Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 10 marzo 2014, n. 5499
Svolgimento del processo
Il tribunale di Roma, con sentenza in data 6.12.2004, rigettò la domanda di risarcimento danni proposta dal Codacons nei confronti della Editrice Romana spa, editore del quotidiano “Il Tempo”, in relazione a tre articoli di stampa, apparsi sull’edizione abruzzese del giornale, ritenuti dalla parte attrice di stampo diffamatorio, ma dal primo giudice considerati espressione lecita del diritto di satira. L’appello proposto dal Codacons fu ritenuto fondato ed accolto soltanto in ordine al regolamento delle spese, che, con sentenza della Corte d’Appello in data 1.6.2009, furono compensate, con la conferma nel resto della sentenza di primo grado.
Il Codacons ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria.
L’intimata non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Preliminarmente va dato atto che dagli atti nessuna attività difensiva risulta essere stata espletata dall’odierna intimata in questa sede.
I riferimenti contenuti nella memoria del ricorrente al controricorso ed al ricorso incidentale sono, pertanto, privi di qualsiasi rilevanza.
I motivi rispettano i requisiti dell’art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis nella specie Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D. Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione degli artt. 51 e 595 c.p. (art. 360, C. 1, n. 3).
Con il secondo motivo si denuncia violazione ed erronea applicazione degli artt. 595 c.p. e 2043 c.c. (art. 360, C.1, n. 3)
Con il terzo motivo si denuncia violazione art. 360, C. 1, n. 5) per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione anche con riferimento all’art. 116 c.p.c.
I motivi intimamente connessi sono esaminati congiuntamente. Essi sono fondati nei termini e per le ragioni che seguono.
La questione che pone il ricorso è se l’utilizzo delle espressioni “Cialtracons”, “contro la diarrea prendete Codacons”, “Codacons e diarrea…” e “Crollacons” riferite all’associazione ricorrente nei tre articoli apparsi sulla edizione abruzzese de “Il Tempo” il 4.11.1997, il 22.9.1994 ed il 21.10.1998 siano diffamatori, oppure costituiscano legittimo esercizio del diritto di satira, così come ritenuto dalla Corte di merito.
E’ noto che la satira è configurabile come diritto soggettivo di rilevanza costituzionale; come tale rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 21 Cost. che tutela la libertà dei messaggi del pensiero.
Il diritto di satira ha un fondamento complesso individuabile nella sua natura di creazione dello spirito, nella sua dimensione relazionale, ossia di messaggio sociale, nella sua funzione di controllo esercitato con l’ironia ed il sarcasmo nei confronti dei poteri di qualunque natura. Comunque si esprima e, cioè, in forma scritta, orale, figurata, la satira costituisce una critica corrosiva e spesso impietosa, basata su una rappresentazione che enfatizza e deforma la realtà per provocare il riso.
La peculiarità della satira, che si esprime con il paradosso e la metafora surreale, la sottrae al parametro della verità e la rende eterogenea rispetto alla cronaca.
A differenza di questa che, avendo la finalità di fornire informazioni su fatti e persone, è soggetta al vaglio del riscontro storico, la satira assume i connotati dell’inverosimiglianza e dell’iperbole.
La satira, in sostanza, è riproduzione ironica e non cronaca di un fatto; essa esprime un giudizio che necessariamente assume connotazioni soggettive ed opinabili, sottraendosi ad una dimostrazione di veridicità.
Incompatibile con il parametro della verità, la satira è, però, soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni adoperate rispetto allo scopo di denuncia sociale perseguito.
Sul piano della continenza, il linguaggio essenzialmente simbolico e frequentemente paradossale della satira è svincolato da forme convenzionali, per cui è inapplicabile il metro della correttezza dell’espressione.
Peraltro, l’utilizzo di espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui deve essere strumentalmente collegato alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non deve risolversi in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato (così Cass. ord. 17.9.2013 n. 21235; Cass. 8.2.2012 n. 1753; Cass. 28.11.2008 n. 284119.
In questo ambito concettuale è stato, ulteriormente, affermato – sia dalla giurisprudenza penale sia da quella civile di legittimità – che la satira, al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali della persona, per cui non può essere riconosciuta la scriminante di cui all’art. 51 c.p. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli,
gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo della persona e ludibrio della sua immagine pubblica (tra le varie Cass. 8.2.2012 n. 1753; Cass. 28.11.2008 n. 28411).
Inoltre, in tema di diffamazione, l’evento lesivo della reputazione altrui può ben realizzarsi, oltre che per il contenuto oggettivamente offensivo della frase autonomamente considerata, anche perché il contesto, in cui la stessa è pronunziata, determina un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole quanto meno un contenuto allusivo, percepibile dall’uomo medio (tra le varie Cass. 13.1.2009 n. 482).
Ora, la Corte di merito, in sentenza, dopo avere riportato le frasi “incriminate”, ha concluso che “Si è, quindi, in presenza di cronache giornalistiche locali – su cui si sono inserite le “battute” ironiche del redattore del quotidiano “Il Tempo” – nelle quali lo spirito che anima gli articoli, dal testo e dal contesto, appare scevro da denigrazione, disprezzo e ludibrio, sollecitando, piuttosto, il sorriso del lettore”.
Queste conclusioni non sono condivisibili.
Le espressioni quali “Cialtracons” e “Codacons e diarrea…” definite “battute ironiche” rendono, invece ragione di un errore di sussunzione della fattispecie esaminata nel quadro normativo di riferimento sopra delineato e di una carenza motivazionale in ordine alla loro portata diffamatoria.
Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, la Corte di merito non ha dato conto in motivazione – come censurato con il terzo motivo – della condotta processuale adottata dalla Editrice
Romana spa nel riferire l’erronea denominazione dell’associazione ad un mero errore tipografico.
Non senza, da ultimo sottolineare che nessun dubbio sussiste in ordine alla configurabilità della lesione alla reputazione nei confronti di un ente collettivo; lesione che deriva dalla diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere, o di settori o categorie di essi con le quali l’ente interagisca; ancora più delicata posizione quando si tratti di un’associazione di consumatori (v. anche Cass. 25.7.2013 n. 18082; Cass. 4.6.2007 n. 12929).
Gli ulteriori profili di censura restano assorbiti.
Conclusivamente il ricorso è accolto.
La sentenza è cassata, e la causa è rinviata alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
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