistro, mentre, come dimostrato dagli atti richiamati nel ricorso, le Poste – vittoriose in primo grado – avevano riproposto, correttamente ex art. 346 c.p.c., la censura circa la mancata prova della verificazione del fatto con le modalità e nel luogo denunciati, per non avere l’attrice chiamato a testimoniare il tassista che l’aveva accompagnata in ospedale, né i medici del reparto ortopedico ai quali si era direttamente rivolta senza transitare dal pronto soccorso.
Tuttavia la censura non è decisiva al fine di pervenire ad un diverso esito della controversia. Come risulta dal controricorso, attraverso il richiamo degli atti processuali, la sentenza di primo grado, al fine della prova della contestata veridicità del fatto, aveva ritenuto sufficiente la coincidenza della deposizione della teste con l’interrogatorio libero della danneggiata e aveva ritenuto irrilevante il mancato passaggio dal pronto soccorso, dato che la danneggiata svolgeva attività di medico nello stesso ospedale. Nonché aveva messo in evidenza il riconoscimento della compatibilità del sinistro riferito con i danni riportati, secondo il consulente. In definitiva, dal ricorso non emerge perché le osservazioni dedotte in appello sarebbero state decisive a fronte di una sentenza che aveva ritenuto veritiero l’accadimento del fatto con le caratteristiche dedotte sulla base di altre argomentazioni. La censura, quindi, si traduce nella prospettazione di una diversa valutazione.
3.3. Quanto al secondo e terzo motivo, non sussiste proprio l’omessa motivazione asseritamente denunciata, atteso che la ricorrente si limita a prospettare una diversa valutazione dei fatti, anche con profili di novità (nel terzo) dove introduce l’argomento del non assoggettamento del’immobile delle Poste, quale immobile di particolare interesse storico, alla normativa antinfortunistica.
4.Con il quarto motivo, si deduce la violazione degli artt. 2043 e dell’art. 2051 cod. civ.
Quanto al riferimento al 2043 cod. civ. è del tutto inammissibile essendosi dibattuto nel giudizio di merito solo dell’art. 2051 cod. civ. La censura della violazione dell’art. 2051 cit. è manifestamente infondata. La Corte ha fatto applicazione della giurisprudenza consolidata, ritenendo non integrata la prova del fortuito, sotto l’aspetto del comportamento del danneggiato.
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate sulla base dei parametri vigenti.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.400,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *