Corte_de_cassazione_di_Roma

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

Sentenza  19 novembre 2015, n. 44928

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE PENALE

Composta da Domenico Carcano – Presidente –

Angelo Costanzo

Angelo Capozzi

Ersilia Calvanese – Relatore –

Laura Scalia

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da OMISSIS

avverso la sentenza del 30/04/2015 della Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento denunziato e II ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo il ricorso sta dichiarato inammissibile;

udito per l’imputata, l’avv. Redentore Bronzino, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino confermava la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Alessandria del 25 marzo 2010 che, all’esito di rito abbreviato, aveva dichiarato IB responsabile del delitto di cui al Kart. 328 cod. pen. e la aveva condannata alla pena di quattro mesi di reclusione.

All’imputata era stato contestato di aver, quale medico in servizio presso l’ospedale infantile di Alessandria, di turno di pronta reperibilità presso il reparto di traumatologia ed ortopedia, indebitamente rifiutato nella notte tra il 25 ed il 26 aprile 2008 di visitare una paziente di nove anni, inviata dail’ospedale di Tortona per una frattura scomposta al gomito e una frattura composta al polso, dovute ad una caduta da un fienile.

In particolare, I giudici di merito avevano accertato che nella serata del 25 aprile 2008 prima delle 22 il medico dì guardia del Pronto soccorso presso l’ospedale infantile di Alessandria, avvisato dell’Imminente arrivo della paziente con la suddetta diagnosi, sospettando una non corretta immobilizzazione dell’arto, aveva cercato di mettersi in contatto con il medico reperibile del reparto di ortopedia e traumatologia, apprendendo che sì trattava delila dott.ssa B e che la stessa al momento non era presente In ospedale; che questi adora aveva cercato di raggiungerla telefonicamente, ma non riuscendovi, perché la stessa non rispondeva all’utenza, aveva lasciato alle 22 l’incarico ad un’Infermiera di avvisare il medico di turno; che l’infermiera, dopo svariati tentativi, era riuscita a comunicare con (‘imputata alle 22.30, ia quale, informata delia vicenda, aveva disposto il ricovero della piccola paziente (in quel momento non ancora giunta in reparto); che appena giunta in reparto la paziente, alle 23.30, le infermiere dell’ospedale avevano nuovamente cercato di contattare l’imputata e, dopo svariati tentativi, erano riuscite a parlarle solo alle 00.30; che l’imputata a questo punto aveva dato telefonicamente disposizioni all’infermiera di rimuovere la stecca della frattura del polso e di applicare una “doccia” nell’arto della paziente, anticipando l’intenzione di procedere adì intervento chirurgico il giorno successivo; che, nella mattina del 26 aprile 2008, l’imputata aveva informato il medico di turno della necessità di Intervenire chirurgicamente sulla paziente e delia difficoltà dei caso, in quanto la frattura scomposta poteva determinare complicanze a livello neurologico; che, nell’occasione, l’imputata aveva raccontato di essere stata presente la sera precedente in ospedale e di aver direttamente posizionato la valva al gomito.

In sede di appello, la difesa dell’lmputata aveva chiesto l’assoluzione della stessa, sul rilievo che il medico aveva tempestivamente impartito le opportune Indicazioni terapeutiche, in vista dell’intervento chirurgico che per necessità avrebbe dovuto essere comunque eseguito l’indomani mattina; che nessun aggravamento alle condizioni della paziente era derivato dal fatto che il medico non aveva provveduto a visitarla subito, tant’è che l’intervento aveva avuto esito fausto con conseguente guarigione della paziente.

La Corte di appello riteneva che la responsabilità deli’iimputata risiedesse nell’aver disatteso un atto dovuto (recarsi in ospedale) da compiers senza ritardo, pur avendo ben percepito l’entità delle lesioni riportate dalla paziente (come dimostravano le istruzioni impartite) ed il carattere dovuto della visita (come era dato desumere dalla falsa rappresentazione alla collega di aver effettuato la visita), essendo Ininfluente per fa canfìgurabiiità del reato contestato – che è di pericolo – l’assenza dì conseguenze negative alla sua condotta.

Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione il difensore dell’imputata, lamentando l’inosservanza ed erronea applicazione deU’art. 328 cod. pen. e la carenza, manifesta Illogicità e contraddittorietà della motivazione.

Il ricorrente evidenzia che nessuna urgenza vi era nel caso che richiedesse un immediato intervento dell’imputata, posto che la diagnosi di frattura era già stata effettuata daJ primo ospedale e dal medico del pronto soccorso dell’ospedale di Alessandria; che l’imputata aveva fornito le indicazioni opportune in vista dell’intervento operatorio di riduzione della frattura, che avrebbe dovuto essere effettuato li giorno successivo; che nessun altra attività medica vi era da fare.

Il ricorrente rileva che non è condivisibile l’affermazione della sentenza impugnata, che, per dimostrare l’elemento psicologico del reato, avrebbe fatto leva sulla frase pronunciata il giorno successivo ai fatti (di aver visitato la paziente e di averle messo la valva al gomito), in quanto la stessa doveva essere intesa nel senso che l’imputata aveva provveduto nell’immediatezza a fornire le uniche opportune indicazioni terapeutiche in vista dell’intervenito operatorio del giorno successivo.

La sentenza impugnata, sostiene il ricorrente, affermerebbe che l’addebito di omissioni di atti di ufficio (con ciò errando trattandosi di rifiuto di atti d’ufficio) risulterebbe essersi perfezionato dalla mancata presentazione dell’imputata presso l’ospedale attesa la esigenza di un “intervento chirurgico immediato”.

Secondo il ricorrente, tale esigenza di urgenza non risulterebbe riscontrata da alcun elemento e la stessa sentenza impugnata sembrerebbe escluderla, laddove evidenzia il felice esito dell’iter ospedaliero.

Denuncia infine il ricorrente l’erronea applicazione dell’art. 328 cod. pen„ posto che la relativa fattispecie è da qualificarsi di pericolo “concreto”, da valutarsi con giudizio “ex ante”, e pertanto caratterizzato dall’urgenza dell’atto richiesto: pertanto, non qualsiasi rifiuto di prestazione medica potrebbe perfezionare il reato in esame, ma soltanto quelle legate ad una situazione di indifferibilità per il pericolo di conseguenze dannose alla salute.

La sentenza impugnata, prevedendo una sorte di automatismo dell’intervento del medico, finirebbe per escludere ogni spazio di discrezionalità … in capo alla figura del medico di pronta reperibilità, prevista dal Dpr. 348/83, ogni qualvolta sia attinto da diverse richieste di recarsi in ospedale, quando si versi in situazioni come quella In esame in cui l’atto non sta indifferibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

In relazione alla vicenda storico’fattuale oggetto del tema d’accusa, descritta nella parte che precede, esattamente 1 giudici del merito hanno ravvisato nella condotta tenuta dall’lmputata gli estremi della fattispecie penale prevista dal primo comma delt’art. 328 cod. pen.

L’oggetto dell’Imputazione era infatti costituito dal rifiuto opposto dal medico di pronta disponibilità di recarsi in ospedale per visitare la paziente.

Come già affermato da questa Corte, il servizio dì pronta disponibilità, previsto dal d.P.R. 25 giugno 1983 n. 348, è finalizzato infatti ad assicurare una più efficace assistenza sanitaria nelle strutture ospedaliere ed in tal senso è integrativo e non sostitutivo del turno cosiddetto di guardia, con la conseguenza che esso presuppone, da un lato, la concreta e permanente reperibilità del sanitario e, dall’altro, l’immediato intervento del medico presso ii reparto entro I tempi tecnici concordati e prefissati, una volta che dalla Sede ospedaliera ne sia stata comunque sollecitata la presenza. Su questi presupposti, concretandosi l’atto dovuto nell’obbligo di assicurare l’intervento nel luogo dì cura, il sanitario non può sottrarsi alla chiamata deducendo che, secondo il proprio giudizio tecnico, non sussisterebbero i presupposti dell’invocata emergenza (Sez, 6, n. 5465 del 18/03/1986 – dep. 12/06/1986, Badessa, Rv. 173105).

L’art. 25 del citato d.P.R. prevede invero che iI servìzio di pronta disponibilità è caratterizzato dalla immediata reperibilità del dipendente e “dall’obbligo per lo stesso di raggiungere il presìdio nel più breve tempo possibile dalla chiamata, secondo intese da definirsi in sede locale”..

La pronta disponibilità è quindi un istituto che consente di garantire una continuità assistenziale nel processo di erogazione dette prestazioni sanitarie.

In tale tipologia di servizio non viene in considerazione, come vuol sostenere la difesa, la discrezionalità del medico di turno di stabilire se recarsi o meno in ospedale, in considerazione dell’urgenza della disamina del caso o dì un intervento chirurgico della paziente, ma il dovere di presentarsi in ospedale proprio per formulare la diagnosi o, comunque, accertare le reali condizioni delia paziente una volta che il servizio sia stato richiesto dalia struttura ospedaliera. Non vi è dubbio, tra l’altro, nel caso in esame della necessità della presenza dell’imputata in ospedale, in quanto richiesta da un medico del Pronto soccorso per un controllo specialistico su un trauma che poteva presentare, come la stessa imputata ebbe modo di rappresentare alta sua collega la mattina seguente, delle complicazioni di tipo neurologico. Come questa Corte ha già avuto modo di precisare, il medico in servizio di reperibilità, chiamato dal collega già presente in ospedale che ne sollecita la presenza in relazione ad una ravvisata urgenza, non può sindacare “a distanza” la valutazione del sanitario e sottrarsi alla chiamata deducendo che, secondo il proprio giudizio tecnico, non sussisterebbero i presupposti dell’invocata emergenza, ma deve recarsi subito in reparto e visitare il malato. L’ urgenza ed il relativo obbligo di recarsi subito in ospedale per sottoporre a visita il soggetto infermo vengono a configurarsi in termini formati, senza possibilità di sindacato a distanza da parte del chiamato.

Ne consegue che il rifiuto penalmente rilevante ai sensi dell’alt. 328, comma 1 cod. pen, si consuma con la violazione del suddetto obbligo e la responsabilità non è tecnicamente connessa all’effettiva ricorrenza della prospettata necessità ed urgenza dell’intervento del medico (Sez. 6, n. 12376 del 13/02/2013 – dep. 15/03/2013, Da Col, Rv. 255391).

Inammissibili sono infine anche le censure volte a prospettare a questa Corte letture alternative delle risultanze processuali, quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato in esame. A fronte di una corretta ed esaustiva ricostruzione del compendio storico-fattuale oggetto della regiudicanda, non può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti accertati nelle pronunzie dei Giudici di merito, dovendo la Corte dì legittimità limitarsi a ripercorrere i passaggi motivazionali ivi delineati, ed a verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della motivazione al contenuto delle correlative acquisizioni processuali.

Sulla base di quanto precede, il ricorso deve essere rigettato con le conseguenze di legge, in punto di spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 22/10/2015.

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