Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 3 marzo 2015, n. 4282
In fatto
Con ricorso ex art. 5-ter legge 89/01 del 22.3.2013 F.C. proponeva opposizione innanzi alla Corte d’appello di Perugia avverso il decreto col quale era stata respinta la sua domanda di equo indennizzo per l’eccessiva durata di un processo svoltosi davanti alla Commissione tributaria di primo e di secondo grado di Rieti e alla Commissione tributaria centrale, sezione di Roma, per il rimborso di ritenute fiscali operate sull’indennità di buonuscita.
Resisteva il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale eccepiva la nullità dell’opposizione per omessa notifica del ricorso e del decreto di rigetto, e nel merito ne chiedeva la reiezione attesa la natura propriamente tributaria della controversia.
Con decreto del 6.9.2013 la Corte d’appello rigettava l’opposizione e ai sensi dell’art. 5-quater legge n. 89/01 applicava al ricorrente la sanzione di Euro 1.000,00 per la manifesta infondatezza dell’opposizione.
Esclusa la necessità di notifica del ricorso e del decreto di rigetto (poiché ai sensi del 2 comma dell’art. 5-ter legge citata all’atto d’opposizione si applica l’art. 125 c.p.c.), la Corte distrettuale osservava, richiamandosi a giurisprudenza di questa Corte, che la domanda di rimborso oggetto del contenzioso tributario presupposto non si basava sull’allegazione di un mero errore di calcolo, ma riguardava l’esattezza o meno della tassazione.
Per la cassazione di tale decreto ricorre F.C. , in base a tre motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Motivi della decisione
1. – Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 legge n. 89/01 e dell’art. 6 CEDU.
Sostiene parte ricorrente che il giudizio presupposto aveva ad oggetto non una pretesa impositiva dell’amministrazione ma il rimborso di ritenute fiscali indebitamente operate, e dunque una pretesa di natura privatistica, cui si applicano le norme citate.
2. – Il secondo ed il terzo motivo lamentano – sotto il profilo, rispettivamente, dell’omessa motivazione su di un punto decisivo “in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.”, e della violazione e falsa applicazione dell’art. 5-quater legge n. 89/01 – che la Corte territoriale abbia ritenuto manifestamente infondata la pretesa indennitaria, ancorché sia tutt’altro che pacifica e scontata la soluzione della questione riguardante l’applicabilità della legge n. 89/01 alle controversie aventi ad oggetto il rimborso di somme versate dal contribuente al fisco.
3. – Il primo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per la loro interconnessione, sono infondati.
In base alla costante giurisprudenza di questa Corte, la disciplina dell’equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art.6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, quale introdotta dagli artt. 2 e ss. della legge 24 marzo 2001, n. 89, non è applicabile ai giudizi in materia tributaria involgenti la potestà impositiva dello Stato, stante l’estraneità e irriducibilità di tali vertenze al quadro di riferimento delle liti in materia civile, cui ha riguardo la citata norma pattizia (Cass. nn. 15604/06, 8035/06, 21651/05, 21404/05, 17139/04 e 11350/04).
Tale conclusione deriva dal “valore conformativo, in termini di diritto vivente, che riveste la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, relativamente alla definizione e delimitazione della portata applicativa della fattispecie disciplinata dalla norma Europea (art. 6 par. 1 cit.)”, sicché la “simmetria tra i due piani (interno ed internazionale) di tutela dei diritti dell’uomo – coessenziale (…) all’attuazione del principio di sussidiarietà che deve ricondurli a sistema – si realizza. (…) conformando la fattispecie violata, alla quale è ricollegata l’equa riparazione di cui alla legge 89/2001, a quella disegnata dalla norma comunitaria di riferimento, come in concreto (quest’ultima) vive attraverso l’esegesi della Corte di Strasburgo” (così, in motivazione, Cass. n. 21404/05).
E poiché la Convenzione EDU contempla all’art. 6 due aree di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, quella civile e quella penale, e prevede all’art. 1 del Protocollo addizionale che la protezione della proprietà non pregiudica il diritto degli Stati di applicare la disciplina necessaria ad assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi, l’equa riparazione prevista dalla legge nazionale per le violazione dell’art. 6, paragrafo 1 CEDU non è riferibile ai casi di durata irragionevole di controversie che involgano l’esistenza e l’esercizio della potestà impositiva dello Stato.
Non è, infatti, la natura pecuniaria delle obbligazioni a rendere sempre e comunque applicabile il richiamato art. 6 della Convenzione, ma solo il carattere civile delle stesse, cui si contrappongono le obbligazioni di natura pubblicistica, le quali derivino dall’applicazione di tributi o traggano in ogni caso origine da doveri pubblici, onde la conclusione secondo cui, rientrando la materia fiscale “ancora nel nocciolo duro delle prerogative attinenti alla sovranità statale ed (essendo) sotto questo profilo tuttora dominante la qualifica pubblicistica del rapporto obbligatorio di imposta tra Stato sovrano e contribuente”, il contenzioso tributario non rientra nell’ambito dei diritti e delle obbligazioni di carattere civile, malgrado gli effetti patrimoniali che esso necessariamente produce nei confronti dei contribuenti (sentenza del 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia; v. anche, le sentenze 23 luglio 2002, Janosevic contro Svezia, e 23 novembre 2006, Jussila contro Finlandia).
Vi fanno eccezione le cause riguardanti sanzioni tributarie assimilabili a sanzioni penali per il loro carattere afflittivo (v. Cass. n. 510/14), che sia a tal punto significativo da farle apparire alternative a una sanzione penale ovvero a una sanzione che, in caso di mancato adempimento, sia commutabile in una misura detentiva (Cass. n. 13322/12); e quelle che pur essendo riservate alla giurisdizione tributaria sono riferibili alla “materia civile”, in quanto riguardanti pretese del contribuente che non investano la determinazione del tributo ma solo aspetti consequenziali (v. Cass. n. 19367/08, che esemplifica richiamando il giudizio di ottemperanza ad un giudicato tributario ex art. 70 del d.lgs. n. 546 del 1992 o quello vertente sull’individuazione del titolare di un credito di imposta non contestato nella sua esistenza; conforme, Cass. n. 3270/11), ovvero le richieste di rimborso di somme, rifluenti nell’area delle obbligazioni privatistiche. Tra queste ultime non rientrano le controversie riguardanti il rimborso di imposte che il privato ritenga indebitamente trattenute, poiché il relativo diritto non è accertato secondo i principi di diritto civile sulla ripetizione di indebito, ma in base all’esistenza o meno del potere impositivo (cfr. Cass. nn. 2371/11,13657/07 e 21403/05).
3.1. – Nella specie, il giudizio presupposto aveva ad oggetto non già la controversia circa i modi e i termini della ripetizione di un indebito altrimenti già accertato fra le parti, ma il diritto dell’odierno ricorrente a ottenere il rimborso di una ritenuta fiscale che assumeva essere stata indebitamente operata sull’indennità di buonuscita.
Ciò posto, è del tutto irrilevante che l’azione fosse diretta alla condanna dell’amministrazione finanziaria a restituire l’importo trattenuto, piuttosto che al solo accertamento negativo di una pretesa tributaria non ancora realizzata. Nell’un caso come nell’altro, l’oggetto del contendere era costituito dalla fondatezza o meno dell’imposizione e dunque riguardava un rapporto obbligatorio interamente disciplinato da norme di diritto pubblico, con conseguente sottrazione della controversia alla materia civile di cui all’art. 6, paragrafo 1 CEDU.
4. – L’applicazione della sanzione processuale di cui all’art. 5-quater legge n. 89/01 – e con ciò si passa ad esaminare il secondo motivo – esprime l’esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità se non per l’ipotesi di eccedenza tecnica rispetto alle condizioni di legge (inammissibilità o manifesta infondatezza).
4.1. – Condizioni la cu ricorrenza nella specie, invece, deriva dall’illustrata estraneità della materia tributaria all’ambito applicativo dell’art. 6 CEDU.
5. – Il ricorso va dunque respinto.
6. – La relativa novità della domanda (analogo caso è stato deciso solo dalla recente Cass. n. 22872/14, allo stato non massimata) costituisce eccezionale ragione per compensare integralmente le spese.
7. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica l’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
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