Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 24 settembre 2014, n. 39091

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola – Presidente
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere
Dott. APRILE Ercole – Consigliere
Dott. BASSI A. – rel. Consigliere
Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedet – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
(OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2324/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del 26/09/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/05/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 26 settembre 2013, la Corte d’Appello di Milano ha riformato – applicando la continuazione fra i fatti oggetto dei due procedimenti e rideterminando conseguentemente la pena – le sentenze del 18 gennaio 2010 (proc. n. 2324/10) e del 24 novembre 2009 (proc. n. 1287/11), con le quali il Tribunale di Voghera in composizione monocratica condannava (OMISSIS) in relazione ai reati di cui all’articolo 81 cpv c.p., articolo 570 c.p., comma 2, n. 2 commesso dal (OMISSIS) a tutt’oggi (capo A) e articolo 81 cpv c.p. e articolo 594 c.p., comma 1, (capo B) e articoli 81 cpv e 660 c.p., articolo 594 c.p., commi 1 e 2 e articolo 612 cod. pen. (capo C), nel primo procedimento, ed in relazione al reato di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, commesso dal (OMISSIS) a tutt’oggi, nel secondo procedimento.
Dato atto della credibilita’ intrinseca ed estrinseca della persona offesa e della circostanza che l’imputato ha liberamente scelto di rimanere contumace e di non fornire pertanto la propria versione dei fatti, il giudice di secondo grado ha rilevato che le circostanze invocate dall’appellante non sono tali da escluderne responsabilita’ penale, dal momento che non provano l’assoluta impossibilita’ dell’imputato di fare fronte all’adempimento dell’obbligazione, e che i fatti oggetto dei due procedimenti sono legati dal nesso di continuazione, con conseguente nuova determinazione della pena.
2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’Avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
2.1. Inosservanza o erronea applicazione di norma processuale in relazione all’articolo 157 c.p.p., comma 8 e articolo 159 cod. proc. pen., avendo la Corte d’Appello disposto la notifica degli avvisi di fissazione di udienza al difensore dopo avere erroneamente dichiarato l’irreperibilita’ dell’imputato, sulla base del fatto che, sulla targhetta della porta dell’abitazione, non era indicato il cognome dell’assistito.
2.2. Inosservanza o erronea applicazione di norma processuale in relazione all’articolo 150 cod. proc. pen., essendo il decreto con cui e’ stata disposta la notifica al difensore con mezzi telematici privo di motivazione.
2.3. Difetto, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione, laddove, da un lato, la Corte ha ritenuto attendibile la persona offesa, nonostante il preciso interesse della stessa a rendere una versione volta ad ottenere un risarcimento del danno; dall’altro lato, ha omesso di valutare circostanze obbiettive favorevoli all’assistito, quali la circostanza che la moglie non gli avesse comunicato il trasferimento del figlio all’estero; il fatto che egli avesse autorizzato la ex moglie a rimanere nella casa familiare con il figlio; l’ammissione al gratuito patrocinio quale indice di incapacita’ economica assoluta.
3. In udienza, il Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi proposti.
Con riguardo al primo motivo di ricorso – con il quale si deduce la violazione dell’articolo 157 c.p.p., comma 8 e articolo 159 cod. proc. pen.-, giova evidenziare che, secondo quanto si evince dagli atti del fascicolo, nel procedimento n. 1287/2011, la notifica dell’avviso dell’udienza del 3 luglio 2013 non poteva essere compiuta in quanto l’imputato non veniva reperito presso il luogo di residenza; il Tribunale disponeva la rinnovazione della notifica, previe nuove ricerche, che davano esito negativo, e dichiarava di conseguenza l’irreperibilita’ dell’imputato; veniva quindi disposta la notifica al difensore con mezzi tecnici, giusta decreto del Presidente della Sezione della Corte d’Appello del 3 luglio 2013, con il quale si autorizzava la notifica a mezzo fax ai sensi dell’articolo 150 cod. proc. pen. “vista la ritenuta sussistenza dei presupposti di legge e vista la sentenza della suprema Corte di cassazione s.u. penali n. 28451 del 20/4/2011”.
Nel procedimento n. 2324/2010, all’udienza fissata per lo stesso 3 luglio 2013, il Tribunale dichiarava la contumacia di (OMISSIS), ritualmente notificato presso lo studio del difensore, presso il quale l’imputato aveva eletto domicilio (in tale procedimento) e non comparso in udienza senza addurre un legittimo impedimento. Il Tribunale disponeva quindi il rinvio del processo al 26 settembre 2013 allo scopo di riunire il processo a quello con n. 1287/2011.
Alla luce delle superiori evidenze, non v’e’ materia per alcun vizio attinente la rituale instaurazione del contraddittorio e, segnatamente, la notificazione degli avvisi di fissazione delle udienze di celebrazione del processo e la declaratoria di contumacia dell’imputato. Nel procedimento n. 2324/2010, (OMISSIS) e’ stato infatti avvisato dell’udienza dibattimentale mediante notifica presso il luogo ove aveva eletto domicilio, mentre nel procedimento n. 1287/2911, si e’ proceduto alla notifica con il rito degli irreperibili in presenza dei relativi presupposti. Difatti, l’irreperibilita’ di (OMISSIS) e’ stata dichiarata, non sulla base del mero riscontro della mancata indicazione del nominativo del ricorrente sul citofono dell’abitazione (come dedotto dal ricorrente), bensi’ all’esito delle esaustive ricerche disposte dal Tribunale.
2. Manifestamente infondato e’ anche il secondo motivo di ricorso laddove, come si e’ gia’ sopra dato atto, la notifica con mezzi tecnici, precisamente a mezzo fax, e’ stata autorizzata con specifico decreto del Presidente del Tribunale con motivazione certamente adeguata, in quanto ricognitiva dei presupposti per poter procedere con tali modalita’ di comunicazione.
In ogni caso, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, la modalita’ di notificazione a mezzo fax non rientra tra le forme particolari di notificazione disposte dal giudice ai sensi dell’articolo 150 cod. proc. pen., bensi’ tra le forme ordinarie di notificazione da eseguirsi con mezzi tecnici idonei ai sensi dell’articolo 148 c.p.p., comma 2 bis, sicche’, al fine di procedere alla stessa, non e’ necessario un decreto motivato del giudice ma e’ sufficiente una “disposizione” consistente anche in un provvedimento organizzatorio di carattere generale (Cass. Sez. 2, n. 8031 del 09/02/2010, Russo e altri, Rv. 246450).
Inoltre, il vizio avrebbe dovuto essere tempestivamente dedotto e fatto oggetto di specifico motivo d’appello, di tal che la parte e’ da ritenere ormai ampiamente decaduta da diritto d’eccezione sul punto.
3. Infondato e’ anche il terzo motivo, con il quale si deduce il vizio di motivazione in relazione a diversi profili.
3.1. Per un verso, il ricorrente propone rilievi di natura squisitamente di merito, volti a sollecitare una diversa valutazione in fatto, preclusa in questa fase dalle funzioni di legittimita’. Esula, infatti, dai poteri della Corte di legittimita’ quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’ riservata, in via esclusiva, al giudice di merito, senza che possa integrare un vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa – e per il ricorrente piu’ adeguata – valutazione delle risultanze processuali (ex plurimis Cass. Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, Rv. 236893).
3.2. Per altro verso, contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, nel valutare le dichiarazioni della persona offesa, la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi affermati in materia da questa Corte anche a Sezioni Unite, secondo cui le regole dettate dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu’ penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone; nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, puo’ essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi. (Cass. Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).
Ed invero, il giudice a quo ha rinnovato il giudizio di attendibilita’ delle dichiarazioni della persona offesa gia’ compiuto dal giudice di prime cure, dando puntualmente conto della credibilita’ intrinseca della testimonianza di (OMISSIS), in quanto lucida e precisa nelle diverse occasioni in cui e’ stata resa, e soprattutto del riscontro esterno costituito dalle dichiarazioni rese dalla teste (OMISSIS).
3.3. Ferma l’impossibilita’ per il giudice di desumere dalla rinuncia dell’imputato a prendere parte al processo – con conseguente dichiarazione di contumacia – elementi o indizi di prova a suo carico, trattandosi di manifestazione di diritti soggettivi e facolta’ processuali che l’ordinamento gli attribuisce quali espressione del diritto di difesa e di libera scelta della strategia processuale ritenuta piu’ opportuna, strategia che ben puo’ porsi in atto anche attraverso il silenzio (Cass. Sez. 5, n. 2337 del 22/12/1998, Rv. 212618; Sez. 3, n. 9239 del 19/01/2010, Rv. 246233), la Corte territoriale si e’ limitata ad evidenziare che, a fronte delle dichiarazioni della persona offesa – ritenute credibili e riscontrate e dunque di per se’ sole sufficienti a giustificare la conferma della condanna inflitta in primo grado -, la decisione dell’imputato di rimanere contumace e di non fornire la propria versione dei fatti non consente una ricostruzione dei fatti diversa da quella basata sulle risultanze dibattimentali. Il che certamente non significa che il giudice a quo abbia tratto elementi di convincimento a carico del ricorrente dalla sua scelta di non partecipare al processo, come invece lamenta il difensore.
4. Con specifico riguardo alle censure concernenti la contestata integrazione del reato di omesso versamento dell’assegno, si deve ribadire che il ricorrente si e’ limitato a prospettare una diversa lettura delle risultanze delle emergenze processuali, preclusa in questa sede di legittimita’.
4.1. In ogni caso, il giudice di secondo grado ha ben argomentato come, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa e della teste (OMISSIS), risultino provati la mancanza di mezzi di sussistenza e lo stato di bisogno della ex moglie e del figlio minore, e come l’imputato non abbia provato di trovarsi, senza colpa, nella impossibilita’ di fare fronte al pagamento degli assegni dovuti.
A tale ultimo riguardo, la Corte ha fatto corretta applicazione dei consolidati principi espressi da questo giudice di legittimita’ laddove l’incapacita’ economica, per avere rilievo quale esimente, deve essere assoluta e non puo’ consistere nella semplice difficolta’ di far fronte all’obbligazione, ma deve sostanziarsi nella radicale mancanza di mezzi finanziari, si’ da escludere qualunque – ed incolpevole – margine di scelta per l’agente (Cass. Sez. 6, n. 11696 del 03/03/2011, Rv. 249655). Inoltre, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, incombe all’interessato l’onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l’impossibilita’ di adempiere alla relativa obbligazione, del tutto inidonea essendo a tal fine la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficolta’ (Cass. Sez. 6, n. 8063 del 08/02/2012, G., Rv. 252427).
4.2. Del tutto correttamente, i giudici di secondo grado hanno escluso che la prova dell’impossibilita’ di (OMISSIS) di adempiere all’obbligazione nei confronti dei congiunti possa desumersi dalla circostanza che il ricorrente e’ stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Detto istituto di natura processuale si fonda invero su presupposti diversi da quelli richiesti per l’operativita’ della causa scriminante in parola, ai fini della integrazione della quale e’ necessario – come sopra esposto – che sia fornita prova della impossibilita’ assoluta di adempiere all’obbligazione economica.
Sotto diverso profilo, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non fornisce automaticamente la prova dello stato di indigenza, atteso che il beneficio, sempre suscettibile di revoca, viene concesso sulla base di una dichiarazione sostitutiva di certificazione proveniente dalla parte interessata (Cass. Sez. 2, n. 33530 del 17/05/2012, Di Noto, Rv. 253134).
4. Dalla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processi e della somma di euro 1000 in favore della cassa delle ammende.

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