Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 7 luglio 2015, n. 14084

Svolgimento del processo

F.A. , (+Altri) , con separati ricorsi poi riuniti dalla Corte di Appello di Roma, chiedevano che fosse accertata e dichiarata la violazione dell’art. 6 della CEDU sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui al relativo par. 1 nel procedimento amministrativo n. 14925/1996, all’epoca del ricorso ancora pendente, azionato dinnanzi al Tar del Lazio avente ad oggetto l’accertamento del diritto a vedersi computare l’indennità per il controllo dello spazio aereo.
La Corte di Appello di Roma con ordinanza si dichiarava incompetente e in conseguenza di ciò i ricorrenti riassumevano il ricorso davanti alla Corte di Appello di Perugia.
Si costituiva il Ministero dell’Economia e delle Finanze eccependo l’inammissibilità del ricorso.
La Corte di appello di Perugia con decreto n. 25/2013, rigettava l’eccezione di nullità della riassunzione come sollevata dal Ministero, dal momento che dagli atti risultavano depositati i ricorsi proposti davanti alla Corte di appello di Roma da tutti gli attuali ricorrenti anche se, poi, sono stati, erroneamente, riportati nel ricorso in riassunzione, solo il ricorso di F.A. più volte fotocopiato; accoglieva il ricorso e condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore dei ricorrenti ed a titolo di equa riparazione della somma di Euro. 5.000,00 per ciascun ricorrente, con gli interessi dalla domanda, condannava, altresì, il Ministero al pagamento delle spese del giudizio. Secondo la Corte perugina il processo presupposto avrebbe avuto una durata di circa 15 anni dovendosi considerare pertanto il 16 marzo 2011 non essendo stato proposto dai ricorrenti istanza di trattazione. Al riguardo la stessa Corte distrettuale osservava che la mancata presentazione dell’istanza di trattazione denotava una mancanza di interessi dei ricorrenti che andava valutata in relazione al quantum del risarcimento. Le spese dovevano seguivano la soccombenza e nella liquidazione bisognava tenere conto della riduzione fino alla metà degli onorari in considerazione della semplicità della causa.
La cassazione di questo decreto è stato chiesto da F.A. , (+Altri) , per due motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, intimato, in questa fase non ha svolto attività giudiziale.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo F.A. , (+Altri) lamentano la violazione e/o falsa applicazione di legge: art. 60 comma quinto RD n. 1578 del 1933, art. 4 della legge 794 del 1942 DM. N. 127 del 2004. Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale avrebbe operato una riduzione della metà degli onorari senza una espressa ed adeguata motivazione limitandosi ad una pedissequa enunciazione del criterio legale. In particolare, la Corte di merito non avrebbe indicato l’importo degli onorari nella misura minima su cui è stata poi operata la diminuzione, non consentendo una esatta valutazione del superamento dei limiti della metà, né tanto meno ha motivato dopo la riduzione dell’onorario le modalità di liquidazione dell’onorario, in relazione alla determinazione d elle singole cause precedentemente riunite e se tale criterio è stato applicato anche alla determinazione ai diritti e alle spese.
1.1.- Il motivo è infondato per le ragioni di cui si dirà.
Va qui preliminarmente evidenziato che la Corte di Appello di Perugia nel liquidare le spese del giudizio avrebbe tenuto conto di una normativa non più applicabile. Come insegnano le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 12 ottobre 2012, n. 17406) in virtù dell’art. 41 del DM 20 luglio 2012 n. 140, che è applicazione dell’art. 9 comma II, d.l. 1/12 conv. in l. 27/12, i nuovi parametri sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso di un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate.
Ne deriva che le tariffe abrogate possono trovare ancora applicazione qualora la prestazione professionale di cui si tratta si sia completamente esaurita sotto il vigore delle precedenti tariffe. Deve invece applicarsi il DM 140/2012 con riferimento a prestazioni professionali (iniziatesi prima, ma) ancora in corso quando detto decreto è entrato in vigore ed il giudice deve procedere alla liquidazione del compenso.
Tenuto conto della tabella A-Avvocati, richiamata dall’art. 11 del citato DM del valore della controversi e quindi dello scaglione di riferimento fino ad Euro 25.000,00 per i giudizi dinanzi alla Corte di appello nonché applicata (in ragione della minima complessità della controversia, alla stregua della ponderazione richiesta dall’art. 4 dello stesso DM) la diminuzione massima indicata all’interno di detto scaglione per ciascuna fase e ridotto il compenso i così risultante del 50% ai sensi dell’art. 9 del medesimo DM n. 140 del 2012, trattandosi di causa avente ad oggetto l’indennizzo da irragionevole durata del processo le somme dovute ammonterebbero: a) Euro. 160, 00 per la fase di studio, b) Euro 90,00 per la fase introduttiva, c) nulla per la fase istruttoria, atteso che non risulta sia stata effettuata e, comunque, non sembra sia stata dedotta dalla parte d) Euro 210,00 per la fase decisoria e così complessivamente la somma di Euro 460,00 oltre accessori di legge Pertanto, nel caso in esame, la Corte di Perugia, pur non facendo riferimento alla normativa di cui si è detto ha, comunque, liquidato una somma (Euro 230,00 per onorari e Euro 325,00 per diritti, oltre accessori come per legge) complessiva di Euro 555.00, ovvero una somma equa.
2- Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione di legge: art. 90, 91 epe, art. 4, 5 e 6 del DM n. 127 dei 2004 liquidazione onorari e competenze in misura inferiore a quelle di legge: artt. 2233, secondo comma cc, art. 10 secondo comma cod. proc. civ..
Secondo il difensore dei ricorrenti, considerato che le parti istanti erano 14, il decreto impugnato liquiderebbe Euro. 39,64 per ogni soggetto incluse le spese nonostante ognuno è stato patrocinato personalmente dal professionista che ne ha ascoltato ed elaborato le ragioni, ne ha accolto la domanda individuale di Giustizia, ed ha risposto alla stessa, tutelandone nell’opportuna sede e con esito positivo le istanze giuridiche. Pertanto, ritiene sempre il difensore dei ricorrenti, la liquidazione operata appare all’evidenza contraria ai diritti ed onorari minimi inderogabili previsti dal DM 127/2004. D’altra parte, considerato che – come è affermato dalla Corte di cassazione che la riunione di più cause lasca immutata l’autonomia dei singoli giudizio tanto che la liquidazione delle spese va operata in relazione ad ogni singolo giudizio, avrebbe dovuta essere operata dal decreto de quo per ognuno dei quattordici giudizi e per tutte le fasi antecedenti alla riunione. E, comunque, ritengono ancora i ricorrenti, la liquidazione avrebbe dovuto essere effettuato avuto riguardo a quanto effettivamente liquidato per ogni soggetto istante e perciò per gli onorari lo scaglione sarebbe stato quella che va da 51.700,00 a 102.300,00 dato che Euro. 5000 per 14 sarebbe uguale ad Euro 70.000,00 mentre per i diritti il valore sarebbe quello ricompreso nella fascia tra Euro. 2.600,00 a Euro 5.200,00. Con la conseguenza che il totale generale dei compensi minimi dovuti agli istanti sulla base del DM 127/2004 sarebbe dovuto essere pari complessivamente ad Euro 4.316,00 (2.145,00 per onorari e Euro 2761,00 per diritti).
2.1.- Anche questo motivo è infondato e non può essere accolto.
Va qui evidenziato che nel caso in esame la riunione dei giudizi si era resa necessaria per evitare che si consumasse un abuso dell’utilizzo dello strumento processuale e, cioè, l’instaurazione di più giudizi, da parte di più soggetti, per equa riparazione del danno patrimoniale causato da una durata non ragionevole di uno stesso processo. È orientamento pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 10634/10; n. 18693/11; 23831/11), che qui si condivide – quello secondo cui ai fini della liquidazione delle spese – il procedimento abusivamente frazionato con distinti ricorsi di uguale contenuto depositata contestualmente dal medesimo difensore; deve considerarsi come unico.
Pertanto, ai fini della liquidazione delle spese giudiziali, il giudizio svoltosi davanti alla Corte di appello di Perugia di cui si dice, andava considerato, sin dall’origine, come unico procedimento. Con la conseguenza che la liquidazione delle spese andava effettuata in considerazione del valore della domanda dato dal decisum avuto riferimento alla posizione singola. Insomma, il valore del presente giudizio era corrispondente ad Euro. 500,00 rappresentando tale importo al valore della domanda. Come afferma la dottrina processualistica e la stessa giurisprudenza di questa Corte, ai sensi dell’art. 10 cpc vengono sommate le domande proposte fin dall’origine in un unico processo, e non anche quelle proposte in processi separati e poi riuniti, ovvero separatamente proposte da attori diversi contro il medesimo soggetto in processi distinti e autonomi. Si parla poi di cumulo semplice delle domande quando il proponente non deve aver condizionato l’accoglimento dell’una all’esito dell’altra. Diverso è il caso del cumulo alternativo (l’una o l’altra domanda) o eventuale (una domanda in via principale e l’altra in via subordinata); in questi casi il valore della causa si determina in base alla domanda di maggior valore.
Sicché posto che ai sensi del DM 140/2012 era possibile ridurre gli onorari fino alla metà in considerazione della semplicità della causa, che era nella facoltà della Corte distrettuale concedere discrezionalmente l’aumento fino al doppio del compenso professionale riconosciuto, corretta appare, e/o, soprattutto, rispondente ai criteri legali, la quantificazione del compenso effettuata dalla Corte di Perugia.
In definitiva il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere al regolamento delle spese dato che il Ministero della Economia e Finanza correttamente intimato, in questa fase non ha svolto attività giudiziale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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