cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 10 dicembre 2015, n. 24920

Fatto e diritto

1.- Con la decisione ora impugnata la Corte d’Appello di Palermo ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da P. C. avverso la sentenza del Tribunale di Agrigento pubblicata in data 21 maggio 2008, poiché, essendo stata pronunciata in un giudizio di opposizione all’esecuzione, si trattava di sentenza non impugnabile ai sensi dell’ari. 616, ultimo inciso, c.p.c., nel testo risultante dopo la modifica apportata dalla legge n. 52 del 2006 e prima dell’abrogazione ad opera della legge n. 69 del 2009. Il ricorso per cassazione è svolto con un motivo, illustrato da memoria. Gli intimati D.P., A.P., D.N. e C. C.P. non si difendono.
2.- Con l’unico motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 50, 156 comma terzo e 159 comma terzo, nonché dell’art. 111 della Costituzione, sostiene che la Corte d’Appello avrebbe errato nell’applicare al caso di specie l’art. 616 cod. proc. civ. nel testo introdotto dall’art. 14 della legge n. 52 del 2006, perché non avrebbe tenuto conto delle norme sulla «conservazione dei mezzi di impugnazione» e di quelle sulla «translatio iudicia» e sul «giusto processo».
3.- Il ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis n. I cod. proc. civ. perché la Corte d’Appello ha deciso la questione sul regime di impugnazione della sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 616 cod. proc. civ. in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del ricorso non offre elementi per mutare questo orientamento.
Allo scopo è sufficiente richiamare i precedenti che hanno reiteratamente affermato che le sentenze conclusive in primo grado dei giudizi di opposizione all’esecuzione pubblicate tra il 1° marzo 2006 ed il 4 luglio 2009 non sono impugnabili in ragione di quanto disposto dall’ari. 616, ult. inc., c.p.c., nel testo introdotto dall’art.14 della legge n. 52 del 2006 (abrogato con l’art. 49, comma 2°, della legge n. 69 del 2009), quindi sono soltanto ricorribili per Cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. n. 20392109, n. 2043/10, ord. n. 20324/10, nonché, a contrario, Cass. n. 20414106 ed, ancora, successivamente, Cass. n. 3688/11 ed altre). Il principio è stato ribadito, anche ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ. da Cass. ord. n. 17321111, per la quale « Ai fini dell’individuazione del regime di impugnabilità di una sentenza, occorre avere riguardo alla legge processuale in vigore alla data della sua pubblicazione. Pertanto, le sentenze che abbiano deciso opposizioni all’esecuzione
pubblicate prima del primo marzo 2006, restano esclusivamente appellabili; per quelle, invece, pubblicate successivamente a tale data e
fino al 4 luglio 2009, non è più ammissibile l’appello, in forza dell’ultimo periodo dell’art. 616 cod. proc. civ., introdotto dalla legge
24 febbraio 2006, n. 52, con la conseguenza dell’esclusiva ricorribilità per cassazione ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost.; le sentenze,
infine, in cui il giudizio di primo grado sia ancora pendente al 4 luglio 2009, e siano quindi pubblicate successivamente a tale data, tornano ad
essere appellabili, essendo stato soppresso l’ultimo periodo dell’art. 616 cod. proc. civ., ai sensi dell’ari. 49, secondo comma, della legge 18
giugno 2009, n. 69. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ.)».
4.- I principi su cui il ricorso si fonda, e che la ricorrente ha richiamato con la memoria, non sono affatto pertinenti.
In primo luogo, va ricordato quanto affermato da questa Corte, con riferimento a fattispecie analoga alla presente, per la quale è stato enunciato il seguente principio di diritto: «É inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di pace dichiarativa della propria competenza in materia di contributi consortili proposto dinanzi al Tribunale, e poi espressamente riassunto davanti alla Cassazione, non potendo trovare applicazione il principio di conservazione dettato dall’art. 159 secondo comma cod. proc. civ.. Tale norma opera, infatti, allorché l’atto non solo abbia i requisiti di forma e di sostanza dell’atto in cui viene convertito ma sia stato proposto dinanzi al giudice competente per il grado di giudizio, dovendosi comunque escludere la conversione dell’atto se, dall’esame del contenuto del mezzo utilizzato, risulti inequivocabilmente la volontà della parte di utilizzare soltanto un mezzo diverso, ancorché inammissibile. La proposizione dell’atto innanzi a un giudice di secondo grado anziché innanzi al giudice della legittimità esclude – d’altronde – che sia prospettabile una questione di competenza con il ricorso ai principi della “traslatio iudicii”, sanciti dall’art. 50 cod. proc. civ., secondo i quali la tempestiva proposizione del gravame ad un giudice incompetente impedisce la decadenza della impugnazione, atteso che la competenza attiene alla articolazione della giurisdizione tra i giudici competenti nello stesso grado.» (così Cass. n.590/04).
Nel ribadire questo principio, va, nella specie, affermato che «è inammissibile l’appello avverso la sentenza del tribunale pronunciata in materia di opposizione all’esecuzione e pubblicata nel periodo compreso tra il I ° marzo 2006 ed il 4 luglio 2009, non potendo trovare applicazione il principio di conservazione dettato dall’art 159 terzo comma cod proc civ.. Tale norma opera, infatti, allorché l’atto non solo abbia i requisiti di forma e di sostanza dell’atto in cui viene convertito ma sia stato proposto dinanzi al giudice competente per il grado di giudizio. La proposizione dell’atto innanzi a un giudice di secondo grado anziché innanzi al giudice della legittimità esclude – d’altronde – che sia prospettabile una questione di competenza con il ricorso ai principi della “traslatio iudicii”, sanciti dall’art. 50 cod. proc. civ., secondo i quali la tempestiva proposizione del gravame ad un giudice incompetente impedisce la decadenza dall’impugnazione, atteso che la competenza attiene alla articolazione della giurisdizione tra i giudici competenti nello stesso grado».
4.2.- Non è pertinente nemmeno il richiamo fatto al principio del «giusto processo», poiché tale principio non può che essere riferito al rispetto delle regole processuali poste con legge, in modo che vengano garantiti il diritto di difesa ed il diritto al contraddittorio, oltre che i principi di terzietà ed imparzialità del giudice e di eguaglianza delle parti in seno al processo.
Nel caso di specie, la regola è stata posta dal legislatore della riforma del 2006 in termini tali che è da escludersi il contrasto con la Costituzione, in specie col principio del giusto processo come dettato dai commi primo e secondo dell’art. 111 Cost. e con il principio costituzionale del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.
Il regime impugnatorio introdotto dal testo dell’art. 616 cod. proc. civ., come riformato, è stato a più riprese riconosciuto conforme alla Carta fondamentale da questa stessa Corte regolatrice (da ultimo Cass., ord. 3 giugno 2014, n. 12389; tra le altre, in precedenza: Cass. 18 gennaio 2008, n. 976; Cass. 8 febbraio 2011, n. 3056; Cass. 15 febbraio 2011, n. 3688; Cass., ord. 17 agosto 2011, n. 17325; Cass., ord. 30 dicembre 2011, n. 30429; Cass. 19 novembre 2013, n. 25904; Cass., ord. 21 marzo 2014, n. 6757).
5.- I principi di cui sopra sono stati applicati e ribaditi innumerevoli volte da precedenti di questa Corte che hanno avuto modo di affrontare la questione sotto i più disparati aspetti, concludendo sempre nel senso che avverso la sentenza sull’opposizione dispiegata ex artt. artt. 615 o 619 cod. proc. civ. pubblicata fra il 1.3.06 ed il 4.7.09, qualunque sia l’epoca di instaurazione del processo, non è più ammissibile il rimedio dell’appello in forza dell’ultimo periodo dell’ari_ 616 cod. proc. civ., come introdotto dalla L. n. 52 del 2006 (senza alcuna disciplina transitoria), ma solo quello del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7 (tra le molte: Cass. 12 maggio 2011, n. 1045 1; Cass., ord. 17 agosto 2011, n. 17321; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3025; Cass. 7 novembre 2012, n. 19273; Cass. 7 febbraio 2013, n. 2972; Cass. 30 agosto 2013, nn. 20034 e 20035; Cass. 5 settembre 2013, n. 20419; Cass., ord. 30 ottobre 2013, n. 24501; Cass. 7 novembre 2013, n. 25056; Cass. 19 novembre 2013, n. 25904; Cass. 31 gennaio 2014, n. 2105; Cass. 4 febbraio 2014, n. 2428; Cass. 21 marzo 2014, n. 6757; Cass., ord. 8 luglio 2014, n. 15580). La Corte d’Appello ha deciso perciò la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte (ribadita, da ultimo, da Cass. 30 marzo 2015 n. 6391 e Cass. 10 febbraio 2015 n. 2475).
In conclusione, il ricorso, inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ., va rigettato in ragione dell’interpretazione data a tale norma dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. S.U. ord. n. 19051/10). Non vi è luogo a provvedere sulle spese poiché gli intimati non si sono difesi. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, dei d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

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