Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 29 settembre 2014, n. 40303

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 7 marzo 2013, il Tribunale di Agrigento ha prosciolto Z.B.G. , per intervenuta prescrizione del reato ai sensi degli artt. 529 e 531 cod. proc. pen., dal reato di abuso di ufficio (capo F della imputazione). In particolare, a Z. è contestato di avere agito, in concorso con G.G. e B.C. (rispettivamente dirigente dell’ufficio tecnico comunale (il B. e consigliere comunale presso il Comune di (omissis) (G. )), in violazione di legge – G. e Z. intromettendosi nella procedura per l’approvazione di un progetto presentato da R.C. al fine di impedirne l’accoglimento, B. non esprimendo parere favorevole -, intenzionalmente cagionato un danno patrimoniale per R. , privato richiedente, e per lo stesso Comune, reato commesso in epoca successiva al 25 gennaio 2005.
Il giudicante ha evidenziato che, nei confronti dell’imputato Z. – che non ha rinunciato ad avvalersi della prescrizione – sussistono indizi di reità che impediscono il proscioglimento ai sensi dell’art. 129 del codice di rito e deve essere pronunciata sentenza di improcedibilità per intervenuta prescrizione; che, nei confronti dei due imputati pubblici ufficiali G. e B. – avendo essi rinunciato alla prescrizione -, deve essere emessa una pronuncia nel merito della imputazione e gli stessi imputati devono essere assolti perché il fatto non sussiste, non essendo stato il fatto reato pienamente provato.
2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’Avv. Salvatore Virgone, difensore di fiducia di Z.B.G. , chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
2.1. Violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110, 323 cod. pen. e 530, 531 e 129, comma 2, cod. proc. pen., per avere il Tribunale assolto nel merito, perché il fatto non sussiste, i coimputati pubblici ufficiali G.G. e B.C. e prosciolto l’assistito (invece extraneus) con la formula “non doversi procedere per intervenuta prescrizione”, sebbene i tre imputati fossero chiamati a rispondere del medesimo reato di abuso d’ufficio, per avere intenzionalmente procurato a R.R. l’ingiusto danno patrimoniale consistente nel non ottenere l’approvazione del progetto per la realizzazione di un fabbricato per civile abitazione, con corrispondente danno del privato nonché del comune di (OMISSIS) . La circostanza che i coimputati G.G. e B.C. abbiano rinunciato alla prescrizione non può ritenersi di per sé sufficiente a giustificare il diverso esito processuale nei confronti di Z. , laddove lo stesso giudice ha posto in evidenza la totale carenza probatoria in ordine alle modalità concrete con cui gli imputati avevano agito, all’evento in cui si concretizzava il reato ed alla sussistenza dell’elemento soggettivo che caratterizza in modo pregnante la fattispecie; risulta dunque incomprensibile il motivo della mancata assoluzione nel merito di Z. , il quale risponde della medesima fattispecie concorsuale, per di più in un reato proprio, connotato dalla specifica qualifica dei due concorrenti assolti perché il fatto non sussiste.
3. In udienza, il Procuratore Generale ha chiesto che la sentenza sia annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste e l’Avv. Salvatore Virgone, in difesa dell’imputato Z. , ha insistito per l’accoglimento il ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.
In via preliminare, deve essere rilevato come non sia revocabile in dubbio la legittimazione del ricorrente a proporre impugnazione avverso la sentenza di improcedibilità del reato per intervenuta prescrizione, essendo egli titolare di un concreto interesse alla rimozione di un provvedimento pregiudizievole ed, in particolare, ad ottenere una pronuncia di assoluzione piena di merito in luogo del proscioglimento in rito.
2. Tanto premesso, va rilevato che Z.B.G. è imputato del delitto di abuso di ufficio in concorso con i pubblici ufficiali G.G. e B.C. : si tratta di un’ipotesi di concorso di persone in un reato proprio, caratterizzato dalla specifica qualifica di pubblico ufficiale dei due concorrenti, nell’ambito della quale al ricorrente è riconosciuta la veste di extraneus, in quanto soggetto esterno alla pubblica amministrazione.
Giova rammentare come il Tribunale abbia ritenuto che il ricorrente (non rinunciante alla prescrizione) non possa essere prosciolto ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. in quanto sussistono a suo carico indizi di reità e che, giusta l’epoca di commissione dei fatti, deve essere pronunciata sentenza di improcedibilità per intervenuta prescrizione.
Il giudicante ha invece assolto nel merito i coimputati pubblici ufficiali G. e B. (rinuncianti alla prescrizione) con la formula “il fatto non sussiste”, evidenziando che il quadro probatorio è rimasto allo stato iniziale ed indiziario e che v’è una totale carenza probatoria quanto alle modalità concrete con cui gli imputati avevano effettivamente agito, anche soltanto a livello di tentativo, quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie incriminatrice nonché quanto all’evento del reato, rimanendo indeterminati sia il vantaggio assicurato a Z. , sia il danno cagionato al Comune e/o al privato.
3. Dall’iter argomentativo svolto nel provvedimento impugnato sopra sintetizzato, si evince chiaramente come il giudice a quo, dato atto dei singoli contributi probatori acquisiti nel corso della istruttoria dibattimentale, abbia ritenuto insussistente in radice la prova dei presupposti oggettivo e soggettivo del reato di abuso di ufficio a carico di G. e B. , laddove ha rimarcato che sussiste “un quadro di forte sospetto” tuttavia “rimasto allo stadio iniziale ed indiziario” e, nel prosieguo ha ribadito che “vi è una totale carenza probatoria” circa la modalità della condotta, la sussistenza dell’elemento soggettivo e l’evento del reato (cfr. pag. 22 della sentenza impugnata). Lo scenario probatorio delineato dal giudice di merito concreta una situazione di totale insussistenza dei presupposti del reato, giusta il delineato assoluto difetto di prova espresso in ordine agli elementi costitutivi – oggettivo e soggettivo – del delitto, e non di mera insufficienza e/o contraddittorietà del quadro d’accusa.
Ne discende l’evidente contraddittorietà interna del provvedimento: le stesse risultanze dell’istruttoria dibattimentale stimate totalmente insufficienti ad integrare il delitto non andando oltre un “quadro di forte sospetto” nei confronti di G. e B. , sono state – di contro – ritenute idonee a sostanziare “indizi di reità” suscettibili di precludere l’assoluzione piena del ricorrente.
Si tratta, infatti, di una fattispecie concorsuale, fra l’altro, in un reato proprio, nell’ambito della quale i concorrenti muniti della qualifica soggettiva richiesta dal delitto sono stati assolti perché il fatto non sussiste, dunque per mancanza della materialità del reato e non meramente per difetto dell’elemento soggettivo (nel quale caso non potrebbe essere di per sé esclusa la responsabilità del concorrente “estraneo”, Cass. Sez. 5, n. 35884 del 20/07/2009, Lucchini e altro, Rv. 244920). La ravvisata insussistenza di prova della condotta e dell’evento (nonché del dolo intenzionale) del reato di abuso d’ufficio dei concorrenti pubblici ufficiali impedisce allora di costruire una valida fattispecie concorsuale nei confronti dell’extraneus, non potendosi egli essere ritenuto responsabile per avere offerto il proprio contributo materiale o morale rispetto all’agire posto in essere dai correi “qualificati”, stimato dallo stesso organo giudicante – fra l’altro, all’esito di un processo celebrato nel pieno contraddittorio delle parti – del tutto privo di consistenza probatoria.
Come questa Corte ha chiarito, ai fini della configurabilità della responsabilità dell'”extraneus” per concorso nel reato proprio è invero indispensabile, oltre alla cooperazione materiale ovvero alla determinazione o istigazione alla commissione del reato, che l’”intraneo” esecutore materiale del reato sia riconosciuto responsabile del reato proprio, indipendentemente dalla sua punibilità in concreto per la eventuale presenza di cause personali di esclusione della responsabilità (Cass. Sez. 6, n. 36166 del 18/06/2004, Barletta ed altri, Rv. 229948).
4. Né la via percorsa dal Tribunale appare legittima avuto riguardo al diverso metro di giudizio applicabile alle pronunce di assoluzione di merito, ex art. 530 cod. proc. pen., e di proscioglimento, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen..
Secondo i principi affermati da questa Corte anche a Sezioni Unite, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Cass. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274; Cass. Sez. 4, n. 23680 del 07/05/2013, Rizzo, Rv. 256202).
Ritiene il Collegio che, proprio avendo riguardo alle argomentazioni svolte in merito alla posizione dei concorrenti G. e B. nell’attestare una situazione di “totale carenza probatoria” e di un “quadro di forte sospetto”, il Tribunale abbia espresso una valutazione sostanziante una situazione di evidente innocenza dell’imputato.
Come si è già sopra posto in luce, il concorso dell'”estraneo” nel reato proprio presuppone che l’”intraneo” esecutore materiale del reato sia riconosciuto responsabile del reato proprio, quantomeno sul piano oggettivo; in linea con il disposto dell’art. 129, comma 2, del codice di rito, deve pertanto essere data prevalenza al proscioglimento di merito, rispetto alla declaratoria di improcedibilità per estinzione per intervenuta prescrizione, allorché il giudice abbia ritenuto non meramente insufficiente o contraddittoria ma totalmente carente la prova del fatto dell'”intraneo” – delineando dunque nei confronti di quest’ultimo una situazione rilevante ai sensi del comma 1, e non del comma 2, l’art. 530 cod. proc. pen. -, in quanto, in tale caso, si può ritenere che sia integrata una situazione di evidente innocenza dell'”estraneo”.
Il che, avrebbe dovuto condurre il giudicante a pronunciare sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste anche nei confronti del ricorrente.
5. Alla stregua delle superiori considerazioni, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Z.B.G. in relazione al reato di cui al capo F) perché il fatto non sussiste.

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