Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 25 novembre 2015, n. 46797

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AGRO’ Antonio – Presidente

Dott. ROTUNDO Vincenzo – Consigliere

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – rel. Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS) parte offesa;

nel procedimento c/:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso il decreto n. 2646/2013 GIP TRIBUNALE di ASTI, del 11/09/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE AMICIS GAETANO;

lette le conclusioni del PG Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto emesso in data 11 settembre 2014 il G.i.p. presso il Tribunale di Asti ha disposto l’archiviazione del procedimento penale iscritto a nome di (OMISSIS) per il reato di cui all’articolo 314 c.p., con la restituzione degli atti al P.M. richiedente.

2. Avverso il su citato decreto il difensore di fiducia della persona offesa (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge in relazione all’articolo 408 c.p.p., comma 2, articolo 409 c.p.p., comma 6, articolo 127 c.p.p., comma 5 e articolo 178 c.p.p., lettera c), sul rilievo che nessun avviso gli era stato notificato dal P.M. in merito alla richiesta di archiviazione avanzata nell’agosto 2014 (di’ cui era venuta a conoscenza in occasione del ritiro di copia degli atti contenuti nel fascicolo, ai fini della presentazione di una memoria integrativa), con la conseguente vanificazione del diritto al contraddittorio, benche’ avesse espressamente dichiarato di volerne essere informato nell’atto di denuncia-querela.

I fatti oggetto di denuncia, in particolare, assumono una veste pubblicistica in ragione della qualifica di amministratore di sostegno (degli anziani genitori) rivestita dal denunciato fratello (OMISSIS), integrando, per il resto, un’appropriazione indebita in danno del patrimonio del denunciante.

Al riguardo si deduce, inoltre, la natura plurioffensiva del delitto di peculato, la cui previsione e’ dal legislatore posta a tutela non solo del buon andamento e dell’imparzialita’ della P.A, ma anche dei beni patrimoniali della pubblica amministrazione e di soggetti privati.

3. Con memoria pervenuta in Cancelleria il 6 ottobre 2015 il difensore di fiducia di (OMISSIS) ha dedotto che il ricorrente e’ privo della qualita’ di persona offesa e del tutto legittimamente, pertanto, egli non ha ricevuto l’avviso ex articolo 408 c.p.p., comma 2.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate.

2. E’ noto che l’odierna fattispecie di peculato e’ il risultato di un’opera di semplificazione e di chiarimento cui l’originaria previsione e’ stata sottoposta dalla Legge n. 86 del 1990, articolo 1: tale semplificazione, infatti, e’ avvenuta unificando in una sola fattispecie, denominata “peculato”, le due precedenti figure delittuose del peculato e della malversazione a danno di privati.

Quest’ultima, in particolare, era prevista nell’articolo 315 c.p. – che la su citata Legge n. 86 del 1990, articolo 20, ha abrogato – e presentava la medesima struttura del peculato, da cui tuttavia si differenziava per la minore pena (da tre ad otto, anziche’ da tre a dieci anni di reclusione) e per l’oggetto materiale della condotta (appropriazione o distrazione a profitto proprio o altrui), costituito dal denaro ovvero da cosa mobile non appartenente alla P.A., mentre l’appartenenza a quest’ultima era richiesta nel peculato.

Nella nuova figura di peculato, invece, l’appartenenza non e’ piu’ presente, sostituita dalla nozione di “altruita’” del denaro o della cosa mobile (secondo un’espressione evidentemente comprensiva della titolarita’ sia pubblica che privata), ed e’ altresi’ scomparsa la condotta distrattiva, a profitto proprio o di altri.

L’opera di chiarimento del legislatore, infine, si e’ estrinsecata in due ulteriori direzioni:

a) da un lato, la riforma ha affiancato al possesso del denaro o della cosa mobile il requisito della loro disponibilita’ da parte dell’agente, cosi’ escludendo che fossero sottratte all’area di rilevanza del peculato talune situazioni esulanti dalla nozione di possesso restrittivamente interpretata;

b) dall’altro lato, e’ stata introdotta la nuova figura del peculato d’uso, ossia di un uso momentaneo della cosa, seguito dalla sua immediata restituzione.

L’attuale modello, cosi’ come disegnato dal legislatore, costituisce dunque una crasi tra le originarie, diverse, figure delittuose descritte negli articoli 314 e 315 c.p., rivelando la totale indifferenza dell’appartenenza della cosa mobile o del denaro oggetto di appropriazione alla P.A. ovvero ai privati, per effetto della trasposizione all’interno della nuova fattispecie della precedente ipotesi di malversazione a danno di privati (ossia dell’abrogato articolo 315 c.p.).

Ne consegue che, oltre a vulnerare l’interesse per il buon andamento e l’imparzialita’ della P.A., il peculato offende anche l’interesse che il titolare del bene oggetto dell’appropriazione ha di conservarlo: si tratta, generalmente, di un interesse patrimoniale, ma non si puo’ affatto escludere, come pure si e’ evidenziato da parte della dottrina, che sia, anche o solo, di altra natura, in dipendenza di particolari legami del soggetto passivo con il bene.

Emerge in tal modo la natura plurioffensiva del peculato, poiche’ all’indubbia esigenza di attribuire rilievo al disvalore delle particolari forme di abuso che si realizzano attraverso le condotte di’ appropriazione o di uso non compatibili con la funzione o il servizio, o comunque non consentite dall’ordinamento, si affianca, proprio in ragione dei tipici elementi strutturali della fattispecie, quella di tutelare gli aspetti patrimoniali che risultino danneggiati da condotte lesive di interessi propri della stessa P.A., ovvero di soggetti privati.

Del resto, e’ proprio l’offensivita’ patrimoniale del reato di peculato a dischiudere la possibile applicazione delle circostanze di cui all’articolo 61 c.p., n. 7 e articolo 61 c.p., n. 4, (per l’attenuante v., ad es., Sez. 6 , n. 12838 del 10/02/2005, dep. 06/04/2005, Rv. 231040; Sez. 5 , n. 6067 del 04/04/1979, dep. 30/06/1979, Rv. 142403; per l’aggravante v. Sez. 3 , n. 2768 del 12/12/1966, dep. 23/03/1967, Rv. 103837).

Entro tale prospettiva, infatti, questa Suprema Corte (Sez. 6 , n. 2963 del 04/10/2004, dep. 31/01/2005, Rv. 231032; Sez. 6 , n. 4328 del 02/03/1999, dep. 07/04/1999, Rv. 213660; Sez. 6 , n. 8009 del 10/06/1993, dep. 24/08/1993, Rv. 194920) ha piu’ volte affermato che la natura plurioffensiva del reato di peculato implica che l’eventuale mancanza di danno patrimoniale conseguente all’appropriazione non ne esclude la sussistenza, atteso che rimane pur sempre leso dalla condotta dell’agente l’altro interesse, diverso da quello patrimoniale, protetto dalla norma incriminatrice, ossia quello del buon andamento della P.A..

La previsione del reato di peculato, infatti, e’ posta a tutela non solo della legalita’, dell’efficienza, della probita’ ed imparzialita’ dell’attivita’ della P.A., ma altresi’ del patrimonio, della stessa o di terzi (Sez. 6 , n. 8009 del 10/06/1993, dep. 24/08/1993, cit.).

Per le medesime ragioni, inoltre, si e’, anche di recente, precisato (v. Sez. 6 , n. 41587 del 19/06/2013, dep. 08/10/2013, Rv. 257148; v., inoltre, Sez. 6 , n. 8009 del 10/06/1993, dep. 24/08/1993, Rv. 194921) che, in tema di peculato, la semplice restituzione della somma sottratta al privato non comporta il riconoscimento dell’attenuante della riparazione del danno provocato dalla condotta illecita del pubblico ufficiale, poiche’ la fattispecie di reato, pur potendo tutelare eventualmente anche il patrimonio dei privati, si caratterizza principalmente per le finalita’ di tutela del patrimonio della P.A. e dell’interesse alla legalita’, efficienza e imparzialita’ della sua attivita’.

Dalla connotazione di eventuale plurioffensivita’ del delitto di peculato, in ragione del vulnus inferto al concorrente interesse del privato danneggiato dalla condotta appropriativa del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, discende, pertanto, che il soggetto al quale tale condotta abbia arrecato un danno riveste la qualita’ di persona offesa dal reato, legittimata in quanto tale a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, in applicazione degli articoli 408 e 410 c.p.p..

Non dissimile, sotto altro ma connesso profilo, deve ritenersi la ragione giustificativa della soluzione indicata in questa Sede (Sez. 6 , n. 20399 del 22/03/2006, dep. 14/06/2006, Rv. 234728; Sez. 6 , n. 1106 del 13/03/1997, dep. 14/05/1997 Rv. 207933) per l’ipotesi dell’abuso d’ufficio finalizzato ad arrecare ad altri un danno ingiusto – avente natura plurioffensiva per la sua idoneita’ a ledere, oltre all’interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della P.A., anche il concorrente interesse del privato a non essere turbato nei propri diritti costituzionalmente garantiti dal comportamento illegittimo ed ingiusto del pubblico ufficiale – ovvero per il delitto di omissione di atti di ufficio, di cui all’articolo 328 c.p., comma 2, sul rilievo che la sua realizzazione lede, oltre l’interesse pubblicistico, anche il concorrente interesse del privato eventualmente danneggiato dall’omissione o dal ritardo dell’atto amministrativo dovuto (Sez. 6 , n. 9730 del 27/11/2013, dep. 27/02/2014, Rv. 259104; Sez. 2 , n. 17345 del 29/03/2011, dep. 05/05/2011, Rv. 250077).

In entrambi i casi ora considerati, infatti, si e’ ritenuto che il privato danneggiato riveste la qualita’ di persona offesa dal reato e che l’omesso avviso della richiesta di archiviazione, qualora egli abbia chiesto di esserne informato, viola il diritto al contraddittorio.

Non pertinente, infine, deve ritenersi il richiamo operato nella motivazione del provvedimento impugnato ad un precedente di questa Suprema Corte (Sez. 6 , n. 4074 del 22/02/1999, dep. 30/03/1999, Rv. 214151), avente ad oggetto la diversa ipotesi di peculato mediante profitto dell’errore altrui (ex articolo 316 c.p.), le cui concrete modalita’ di realizzazione coinvolgevano, propriamente, i soli interessi patrimoniali dell’amministrazione finanziaria dello Stato.

3. Nel caso in esame non emerge dagli atti l’espletamento del su descritto incombente procedurale, benche’ il ricorrente avesse espressamente manifestato, nel suo atto di denuncia-querela, di voler essere informato circa l’esito delle indagini effettuate dal P.M. relativamente al procedimento in oggetto.

Al riguardo, invero, costituisce il frutto di una pacifica linea interpretativa di questa Suprema Corte il principio secondo cui l’omesso avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa che ne abbia fatto espressa richiesta determina la violazione del contraddittorio, con la conseguente nullita’ del decreto di archiviazione ai sensi dell’articolo 127 c.p.p., comma 5, (Sez. 6 , n. 24273 del 19/03/2013, dep. 04/06/2013, Rv. 255108; Sez. 4 , n. 47025 del 26/09/2014, dep. 13/11/2014, Rv. 260950; Sez. 3 , n. 11543 del 27/11/2012, dep. 12/03/2013, Rv. 254743).

4. Il provvedimento impugnato deve pertanto essere annullato senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Asti per l’ulteriore corso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il decreto impugnato e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Asti per l’ulteriore corso.

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